lunedì 28 febbraio 2011

Craxi: Un politico corrotto morto latitante

Lo Statista. L’esule. Il perseguitato. Tre definizioni di Benedetto Craxi, al secolo Bettino, che fanno a pugni con la realtà dei fatti e con la verità. Eppure nel paese del bunga bunga sono diventate conclamate verità per la maggioranza di quel sistema politico italiano retto sul privilegio e sull’ingiustizia, che recupera la figura del satrapo garofanato solo per assicurare a se stesso quell’impunità che da 15 anni ricerca spasmodicamente.

Perché se in Italia le parole avessero un senso (e soprattutto la storia e le sentenze della magistratura), Bettino Craxi sarebbe semplicemente, nell’ordine: l’assassino del Partito Socialista Italiano, un politico corrotto e, soprattutto, un latitante. Oltre ad aver plasmato quella cultura politica su cui si basa l’attuale Berlusconismo e che tanti guasti e mali ha provocato all’Italia.
In un Paese serio, a chiudere la questione Bettino basterebbero le 3 sentenze definitive emesse dalla Cassazione (10 anni per le tangenti Eni-Sai e la Metropolitana Milanese; prescrizione per le mazzette dalla berlusconiana All Iberian). O i 40 miliardi giacenti sui suoi 3 conti svizzeri personali, gestiti non da tesorieri PSI, ma dall’ex compagno di scuola Giorgio Tradati e poi dall’ex-barista Maurizio Raggio, destinati agli “interessi economici anzitutto propri di Craxi” (Sentenza All Iberian).
Molti, oggi, come Berlusconi, dicono che “Craxi non può essere ridotto ai suoi guai giudiziari.” Infatti ci sono pure quelli politici, purtroppo.
Per quanto riguarda l’economia, sotto i governi Craxi, infatti, (1983-1987) il debito pubblico balza da 400mila a 1 milione di miliardi di lire; il rapporto debito-Pil dal 70 al 92%. Non male per uno che, a dire della figlia, combatteva il partito della spesa dei comunisti (mai stati al governo).
Dopodiché, negli anni dei governi successivi (Goria, De Mita, Andreotti), il rapporto debito /Pil balza ulteriormente dal 92 al 118%, che è il valore che ha praticamente oggi, perché, a parte le virtuose parentesi Ciampi e Padoa-Schioppa, l’economia italiana è finita nelle mani degli stessi che collaboravano con Craxi ai tempi in cui veniva scavato il grande buco del debito pubblico (Tremonti, Brunetta, Sacconi, consulenti economici di Craxi e De Michelis).
Per quanto riguarda la lotta al terrorismo, Bettino Craxi fu l’unico leader della Prima Repubblica a caldeggiare la trattativa tra Stato e Br durante il sequestro Moro; nel 1985 sottrae al blitz americano di Sigonella i terroristi palestinesi che hanno appena sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato un turista ebreo disabile; sebbene si impegni pubblicamente a farli processare in Italia, poi fa caricare il loro capo Abu Abbas su un aereo dei servizi e lo spedisce in Iraq, come gradito omaggio a Saddam Hussein.
Questo episodio rimarca un altro tratto della politica craxiana, ancora più filoaraba in politica estera di quanto non fossero già stati i dc: appoggia acriticamente l’Olp, ben lontana dalla svolta moderata, paragonando Arafat a Mazzini; spalleggia e foraggia il dittatore sanguinario somalo Siad Barre; nel 1982, durante la crisi delle Falkland, si schiera addirittura con i generali argentini contro la Gran Bretagna.
Ma Craxi è anche il primo picconatore della Costituzione in vista di quella grande riforma presidenzialista (leit motiv di tutta la Seconda Repubblica), oltre a voler assoggettare, dopo lo scandalo P2, i pm sotto il potere dell’esecutivo. Così come è il primo ad introdurre nel linguaggio politico i termini “giustizialismo”, “circolo mediatico-giudiziario” e “toghe rosse”, tanto da far diventare un sinonimo di reazionario, nazionalista e conservatore come è il termine giustizialista nel contrario di garantismo.
Ed è, soprattutto, l’artefice di quella deriva culturale che ha il suo epicentro nel monopolio televisivo incostituzionale, legittimato con la legge Mammì, di Silvio Berlusconi (che tra l’altro, come ha dimostrato il processo All-Iberian, pagò la più alta tangente di sempre, pari a 21 miliardi di lire).
Note le sue frequentazioni: dopo aver commentato a denti stretti, dopo l’elezione a Capo dello Stato di Sandro Pertini, “la prossima volta eleggeremo un socialista”, il satrapo garofanato allontana tutti quelli che si oppongono al suo autoritarismo partitico (Bobbio, Bassanini, Codignola, Enriquez, Agnolotti, Leon e Veltri), e si circonda dei famosi nani e ballerine (copyright Rino Formica) che poi trasformeranno il PSI in quel comitato d’affari dove non transitavano più ideali, ma solo tangenti.
Si fece anche l’amante, tale Anja Pieroni, a cui regalò una stazione televisiva (Roma Cine Tivù), pagandola 100 milioni di lire al mese, una casa (con tanto di servitù, autista e segretaria) e un albergo (hotel Ivanohe) a Roma; fece varie operazioni immobiliari (appartamento a New York, due case a Milano, una a Madonna di Campiglio, una a La Thuile, oltre ad Hammamet); si comprò un Sitation (aereo) del costo di 1 milione e mezzo di dollari (3 miliardi di lire); regalò 500 milioni al fratello Antonio, seguace del guru Sai Baba in India; pagò la bellezza di 80 milioni di lire nel 1994 per affittare una casa al figlio Bobo a Saint Tropez, per allontanarlo dal clima politico poco favorevole che c’era a Milano.
Non male per uno Statista, oltreché per un Socialista.
Forse ha ragione qualcuno, quando dice che la Questione Morale sollevata da Berlinguer fu tardiva e velleitaria (ma così non fu). Di una cosa sono certo, però: il “pragmatismo affaristico” di Craxi rimane una vergogna per tutti i socialisti che lo erano veramente e che da quel partito di “nani e ballerine” (riedificatosi in Forza Italia) sono stati cacciati.
E questo è qualcosa che, nemmeno i revisionisti più fantasiosi, possono cambiare.

domenica 27 febbraio 2011

Le ultime ore del raìs

Il manifesto, grazie a una rischiosa operazione di intelligence, è in grado di rivelare i dettagli delle ultime ore di Muammar Gheddafi.

Venerdì, ore 14 – Riunione nella caserma di Tripoli. Presenti l’avvocato El-Ghedin e il ministro della giustizia Al-Fanh, si studiano soluzioni all’emergenza per salvare il Colonnello. Il ciambellano Gian-Al-Lettah serve il thé e consiglia moderazione.
Venerdì ore 16.30 – Videomessaggio del Colonnello ai promotori della Jamayria, un duro attacco ai giudici di Bengasi e la promessa di cambiare la Costituzione. Il principale telegiornale libico, diretto da El-Minzolinh, manda il messaggio in edizione integrale.
Venerdì ore 20 – Nomina del consigliere di corte Julian- El-Ferrar a commentatore unico in un programma dopo il telegiornale di El-Minzolinh. Dovrà sostenere le ragioni dell’aviazione libica contro le tribù dei puritani e screditare i giudici di Bengasi.
Venerdì ore 22 – Serata informale e danza del ventre con Nicol Minh-Etti. Cerimonia di consegna delle buste, la nipote di Bokassa riceve due giacimenti petroliferi, le altre solo sei cammelli.
Sabato ore 11 – Nuova riunione con Al-Fanh e El-Ghedin. Si tenta la strada della prescrizione breve verso l’aeroporto. Il ciambellano Gian-Al-Lettah pulisce il pavimento e consiglia moderazione.
Sabato ore 13 – Riunione con i mercenari assoldati per la resistenza. Presenti Sci-Il-Ipot e l’astuto El-Guzzant. Il comico Bar-Baresch parla delle sue esperienze teatrali e dei suoi successi di intellettuale. Il Colonnello di diverte molto e gli getta ossi di pollo.
Sabato ore 19,30 – Al-El-Sallust porta al Colonnello vecchie foto di trent’anni fa in cui gli insorti di Bengasi baciano il fidanzato. Al-Brachinh mostra un ribelle con le calze celesti. Il ciambellano Gian-Al-Lettah stende i panni e consiglia moderazione.
Sabato ore 23 – Il Colonnello riunisce i figli e si complimenta per gli ottimi risultati di bilancio ottenuti dalle sue aziende.
Alessandro Robecchi, Il Manifesto

domenica 20 febbraio 2011

Craxiani a orologeria

La "giustizia a orologeria". Già, ci eravamo dimenticati della “giustizia a orologeria”. Per la verità questa non è un’invenzione berlusconiana, compare per la prima volta ad opera dei socialisti o per essere più precisi dei craxiani (essere stati craxiani non vuol dire essere stati socialisti) quando Alberto Teardo e altri esponenti del Psi savonese furono incriminati e arrestati nel giugno del 1983, prima delle elezioni politiche, per concussione, estorsione, interesse privato in atti d’ufficio, associazione a delinquere. Fu allora che i craxiani gridarono alla “giustizia a orologeria” sostenendo che quelle incriminazioni erano state fatte appositamente per danneggiare il Psi nella libera gara elettorale. Teardo fu poi condannato a 12 anni di reclusione e i suoi complici a pene di poco inferiori. Se il sostituto procuratore della Repubblica Michele del Gaudio avesse dovuto rispettare il calendario elettorale, invece che le esigenze di giustizia, Teardo sarebbe stato eletto parlamentare e, godendo dell’immunità, sarebbe ancora in circolazione a far danni.
Nel caso di Berlusconi non si capisce di quale orologio si tratti, se non del suo. È stato lui a dettare i tempi telefonando la sera del 27 maggio alla questura di Milano facendo pressioni sui poliziotti per determinare la sorte di Karima El Mahroug, detta Ruby. Cosa avrebbe dovuto fare la procura della Repubblica di Milano di fronte a una “notizia criminis” così palese, comprovata dalle relazioni della polizia, ammessa dallo stesso Berlusconi? Ignorarla per non intralciare la vita politica? Questa sì sarebbe stata una “ingiustizia a orologeria”.
Quelli del centrodestra continuano a far rullare la grancassa che Berlusconi “ha il consenso popolare”. Devono dirci, una volta per tutte, se il consenso popolare autorizza a commettere reati. Se la risposta è sì, retrocediamo oltre il “monarca costituzionale” che deve rispettare almeno le leggi da lui stesso emanate come fu stabilito dalla “Magna Charta Libertatum” varata nel 1215 in Inghilterra sotto il regno di John Lackland (Giovanni Senza Terra) il fratello intelligente, ma diffamato, del muscolare e cretino, ma onorato, Riccardo Cuor di Leone.
Giuliano Ferrara, nella sua esibizione al Dal Verme, ha detto che non possiamo permetterci di entrare “nell’inconscio di un uomo che ha perso di recente la madre e si è separato dalla moglie”.
A parte che perdere la madre quando si hanno più di 70 anni non dovrebbe essere poi così anomalo (ci sarebbe anzi da ringraziare Domineddio che ce l’ha conservata così a lungo…), che vuol dire? Che se uno ha perso i genitori è autorizzato a delinquere? Quanti anni aveva Totò Riina quando perse i suoi? E quanti delitti ho diritto a commettere io, visto che mio padre è morto quando avevo 17 anni?
Oltre, e forse più, che di Berlusconi siamo stufi di questi D’Annunzio per meno abbienti, di questi dandy “de noantri”, di questi Oscar Wilde da strapazzo, che alla tenera età di 59 anni non hanno scritto un libro purchessia (non dico “Il piacere” o “Il Ritratto di Dorian Gray”) e si dan grandi arie da intellettuali, che si atteggiano a dei Talleyrand e sono al livello in cui, a teatro, sta la buca del suggeritore, che non hanno mai combinato nulla nella vita se non affossare, come ricordava giorni fa Marco Travaglio in un divertente excursus sul fregnone, qualsiasi impresa cui abbiano partecipato.
Eppure Ferrara fa audience, gli si dà ascolto e persino retta. Quel che fa senso in questo Paese, oltre la delinquenza della sua classe dirigente, è la confusione mentale in cui è precipitato.
Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano

sabato 19 febbraio 2011

Acqua azzurra, acqua pubblica

Palloncini nella fontana più fotografata della città, flash mob, distribuzione di braccialetti blu a cantanti di passaggio come Emma Marrone dei Modà e Tricarico che assicurano di indossarlo sul palco dell'Ariston e un concerto in piazza: così il comitato referendario 2 Sì per l'Acqua Bene Comune approda a Sanremo, nel cuore del Festival, massimo evento di distrazione di massa, per parlare di acquedotti, reti e rincari delle bollette dopo le privatizzazioni.
Il loro si chiama Festival dell'acqua. «In effetti è una bella scommessa - commenta Giorgio Caniglia del Coordinamento imperiese che raccoglie diverse realtà della provincia del ponente ligure, come Attac, Sanremo sostenibile, Prau grande, la Talpa e l'orologio, il Circolo 25 aprile di Ventimiglia, Arci e Legambiente di Taggia - Abbiamo scelto di approdare in una situazione di grande distrazione per fare una comunicazione gioiosa e musicale. Non siamo un controfestival, ma un evento nel festival. Vogliamo informare gli italiani che ci sarà un referendum». Caniglia assicura che se parli di acqua, di bollette e di acquedotti, ti stanno a sentire anche in una delle province più azzurre d'Italia: «abbiamo fatto un buon lavoro con gli enti locali, una ventina di sindaci, su sessanta, si sono opposti alla privatizzazione proposta dalla Provincia di Imperia e alla fine hanno vinto». «Almeno qui si è riuscito a mantenere lo status quo: una situazione a macchia di leopardo - ti spiegano gli attivisti del comitato accanto al palco montato in piazza San Siro a due passi dall'Ariston - Imperia e Sanremo hanno delle spa pubbliche, alcuni comuni dell'interno come Dolceacqua hanno privatizzato da anni e invece Bordighera continua a mantenere l'acquedotto pubblico e questo fa risparmiare i suoi cittadini».
Dopo il milione e mezzo di firme raccolte, ora l'obiettivo è arrivare al referendum e portare più della metà degli elettori al voto: «vogliamo che il governo decida subito la data, lo chiedono un milione e mezzo di italiani - dice Marco Bersani del Comitato promotore 2 sì per l'acqua bene comune - Acqua bene pubblico è stato un lavoro carsico, non abbiamo mai avuto grandi spazi sui mass media. Ora ci aspettano tre mesi di lavoro duro. Credo che ce la faremo. Questa è una grande esperienza del basso che si muove verso l'alto. Più che destra o sinistra è un'esperienza di cittadinanza sociale che fa presente ai politici che nei palazzi ci si occupa di problemi inesistenti, mentre l'acqua è un tema vero».
Così ieri il comitato ha esordito con una conferenza stampa al teatro della Federazione operaia, ha distribuito braccialetti blu a Emma dei Modà e a Tricarico, ottenendo da Emma la promessa di indossarlo al bracco destro, quello che tiene il microfono. Anche se sul braccialetto non c'è scritto niente per evitare polemiche e censure, la scommessa è che pure Morandi lo porti in tv. Tra un flash mob e l'altro con artisti di strada, nella kermesse della canzone che popola la cittadina di un'infinità di creature mediatiche, il comitato ha inoltre organizzato un concerto in piazza stasera. È possibile seguirlo in streaming su acquabenecomune.org dalle 19 in poi. Sul palco Andrea Rivera, gli Yo Yo Mundi e Lorenzo Monguzzi dei Mercanti di Liquore. Presentano Cinzia Mareseglia dello Zelig off e il cantautore Flavio Pirini.
di Alessandra Fava,
Il Manifesto

Nasce il Comitato umbro “VOTA SI per fermare il nucleare”

Al via la costituzione del Comitato umbro referendario contro il nucleare, aperto a tutte le organizzazioni e ai cittadini che intendono opporsi al ritorno all’energia dell’atomo. Lo schieramento unitario e trasversale intende coinvolgere i cittadini nel respingere per la seconda volta nella storia del Paese la scelta nucleare per incentivare, invece, lo sviluppo delle fonti rinnovabili e il risparmio energetico.
AIAB Umbria, Alleanza per il Clima, ARCI Umbria, Arci Servizio Civile di Perugia, Arci Servizio Civile Terni, ATTAC Perugia, Associazione Culturale Casa Rossa, Associazione INTRA, Associazione Il Pettirosso, CGIL Umbria, Circolo Culturale Primo Maggio, Comitato Ternano per i Diritti e la Pace, Ecologisti democratici, Fabbrica di Niki di Perugia, Federconsumatori Perugia, Legambiente Umbria, Libera Università di Alcatraz, Libera Umbria, Movimento Difesa del Cittadino, WWF Umbria, sono le associazioni che questa mattina hanno costituito il
Comitato Umbro “VOTA SI per fermare il nucleare”.
Inutile, rischioso e controproducente: sono questi i principi alla base del Comitato “Vota si per fermare il nucleare” che opererà per promuovere capillarmente sul territorio il diritto di partecipazione democratica a questa scelta del Paese.
Secondo il comitato, infatti, il nucleare non serve all’Italia, dal momento che il Paese ha una potenza elettrica installata di più di 100.000 megawatt, mentre il picco di consumi oggi non supera i 57.000 megawatt. Ma il nucleare non ridurrebbe neanche la dipendenza energetica dall’estero, perché l’Italia sarebbe costretta ad importare l’uranio, oltre alla tecnologia e ai brevetti.
La scelta dell’atomo continua, poi, ad essere rischiosa: anche per i reattori di terza generazione EPR in costruzione sono emersi, infatti, gravi problemi di sicurezza, come hanno denunciato, a novembre 2009, le Agenzie di Sicurezza di Francia, Regno Unito e Finlandia. Senza considerare che ancora non è stato risolto il problema di dove depositare in modo sicuro e definitivo le scorie.
L’energia nucleare è infine costosa e controproducente per le tasche dei cittadini e per l’economia del Paese. Per tornare all’atomo, infatti, bisognerebbe ricorrere a fondi pubblici e garanzie statali, quindi alle tasse e alle bollette pagate dai cittadini. Tutte risorse importanti, sottratte ai finanziamenti per la ricerca, per l’innovazione tecnologica, alla diffusione dell’efficienza energetica e le energie rinnovabili, quindi ad investimenti più moderni e incisivi da un punto di vista ambientale e occupazionale.
Secondo il Comitato, dunque, non c’è bisogno di nuova energia nucleare, ma semplicemente di incentivare la crescita delle fonti rinnovabili in sostituzione di quelle fossili: solo con la nascita di una vera e propria rivoluzione energetica, capace di contrastare i cambiamenti climatici, di innovare processi e prodotti sarà infatti possibile dare risposte concrete alla crisi economica.
Dopo 24 anni i cittadini italiani si devono nuovamente esprimere con il referendum e occorre un impegno straordinario per fermare definitivamente il nucleare.
Ed è per questo che il Comitato umbro “Vota SI per fermare il nucleare” si adopererà per informare e coinvolgere il maggior numero di cittadini, chiedendo anche a personalità della cultura regionale e ad esponenti politici di sostenere e contribuire attivamente alla buona riuscita della consultazione referendaria.

Ad oggi hanno dato la loro adesione personale:
Luigi Bori, Coordinatore SEL Umbria;
Lorenzo Borgia, Vicesindaco Tuoro sul Trasimeno;
Lamberto Bottini, Segretario PD Umbria;
Fabio Faina, Portavoce SEL provincia Perugia;
Jacopo Fo, scrittore, attore fumettista e regista;
Simone Guerra, Assessore alla Cultura del Comune di Terni
Flavio Lotti, portavoce Tavola della Pace;
Valerio Marinelli, Coordinatore Dipartimenti PD Umbria;
Alfonso Morelli, Consigliere Comune Narni;
Paolo Pacifici, Sindaco del Comune di Campello sul Clitunno;
Lorena Pesaresi, Assessore all'Ambiente e alle Politiche energetiche del Comune di Perugia;
Elisabetta Piccolotti, Assessore alle Politiche Culturali e Sviluppo Sostenibile di Foligno;
Federica Porfidi, Coordinatrice SEL Provincia Terni;
Mimma Trotti, consigliere Comune Sangemini;
Valentino Rocchigiani, Sindaco Comune Allerona;
Sergio Santini, Coordinatore dipartimento Ecologia PD Umbria;
Karl-Ludwig Schibel, Coordinatore Alleanza per il Clima;
Damiano Stufara, Consigliere Regione Umbria
Stefano Vinti, Assessore Regione Umbria Politiche della casa, Mitigazione del rischio sismico e geologico;
Michele Pennoni, Consigliere Comune Terni;
Fabrizio Bellini, Assessore Ambiente Provincia di Terni

Sostengono il comitato:
PD Umbria;
PRC Umbria;
Sel Umbria
Sinistra Critica Umbria

martedì 15 febbraio 2011

Torino, stralci di una domenica (partigiana?)

Il mio parroco per la terza domenica di fila ha dedicato l’intera omelia a una riflessione sul decadimento morale senza precedenti nel quale stiamo sprofondando.
Per ogni partita di calcio di serie A, serie B, Champions league, Coppa Italia, eccetera, viene prodotto uno spiegamento di risorse enorme: polizia, carabinieri, vigili del fuoco, Croce Rossa, treni speciali, autobus dedicati, strade chiuse al traffico.

Per la manifestazione di domenica a Torino se volevi prendere la metro al capolinea dovevi fare una coda di un’ora per comprare il biglietto, perché tre macchinette su quattro erano fuori servizio. A una delle stazioni successive la situazione era ancora più surreale: su dieci tornelli per entrare ne funzionava solo uno. Un addetto della Gtt, l’azienda dei trasporti torinese, esasperato e solidale con la gente in coda che protestava, ha sbloccato gli accessi e ha fatto entrare tutti in pochi secondi, poi si è avvicinato è ha detto “Scrivete, se sapete scrivere, scrivete in che condizioni ci fanno lavorare!”.
A percorrere piazza San Carlo c’era così tanta gente, tra ombrelli colorati, fili di lana intrecciati, cartelloni, che ad attraversarla da un lato all’altro ci abbiamo messo un’ora e mezza.In piazza San Carlo, in mezzo a migliaia di persone, ho incontrato anche il mio amico Enrico, che secondo me alle ultime elezioni aveva votato Berlusconi.In via Po, quando ormai il corteo era transitato, passavano le moto dei vigili per riaprirla al traffico e far spostare la gente da in mezzo alla strada: un vigile urbano sorridente ha detto a una signora che non aveva capito “Abbia pazienza, le cose belle purtroppo finiscono”.
Alla sera, nonostante io abbia una lunga barba, ho scoperto di essere una donna radical chic uscita da un salotto. E a casa non ho neanche il salotto.
Il premier ha detto che sono fazioso e di parte. E’ vero: sono di parte, sono partigiano. Rispetto ai Partigiani, quelli di settant’anni fa, però, c’è un oceano di differenze, un oceano attraversando il quale siamo passati dalla creazione di un paese che doveva stare in piedi sulla Costituzione, a una sottospecie di regime della prostituzione. In altre parole, siamo passati dai Padri Costituenti ai padri prostituenti.
Blog di Diego Finelli

L’Italia s’è desta

Per essere solo “un gruppetto di signore radical chic”, come dice la povera Gelmini, si sono moltiplicate che neppure i pani e i pesci, visto che il loro appello ha riempito in modo straripante duecentocinquanta piazze d’Italia come da anni quelle città non ricordavano. Con centinaia di migliaia di donne e di uomini, di giovani e di anziani, numeri calcolati con pudico minimalismo, che non rendono giustizia al mare di partecipazione totalmente auto-organizzata che ha percorso la Penisola. Con una indignazione carica di entusiasmo, festosa di passione civile, colorata di allegria, solare di determinazione, che i tristi “mutandari” di Ferrara e Santanchè non possono neppure immaginare e meno che mai capire, cupi nel loro odio per tutto ciò che in Italia c’è ancora – e ogni giorno cresce – di dignità, serietà, libertà, gioia di lottare e di vivere.
“Faziose”, hanno ripetuto i lanzichenecchi di regime che più che mai intasano totalitariamente il video. Se ne facciano una ragione: domenica, detto molto sobriamente e senza fanfare, l’Italia s’è desta.
Il difficile comincia ora. Quella incontenibile volontà di liberazione che ha illuminato di serena e fraterna indignazione i volti e gli animi delle italiane e degli italiani migliori, può suonare la diana della fine del regime ma può anche disperdersi nella morta gora di una politica consegnata una volta di più al monopolio inetto dei politici di mestiere. (Sì, migliori. Facciamola questa parentesi: in piazza domenica c’era proprio l’Italia migliore, moralmente e umanamente migliore. Perché avere timore di dirlo, di fronte all’Italia del “porco è bello!”, che spaccia da libertà sessuale il servizio a pagamento per virilità posticce e da meritocrazia la nomina nei Parlamenti e nei ministeri delle epigone nostrane – ma avide – di Monica Lewinsky?).
Le animatrici di “Se non ora quando?” non facciano dunque l’errore compiuto dai girotondi, e poi dai Viola, e dal movimento degli studenti, e da tutti i movimenti di lotta che hanno mantenuto civile e vivo questo paese nel “quasi ventennio” cupo che abbiamo vissuto, non deleghino ai soli partiti il momento elettorale, perché quello è il pallottoliere che alla fine decide i governi e le leggi, la realizzazione o la distruzione della nostra Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. Dieci anni di movimenti trovino la lucidità di discuterne seriamente adesso, tra loro, di come essere protagonisti anche il giorno delle urne. I partiti non bastano, lo hanno mostrato al di là di ogni ragionevole dubbio.
Paolo Flores d'Arcais, Il Fatto Quotidiano

sabato 12 febbraio 2011

La capacità di indignazione e il senso della vergogna

30 Aprile 1993: Bettino Craxi, all'uscita dall'Hotel Raphael, sua abituale dimora romana, viene accolto da una folla che lo bersaglia di slogan e monetine, una folla indignata dagli scandali di Tangentopoli che riguardano il segretario del PSI, già capo del governo e da qualche decennio uno degli "uomini forti" della Repubblica italiana. Ricordo le sensazioni di quei giorni: tutti pensavamo che una vecchia classe politica corrotta fosse definitivamente al tramonto e che si sarebbe aperta una nuova pagina nella storia nazionale. In un certo senso così è stato.
Appena diciotto anni dopo ci troviamo con un Presidente del Consiglio indagato per prostituzione minorile e concussione, un Presidente del Consiglio che mentre la crisi colpisce e affonda l'Italia dichiara di divertirsi e di essere sereno, un Presidente del Consiglio che si riempie le ville di avvenenti giovani donne che poi piazza in Parlamento o in posti comunque ben pagati (Caligola nominò, per sprezzo delle istituzioni, senatore il proprio cavallo...) e che passa la maggior parte del proprio tempo a cercare di sfuggire ai giudici che accusa addirittura di essere "avanguardia rivoluzionaria". Un presidente del consiglio che per una venticinquina di volte ha conosciuto o avrebbe dovuto conoscere le aule dei tribunali per accuse che vanno dalla corruzione all'associazione mafiosa, accuse in seguito alle quali talvolta non è stato condannato non perché fosse innocente, ma solo per avvenuta prescrizione, decorrenza dei termini, o perché nel frattempo si era fatto confezionare una bella legge ad personam (vedi il falso in bilancio) di "salvataggio". Se avessimo raccontato tutto questo ad uno di quei manifestanti davanti all'Hotel Raphael probabilmente ci avrebbe detto che non ci crede, che certi personaggi possono fare i dittatori in qualche paese africano, che il nostro è un paese occidentale, che certe cose non sarebbero tollerate. In effetti è di ieri la notizia del deputato americano Chris Lee che si è dimesso per una conversazione in chat dove si era definito (mentendo) divorziato ed aveva inviato una sua foto a torso nudo. Oppure, un paio d'anni dopo i fatti del "Raphael" si sarebbe stati confortati dal fatto che la leader socialdemocratica svedese Mona Shalin, che aveva acquistato una stecca di "Toblerone" (per uso personale!) con la carta di credito intestata al governo e che inoltre era stata pizzicata con una multa per divieto di sosta non pagata e ad aver pagato la retta dell'asilo in ritardo, travolta da questi insostenibili scandali, si dimise dalla carica di vicepremier. Possiamo infine ricordare il ministro dell'interno inglese Jacqui Smith, dimessasi per aver comprato con denaro pubblico quattro film porno (probabilmente peraltro era stato il marito). La lista potrebbe continuare, ma già così mi pare chiaro che qui da noi, in Europa, in occidente, un presidente del Consiglio con venticinque processi a carico non resisterebbe un minuto nella sua carica.

Oggi, mentre il continente africano, con i fatti di Egitto e prima ancora Tunisia ci ricorda che "ribellarsi è giusto", mentre nel Forum Sociale di Dakar si torna ad affermare che "un altro mondo è possibile", noi italiani (che ripetiamolo: siamo "europei" e "occidentali", mica abbiamo l'anello al naso!) ci troviamo in una palude senza precedenti: un Paese in ginocchio fiaccato dalla crisi che, a differenza di ciò che avviene in altri paesi europei, non accenna a finire, con un capo del governo che pensa a "divertirsi" e che nel frattempo fra una legge ad personam e d un attacco ai magistrati, assesta anche qualche colpo ai diritti dei lavoratori (si veda il collegato lavoro). Ed il fatto è che, a parte qualche opportuna manifestazione, non è che nel paese Berlusconi abbia un crollo verticale di consensi come ci si potrebbe aspettare. Siamo come intorpiditi, abbiamo perso la capacità di indignarci. Magari se chiediamo ad un manifestante egiziano se ritiene possibile che fra diciotto anni ci sia in Egitto un capo del governo plurinquisito che sfugge alla giustizia ed un popolo "narcotizzato" ci risponde: "Mica siamo in Italia, qui!".

Cambiamo scenario. In questi giorni la Germania è investita da una perturbazione che rende le temperature molto miti. La presentatrice delle previsioni del tempo del canale NTV esordisce così: "in questi giorni abbiamo temperature come quelle italiane; per fortuna che non abbiamo anche un governo come quello italiano". Basta cercare un po' su Youtube per vedere che battute del genere si sprecano sulle tv di tutto il mondo. Ce n'è abbastanza da sentirsi gli zimbelli del mondo. Ma niente paura: assieme alla capacità di provare indignazione abbiamo perso anche quella di provare vergogna.


venerdì 11 febbraio 2011

La betificazione di "Bottino" Craxi

Il comune vuole intitolare una piazza a Craxi. E i cittadini organizzano un referendum


A Deruta, paese alle porte di Perugia, è sorto un comitato contro la decisione del consiglio comunale: "Meglio intitolare una strada a Sandro Pertini, presidente della Repubblica, personaggio amato e che ha unito l’Italia"
Dopo le contestazioni avvenute a Lissone, vicino Monza, i cittadini di quei paesi in cui si decide di intitolare vie o piazze a Bettino Craxi prendono coraggio e decidono di opporsi con mezzi più vasti. Addirittura mediante lil ricorso allo strumento del referendum come sta per avvenire nel caso di Deruta, piccolo comune alle porte di Perugia.
Nel novembre del 2007 il Consiglio comunale ha deliberato l’intitolazione di una piazza alla memoria dell’ex segretario del Partito socialista, “grande politico, grande statista, grande umanista”. Decisione presa all’unanimità dai consiglieri ma poco condivisa in paese.
Forte della decisione del consiglio, il sindaco ha subito messo gli operai al lavoro. Peccato però che abbia dimenticato di perfezionare l’atto di passaggio di proprietà della piazza dal costruttore al Comune. Inoltre, il condominio che ha in disponibilità la piazza, non è stato coinvolto in nessun modo.
Fatto sta che il 27 settembre del 2010 si costituito un comitato, che ha preso il nome di quella data, per opporsi alla delibera comunale: “E’ davvero opportuno dedicare una piazza a un uomo che, oltre ad aver contribuito in maniera rilevante all’aumento del debito pubblico, è stato condannato in via definitiva per corruzione (tangenti Eni-Sai) e finanziamento illecito ai partiti (Enimont), e in barba alle sentenze passate in giudicato della magistratura italiana è fuggito dal proprio paese come latitante? Noi crediamo di no”, dice il comitato.
Secondo i cittadini umbri sono altri i personaggi cui andrebbe dedicata una via o una piazza: “A Deruta manca una via dedicata a Sandro Pertini, presidente della Repubblica, personaggio amato e che ha unito l’Italia”.Ed ecco quindi che è nata la proposta di lanciare un referendum. Lo statuto del Comune lo prevede a patto che le firme raccolte superino il 10% dei votanti.
Il comitato sta iniziando a raccoglierle e allo stesso tempo ha in mente un percorso di coinvolgimento delle scuole, per costruire, come dicono i militanti, “una vera e propria educazione alla legalità”.
Salvatore Cannavò, Il Fatto quotidiano

venerdì 4 febbraio 2011

LISSONE (MI): stessa piazza, stessa protesta

Piazza Craxi a Deruta? No grazie!

COMUNICATO STAMPA


DERUTA - Sono oramai passati più di tre mesi dalla costituzione del "Comitato 27 settembre" nato dalla contestazione pubblica alla intitolazione di una piazza a Bettino Craxi che il Comune di Deruta ha inaugurato in quel giorno.

Nel corso delle numerose assemblee, che hanno visto la presenza di più di trenta persone (tutte di Deruta, smentendo così chi diceva che venivano da fuori comune), si è fatta sempre più pressante la proposta di lanciare un referendum in merito dato che nello statuto del Comune di Deruta è possibile indirlo se le firme raccolte superano il 10% dei votanti.

E' vero che il consiglio comunale ha votato all'unanimità la proposta del Sindaco, per la titolazione della piazza, ma lo Statuto permette, con la raccolta delle firme, in maniera democratica (referendum) di poter cambiare la scelta fatta, che è secondo noi in totale contrasto con la verità storica ed anche con tutti i discorsi che oggi si stanno facendo sulla legalità.

Vorremmo ricordare a tutti che come dimostrano alcune rilevazioni internazionali l'Italia è ai primissimi posti per la diffusa illegalità e corruzione, a tutti i livelli, della nostra società.

Perciò oltre al referendum vorremmo portare avanti un discorso sulla "educazione alla legalità" che ancora a vent'anni da tangentopoli non riesce a decollare, anche se, in quel caso, il paese dette vita ad un vasto movimento di protesta che indicava la voglia di cambiamento e la voglia di contare.

In questo progetto vorremmo coinvolgere le scuole perché è la prima grande istituzione da rispettare e rafforzare. L'istituzione scuola come protagonista della diffusione della cultura ella legalità e della democrazia, per una migliore convivenza tra iversi nel rispetto delle regole e per una società più giusta.

"Comitato Deruta 27 settembre”

CRAXI E' MEGLIO DI PERTINI

Era la fine di novembre 2007. Consiglio, Giunta e Sindaco si sono insediati da pochi mesi. Il Consiglio Comunale di Deruta delibera l’intitolazione di una piazza alla memoria del “grande politico, grande statista, grande umanista” Bettino Craxi. La piazza in questione è inserita nel Quartiere dell’Arte ed è uno spazio privato ad uso pubblico. L’atto rimane lì, approvato ma ancora senza effetti: bisogna aspettare i dieci anni dalla morte (avvenuta ad Hammamet, in Tunisia, il 19 gennaio 2000) e l’autorizzazione del Prefetto, quanto mai opportuna per un personaggio controverso come Craxi, sì "grande statista", ma anche condannato con sentenze definitive, al termine di legittimi processi, per illecito finanziamento dei partiti e corruzione.

Bettino Craxi è stato protagonista della vita politica italiana. Segretario del PSI, capo del Governo, sostenitore dell’integrazione europea e dello sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo. È stato autore del “Decreto Berlusconi” che agevolò lo sviluppo nazionale della Finivest. Ha contribuito a costruire il nostro enorme debito pubblico: durante i governi Craxi il rapporto fra debito pubblico e PIL passò dal 70% al 90%.

“Ghino di Tacco” (soprannome datogli da Eugenio Scalfari) è stato anche personaggio di rilievo della stagione di Tangentopoli. Condannato a cinque anni e sei mesi di carcere nel processo Eni-Sai, a quattro anni e sei mesi di reclusione, cinque anni di interdizione dai pubblici uffici e quasi dieci miliardi di risarcimento alla Metropolitana Milanese per finanziamento illecito ai partiti, quattro anni di reclusione nel processo All Iberian, prescritto per decorrenza dei termini, indagato ma non giudicato a causa del decesso dell'imputato nei processi “Tangenti Enimont”, “Conto Protezione” e “Tangenti Enel”.Dunque, il Sindaco avrà atteso con ansia che passassero quasi tre anni e trepidato per avere il nulla osta Prefettizio e, finalmente, ha informato la cittadinanza che, domenica 26 settembre 2010, inaugurerà Piazza Bettino Craxi.

Ma il Sindaco e la Giunta si sono scordati nel frattempo di perfezionare l’atto che sancisse il passaggio della proprietà della piazza dal costruttore al Comune. Inoltre, il condominio che ancora ha in disponibilità la piazza, non è stato in nessun modo interessato. Intanto operai comunali e della Comunità Montana stanno sistemando l’area: a che titolo, se è privata?

A parte l’ennesima prova di dilettantismo e improvvisazione, la vicenda merita anche una considerazione più generale. Il titolo a una via o a una piazza non dovrebbe rispondere a una scelta meramente di parte, ma a un sentimento popolare, il più possibile condiviso, che il rappresentante politico raccoglie e interpreta. A Deruta manca una via dedicata a Sandro Pertini, morto nel 1990, medaglia d’argento al valore militare per aver combattuto nella I Guerra Mondiale, socialista, esiliato nell’isola di Santo Stefano dal regime fascista, membro della Resistenza e dell’Assemblea Costituente, Presidente della Repubblica, personaggio amato e che ha unito l’Italia. Non ci risultano iniziative del Sindaco per intitolare un vicolo a Pertini: a Deruta, per ricordare e dare esempi di buona politica, CRAXI VIENE PRIMA DI PERTINI!

PD DERUTA