mercoledì 31 agosto 2011

Bilancio dei governi Berlusconi


MICHELE PROSPERO, www.unita.it

C'è tanta verità nella asserzione di Machiavelli per cui al politico non basta conquistare il potere per sfiorare la gloria. Berlusconi a Palazzo Chigi c’è rimasto a lungo, più di Giolitti che avviò il decollo industriale e gestì la prima modernizzazione del paese. E anche più di De Gasperi che governò la ricostruzione postbellica e pilotò l’ancoraggio europeo.

Eppure, malgrado un decennio di esercizio del potere, neanche Giuliano Ferrara, che ora supplica un giudizio equanime sul Cavaliere, lo annovererebbe sul serio tra i grandi statisti. Quelli di Berlusconi sono stati anni di profonda regressione politica e di smarrimento civile. Relazioni internazionali all’insegna dell’improvvisazione. Di politiche economiche ed industriali neanche l’ombra. Solo pedestri tentativi di introduzione di reati a sfondo etnico e prove maldestre di riscrittura del codice su misura dell’azienda corsara. Il federalismo fiscale, partorito a sostegno di un asse d’acciaio con Bossi, appare poco più di una vaga retorica.

Eppure il decennio berlusconiano non va archiviato come una semplice escrescenza malata imputabile alla carenza personale di un uomo debole nella carne e braccato dalla giustizia. Anche senza le depravazioni dei sensi, e con una fedina penale immacolata, l’esperimento politico del Cavaliere avrebbe comunque fatto fiasco perché minato nel profondo da impossibilità sistemiche che alla lunga si rivelano per tutti invalicabili.

Non è possibile, in altre parole, governare una società complessa nelle sue strutture materiali e civili assai differenziata nei suoi poteri on un forzato ritorno al semplice retto da un governo personale che contamina pubblico e privato, certezza del diritto e convenienze economiche.

Quello di Berlusconi è un modello post-democratico che ha scatenato un effetto contagio in tanti paesi dell’est. In quei posti di facile conquista, il Cavaliere è ancora un mito per ogni oligarca che si sazia nella grande abbuffata di potere, denaro e calcio. Almeno nella vecchia Europa, Berlusconi è percepito come una merce avariata. Un politico di così basso profilo ha però, a suo modo, fatto epoca. Il suo partito personale ha trovato schiere di imitatori. Speculare al suo modello carismatico- discendente di partito personale abitante nel virtuale, è il partito carismatico ascendente della Lega, ancorato nel micro- territorio e costruito anch’esso attorno al potere irresistibile di una persona. Ma anche il più antiberlusconiano dei partiti, quello abbozzato da Di Pietro, è solo un ruspante partito personale a debole struttura democratica e a elevata densità di migrazione dei suoi parlamentari verso le sponde accoglienti dell’odiato Cavaliere.

Per non parlare della creatura di Vendola che trasuda una ipertrofia dell’io al punto da inserire il nome del capo nel simbolo e il volto del leader nelle tessere. Anche la forma del partito liquido era in origine contaminata dal mito di un capo abile nella narrazione e privo di macchine organizzate.

Nel congedarsi da Berlusconi occorre ben isolare il tratto sistemico del suo esperimento fallito che rinvia alla potenza distruttiva della pretesa di prospettare un capitalismo che si autogoverna con imprenditori saliti al potere e fa a meno della mediazione politica.

Berlusconi naufraga non per le deviazioni della carne ma per la potenza smisurata dell’imprenditore che prende in appalto lo Stato. A inizio secolo Weber aveva non a caso ostruito ogni discesa in campo del capitalista: «Un imprenditore, a causa del lavoro per la sua impresa, è specificamente indisponibile per le crescenti esigenze di un lavoro politico regolare ». Per questo un nuovo partito azienda targato Fiat e depurato dal Bunga bunga sarebbe non meno catastrofico dell’antico partito azienda siglato Fininvest

E ORA? CIALTRONI DI GOVERNO E NAPOLITANO LATITANTE

Ricapitolando. A inizio agosto sembrava che da un momento all’altro l’Italia stesse fallendo come la Grecia, con gli indici di borsa in picchiata (chi non arriva a fine mese o ci arriva mettendosi 200 euro da parte, non ha idea di cosa siano gli indici di borsa, la speculazione, i titolo di stato).

E siccome la borsa andava male e l’Europa ci richiamava e gli economisti strillavano prevedendo l’Armageddon finanziario e i politici si strappavano le vesti e quelli del centrodestra parlavano come se negli ultimi dieci anni avesse governato Tiziano Ferro e il Pd faceva la voce responsabile e Di Pietro anche e Napolitano invitava a “convergere”, ecco finalmente partorita una manovra che faceva “grondare sangue” il cuore di Berlusconi (unica cosa positiva).
Mentre mezza Italia era in ferie (l’altra mezza non se lo può permettere da un po’ di tempo), gli sciamani di governo immaginavano ogni tipo di taglio possibile ai danni dei soliti noti, lasciando indenne come sempre un’altra metà d’Italia: quella che non paga le tasse e ruba due volte perché non contribuisce e perché riceve agevolazioni che non gli spettano, lasciando fuori chi ne ha davvero bisogno.

Insomma, il teatrino va avanti per settimane: la Lega ne spara di ogni (”vendiamo Palermo agli sceicchi”), il Pdl anche (”vendiamo Palermo agli sceicchi, prendiamo i soldi e poi ci teniamo lo stesso Palermo”), Berlusconi organizza ancora i bunga-bunga (non è una battuta), il Pd propone una contro-manovra dal contenuto talmente oscuro che in confronto la foresta di Sherwood in notturna è un luogo accogliente, la Cgil si ricorda di essere la Cgil e indice lo sciopero. Nel frattempo i giornali erano pieni dei prospetti informativi riguardanti la manovra. Ma poi si viene a scoprire che era tutto sulla carta, che le decisioni finali l’avrebbero prese un noto imprenditore che ha prestato la politica alle sue imprese e un altro tizio in cannottiera che ormai si esprime solo con grugni e raffiche di “stronzo”, “vaffanculo” e dito medio alzato. Siamo messi bene.

I due dopo un incontro di sette ore alla fine partoriscono una enorme…, come dire, avete capito. Roba incostituzionale, cambiare le carte in tavola a chi ha pagato allo Stato bei soldoni per riscattare gli anni della laurea e andare in pensione. Lo capiva un ragazzino di terza media, e infatti ci è arrivato anche il fine pensatore Maurizio Sacconi. Quindi la manovra “equa” (Berlusconi docet) era anche quella carta straccia.
E ora? La bella domanda è questa. Ma in tutta questa grande confusione, dove tutti hanno una credibilità pari a zero, dove la cialtroneria raggiunge livelli che neanche un film di Verdone riuscirebbe a descrivere mai… Il dispensatore di moniti e di inviti alla coesione che fine ha fatto? E’ rimasto a Stromboli?

PS. Scajola è un mito, regala sempre un sorriso a chi ne ha bisogno. Nel bel mezzo dello scandalo di mesi fa aveva detto che vendeva la casa che gli avevano comprato “a sua insaputa”. E invece si è scoperto che non ha messo in vendita propria nulla. Al che lui ha risposto, con l’espressione seria alla Charles De Gaulle: “Ma ci andavo solo a dormire…”. Però pare che la pipì la andasse a fare dalla signora di fronte.

Matteo Pucciarelli,
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it

BUFFONI!...BASTA DOVETE ANDARVENE

Manovra, dietrofront sulle pensioni
Ora rispuntano superprelievo e Iva



E meno male che la manovra doveva essere “più equa”, come garantito dal premier. L’unica cosa distribuita equamente, per il momento, è l’insoddisfazione. A cominciare dalle pensioni, su cui tutto pare essere tornato in alto mare. La decisione presa nel vertice di Arcore di intervenire sul riscatto degli anni della laurea e del militare ha cominciato ad insinuare dubbi non solo nella Lega, ma anche nel Pdl. In mattinata Calderoli vede Sacconi per tentare di arginare la protesta della base leghista. E dire che solo poche ore prima del nuovo intoppo, Berlusconi si era dichiarato “molto, ma molto soddisfatto” per la ritrovata concordia e per un accordo che, a suo dire, aveva migliorato la manovra “senza modificare i saldi”. Che però non tornano. Al momento, per rispettare le previsioni mancano 5 miliardi di euro. Ma il conto potrebbe diventare ancora più salato. Le previsioni sul Pil (in contrazione) e la risalita dello spread con i bund tedeschi, che ieri è tornato a quota 300, potrebbe rendere necessaria un nuovo salasso da 20 miliardi

Pensioni, freghiamo le escort? no, i laureati

di Francesca Fornario , www.unita.it

Al vertice Pdl lega: «Ce l'ho, scrivi: in pensione più tardi i vigili urbani». «Perchè i vigili?».
«L'altro giorno uno mi ha fatto la multa perchè avevo lasciato la macchina in seconda fila con il motore acceso».
«In effetti nel Paese ci sarebbe largo consenso».
«Allora meglio in pensione più tardi gli ausiliari del traffico».
«In pensione più tardi gli arbitri!».
«Ma sono troppo pochi, dobbiamo pur sempre fare cassa. Dai, concentratevi, pensate ai lavoratori».
«Uhm...».
«Pare facile...».
«Cerca su Google».
«In pensione più tardi... gli arrotini... gli arrotini e gli ombrellai... Quelli che riparano le vostre cucine a gas... Niente, a quest'ora ho un vuoto». «Dai, forza, la prima professione che vi viene in mente!».
«In pensione più tardi le escort».
«Ma le escort...».
«In pensione più tardi, tipo a 22 anni».
«Ma mica versano i contributi all'Inps, dovremmo prima fare una legge per legalizzare la prostituzione».
«Allora no, è contro i miei principi legalizzare la prostituzione: io non mi eccito perchè pago una bella donna per fare sesso, io mi eccito perchè è illegale».
«Dai, concentratevi! Dobbiamo colpire una categoria troppo debole per difendersi ma allo stesso tempo diffusa, e che sta sulle scatole a tutti».
«In pensione più tardi i testimoni di Geova?».
«Le suocere!».
«I lavavetri che tu gli dici No e quelli te lo lavano lo stesso e ti tocca chiudergli la mano nel finestrino elettrico».
«In pensione più tardi i tizi dei numeri verdi che ti dicono di digitare il tuo numero seguito da cancelletto e tu non fai in tempo a scrivere "cancellett.." che quelli ti dicono che la combinazione è errata!». «Calderoli, quello è un disco registrato».
«Ah».
«In pensione più tardi i dietologi».
«Le suocere!».
«In pensione più tardi i dischi registrati!».
«Trovato: in pensione più tardi chi ha studiato!».
«Giusto...».
«Se la sono cercata».

Uniti contro la crisi in Europa, il 15 ottobre la giornata continentale dell'indignazione - Loris Campetti, Il Manifesto

L'autunno è già iniziato, non sarà la calura agostana a farci sperare in tempi lunghi per la costruzione di un movimento di lotta unitario, capace di agire subito ma anche di durare nel tempo. Ieri il primo passo in questa direzione è stato fatto dalla Fiom che ha convocato vecchi e nuovi compagni di strada, studenti e precari, attivisti dei movimenti in difesa dei beni comuni, esperienze territoriali, ambientali, comitati e centri sociali, chi ha lavorato alla costruzione delle giornate di Genova 10 anni dopo.
Non si parte da zero: con la prova di dignità degli operai di Pomigliano e della Fiat in generale si è messo in moto un anno fa un treno che ha attraversato il 16 ottobre della Fiom, ha fatto sosta davanti ai palazzi della politica nelle giornate dicembrine degli studenti, ha preteso e ottenuto nuove stazioni con gli scioperi generali, ha accompagnato l'indignazione delle donne, del precariato, ha persino vinto una battaglia senza precedenti in cui la stragrande maggioranza degli italiani si è slegata dal giogo berlusconiano gridando che i beni comuni sono più importanti del profitto privato.
L'assemblea di ieri ha messo insieme proprio tutti i soggetti non pacificati che si battono contro il pensiero unico, riassunto dalle risposte date globalmente alla crisi di sistema che colpiscono i più deboli, allargano le diseguaglianze, tentano di cancellare i diritti e la democrazia nei luoghi di lavoro e nella società.
Ognuno declina la crisi secondo le proprie peculiarità, ma tutti concordano con le parole introduttive del segretario della Fiom, Maurizio Landini: si può vincere solo insieme, costruendo un percorso condiviso, mescolando culture e appendendo al chiodo appartenenze. Il contratto nazionale di lavoro che i metalmeccanici vogliono riconquistare è una battaglia generale, che si intreccia con quella per la riconquista del welfare. Il precariato non consente la costruzione di un nuovo modello di sviluppo e si estende all'intero mondo del lavoro. Perciò il reddito di cittadinanza diventa un obiettivo unificante. Tutto è reso più difficile - e la riunificazione delle lotte è resa più urgente - dall'accelerazione impressa dalla crisi e dalla manovra classista del governo, non così dissimile da quelle di altri paesi europei. Un percorso condiviso, forte di un anno di esperienza, lavoro e mobilitazioni promosse da "uniticontrolacrisi", ha tappe immediate e appuntamenti a medio termine. Serve costruire un lungo percorso di lotta e resistenza, come dicono dalle parti della «rete della conoscenza», ma avendo in testa l'alternativa, politica e di sistema. Mica poco. Andando per ordine:
  • il 5 e il 6 settembre la Fiom invita in tutte le piazze italiane cittadini, democratici e movimenti a discutere con i metalmeccanici un'altra idea di società, di sviluppo ecologicamente e socialmente compatibile, di relazioni umane e di economia.
  • E il 6 è il giorno speciale dello sciopero generale della Cgil, che la Fiom concluderà in piazza Navona. C'è chi chiede di presidiare il Parlamento tutti i giorni del dibattito sulla manovra, ci saranno staffette, ne vedremo delle belle, mentre in un'altra piazza romana gli indignati violavestiti piazzeranno le loro tende.
  • Poi, il 22 e 23 di settembre la Fiom riunirà l'assemblea nazionale dei delegati per definire le linee portanti di una piattaforma contrattuale che sarà poi sottoposta al voto di tutti i lavoratori. Alla faccia di Sacconi, Marcegaglia, Bonanni e Angeletti, ma anche di un accordo unitario datato 28 giugno che brucia ancora. Ne parlerà il direttivo della Cgil, subito dopo l'assemblea contrattuale della Fiom.
  • Infine, si fa per dire, il 15 ottobre è già stata convocata dagli spagnoli una giornata europea dell'indignazione popolare. Ci si può arrivare con un percorso unitario, portando ciascuno pratiche ed esperienze diverse, ma con degli obiettivi condivisi. Senza egemonismi, evitando di riprodurre logiche da intergruppi che immancabilmente finiscono per mettere in contrapposizione interessi e presunte identità. Costruire un movimento unitario in Europa è impresa ancor più difficile che non in casa nostra. Culture, tradizioni e pratiche sono diverse tra l'Italia in cui si vince il referendum sui beni comuni - a novembre rivedremo in piazza il popolo dell'acqua - e la Spagna dove gli indignati assediano le città, o la Grecia dove scioperi generali e scontri si susseguono. Ma le botte sulla testa dei più deboli sono le stesse in tutt'Europa.
Senza semplificazioni, il 15 ottobre potrebbe diventare un appuntamento davvero importante. Un appuntamento che ha qualcosa a che fare con la lotta per l'alternativa, che passa inevitabilmente per la cacciata di Berlusconi e l'apertura di un nuovo ciclo. Di tutto questo si è parlato ieri in una straboccante sala assemblee della Fiom, e di molto altro. In uno spirito unitario, con un clima aperto e non settario che potrebbe informare l'autunno italiano.

Manovra indecente, finirà la crociata “progressista”?

di Dino Greco,Liberazione

Chissà se anche ora
, dopo il pacco confezionato ad Arcore, continueremo ad assistere al coro, talvolta minaccioso talaltra petulante, di forze politiche o di parti di esse, che chiedono alla Cgil di rinunciare all’effettuazione dello sciopero generale contro la manovra del governo. Dal governo, ovviamente, non ci si può aspettare nulla di diverso. Stupisce semmai che gli appelli, ora accorati ora indignati, siano, una volta di più, bipartisan, con in testa un gruppo consistente di “responsabili” del Pd che rimproverano alla Cgil di avere smarrito quella paralizzante vocazione unitaria che tanto era loro piaciuta negli ultimi tempi.
A Cisl e Uil, per altro, non è necessario rivolgere alcun invito perché la loro inerzia, la loro servile acquiescenza filopadronale e filogovernativa sono così scontate da rendere superfluo che ad esse si chieda alcunché.
Il padre, diciamo “nobile”, di questa nuova crociata “progressista” è Walter Veltroni, capace come nessun altro di ricollocarsi, di volta in volta, a destra di se stesso. Per lui (e per la nutrita truppa “democratica” che ne segue le gesta) il solo sciopero buono non è quello unitario, ma - semplicemente - quello che non si fa.
Tuttavia, la cosa più sconcertante l’abbiamo letta qualche giorno fa su “la Repubblica” per la firma di Tito Boeri, autore di quello stupefacente “La Cgil sciopera contro una manovra che non c’è”. Purtroppo, sia pure all’insaputa della corte “giavazziana”, la manovra c’è. Eccome. E l’accordo raggiunto lunedì ad Arcore dal direttorio della maggioranza è lì a benedire la più dura ed indecente persecuzione dei lavoratori e della povera gente e l’assoluzione da ogni contributo dei ricchi, a partire da quelli che lucrano, che barano, che rubano, che malversano di più.
Una perla, fra tutte, è uscita dal maleodorante cilindro: gli anni di studio riscattati dai laureati non potranno essere più computati ai fini dell’età pensionabile. Una cosetta che in un colpo solo aumenta fino a 12 (dodici) anni il tempo di lavoro necessario per guadagnare il diritto alla pensione!
Berlusconi può legittimamente brindare a champagne! Si tratta ora di vedere come, alla fine della giostra, si comporrà il colpo solenne: se col gas nervino o con la mazza chiodata; se con i tagli agli enti locali o col ripescaggio dell’aumento dell’Iva; se distruggendo ciò che resta delle pensioni di anzianità o eliminando quelle di reversibilità; se smantellando le prestazioni assistenziali o revocando ogni voce deducibile dalla denuncia dei redditi. Oppure “mixando” questo campionario.
Di certo c’è quello che è stato già fatto e che è bene ricordare:
  • dai tickets sulle visite diagnostiche e sul pronto soccorso al blocco degli stipendi e dei contratti degli statali,
  • dalla mancata rivalutazione delle pensioni al taglio lineare su tutte le prestazioni previdenziali,
  • dal prelievo fiscale esteso al piccolo investimento azionario al sequestro dei trasferimenti agli enti locali e alla privatizzazione delle aziende municipalizzate.
Poi c’è quello che è già acquisito e che nessuno (né dal centrodestra né dal centrosinistra) più contesta, come il congelamento del Tfr e lo scippo delle tredicesime imposto ai dipendenti pubblici.
Altrettanto certo è che non sarà colpita e neppure tiepidamente ostacolata la speculazione finanziaria: della “Tobin tax”, volta a colpire le transazioni finanziarie speculative, sistematicamente evocata e subito tumulata, non si farà nulla; l’imposta patrimoniale non vedrà la luce, neppure nelle forme più blande e simboliche, perché - come senza senso del pudore piagnucola Marcegaglia - i ricchi pagano già troppo; i capitali frutto di mille pratiche evasive e trasferiti nei paradisi fiscali (della cui fantastica consistenza ci ha reso edotti la Banca d’Italia) non saranno neppure sfiorati.
Con assoluta certezza non si porrà alcun limite agli stupefacenti stipendi, pensioni e buone uscite dei grandi manager pubblici, mentre a nessuno viene in mente di chiedere che la Chiesa paghi almeno l’Ici sugli edifici da essa destinati ad attività commerciali. Di sicuro non si tagierà il bilancio della Difesa, che fra spesa corrente, missioni di guerra e potenziamento dell’arsenale bellico (cacciabombardieri Eurofighters, fregate Fremm, elicotteri Uh 90 e altre diavolerie) divora più di 23 miliardi l’anno. Sappiamo invece che della manovra farà parte la soppressione del divieto di licenziare senza giusta causa o giustificato motivo, che si materializzerà attraverso il preventivo consenso del duo Bonanni-Angeletti e dei loro solerti fiduciari aziendali, colpendo al cuore la protezione che l’articolo 18 della legge 300 del 1970 garantisce (almeno nelle aziende con più di 15 dipendenti) a quei lavoratori che siano colpiti da licenziamenti ingiusti. Come a dire che la crescita della produttività del nostro malandato sistema industriale è affidata non già agli investimenti e all’innovazione di processo, di prodotto e di sistema, bensì alla restaurazione di rapporti di lavoro servili fondati sul ricatto imposto alla parte più debole e sulla soppressione del contratto nazionale di lavoro. Contro questo scempio sociale si è schierata la Cgil, proclamando uno sciopero generale di otto ore per il prossimo 6 settembre, rompendo il grottesco sodalizio che la teneva avvinta a Confindustria e ai banchieri, vale a dire agli attori protagonisti - in partnership con il governo in carica - del dissesto sociale, economico e politico in cui versa il paese.
Il nostro augurio è che ora il sindacato di Corso d’Italia sappia resistere alle bordate del fuoco “amico”. Di più: vogliamo sperare che in Cgil si faccia finalmente strada la consapevolezza che la direzione intrapresa con l’accordo del 28 giugno l’ha cacciata in un angolo dal quale è necessario presto uscire. Perché quel patto serve soltanto ad irretire, a bloccare sul nascere ogni conflittualità sociale, ogni propensione rivendicativa, ogni autonomia culturale del mondo del lavoro.
La ripresa di un movimento sindacale animato da una forte carica progettuale, come sempre è stato quello italiano, è condizione decisiva per rimescolare le carte, anche quelle ingessate della politica, e muovere il pendolo dei rapporti di forza che oggi volgono a favore di un blocco sociale a trazione confindustriale, sicuro di poter dettare le proprie condizioni - diciamolo pure: di governare indisturbato - tanto con il centrodestra quanto con l’odierno, anemico centrosinistra. Il fatto è che governo e opposizione parlamentare si contendono la guida del paese chiusi nello stesso recinto culturale, entrambi persuasi che le regole fondamentali che disciplinano le relazioni fra gli esseri umani siano già date oggi e per sempre e che nulla di veramente nuovo possa essere pensato, tanto meno tentato. Lo scontro fra di loro può divenire (a parole) molto aspro, ma è una tempesta in un bicchiere d’acqua. Perché nessuno di quei trepidi duellanti immagina che sia davvero possibile (e neppure auspicabile) un governo pubblico dell’economia, avendo essi attribuito al mercato (regolato? temperato?) virtù quasi taumaturgiche, nelle quali si continua a credere a dispetto delle devastanti prove che il mercato continua a dare di sé. E forse questi apprendisti stregoni neppure sospettano che rinunciare a controllare politicamente l’economia non significa arrendersi ad una legge di natura, ma compiere nient’altro che una scelta politica, sposare nient’altro che un’ideologia. La salvezza del paese - e quella del pianeta - non verrà né da questa manovra, né dal paradigma monetarista che ci domina, né dal liberismo che depreda esseri umani e natura compromettendone presente e futuro. Lavorare, subito, come ci siamo reciprocamente promessi all’indomani della vittoria nei referendum, alla costruzione di una Costituente dei Beni Comuni significa cominciare a progettare altre strade, indicare altre soluzioni, concrete e radicali, fondare un’altra idea di politica e di democrazia, solidale ed egualitaria, capace di offrire risposte alla ribellione e alle rivolte che attraversano la società. Solo se sapremo stare a questa altezza potremo costruire consenso e movimento, coagulare generazioni, forze sociali e intellettuali capaci di rendere attuale e possibile un mutamento profondo.

Se Renzi è il nuovo che avanza noi siamo per le vecchie maniere

da: www.controlacrisi.org

PERUGIA - Questa è un'intervista di un sindaco di centro sinistra, sostenuto dal PD SEL e IDV. Questo ragazzotto che in vita sua non ha mai mosso un tavolo se non girare la ruota della fortuna alle trasmissioni di Mike Bongiorno ci spiega che esiste la crisi dei partiti e del sindacato, e che i pensionati sono un elemento di conservazione per il paese mettendoli in contrapposizione ai lavoratori. Lui che si fa le cenette a casa di Berlusconi ci spiega che esiste la crisi della rappresentanza, ed attacca i sindacati come se fosse Brunetta. Lo fa in nome di un nuovismo senza progetto, che non è altro che la riaffermazione del vecchio ceto politico che ha imparato a comunicare meglio le proprie cazzate. Noi non siamo teneri con la CGIL, ne lo siamo stati sulla firma del 28 giugno, pensiamo però che disprezzare l'azione collettiva dei sindacati, soprattutto in un momento di scontro sociale come questo, non fa altro che evidenziare quanti danni abbia fatto alla sinistra il nuovo che avanza. Meglio ritirare fuori le vecchie maniere allora, andiamo sul sicuro.

CONTROLACRISI.ORG

MANOVRA: RENZI, SBAGLIA IL PD AD ADERIRE ALLO SCIOPERO DELLA CGIL = SINDACATI IN CRISI DI RAPPRESENTANZA COME I PARTITI - Roma, 30 ago. (Adnkronos) - «È sbagliato per il Pd, come partito, aderire allo sciopero indetto dalla Cgil. Penso che i sindacati possano fare gli scioperi ma anche che i politici non debbano giudicare il sindacato ma fare la propria parte. Non capisco chi corre ad aderire allo sciopero di un sindacato: il partito politico non deve aderire ma fare delle proposte. Il compito del politico non è quello di stare nelle piazze ma quello di dire quali idee concrete si hanno per il paese». Così Matteo Renzi, sindaco di Firenze, a 'La Zanzarà su Radio 24. Renzi aggiunge che «il problema è che i sindacati sono in crisi di rappresentanza, come i partiti. Il legame del Pd con la Cgil aveva senso 15 anni fa. Ora la Cgil, come altri sindacati, rappresentano sempre meno i lavoratori e sempre più i pensionati e sono di fatto un elemento di conservazione». Conclude parlando dei costi della politica dicendo che «così come dobbiamo tagliare il numero dei parlamentari bisogna dimezzare il monte ore dei permessi sindacali, altro che levare il 25 Aprile. Così si recupererebbe produttività».

Cantiere manovra, Confindustria scalpita. Ma domani è settembre!

di redazione contropiano,

da www.contropiano.org

Non c'è un solo soggetto economico o sociale che condivida per intero la manovra uscita fuori dal "vertice di Arcore". Ma nemmeno la versione precedente.

Ne segue necessariamente che ci sarà un "assalto alla diligenza" portato da dentro e da fuori la maggioranza, per riscriverne parti consistenti. Un passaggio che "rischia" - dal punto di vista puramente contabile, che però è l'unico che interessa davvero "i mercati" e l'arcigna Unione Europea - di far saltare i "saldi finali". Un governo di pasticcioni e incapaci, oltre che disonesti, è in effetti quanto di peggio possa capitare a un paese nel pieno di una crisi globale. I pericoli si moltiplicano, il volto degli avversari di fa sfuggente, il "che fare" pieno di zone d'ombra.

Per chi si muove nella logica che per prima cosa il debito va pagato non c'è spazio per "alternative". O si aggredisce in maniera "strutturale" la dinamica della creazione del debito - e inevitabilmente ne fanno le spese le voci più consistenti del bilancio dello stato: pensioni, istruzione, sanità, aministrazione pubblica - oppure tutte le soluzioni tese a trovare una cifra purchessia si riveleranno inutili. Anche a brevissimo tempo. E' vero infatti che "i mercati" hanno analisti preparati che ci mettono un attimo a passare ai raggi X una manovra e deciderne l'irrilevanza rispetto all'abbattimento "strutturale" del debito pubblico. Gli effetti su titoli di stato, qundi sulle possibilità di rifinanziamento del debito a scadenza (ci sono 130 miliardi di titoli da rinnovare da qui al 31 dicembre, 250 miliardi l'anno prossimo; senza contare il fabbisogno ordinario e l'emissione di titoli a sei mesi, come i Bot), sono certi e dramatici. E' la spirale greca, in cui l'impossibilità di trovare denaro fresco in prestito sul mercato costringe a chiederli alle istituzioni sovranazionali, che impogono uno scambio con le "riforme" liberiste che si traducono dell'eliminazione - e perfino la delegittimazione - del "modello sociale europeo".

I soggetti fautori di questa soluzione, paradossalmente, stanno fuori dal governo. Che è ormai palesemente ridotto a lobby gestionale di interessi socialmente limitati (immobiliaristi, appaltisti delle opere pubbliche, amministratori pubblici, rentier di molti tipi e di molti rivoli, evasori fiscali totali e parziali, mafie, intermediatori, ecc).

E' questo ingorgo della rappresentanza a rendere ogni passaggio farraginoso e incomprenbile ai più. Le misure del governo mazzolano lavoratori, pensionati, precari, studenti e docenti, utenti dei sevizi pubblici in generale; ma sembrano persino poca cosa rispetto alle "riforme strutturali" che gli aspiranti subentranti (il "terzo polo" e il Pd, sul piano politico, Confindustria, Banca d'Italia, ecc, su quello economico-tecnico) mettono ormai allo scoperto come proprio programma operativo.

Non c'è la dimensione sociale, per ora. Cisl e Uil hanno appeso il proprio destino a Sacconi e Berlusconi, ma possono sempre cambiare schieramento (lo stanno già segnalando, con la minacciata "mobilitazione" sulle pensioni di anzianità o il pubblico impiego; la Cgil fa un'opposizione morbida e tardiva, in attesa del cambio di governo cui si prostrerebbe immediatamente, silenziando ogni voce di dissenso interna e congelando ogni altra mobilitazione). Il sindacalismo conflittuale è la speranza, ma i suoi numeri, la sua presa di massa, al momento di scrivere, sono ancora molto insufficienti. Ma settembre è domani.

Diversamente sensibili!


Il Corsivo

di Zanardi, www.contropiano.org

Approvata in svizzera la caccia ai gatti.
Si possono ammazzare a colpi di fucile e lasciarli lì a crepare se rimangono solo feriti.
Un "massacro di poveri micini", “un orrore in un paese civile”, mi dice una accorata presentatrice di RaiUno Mattina, sinceramente indignata.

Era appena finito il collegamento con un inviato da Tripoli in stato di esaltazione, che tanto diceva delle nuove e magnifiche

sorti della democrazia libica e nulla diceva di rastrellamenti, bombardamenti, stupri e caccia all’uomo nelle strade della capitale.

Sensibilità diversamente pelose nella nostra civile Europa.

«MANOVRE» DI TUTTI I COLORI

La politica italiana
E' vero, i reazionari sono stupidi


di Piemme, http://sollevazione.blogspot.com




Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Dopo la "Manovra di luglio", approvata in fretta e furia dal governo con la fidejussione delle opposizioni (manovra che come avevamo previsto ai "mercati" gli ha fatto un baffo) è venuta quella di Bis di ferragosto, sacramentata dal Presidente Napolitano.
Da allora la "Manovra bis" è diventa già ter e quater, visti gli ...aggiustamenti. Scazzi interni alla maggioranza, interni ai Berluscones, interni alla Lega, interni alle opposizioni, interni al Pd, interni al Terzo polo, interni ai dipietristi. Un totale marasma.
Poi l'altro ieri c'è stato il Vertice di Arcore in cui i padrini che compongono la cosca chiamata governo, annunciano in pompa magna di ...aver trovato la quadra. Ma quando mai?! Non passano poche che ricominciano i distinguo, le critiche, le richieste di modifica, i ricatti.
Non è solo una pantomima, il governo, le opposizioni, chi decide la politica economica, sono davvero tutti nel pallone. Danno i numeri, non sanno che pesci pigliare.
Siamo in presenza di capi politici cialtroni, che sanno benissimo che le misure approntate, per quanto severissime per i ceti popolari, non invertiranno il corso degli eventi, che conduce il paese verso il baratro. Pagliacci che navigano a vista, che tirano a campare. Essi hanno solo una paura: la condanna dei mercati internazionali, del Moloch della finanza speculativa, che arriverà inesorabile, dolorosa. Essi già l'hanno messo nel conto, anche se fingono spudoratamente tranquillità e si atteggiano a grandi condottieri.

Non hanno invece paura della indignazione popolare. Convinti che il popolo sia un bue decerebrato, obnubilato da decenni di genocidio culturale, essi sono convinti che gli italiani —parlo anzitutto di quelli che fra un po' saranno gettati sul lastrico, ma anche di quelli che invece non hanno portato la testa all'ammasso (e ce ne sono credetemi, nei più disparati ambienti e ceti sociali)— subiranno e continueranno ad abbassare la testa.
Si sbagliano! Essi, oramai sideralmente distanti dalla realtà, prigionieri della loro commedia, non si avvedono della tempesta sociale che sta per travolgerli. In questa loro serafica sicurezza c'è tutta la loro smisurata stupidità di reazionari. Sono come alla guida di una vettura lanciata verso un muro, destinati a sfracellarsi.
Non fraintendetemi, non penso affatto che la rivolta e l'indignazione sociale sono alle porte o che quest'autunno ci sarà la fine del mondo. Parlo di una tendenza che la situazione ha oramai imboccato, che lo scontro sociale è inevitabile. Ma è una questione di anni, non di decenni.
Non solo la Manovra Bis-ter-quater subirà altre modifiche. Questioni di mesi e questi pagliacci saranno costretti, resista o meno questo governo, ad approntare misure ancor più draconiane. Come la Grecia? Peggio, perché se si vuole tenere questo cadavere dell'euro in piedi, dato il peso enorme dell'Italia nell'eurozona, queste misure dovranno essere più radicali di quelle adottate da Papandreu.
Se questa Manovra non sortirà l'effetto di scatenare l'0indignazione popolare, quelle successive di sicuro l'otterranno. Nessun dorma!
Un esempio luminoso, nel suo squallore, della ineluttabilità dello sconquasso sociale, e del perché esso travolgerà tutto il baraccone politico ce lo fornisce il Pd, che al suo interno ingloba frazioni imperialiste ancor più fondamentaliste che il centro-destra. Da quelle parti c'è un vero e proprio integralismo liberista, una pulsione di morte.
Sentite ieri cosa ha affermato un esponente di spicco del PD, l'ex-ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni (che presiede il forum Welfare del Pd —fate gli scongiuri), non ad un convegno della Confindustria, alla loro festa ad Empoli:
«Dobbiamo assolutamente riflettere non solo sull'abolizione o meno delle Province, ma anche riguardo le Regioni. Se la Germania pensa davvero di accorpare i Land, noi dobbiamo chiederci: ci possiamo permette il lusso di avere ancora Molise, Basilicata, Umbria, Valle D'Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano?»
E rispetto allo sciopero indetto dalla Cgil per il 6 settembre ha affermato:
«Non sopportavo i sindacati come cinghia della politica della prima repubblica, figuriamoci adesso. Il Pd deve costruire l'alternativa di governo, non Sel nè l'Idv e quanto meno il Terzo Polo. Chi si assume di fare il perno della ricostruzione non si può permettere il lusso di cavalcare la protesta. Se non spieghiamo come vogliamo sistemare le cose, i cittadini protesteranno a loro volta contro di noi».
Neanche la Marcegaglia parla tanto chiaramente. Non riesco a non pensare a certa sinistra "radicale" che insiste nel sostenere giusta un'alleanza con gente di questo calibro. Si accomodino pure che la tempesta travolgerà anche loro

martedì 30 agosto 2011

Essere grillini a propria insaputa

Essere grillini a propria insaputa

A parte essere il popolo delle manifestazioni autorizzate e dei grandi scioperi generali della durata esagerata di ben otto ore (vedi il prossimo 6 settembre), noi italiani siamo anche il popolo delle etichette. Ci sentiamo tanto rappresentati da loghi e bandiere che ogni tanto questi prendono il sopravvento sulla personalità. Faccio una premessa. Un po’ lunga ma indispensabile. Sulla mia bacheca di Facebook, da quando io e il mio socio Massimo Merighi abbiamo pubblicato il video satirico Beppe Grillo come fa?, gli adoratori di Grillo se la sono un po’ presa. Paradossalmente non abbiamo mai ricevuto nessun commento negativo dagli elettori del Pdl. E chi ci conosce sa che proprio il nostro (ahinoi) premier è l’oggetto dei nostri strali satirici. Ma perché se la sono presa così tanto? Un po’ per aver offeso (secondo loro) il guru Grillo (perché finché si prendono in giro Berlusconi e soci va tutto bene. Grillo è intoccabile) e un po’ per quella rima “il populismo instilla, ai giovani Balilla” contenuta all’interno della parodia . E le risposte, da parte dei grillini, non hanno tardato ad arrivare: “Balilla lo dici a tua sorella!”, “Fascista ce sarai te, co****ne!” e oltre. Beata ignoranza (la Gelmini non c’entra)! Ma se avessimo voluto dare del fascista a qualcuno, avremmo utilizzato delle parole più dirette e una rima più semplice. In ogni caso, l’ignoranza sta nel non conoscere il termine Balilla. Infatti, quelle poche persone vicine all’ambiente del Movimento 5 Stelle che sanno cosa sia la satira e che conoscono la storia, hanno fatto un sorriso guardando il nostro video (anche complimentandosi) e facendo notare ai fanatici grillini che il Balilla in questione era Giovan Battista Perasso, vissuto nel 1700 e non il modo in cui Mussolini chiamava i suoi giovani (anche se un’attinenza, effettivamente, c’è). Questo solo per mettere i puntini sulle “i”. Adesso veniamo al sodo. Da un po’ di tempo a questa parte, adoro leggere certi commenti grillini. Li leggi e vedi tutta l’arroganza di chi ti guarda dall’alto (di non si sa cosa) e ti dice che l’unica salvezza per il Paese è proprio il Movimento 5 Stelle. E magari lo è. Ma i modi e gli argomenti sono un po’, come dire, discutibili. E tutto ciò escludendo le risposte a pappagallo che ti propinano quando poni delle domande ben precise. Tuttavia, la cosa che mi ha fatto venire voglia di scrivere questo post è stato leggere i commenti di tre grillini in particolare. Ovviamente per rispetto della privacy non farò i loro nomi, ma i commenti ve li devo proprio riportare. Per sommi capi, perché altrimenti ci vorrebbero ore solo per leggerli tutti. Al primo ho chiesto: “Come pretendete di cambiare il Paese se non vi sedete sulle poltrone?” - Si possono prendere i seggi anche facendo parte di una lista civica! - Cos’è un seggio? - Posto assegnato al Comune o alla Regione dopo essere stato eletto. - Visto che allora vi sedete sulle poltrone? - Veramente no, perché nella nostra città non ci sono poltrone ma banchetti di legno. Ho aspettato qualche minuto sperando che l’ultima fosse una risposta simpatica seguita da una ben più seria. Ma purtroppo non è stato così. Quella era la risposta definitiva. Inutile dire che non ho voluto più proseguire il discorso, chiudendolo con un gelido “Ho capito”. Un altro episodio è dato da una grillina che, alla mia affermazione “Il calciatore è un mestiere” (riferendomi esclusivamente a ciò che concerne preparazione atletica e fisica e contratto di lavoro. Gli stipendi stellari non c’entrano nulla), ha chiesto “Troja, tu che lavoro fai?”. Alla mia risposta “Il musicista (e sono professionista iscritto al Ministero del Lavoro sezione Collocamento dei Lavoratori dello Spettacolo dal 2001), la grillina ha ribadito dicendo: “Ecco, allora, perché ritieni che anche il calciatore sia un lavoro”. E quando le ho fatto notare che anche quello del comico, come Grillo, è un mestiere, la risposta è stata: “Grillo fa un mestiere intelligente. Quanti musicisti possono dire lo stesso?”, seguita da “Alcuni si mettono a fare dei mestieri per non lavorare”. Boh! Non vi riporto altri commenti perché vi siete fatti già un’idea del personaggio. Ma il primo premio lo vince quel grillino che attribuisce al Movimento 5 Stelle l’esclusiva di valori come vocazione al servizio del bene comune, attivismo e onestà, aggiungendo che proprio il partito di Grillo è un partito-movimento che coinvolgerà un intero popolo, nazionale, di massa, che rifugge il populismo, che non sovverte l’ordinamento istituzionale, che conosce la storia, che ha obiettivi politici seri e condivisi, in grado di rimettere in piedi un Paese in ginocchio, di ricreare sviluppo, di far sognare le persone”. E aggiunge che i valori di cui sopra sono “gli stessi che hanno i cittadini onesti e sensati (che io chiamo del Movimento 5 Stelle, anche se alcuni non sanno di esserlo)”. Quindi, ricapitolando: noi cittadini onesti siamo grillini a nostra insaputa. Mio nonno direbbe: “E Mussolini voleva vincere la guerra…”

Blog | di Massimo Merighi & Tony Troja

GIORGIO CREMASCHI – Contro questa brutale manovra di classe si scende in piazza e ci si resta

gcremaschi

Sommano già a ben 131 miliardi di euro gli interventi complessivi, 2010-2014 decisi dal governo. E per qualcuno i mercati non sarebbero ancora contenti di questo massacro senza precedenti. In realtà, con gli ultimi provvedimenti e modifiche, il governo ha ulteriormente aggravato l’impatto antisociale della manovra. Viene salvata dal contributo di solidarietà la casta dei supermanager e dei direttori dei grandi giornali, che può festeggiare. In compenso vengono sostanzialmente cancellate le pensioni di anzianità, con una vera e propria truffa a danni dei lavoratori che hanno fatto il servizio militare o che hanno pagato di tasca loro i contributi per l’università. E con un disastro occupazionale che si preannuncia perché ci saranno centinaia di migliaia di persone costrette a rimanere al lavoro, con altrettante persone che non troveranno posto.

Inoltre, migliaia di lavoratori e lavoratrici posti in mobilità rischiano di non arrivare più alla pensione. Nello stesso tempo la manovra sui contratti distrugge il contratto nazionale, aumenta gli orari di lavoro per chi ha un posto, incrementa la precarietà e i licenziamenti selvaggi. Anche per questo la Cgil deve immediatamente ritirare la firma dall’accordo del 28 giugno, trasformato dal governo in decreto liberticida.

Tutto il costo della manovra è, alla fine, a carico del lavoro dipendente, dei pensionati e dei più poveri. I ricchi non pagano, niente, per l’evasione fiscale si fanno chiacchiere. Questa è una brutale manovra di classe, fatta da un governo squalificato, che si aggancia all’Europa solo per giustificare la propria esistenza.

Lo sciopero generale a questo punto è ancora più giustificato, ma deve dare il via a un movimento che punti a rovesciare il governo e la manovra. Dobbiamo fermarli. Dobbiamo fermare il disastro provocato da Berlusconi, ma dobbiamo anche dire basta al governo unico delle banche europeo che sta portando l’Europa a una recessione drammatica, per difendere la speculazione e la finanza. Basta con Berlusconi, basta con la Bce e l’Europa delle banche. Su questo si scende in piazza e ci si resta.

Giorgio Cremaschi

domenica 28 agosto 2011

Cosa c'è che non va con Veltroni?

Ma Walter Veltroni se lo fila più nessuno? A parte i massimi quotidiani nazionali, che continuano impietosi a pubblicare tutte le sue lunghe lettere, come Repubblica oggi, ormai senza neanche mettere a posto le virgole e – quel che è peggio – senza moderare i commenti. Col risultato che tutti tranne forse Veltroni si possono aspettare, ovvero che in capo a mezza giornata l'ennesima orazione riformista si ritrovi sprofondata in un mare di pernacchie, di “vattene in Africa” ormai stucchevoli ma non del tutto campati in aria. D'accordo, la maggior parte dei lettori i commenti nemmeno li legge. Ma almeno Veltroni dovrebbe darci un'occhiata, dal momento che è da più di un annetto che sembra sondare il bacino di quotidiani e internet alla ricerca di uno spazio dove rilanciarsi: giusto per capire le dimensioni dei buchi nell'acqua che invece i suoi interventi producono.
Cosa c'è che non funziona nella comunicazione di Veltroni? Un po' tutto, verrebbe da dire: perfino quegli spazi messi prima delle virgole, che nessun redattore professionista lascerebbe in un testo da pubblicare su un quotidiano, e che a livello subliminale suggeriscono la solitudine di un uomo politico che un tempo aveva senz'altro uno staff che gli desse un'occhiata alla punteggiatura, e oggi evidentemente no. Il tono paternalistico per cui ogni tensione mondiale – dalla crisi dei mercati europei agli scontri di Londra – deve sempre essere causato dall'egoismo di un monello globale che non sa dire “noi”, che sa dire solo “no”, che insomma non vuole ascoltare il predicozzo del buon Walter che gli spiega di fare il bravo e pensare agli altri: un approccio non proprio ideale per il lettore di quotidiano, che assume un aspetto suicida quando Veltroni cerca di trasferirlo in un ambiente radicalmente egalitario come Facebook, dove il suo accorato invito ai pacifisti italiani a essere bravi e coerenti e scendere in piazza contro Gheddafi ottenne meno apprezzamenti della risposta di uno sfigato chiunque (il sottoscritto). Che altro? L'irriducibile pulsione al ma-anche, per cui un pezzo che sembra salvare, degli ultimi vent'anni di centrosinistra, solo l'esperienza di Prodi, deve comunque concludersi con un inno ai patriarchi del PCI, sia mai che si possa fondare la sinistra di domani senza ricordarsi di onorare Occhetto e Berlinguer...
Ma soprattutto, una certa ripetitività,
che sconfina nel comico involontario, per cui dopo averne lette una mezza dozzina ormai la prossima letterina veltroniana potremmo scriverla noi: è sufficiente ricordarsi, in presenza di qualsiasi rivolgimento sociale, di citare il Sessantotto, giusto per ribadire che comunque era diverso, perché allora si voleva “cambiare il mondo”... anche se poi alcuni si sbagliarono e diventarono terroristi cattivi, insomma, tutta una Storia d'Italia ridotta ai minimi termini di una fiction Rai che a questo punto credo irriti per primo chi il Sessantotto lo ha vissuto davvero, e si ricorda che le cose erano un filo più complesse. Invece, quando si parla di riformismo, bisogna sempre ricordarsi di citare Olof Palme, come se poi l'esempio di questo Palme potesse risultare utile al lettore medio. Il che non è, insomma, qualcuno prima o poi dovrebbe spiegare a Veltroni che la maggior parte dei lettori del suo bacino di riferimento non si ricorda chi sia, il buon Palme, se non un pallino privato di Walter Veltroni.
Il fatto è che certe ripetizioni veltroniane ormai più che distrazioni sembrano ossessioni
, non facilmente spiegabili e persino un po' inquietanti. Faccio un altro esempio: ogni volta che qualcuno, nella sua prosa, dice “no”, Veltroni sembra costretto a soggiungere che lo fa “come Bartleby lo scrivano”, il protagonista di quel famoso racconto di Melville che poi, secondo me, in Italia così famoso non è. Voglio dire che se parli di Renzo e Lucia, su un quotidiano, tutti i tuoi lettori non faticheranno a ricordarsi che si tratta di due fidanzati con qualche difficoltà a concludere; se parli di metamorfosi kafkiana, alla maggior parte non sfuggirà che si tratta dello strano caso di un uomo che si risveglia trasformato in scarafaggio. Ma se parli di Bartleby, ecco, a quel punto non credo che la maggioranza abbia ben chiaro a cosa ti stai riferendo. A questo punto di potrebbe ipotizzare che Veltroni stia cercando i suoi nuovi interlocutori tra gli appassionati di letteratura americana, o i fans di Baricco, che sono comunque un bacino cospicuo. Il fatto è che anche questi non disprezzabili conoscitori di Melville, ogni volta che Veltroni lo cita, non riescono comunque a capire dove voglia andare a parare.

Due anni fa per esempio per Veltroni Bartleby era D'Alema, perché diceva sempre di no. E già in quel caso c'era qualcosa di maldestro nel riferimento letterario: per quanto ci si sforzasse si faticava a immaginare i baffetti di D'Alema sul volto inespressivo dello scrivano che si lascia morire di inedia in prigione perché preferirebbe non mangiare. Nella lettera di oggi, per contro, il riferimento scatta davanti ai "pochi, coraggiosi, docenti italiani che si sottrassero al giuramento di fedeltà al fascismo e risposero, come Bartleby lo scrivano ,"Preferirei di no"”. Superfluo notare che non risposero proprio così. Ma anche stavolta, quel Bartleby esattamente cosa c'entra? Chiunque abbia letto il racconto sa che non si tratta di un eroe; tra i critici che si sono cimentati con l'enigma c'è chi lo considera un'incarnazione dell'alienazione, della depressione, perfino del blocco dello scrittore. Il modo in cui oppone il suo rifiuto prima al datore di lavoro, e poi progressivamente al mondo non sembra avere molto di politico; poi naturalmente la politica si può attaccare a qualsiasi cosa, ma l'impressione è che Veltroni più che operare dei riferimenti efficaci a opere letterarie condivise si impigli troppo spesso nelle reminiscenze private delle sue tante passioni (cinema jazz figurine romanzi).
Al punto che uno smette di pensare a cosa Veltroni vorrebbe dagli italiani per domandarsi cos'è che Veltroni nasconde, nella sua testa, sotto il feticcio di Bartleby. Forse un'irrazionale pulsione a restare nella sua posizione, come il copista nel suo studio su Wall Street, quando ormai il suo capo lo ha licenziato e persino l'azienda si è trasferita. Magari Veltroni non se ne rende conto, ma se c'è un Bartleby in Italia oggi, probabilmente è proprio quel personaggio che si ostina a ricopiare la storia del Sessantotto e degli anni di piombo, a dettare manifesti riformisti a destra e manca, a ringraziare Di Vittorio e Berlinguer. Fuori il più della gente lo ignora; chi ancora lo nota gli domanda con stanca malizia se non è il caso di andare in Africa. Lui evidentemente preferisce di no.

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