martedì 29 marzo 2011

Leggende nucleari, tutta la verità sul fabbisogno energetico nazionale


Dalle centrali atomiche francesi l'Italia importa solo l'uno per cento dell'elettricità totale che consuma

Che senso ha continuare a snobbare il nucleare? Alla fine lo importiamo dalla Francia, tanto vale portarcelo in casa”. Lo sentiamo ripetere come un mantra ogni volta che si tocca la questione dell’atomo. Ma è veramente così?

E se lo è, quanto pesa effettivamente l’energia atomica francese sul totale del nostro fabbisogno energetico? Per capirlo basta armarsi di pazienza e fare due calcoli. Partiamo dal “fabbisogno nazionale lordo” e cioè dalla richiesta totale di energia elettrica in Italia. Nel 2009, secondo i dati pubblicati da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, è stato pari a circa 317.602 Gwh278.880 GwhAlgeria (34,44% del totale importato), Russia (29,85%) e Libia (12,49%). La parte di fabbisogno non coperta dalla produzione nazionale viene importata, tramite elettrodotti, dai paesi confinanti.
In tutto, nel 2009, sempre secondo i dati di Terna, abbiamo acquistato dall’estero circa 44.000 Gwh di energia, al netto dei 2.100 circa che abbiamo esportato. 10.701 Gwh ce li ha ceduti la Francia, 24.473 la Svizzera e 6.712 la Slovenia. Tre paesi ai nostri confini che producono elettricità
(Gigawatt/ora all’anno). Di questi, circa (87,81%) sono stati prodotti internamente, in buona parte da centrali termoelettriche (77,4% delle produzione nazionale) che funzionano principalmente a gas (65,1% del totale termoelettrico), carbone (17,6%) e derivati petroliferi (7,1%): combustibili fossili, in larga parte importati. Il gas, che è la fonte più rilevante nel mix energetico italiano, arriva per il 90% dall’estero, soprattutto da anche con centrali nucleari. In base ai dati pubblicati dalla Iaea2,5% del fabbisogno nazionale è coperto dal nucleare francese, il 3,05% dal nucleare svizzero e lo 0,8% da quello sloveno.
In realtà, se si considera il mix medio energetico nazionale calcolato dal Gestore servizi energetici (GSE) in collaborazione con Terna, la percentuale di energia nucleare effettivamente utilizzata in Italia è pari ad appena l’1,5% del totale. Se si scompone il dato, si scopre che il nucleare francese pesa per circa lo 0,6%101,45 GW, contro una richiesta massima storica di circa 56,8 GW (picco dell’estate 2007). Perché allora importiamo energia dall’estero? Perché conviene. Soprattutto di notte, quando l’elettricità prodotta dalle centrali nucleari, che strutturalmente non riescono a modulare la potenza prodotta, costa molto meno, perché l’offerta (che più o meno rimane costante) supera la domanda (che di notte scende). E quindi in Italia le centrali meno efficienti vengono spente di notte proprio perché diventa più conveniente comprare elettricità dall’estero.
“E se dovesse succedere un incidente in una delle centrali dei paesi confinanti?”. Beh, non ci sarebbe da rallegrarsi, ma ancora una volta i dati possono esserci (un po’) di conforto. Le tre centrali nucleari più vicine all’Italia sono in Francia a Creys-Malville (regione dell’Isère), in Svizzera a Mühleberg (vicino a Berna) e in Slovenia a Krško, verso il confine con la Croazia. Creys-Malville è a circa 100 Km in linea d’aria dalla Valle d’Aosta, a 250 Km da Torino e a 350 Km da Milano. Mühleberg dista circa 100 Km dal confine piemontese e 220 Km da Milano. Krško è a 140 Km da Trieste. Ammesso che si possa usare come riferimento il disastro di Černobyl‘, in caso di incidente sembra che la più alta esposizione alle radiazioni si verifichi nel raggio di 30-35 chilometri dal reattore. Quindi nelle nostre valli alpine e nelle grandi città del nord si possono dormire ancora sonni abbastanza tranquilli rispetto all’eventualità che si costruisca un reattore dentro i confini nazionali.
(Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), la Francia produce il 75,17% dell’elettricità con il nucleare, la Svizzera il 39,50% e la Slovenia circa il 38%. In termini di Gwh questo significa che importiamo circa 8.000 Gwh di energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari francesi, 9.700 Gwh dalle centrali svizzere e 2.550 Gwh dall’unica centrale slovena. Quanto pesa quindi il nucleare estero sul fabbisogno italiano? Il conto è presto fatto. Basta dividere i Gwh nucleari importati mettendo a denominatore il fabbisogno nazionale lordo. Si scopre così che solo il sul mix energetico nazionale. Ma c’è un’altro dato da considerare. Consultando i dati pubblicati da Terna si scopre infatti che l’Italia dal punto di vista energetico è tecnicamente autosufficiente. Le nostre centrali (termoelettriche, idroelettriche, solari, eoliche, geotermiche) sono in grado di sviluppare una potenza totale di

Articolo originale: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/25/leggende-nucleari-tutta-la-verita-sulfabbisogno-energetico-nazionale/100027/


lunedì 28 marzo 2011

Acqua, con i privati salgono i prezzi

Liscia, gassata, ma non privatizzata”: con questo slogan la manifestazione promossa dal Comitato “Due sì per l’acqua pubblica” e dal “Forum dei movimenti per l’acqua” ha attraversato sabato le vie di Roma per manifestare a favore dell’acqua bene comune e contro il nucleare, in vista del referendum del 12 e 13 giugno.

Il corteo del “popolo dell’acqua” ha aperto la campagna referendaria che porterà al voto del 12 e il 13 giugno. Quel referendum è stato garantito da oltre un milione e quattrocentomila firme che hanno passato il vaglio della Corte di cassazione e della Corte costituzionale (un analogo referendum presentato dall’Idv è stato invece bocciato). Spiega al Fatto Quotidiano Marco Bersani, uno dei promotori del referendum: “Questa è una battaglia dei cittadini contro i poteri forti”. Da quando l’acqua è stata messa a disposizione di società per azioni, siano esse private, pubbliche o miste privato-pubblico, il suo scopo è diventato, naturalmente, quello di produrre degli utili e di creare dividendi per gli azionisti. “Ma gli effetti di questa logica – spiega Bersani – sono tutti socialmente dannosi“. Perché gli utili derivano da “aumento delle tariffe, riduzione del costo del lavoro, riduzione della qualità del servizio, aumento dei consumi di acqua”.

Secondo i dati del Co.n.vi.ri., il Comitato ministeriale di Vigilanza sulle Risorse idriche e del centro Civicum di Mediobanca, negli ultimi dieci anni le tariffe sono aumentate del 68 per cento mentre l’inflazione solo del 21. Da quando esistono le Spa, l’occupazione del settore si è ridotta del 15-20 per cento con un’impennata della precarizzazione. “Si potrebbe sostenere – sottolinea Bersani – che si sia trattato di una riduzione dei privilegi delle aziende pubbliche, ma in questo caso il fenomeno si sarebbe dovuto limitare ai primi anni di privatizzazione. Invece non accenna a fermarsi”.

Dicono i fautori delle privatizzazioni: lo Stato non ha un soldo, la rete idrica italiana è allo stremo, i privati portano soldi, investimenti, servizi migliori. Ai promotori del referendum, infatti, viene contestato in particolare il secondo quesito, quello che abroga la norma secondo la quale le tariffe vengono integrate per remunerare in forma adeguata il capitale investito. Insomma, profitti sicuri garantiti dalle bollette dei cittadini. Bersani prende ancora i dati del Co.n.vi.ri.: “Nel decennio precedente alla legge Galli, dal 1986 al 1995, gli investimenti erano 2 miliardi di euro l’anno. In quello successivo sono crollati a 700 milioni”.

Il movimento referendario ha una linea sul finanziamento degli investimenti idrici: “Per ammodernare la rete servono 40 miliardi in venti anni, 2 miliardi all’anno”. Almeno 1 miliardo potrebbe essere recuperato dalla riduzione delle spese militari, poi c’è l’ipotesi del “prestito irredimibile”, una somma versata dai cittadini allo Stato in cambio di un interesse del 6,5 per cento per un numero di anni da definire.

L’Italia è tra i paesi che consumano più acqua, che utilizzano moltissima acqua minerale in cui “esiste una tendenza culturale al consumo dell’acqua e quindi se non si fanno campagne mirate non si producono risparmi”. Da quando esistono le Spa sono aumentati tra il 17 e il 20 per cento all’anno e la tendenza resta di crescita.

Ma allora sono meglio i “carrozzoni pubblici”, le Acea controllate da giunte come quella di Alemanno che si è distinta per la parentopoli all’Ama o all’Atac? “In realtà - risponde Bersani - indipendentemente dal capitale pubblico, chi controlla e gestisce un’azienda idrica sono i privati che compongono il Cda al di là delle loro quote azionarie. Chi ha deciso gli investimenti dell’Acea in Armenia, Albania, Perù, Santo Domingo, Honduras? I cittadini romani non ne sanno nulla”.

E quindi il problema è anche quello di migliorare la democrazia, controllare le decisioni, passare da organismi nominati a organismi democraticamente eletti.

Per cercare di far crescere l’attenzione il movimento referendario sta per lanciare la campagna delle “Bandiere dell’acqua appese ai balconi” (un lenzuolo azzurro con il simbolo dei 2 Sì), un modo per far crescere il passaparola. Si sono poi inventati una sottoscrizione originale: se il quorum sarà raggiunto, il Comitato beneficerà del rimborso elettorale e quindi i cittadini che avranno sottoscritto si vedranno restituire i soldi.
Salvatore Cannavò, Il Fatto Quotidiano

A "FORUM" il terremoto è mediatico



Grazie Berlusconi, grazie Bertolaso…Vorrei ringraziare il presidente e il governo che non ci hanno mai fatto mancare niente… Tutti hanno le case, i giardini, i garage, tutti lavorano…”, dove sarebbe mai questo Bengodi? A L’Aquila, sì proprio a L’Aquila. E le proteste dei terremotati? Tutte balle, gente strana, un po’ cattiva, forse anche loro comunisti non pentiti come i giudici, tanto per usare le parole del presidente imputato.

Dove si è svolta questa surreale conversazione? Negli studi di "Forum", trasmissione di Canale 5, condotta da Rita Dalla Chiesa, forse all’oscuro della sceneggiata, dove era in corso la solita trasmissione, con ospiti a pagamento, e dedicata questa volta alla presunta causa di separazione tra la signora Marina Villa ed il marito Gualtiero. Tra una lacrima e l’altra, come ha denunciato l’assessore alla cultura del comune de l’Aquila Stefania Pezzopane, la signora Villa, autodefinitasi commerciante della città abruzzese, si è prodotta in un vero e proprio spot di propaganda non autorizzata, per altro neppure dichiarata come tale da nessuna sovrimpressione sugli schermi.

Inoltre, nel numero di Repubblica in edicola questa mattina, Giuseppe Caporale ha documentato che la signora non solo non è dell’Aquila, ma non è neppure commerciante e il vero marito vive a Popoli, altro centro abruzzese.

Che volete da me – si è difesa la signora in perfetto stile berlusconiano – lo sanno tutti che è una finzione…” Purtroppo per lei e per noi non è affatto così, non tutti sanno che è una finzione e gli imbrogli di questi anni si fondano proprio sulla possibilità di annullare ogni distinzione tra vero e falso, tra finzione e realtà, così imputati e vittime si possono scambiare i ruoli senza che la pubblica opinione ne abbia la percezione immediata.



Per queste ragioni non basta limitarsi ad un’alzata di spalle, ma bisogna reagire a quella che, comunque la si voglia giudicare, rischia di essere una truffa, un inganno mediatico, in questo come in altri casi. Da qui la decisione di Articolo 21 di inviare un esposto all’Autorità antitrust e a quella di garanzia per le comunicazioni per chiedere l’apertura di una istruttoria formale, per sapere se e quanto l’ospite sia stata pagata, per chiedere se davvero sia stata invitata a leggere un copione già pronto, per chiedere alle autorità di accertare se oltre alle violazioni deontologiche non ci siano anche violazioni relative alle norme sulla pubblicità ingannevole e sulla propaganda politica.

Non ci interessa tanto conoscere l’ammontare di eventuali sanzioni, quanto capire l’estensione del fenomeno, quale uso si faccia delle cosiddette comparse retribuite, quanto sia diffuso il costume, e quanti altri casi simili si siano consumati nelle reti pubbliche e private a danno del diritto dei cittadini di essere informati in modo completo e non inquinato da interessi impropri.

In questo caso ci sarebbe anche da rilevare come il beneficiato, il presidente lodato, sia anche il proprietario della rete che ha ospitato lo spot, già questo dovrebbe bastare a far scattare sulle poltrone un qualsiasi liberale che sieda nei consigli delle autorità di controllo e di garanzia.

Vi segnaliamo, infine, che mentre Canale 5 ospita la signor Villa, nella sede della Commissione di vigilanza parlamentare sulla Rai, gli amici dell’editore di Canale 5 stanno pensando di far approvare un regolamento che disponga la chiusura di Annozero, di Ballarò, di Report, per fare solo qualche esempio, con la scusa delle elezioni amministrative e dei referendum. Da aprile in poi schermi al buio, così a nessuno verrà in mente di rompere le scatole al presidente imputato, impegnato a fare a pezzi la Costituzione e a processare i suoi giudici naturali.

Naturalmente il regolamento si applicherà alla Rai, ma non a Mediaset, così le signore Villa potranno continuare a fare i loro spot:Tanto lo sanno tutti che è una finzione…”, cosa c’è di meglio di continuare a oscurare tutti e tutti spacciando una bugia per verità?

domenica 27 marzo 2011

SE L'OCCIDENTE SI CREDE DIO

Nei bei tempi andati le Potenze quando volevano una cosa mandavano le cannoniere e se la prendevano. Era un metodo brutale ma, almeno, intellettualmente onesto. Oggi noi ci vergogniamo di fare la guerra. Una società che si è inventata uno “Statuto dei diritti degli animali” e dove se dai una pedata a un cane puoi finire in galera (l’unico modo di rispettare un cane è trattarlo da cane, altrimenti è lui a non rispettarti) non può permettersela.

Naturalmente le guerre si fanno lo stesso, perché sono parte della storia dell’uomo, ma con cattiva coscienza pensando di salvarsi l’anima chiamandole con altri nomi: operazioni di polizia internazionale, di “peace keeping”, missioni in difesa dei “diritti umani”.

Con i “diritti umani” nell’Occidente liberale, democratico, illuminista, non si scherza. In nome loro siamo disposti a fare delle vere carneficine. Siamo i nuovi Robin Hood, cavalieri senza macchia e senza paura che difendono i Deboli contro i Forti, il Bene contro il Male che per noi è sempre Assoluto e non può avere dalla sua ragione alcuna. L’Occidente si è sostituito a Dio e amministra la Giustizia Universale, attraverso una sua polizia internazionale chiamata Nato alla cui testa c’è un Paese dalla morale specchiatissima, il vero faro della “cultura superiore”, l’unico ad aver sganciato l’Atomica, il solo ad avere praticato, in tempi moderni, la schiavitù, scomparsa dall’epoca romana, che ha avuto fino a mezzo secolo fa l’apartheid, che nel dopoguerra si è reso protagonista, secondo un conteggio di Gore Vidal, di 166 attacchi ad altri Stati non motivati da aggressioni nei suoi confronti, che ha 66 basi militari in 19 Paesi del mondo (senza contare quelle dell’Alleanza Atlantica, che son poi ancora basi Usa) e la cui storia è cominciata con un genocidio, anche a base di “armi chimiche” (whisky) su un popolo praticamente inerme (Winchester contro frecce).

In Serbia, in nome dei “diritti umani”, si fecero 5500 vittime civili, di cui 500 erano albanesi cioè quelli che si intendeva difendere, si è perpetrata (dopo quella del presidente croato Tudjman, nostro alleato: 800 mila serbi cacciati in un solo giorno dalle krajne) la più grande “pulizia etnica” dei Balcani: dei 360 mila serbi che vivevano in Kosovo ne sono rimasti solo 60 mila. In compenso c’è la più grande base americana del mondo.

Ma questo era solo l’esordio dei “diritti umani”. In Iraq l’intervento americano ha provocato 170 mila morti, infinitamente di più di quanti ne avesse fatti Saddam Hussein in decenni di satrapia (il calcolo è stato fatto, molto semplicemente, da una rivista medica inglese confrontando i decessi dell’era Saddam con gli anni dell’intervento americano). Ma non è finita perché, acquisito l’Iraq come neoprotettorato Usa, si è innescata una feroce guerra civile fra sciiti e sunniti con decine e a volte centinaia di morti quasi ogni giorno, divenuti cosa così abituale che la stampa occidentale non ne dà più notizia, a meno che non venga accoppato qualche cristiano e allora ci sono le geremiadi del Papa che non ha mai speso una parola, dicansi una, per le vittime civili, adulti maschi, vecchi, donne, bambini, provocate dai bombardamenti Nato in Afghanistan.

Recita un rapporto Onu del 2009: «La maggioranza delle vittime civili (circa 60 mila, ndr) è causata dai bombardamenti della Nato». Perché i difensori dei “diritti umani”, i cavalieri senza macchia e senza paura, non hanno nemmeno più il coraggio di combattere. «Se potessi» ha detto Barack Obama «manderei in Afghanistan solo i robot, per risparmiare la vita dei nostri soldati». E gli afgani? E i Talebani? Non sono uomini propriamente detti, non appartengono alla “cultura superiore”. Ma il combattente che non combatte, approfittando della sua enorme superiorità tecnologica, perde ogni legittimità. In Afghanistan come in Libia.
Massimo Fini, Il Fatto quotidiano

Non fate fare la guerra ai generali!

Dice bene Luciano Scalettari, nel suo blog su ilfattoquotidiano.it, che non ha senso preparare la guerra per decenni appoggiando Gheddafi e poi, quando la guerra è iniziata chiedere ai pacifisti “Cosa fareste voi per evitare il massacro dei ribelli?”.


Tu gli spieghi che è un po’ tardi per evitare la guerra, che ormai è iniziata, e loro insistono: “Sì, va beh, ma adesso sei favorevole ai bombardamenti contro Gheddafi o no?” Se insisti a dirgli che non capiscono, s’incazzano e ti accusano: “Allora lei avrebbe lasciato Hitler al potere, libero di sterminare gli ebrei?”

No, io gli avrei impedito di andare al potere evitando la Prima Guerra Mondiale ed evitando di appoggiarlo agli inizi (faceva comodo contro il “pericoloso” movimento socialista tedesco) e avrei evitato di costruire campi di sterminio in Sud Africa per insegnargli come si fa un genocidio.

E potremmo anche aggiungere noi una domanda: come mai nessuno ha evitato i massacri in Ruanda? (1 milione e passa di morti.) E quelli in Congo? (Un numero non calcolabile di morti, secondo alcuni più di 3 milioni.) Come mai a nessuno interessa fare qualche cosa di vero ed efficiente ad Haiti, dove non c’è neanche il problema di distruggere la loro aviazione perché non l’hanno mai avuta, ma solo quello di dargli da mangiare, un tetto e un lavoro, evitando di contagiarli con il colera?

Questi che parlano di guerra umanitaria evidentemente diventano umani solo quando c’è di mezzo il petrolio, se non c’è il petrolio qualunque pazzo può fare uno sterminio in santa pace e poi magari lo invitano anche a cena.

Comunque, volendo fare un esercizio filosofico, qualche cosa, come pacifisti, potremmo dirla. Ammettiamo per un attimo che esista un caso nel quale la guerra non si poteva evitare agendo prima, ammettiamo per un attimo che esista una guerra umanitaria.

Punto primo: durante una tale guerra, dovresti evitare di ammazzare civili come fossero mosche. Ma questo gli eserciti oggi esistenti non lo sanno fare. Se n’è accorto Obama… Chi ha seguito la vicenda afghana ha potuto vedere come, nonostante gli sforzi di Obama e del nuovo stato maggiore, nonostante pesanti pressioni, nuovi protocolli operativi, sanzioni gravi per evitare errori di bombardamento, gli aerei Usa abbiano continuato ad ammazzare donne e bambini. Non ci si riesce! Con tutte le attrezzature fantascientifiche che hanno non riescono a distinguere un battaglione di talebani da una festa di matrimonio… Perché succede? Semplicemente non puoi pensare di prendere un ragazzo di 18 anni, trattarlo a pesci in faccia e marce forzate per mesi, lasciare che un sergente istruttore testa di cavolo lo insulti e lo umili, imbottirlo di idiozie sulla virilità e la forza, mettergli in mano un aereo da 100 milioni di dollari e poi pretendere che non si senta Dio e che ragioni in modo pacato quando sgancia un missile da 5 mila metri di altezza. Non funziona. I soldati occidentali studiano per uccidere in modo forsennato, non per ragionare.

E la logica che permea gli eserciti “dei paesi civili” fa da concime a questo disastro. Da 20 anni ormai i soldati vedono che i loro comandi utilizzano proiettili anticarro all’uranio impoverito. Si va a liberare la Somalia, l’Iraq, il Kosovo, l’Afghanistan e si contaminano vaste aree provocando una ricaduta di tumori e malformazioni… Un chiaro segnale di disinteresse dei generali per il destino delle popolazioni che vanno a salvare (oltre che per i loro soldati che sono morti a migliaia).E tra l’altro colgo l’occasione per chiedere ai giornalisti sostenitori delle guerre umanitarie: “Avete chiesto ai comandi impegnati in Libia se stanno usando quei maledetti proiettili all’uranio impoverito anche in questa guerra?” Mi sa che i giornalisti guerrieri anche questa volta si sono dimenticati di chiederlo… Massì. Macchissenefrega… Un po’ di sostanze letali non hanno mai rovinato il petrolio…

Un’altra cosa che mi stupisce è quest’idea della guerra che hanno i generali di West Point e dintorni. Si occupano solo di sparare come se la guerra fosse una mera questione militare. Gengis Khan era un grande criminale ma almeno questo l’aveva capito, prima dell’eco delle sue vittorie militari arrivava all’orecchio dei popoli che andava a combattere la notizia che i mongoli abbassavano le tasse esose che i re locali pretendevano. Si chiama guerra psicologica. Ci dovrebbe essere un capitoletto su qualche manuale a uso dei generali. Un capitoletto che dice che se butti le bombe dovresti buttare anche cibo, antenne satellitari per collegarsi a internet (il web è un’arma potente contro i dittatori) e magari iniziare subito, nei territori liberati, a costruire scuole, ospedali, occasioni di lavoro… L’Onu ci ha vietato di mandare truppe di terra, ma non ha detto niente su idraulici e muratori. Da Bengasi hanno chiesto a gran voce rifornimenti alimentari perché la popolazione è allo stremo. Berlusconi una cosa intelligente l’ha fatta (probabilmente si è distratto un attimo): ha riempito un paio di navi di cibo e le ha mandate ancor prima che iniziassero i bombardamenti. Ma due navi, insomma, non sono un gran che… È come mandare un panino con le aringhe per nutrire tutti gli spettatori di uno stadio. Lo puoi fare se poi sei anche Gesù e le moltiplicazioni ti riescono bene. Ma qui mi sa che sono bravi solo con le sottrazioni…

Nb: Per uno che vuol costruire la pace tra i popoli non ha senso ammassare migliaia di immigrati clandestini per giorni a dormire per terra, senza bagni, poco cibo schifoso, assistenza medica e neanche un servizio di raccolta dei rifiuti. Quando gli arabi vedono queste scene al telegiornale cosa volete che pensino? Che siamo esseri senza un briciolo di pietà! E’ così che si concima l’odio!

Per fortuna che i lampedusani sono più intelligenti del governo e hanno offerto vestiti, cous cous e medicine a questi poveretti. Dal governo molte chiacchiere e una lentezza esasperante. Cosa ci vuole a far arrivare 4 navi da guerra a Lampedusa e organizzare qualche cosa di umano? Se c’era da bombardare Lampedusa state certi che lo avrebbero già fatto. Vergognatevi!Ora che ci penso: bombardare Lampedusa è un’idea geniale. Via il dente, via il dolore. A Lampedusa ci sono solo cinquemila abitanti e hanno delle dichiarazioni dei redditi patetiche… Mi sembra un prezzo collaterale più che accettabile! In fondo ce l’hanno chiesto proprio gli abitanti di Lampedusa di risolvere il problema! E poi di isole ne abbiamo così tante…Ideona: bombardiamo Lampedusa e poi ci costruiamo una centrale nucleare! Praticamente in Africa… 2 piccioni con una fava.

Se non vi va bene di sterminare i lampedusani almeno sparate dagli elicotteri sui barconi appena entrano in acque italiane. Cosa le tenete a fare le mitragliatrici? Per bellezza? E’ disumano? Balle! Quanti clandestini sono morti per cercare di raggiungere Lampedusa? Migliaia! Ne facciamo fuori qualche centinaio in un paio di giorni e vedrete che non vengono più a rompere… Ne ammazzi 100 per salvarne mille. Ok, il prezzo collaterale è giusto!
Jacopo Fo, Il Fatto quotidiano

sabato 26 marzo 2011

DUE PESI, DUE MISURE


Bahrein, la rivolta diversa
L'Occidente ha plaudito alle rivolte in Medioriente, ha preso le armi contro il tiranno in Gheddafi, ma in Bahrein l'atteggiamento è del tutto diverso
Quando tutto è cominciato, il 17 febbraio, ci chiedevamo come sarebbe finita la rivolta della Rotonda delle Perle a Manama, in Bahrein. Una cosa era prevedibile: la sete di diritti e l'aspirazione alla libertà fiorite in gran parte del Medioriente non avrebbero trovato lo stesso entusiastico supporto delle democrazie occidentali.
La centralità strategica dell'arcipelago nel Golfo Persico - dove staziona la Quinta Flotta degli Stati Uniti -, e l'interesse dell'Arabia Saudita a tener lontana la minaccia iraniana sono due ragioni sufficienti a svilire le richieste della maggioranza sciita sottoposta al dominio sunnita della dinastia al-Khalifa.
Quelle stesse richieste avanzate in Egitto, Tunisia e soprattutto in Libia non hanno la stessa legittimità in Bahrein.

Il 14 marzo scorso - previa autorizzazione degli Stati Uniti e (impropriamente) in virtù di un Trattato di difesa congiunta siglato dai paesi del Golfo nel 1984 (Peninsula Shield Force) - il re saudita Abdullah ha inviato nel vicino regno del Bahrein mille soldati per alleggerire le forze di sicurezza di re al-Khalifa.
Il 16 marzo, un mese dopo l'inizio della rivolta, la polizia ha represso nel sangue la protesta: almeno quattro i morti e più di duecento i feriti. L'accampamento di tende è stato smantellato e lo stesso monumento al centro della rotonda è stato demolito. Anche il simbolo della piazza, il simbolo della protesta, andava cancellato.

Dati alla mano - divulgati dal partito d'opposizione sciita al-Wifaq - in un mese di proteste ci sono stati almeno quindici morti a cui si aggiungono quattro poliziotti e tre cittadini stranieri. Dal momento della repressione della rivolta, molti sciiti non sono tornati al lavoro: troppi check point e troppo alto il rischio di essere arrestati (in maniera anche indiscriminata) dalle forze di sicurezza che presidiano gran parte dei villaggi sciiti.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon non è andato oltre un monito per l'uso eccessivo delle forza. Anche Washington ha invitato alla prudenza il suo alleato al-Khalifa per evitare che un massacro della popolazione sciita possa dare forza alle accuse di Teheran. Sul fronte del mondo arabo, i paesi del Golfo - impauriti dalle ambizioni sciite dell'Iran nell'area - si sono stretti tutti intorno all'Arabia Saudita. Il re Abdullah, per evitare che il virus della rivolta si espanda anche in Arabia Saudita, ha stretto la morsa intorno alla minoranza sciita (il dieci per cento della popolazione): nel fine settimana appena trascorso sono stati arrestati più di cento sciiti che manifestavano per chiedere più diritti e maggiore libertà. Mentre l'Iran denuncia il maltrattamento degli sciiti e soprattutto "l'invasione del Bahrein" da parte dei soldati sauditi, la Siria - il più stretto alleato di Teheran - ha dichiarato come legittima la repressione e l'uso della forza contro i manifestanti (ma questo si spiega con il fatto che in queste ore Damasco si trova alle prese con il germoglio della protesta e avallando l'operato di Manama si è creata il presupposto per agire nello stesso modo).
L'Occidente ha bisogno del sostegno dei Paesi del Golfo che detengono quasi il 50 per cento delle risorse petrolifere mondiali. Le aspirazioni di alcune centinaia di migliaia di sciiti, dopo tutto, possono passare in secondo piano. Nessuno stupore dunque se anche l'Europa, schierata in prima linea al fianco dei ribelli di Bengasi, giustifica la repressione violenta: come ha detto Robert Cooper, primo consigliere della responsabile Ue degli Esteri Catherine Ashton, "forse la polizia (ndr, del Bahrein) non si era mai trovata ad affrontare questioni di ordine pubblico [...] e qualche incidente può anche verificarsi".

peacereporter.net

venerdì 25 marzo 2011

Il 2 aprile contro la guerra, al fianco delle rivolte

Il movimento contro la guerra si incontra a Roma e lancia una giornata di mobilitazione. Vedi anche l'appello lanciato da Gino Strada, Rubbia, Ciotti, Zanotelli e Landini




NO ALLA GUERRA, STOP AI BOMBARDAMENTI, CESSATE IL FUOCO
  • CON LE RIVOLUZIONI E LE LOTTE PER LA LIBERTA’ E LA DEMOCRAZIA DEI POPOLI DEL MEDITERRANEO E DEI PAESI ARABI
  • CONTRO TUTTI I DITTATORI, I REGIMI, LE OCCUPAZIONI MILITARI, LE REPRESSIONI IN CORSO
  • ACCOGLIENZA, ASILO E PROTEZIONE PER I MIGRANTI

2 APRILE, GIORNATA NAZIONALE DI MOBILITAZIONE

COORDINAMENTO 2 APRILE

Prime adesioni:
Arci, Action, Associazione Ya Basta Italia, Associazione per il rinnovamento della sinistra, Associazione per la pace, Attac Italia, Cobas, Democrazia Chilometro Zero, ESC, FIOM – CGIL, Horus Project, Lega diritti dei Popoli, Legambiente, Lunaria, Mediterranea, Rete della Conoscenza, Rete Studenti Medi, UDU
Federazione della Sinistra, FGCI – Giovani Comunisti, Partito dei Comunisti Italiani, Rifondazione Comunista, Sinistra Critica, Sinistra Ecologia Libertà.

Il disastro perfetto dell'opposizione

Le opposizioni, tutte unite, votano una mozione sulla Libia insieme alla maggioranza: 547 voti favorevoli e 10 contrari.
Non sazio, il Pd consente alla Lega di approvare il federalismo regionale in Bicamerale. E Berlusconi si rafforza

Pensavamo che l'operazione realizzata al Senato, il 23 sera, fosse quanto di peggio potesse mostrare l'opposizione parlamentare italiana. Una mozione presentata al voto dell'aula più realista del re, con una richiesta di intervento militare in Libia "senza se e senza ma" quando invece la mozione della maggioranza - per ragioni che qui non indaghiamo ma che nulla c'entrano con la pace - poneva alcuni paletti e distinguo. Mozioni che hanno ricevuto soltanto il voto dei proponenti ma che sono state entrambe approvate perché gli avversari non hanno partecipato al voto e quindi hanno lasciato campo libero ai Sì.
Alla Camera, però, le opposizioni sono riuscite a fare di peggio. La loro risoluzione, infatti, è stata talmente favorevole all'intervento ed al mandato Onu che Pdl e Lega non hanno potuto fare a meno di approvarla: 547 sì, 10 contrari e 29 astenuti su un documento presentato unitariamente da: Franceschini, Adornato, Della Vedova, Donadi, Vernetti, Melchiorre e La Malfa.

Tutti uniti appassionatamente, Pd, Idv, Fli, Udc, Api, Liberali e Repubblicani. I quali hanno pensato che la maggioranza non avrebbe tenuto sulla propria mozione messa ai voti subito dopo e che quindi si sarebbe realizzata una nuova maggioranza parlamentare, maggioranza di unità nazionale.
E invece, sia pure sul filo di lana, il centrodestra ce l'ha fatta, nonostante le posizioni oltranziste della Lega in materia di immigrazione e la mozione è stata approvata con 300 voti favorevoli contro 293 contrari e 2 astenuti. A Berlusconi sono mancati un bel po' di voti - i Responsabili hanno presentato il primo conto per le poltrone che ancora non hanno occupato - ma all'opposizione sono mancati ben 12 deputati.

Il risultato finale è ovvio: Berlusconi è uscito notevolmente rafforzato dal voto parlamentare con due mozioni approvate, una a larga maggioranza, con l'alleanza con la Lega salva - Lega che, tra l'altro, ha potuto beneficiare anche dell'astensione Pd sul Federalismo che così è stato approvato dalla Bicamerale... - con il comando militare delle operazioni in Libia tornato in mano della Nato. Un disastro perfetto.
Ora, in una situazione come questa, alle varie sinistre in campo, ma in particolare alla sinistra guidata da Nichi Vendola, si pone un quesito non piccolo: davvero si può immaginare un'alleanza con simili strateghi?

Salvatore Cannavò, www.ilmegafonoquotidiano.it

giovedì 24 marzo 2011

Impediamo che i beni comuni vadano in pasto al mercato

Il 12 e 13 giugno saremo chiamati a votare 4 quesiti referendari. Due riguardano la privatizzazione dei servizi idrici integrati, uno gli investimenti sull'energia nucleare, il quarto il cosiddetto "legittimo impedimento". Pur se con origini molto diversi, i 4 quesiti sono intrinsecamente legati.
La Costituzione italiana dichiara sin dal primo articolo che la sovranità appartiene al popolo. Essa prevede tre strumenti di "democrazia diretta", ovvero di potere esercitato da cittadini non eletti. Si tratta della petizione (art. 50), dell'iniziativa legislativa popolare (art. 71), e del ricorso alle varie forme di referendum: quello abrogativo (art. 75) e quello confermativo (art. 138) a livello nazionale, e quello abrogativo, consultivo e propositivo a livello locale.
Tutte queste forme di democrazia diretta sono rimaste sempre armi spuntate. Solo alcuni referendum abrogativi nazionali si sono dimostrati, nel corso della storia della Repubblica, i soli in grado di mobilitare le coscienze, l'opinione pubblica e, quindi, l'intervento dei cittadini sulla politica, al di là dell'evento delle lezioni, ovvero del processo di delega.
Ecco qual è il filo rosso che lega i 4 prossimi referendum. Essi sono l'arma più potente, che ci piaccia o no, per ribadire la volontà di partecipare alle decisioni del governo, e con essa ribadire le nostre convinzioni. Ovvero dire con forza che i diritti non si vendono, che il futuro non può essere messo a rischio dalla voracità di alcuni, e che la legge è uguale per tutti.
Il tentativo di privatizzazione dei servizi idrici, innescato con la legge Ronchi del 2009, ma in realtà ultimo atto di un processo molto più lungo, contiene in sé tutti gli elementi di questo attentato ai nostri diritti, alla loro mercificazione. Basta leggere l'articolo 15 della legge Ronchi, dove si fa esplicito riferimento ai servizi locali di rilevanza economica. Ecco: distribuire acqua potabile è considerato un business. Non è - come lo intendiamo noi - un impegno, un costo necessario per garantire un diritto. Ma un ambito economico sul quale, per legge, bisogna fare profitto. Che cosa accade se il profitto entra nell'ambito dei diritti? Accade che il denaro decide chi può permettersi di soddisfare un bisogno. E che un bene comune - e per bene comune intendiamo il fatto che una comunità sostiene lo sforzo economico di garantire a se stessa, a tutti i suoi membri, indipendentemente dalla loro condizione, un diritto - venga dato in pasto al mercato.
A nulla valgono i risibili tentativi di spacciare questa privatizzazione come una "liberalizzazione", parola che evoca equità ed efficienza. Non c'è nessuna libertà in un servizio che, per legge, viene affidato a un privato per 30 anni. Non c'è nessuna concorrenza, nessun vantaggio per i cittadini. Tanti invece per chi si spartirà la torta, e lo dimostrano le esperienze, all'estero e in qualche caso anche in Italia, dove la gestione privatistica di alcuni acquedotti ha già portato danni.
Non era necessaria poi la catastrofe giapponese per ribadire che l'energia nucleare non è sicura. Lo è stata semmai per dimostrare, semmai ce ne fosse stato il bisogno, la pochezza di chi ha sostenuto in questi mesi il ritorno al nucleare. Personaggi che ora ritrattano, prendono "pause di riflessioni", o addirittura fanno finta di niente, tacciono e si defilano. Anche la sicurezza energetica è un bene comune, anche la tutela della nostra salute. Non è tollerabile che si possano fare affari scaricandone i rischi sulla collettività. Anche -infine- un'oculata spesa pubblica è un bene comune. Perché l'energia nucleare è costosa e inefficiente, a meno che non sia foraggiata da finanziamenti pubblici. Lo dimostrano le esperienze all'estero, lo dimostra il fatto che dal 2006 - non dall'11marzo 2011, giorno del terremoto in Giappone - la produzione di energia elettrica da fonte nucleare sia in constante diminuzione in tutto il mondo.
La verità è che le fonti non rinnovabili, come il nucleare, sono intrinsecamente non democratiche. Perché prevedono concentrazione nell'approvvigionamento delle materie prime (uranio, carbone, gas, petrolio), concentrazione nella loro distribuzione, concentrazione nella produzione, concentrazione nella vendita. Ovvero, concentrazione di potere nelle mani di potenti multinazionali energetiche.Le fonti rinnovabili sono invece democratiche, perché la produzione è diffusa e il potere è dalla parte dei consumatori, ovvero dei cittadini.
Per tutti questi motivi dovremmo tutti presentarci alle urne, il 12 e 13 giugno, raggiungere il quorum e votare sì. Non per paura, non per egoismo, ma per utilizzare i pochi strumenti di democrazia diretta che abbiamo e cancellare le leggi che attentato ai nostri diritti. E per riprenderci qualcosa che è nostro: ovvero quei beni comuni che chiamiamo giustizia, equità, sostenibilità.
di Pietro Raitano

Direttore di Altreconomia

(www.altreconomia.it)

martedì 22 marzo 2011

Armiamoci e pentiamoci: quando la politica è ridotta a barzelletta


Il dibattito su cosa stiamo facendo in Libia è non solo legittimo, ma addirittura opportuno. La discussione non è sempre scontro e rottura. E’ il motivo per cui viviamo in una democrazia.
Ma da sempre quando si alzano in volo gli aerei militari, esiste uno stupidario militaresco quanto uno stupidario pacifista. E dopo appena tre giorni già si intravedono i segnali di un impazzimento generalizzato delle opinioni.
C’è solo un modo per tenerlo a freno. Tagliare alla radice la linfa vitale di cui gli stupidari si nutrono, che è l’improvvisazione, la cialtroneria e la confusione di chi governa processi tanto delicati.
Il terzetto Berlusconi-Frattini-La Russa, impegnato in acrobazie che nemmeno le Frecce tricolori, sembra non rendersene conto.

Così diamo le basi ma “non spariamo”, difendiamo il popolo dagli spietati Colonnelli ma intanto siamo “addolorati” per i dittatori, apriamo uno scontro con la Francia a cose fatte perché non siamo stati capaci di farlo al momento opportuno.
Insomma ci armiamo e partiamo, poi però ci pentiamo, e allora ci riarmiamo ma intanto ci addoloriamo.
Non c’è molto tempo. Se il terzetto di cui sopra non si decide a darci qualcosa di più chiaro su cui discutere, e magari dividerci, assisteremo in tempi rapidissimi al solito diluvio di parole più o meno in libertà.

Una tempesta nel deserto, questa sì, di cui l’unico a sentire il bisogno è Bruno Vespa, senz’altro ansioso di montare in studio un gigantesco tabellone di Risiko.
Per giocare alla guerra e far dimenticare la politica.

Così la comunità internazionale crea Stati figli e figliastri

L’Onu ha autorizzato i raid aerei sulla Libia. Francia e Gran Bretagna sono già pronte a far intervenire i loro caccia perché abbattano quelli di Gheddafi che bombardano i rivoltosi libici, e non è escluso che l'Italia metta a disposizione della Nato le sue basi aeree.
Non è una dichiarazione di guerra alla Libia, non sia mai, oggi ci si vergogna di fare la guerra e si preferisce chiamarla "operazione di peace keeping" a difesa dei "diritti umani".Salta definitivamente il principio internazionale di "non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano" insieme al diritto di Autodeterminazione dei popoli sancito a Helsinki nel 1975 e sottoscritto da quasi tutti i Paesi del mondo, compresi quelli che stanno per intervenire in Libia.
Qui siamo in una situazione diversa dagli interventi in Iraq nel 1990 e nel 2003 e in Afghanistan nel 2001. Nel primo conflitto del Golfo, l'Iraq aveva aggredito il Kuwait, uno Stato sovrano, sia pur fasullo creato nel 1960, esclusivamente per gli interessi petroliferi degli Stati Uniti. L'intervento quindi era legittimo, anche se il modo con cui fu condotta quella guerra fu bestiale perché gli americani, pur di non affrontare fin da subito, sul terreno, l'imbelle esercito iracheno (che era stato battuto perfino dai curdi, in quel caso Saddam fu salvato dalla Turchia il grande alleato Usa nella regione) e correre il rischio di perdere qualche soldato, bombardarono per tre mesi le principali città irachene facendo 160mila morti civili, fra cui 32.195 bambini (dati del Pentagono).
Nel 2003 c'era il pretesto delle "armi di distruzione di massa". Si scoprì poi che queste armi, che Stati Uniti, Urss e Francia gli avevano fornito, Saddam non le aveva più, ma intanto gli americani hanno ridotto l'Iraq a un loro protettorato dove è in corso una feroce guerra civile fra sciiti e sunniti che provoca decine e a volte centinaia di morti quasi ogni giorno tanto che in Occidente non se ne dà più notizia.
In Afghanistan si voleva prendere Bin Laden, ma dopo dieci anni la Nato è ancora lì e occupa quel Paese, avendo provocato, direttamente o indirettamente, 60mila morti civili (e nessun Consiglio di sicurezza si è mai sognato di imporre una "no fly zone" ai caccia americani che, per battere gli insorti, bombardano a tappeto cittadine e villaggi facendo ogni volta decine di vittime civili, come sta facendo Gheddafi in Libia).
La situazione è invece identica all'intervento Nato in Serbia dove, all'interno di uno Stato sovrano, c'era un conflitto fra Belgrado e gli indipendentisti albanesi, foraggiati dagli americani, del Kosovo che della Serbia faceva parte.
Noi, che non abbiamo baciato la mano a Gheddafi, che non abbiamo permesso ai suoi cavalli berberi di esibirsi alla caserma Salvo d'Acquisto e al dittatore di volteggiare liberamente per Roma avendo al seguito 500 troie, e che parteggiamo per i rivolto-si di Bengasi, siamo assolutamente contrari a qualsiasi intervento armato in Libia.
Per ragioni di principio e perché questi interventi internazionali sono del tutto arbitrari. Dividono gli Stati in figli e figliastri. Nessuno ha mai proposto una "no fly zone" in Cecenia dove le armate russe di Eltsin e dell' "amico Putin" hanno consumato il più grande genocidio dell'era moderna: 250 mila morti su una popolazione di un milione. Nessuno si sogna di intervenire in Tibet (chi si metterebbe mai, oggi, contro la succulenta Cina?) o in Birmania a favore dei Karen. E così via.
In ogni caso bisogna essere consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni. Se l'Italia presterà le proprie basi per l'intervento militare in Libia non potrà poi mettersi a "chiagne" se Gheddafi dovesse bombardare Brindisi, Bari, Sigonella, Aviano o una qualsiasi delle nostre città.
Gli abbiamo, di fatto, dichiarato guerra, è legittimato a renderci la pariglia.
Massimo Fini, Micromega