sabato 31 marzo 2012

Gli strangolatori dell’economia - Fabio Marcelli, Il Fatto Quotidiano



L’aspirazione a un’altra economia, diversa da quella attuale, e che sia finalizzata a soddisfare i bisogni effettivi e reali degli esseri umani, costituisce un’aspirazione legittima e l’unica speranza di sopravvivenza dell’umanità.

L’economia attuale, infatti, basata sulla ricerca di profitto esasperata, ha prodotto da ultimo l’attuale crisi sistemica, dovuta all’incapacità del mercato di assorbire le merci prodotte, ai processi di finanziarizzazione volti ad acquisire comunque guadagni immediati, al crescente squilibrio fra ricchi e poveri e fra privato e pubblico. Come acutamente rilevato, sulla scia di Karel Kosik, da Pedro Páez, economista ecuadoriano che si è occupato del tema della nuova architettura finanziaria latinoamericana, l’homo oeconomicus, questa figura immaginaria di  consumatore insaziabile alla base dell’economia neoclassica, costituisce un’aberrazione vera e propria e non esiste in natura.

Come osserva Pedro Páez , tutto il pensiero umano, da Confucio a Platone, da Aristotele a Sant’Agostino e San Tommaso, ha posto l’accento sul bene comune piuttosto che sulla presunta prevalenza degli appetiti consumistici del singolo. Quello del bene comune, peraltro, è concetto fondamentale che sta, e non potrebbe essere diversamente, nel cuore stesso di ogni esperienza di umana convivenza.
Il fatto che oggi tale concetto sia messo in discussione dall’illusione dei mercati che si autoregolano e dal moloch autoreferenziale e insaziabile del capitale finanziario mette quindi in pericolo la convivenza umana stessa, delineando il quadro apocalittico di una società con una crescente massa di diseredati e miserabili che, in assenza delle necessarie alternative rivoluzionarie, saranno portati a rivolgere sempre più contro se stessi una violenza inutile quanto rabbiosa.

In questo senso, la valanga di suicidi degli ultimi tempi, si tratti di disoccupati o di imprenditori che non riescono a mandare avanti la baracca anche per gli illegittimi inadempimenti dei debitori, primi fra tutti gli stessi enti pubblici, costituiscono un chiaro campanello d’allarme e l’antipasto di una vera e propria catastrofe sociale.

Il letale circolo recessivo imboccato con la cura Berlusconi e quella Monti produce peraltro, secondo i critici più avveduti ed onesti, l’impossibilità stessa di consumare per soddisfare i bisogni più essenziali, mentre la qualità dei prodotti destinati a ali bisogni, a cominciare da quelli alimentari, degenera rapidamente sotto la spinta del profitto che impone l’uso di tecnologie nocive, come l’eccesso di prodotti chimici che finiscono nei piatti, come ci rivela un’inquietante inchiesta dell’Espresso in edicola da ieri.

Risulta anche impressionante l’accanimento con il quale la classe politica si scatena a distruggere le esperienze di economia alternativa. Esemplare da questo punto di vista la vicenda della Città dell’altra economia, che il sindaco Alemanno si appresta a liquidare, dopo che per alcuni anni ha costituito un punto di riferimento importante delle produzioni agricole ecologicamente sane e di altri comparti, come il riciclaggio, il turismo alternativo e il commercio equo e solidale, che dovrebbero invece assumere importanza strategica.

Alla fine purtroppo, dopo che lo stesso Alemanno aveva espresso interesse per questa esperienza, hanno prevalso le perverse logiche della lottizzazione e della privatizzazione senza principi. Questa classe politica, a livello sia nazionale che locale, si dimostra sempre più incapace di fare fronte alle vere sfide e ripropone i suoi squallidi appetiti, calpestando le esigenze e i diritti acquisiti di decine di lavoratori e di piccole imprese e di  migliaia e migliaia di consumatori.

Uno schema che evidentemente si può riprodurre anche a livello nazionale, laddove il governo Monti, con l’appoggio di Qui, Quo Qua tutti intenti a spartirsi la prossima torta elettorale per costituire le basi della propria autoperpetuazione, vuole demolire ogni garanzia dei diritti dei lavoratori, ma si guarda bene perfino dal tutelare quelli dei piccoli imprenditori che vantano crediti nei confronti dello Stato.

Su questa scandalosa incompetenza e incapacità di progettare il futuro prosperano le ideologie autoritarie di Marchionne(“si muore di diritti”) e non stupisce che il capo della polizia Manganelli prenda più soldi di Obama. Sola prospettiva plausibile,infatti, è la repressione. Una tremenda foto, fatta ieri in una delle manifestazioni svoltesi in Spagna in concomitanza con lo sciopero generale, illustra bene questa situazione, mostrandoci una famigliola, composta da padre, madre e figlia, manganellata da uno spietato poliziotto: la bambina piange terrorizzata.

Ci vorrebbe Robin HooD - di Valentino Parlato, Il Manifesto

I ricchissimi sono sempre quelli che danno l'esempio della massima evasione fiscale: i padroni denunciano meno di tutti i loro dipendenti...

Ci vorrebbe Robin Hood


Stando ai dati relativi alle dichiarazioni dei redditi per il 2011, gli imprenditori sarebbero i contribuenti più poveri del 2010, con un reddito medio di 18.170 euro contro i 19.810 dei lavoratori dipendenti, i cittadini più benestanti di questa felice Italia. È un dato illuminante su come agiscono le imposte nel nostro paese e non sarebbe male che il «governo dei tecnici», che questi dati ha comunicato, ci riflettesse un po’ su.
Questi numeri nel modo più crudo confermano che siamo veramente una Repubblica fondata sul lavoro. I lavoratori dipendenti, oltre a essere quelli che singolarmente pagano più tasse, sono 20,9 milioni, cioè il 50,37% del totale dei contribuenti. L’82% di loro dichiara un’imposta netta per un valore complessivo di 90,7 miliardi di euro, che fa il 61% del totale dell’imposta netta dichiarata, per un valore medio pro capite di 5.300 euro.
Sempre secondo queste dichiarazioni dei redditi rese note dal ministero dell’economia e delle finanze si evidenzia un’incidenza di circa il 91% del reddito da lavoro dipendente sul totale dell’imposta pagata. Il restante 9% è composto da redditi di pensione (3,43%), fabbricati (2,28%), redditi di impresa e lavoro autonomo (1,05%).
Insomma saremmo il paese dove gli imprenditori appaiono i lavoratori più poveri e i lavoratori dipendenti i più ricchi. Tutto questo sulla base delle dichiarazioni dei redditi. Veramente il Bel Paese. Il che è abbastanza normale e prevedibile dove i lavoratori sono tassati sulla base della busta paga e gli imprenditori sulla base della loro dichiarazione dei redditi, cioè delle loro bugie. Si dimostra così che l’evasione fiscale non è un’eccezione da scoprire con indagini speciali, ma una regola: chi più ha, meno dichiara. Inoltre, fatto singolare, nella stessa giornata l’Istat ci informa che i salari dei lavoratori italiani sono fermi e blindati mentre i prezzi corrono. Marx avrebbe qualcosa da ridire.
Sarebbe però interessante sapere cosa pensa di questa realtà il nostro governo tecnico, che si dichiara libero da quelle influenze di opportunità politica alla quale sono soggetti i partiti che, peraltro, come ci ha detto Monti, sono in crisi di credibilità. In ritorno dal suo regale viaggio in Oriente, il nostro presidente del consiglio ci darà qualche spiegazione? O ci dirà che è sempre stato così e che per riportare giustizia l’impegno primario è quello di cancellare l’art. 18? Aspettiamo.
Immediato il commento di Bersani: «È l’eterna raffigurazione della vergogna dell’evasione fiscale, che resta il punto principale per riprendere la strada della crescita». Ma, anche lui, che farà?

«I rifiuti non esistono» in un mondo che si ricordi di essere «circolare». Intervista al chimico statunitense Paul Connett

«I rifiuti non esistono». È questo l’assunto di partenza della teoria di Paul Connett, chimico statunitense e teorico della strategia rifiuti zero, in Italia in questi giorni per un ciclo di conferenze. Nella tavola rotonda organizzata a Roma mercoledì dall’università La Sapienza attraverso il centro studi Citera del professor De Santoli, Connett ha parlato dell’ormai famosa strategia «Zero Waste» partendo dalla necessità, non più rimandabile, di cambiare modello di società.
«Abbiamo un problema di fondo – spiega Connett – Dalla rivoluzione industriale abbiamo imposto un modello di civilità lineare a un pianeta che funziona in modo circolare. Nell’attuale modello economico la linea retta che passa è: estrazione-produzione-consumo-smaltimento in discarica, senza ritorno. Negli equilibri naturali al contrario le cose funzionano in maniera circolare».
Applicando i passaggi previsti della Zero Waste Strategy (dalla riduzione al porta a porta, a compostaggio, reciclaggio, riutilizzo e riparazione, etc), è possibile secondo Connett reintegrare la ciclicità anche nel sistema economico. Il punto di partenza del ragionamento è la centralità del tema dei rifiuti. Un tema strettamente connesso al dibattito sul modello di sviluppo che l’esplosione delle crisi ha reso inevitabile, come anche alla riflessione sulla necessaria transizione verso un nuovo modello energetico distribuito e non accentrato. In un siffatto scenario modello energetico e chiusura del ciclo dei rifiuti possono forse essere funzionali l’uno all’altro…
Certo. Qualsiasi oggetto di uso quotidiano richiede com’è noto una certa quantità di energia per la sua produzione. Bruciando rifiuti negli inceneritori recuperiamo una parte infinitesimale di questa energia, con grandi costi ambientali e sociali. Ridurre e riciclare vuol dire al contrario risparmiare energia a monte per l’estrazione e la produzione di nuove materie prime ed oggetti. Inoltre i residui organici posso essere usati per l’agricoltura, piccoli impianti per bio gas etc. Le due questioni camminano a fianco, non a caso le iniziative di questi giorni parlano della necessità di andare verso una società a emissioni e a rifiuti zero.
Emissioni zero e rifiuti zero. Ciclicità dei processi e rispetto dei cicli naturali. Le reti sociali che lavorano sulla giustizia ambientale e sociale ragionano sulle stesse categorie. A giugno si ritroveranno a Rio de Janeiro dove si terrà il Summit sulla sostenibilità di Rio+20. A vent’anni di distanza dall’Earth Summit del ’92 e di fronte al fallimento del concetto di sviluppo sostenibile, il centro del discorso sarà la necessità di ragionare sulla rifondazione di alternative concrete su cardini nuovi: giustizia ambientale e sociale, democratizzazione dello sviluppo, giusta sostenibilità. E’ un problema di giustizia, dicono, non una crisi ambientale e basta.
Sono del tutto d’accordo. Sono convinto che la situazione attuale nasconda un gigantesco problema di giustizia. Ad esempio ribatto sempre a chi promuove inceneritori che stanno proponendo qualcosa che non li preoccupa perchè vivono lontani dagli impianti: ciò che accade alla salute della gente e le conseguenze che producono non sono affar loro. Occorre invece pensare a soluzioni che valgano e diano beneficio a tutti.
Altra questione di grande attualità riguarda i modelli di gestione del ciclo dei rifiuti. Si va verso l’accentramento di funzioni attraverso multiutilities il cui processo di privatizzazione pare divenuto inarrestabile..
Dal mio punto di vista è preferibile la gestione pubblica, ma l’elemento davvero qualificante è la partecipazione dei cittadini nel processo. Per la buona riuscita di una strategia è fondamentale che i cittadini collaborino con i decisori politici per definire l’applicazione di un piano integrato. Come con l’energia occorre anche qui ricreare senso di comunità. Chiaramente ciò è più problematico quando si applica alle grandi città, ma è possibile realizzare anche in grandi centri urbani una gestione su piccola scala legandola a dimensioni territoriali minori, ad esempio municipi o quartieri.
Roma è l’esempio perfetto. L’emergenza è tale che i comitati raccolti nella Zero Waste Lazio hanno lanciato per il prossimo 31 marzo a Roma una manifestazione che intende riunire le vertenze laziali a quelle campane, mobilitazione alla quale parteciperà anche lei. La rete ha anche presentato una delibera di iniziativa popolare «Per Roma verso Rifiuti Zero» con la quale chiede alle istituzioni l’attuazione di una strategia di Riduzione-Riutilizzo-Riciclo-Recupero affinchè anche Roma possa seguire gli esempi di città virtuose come S. Francisco o Buenos Aires. Lei conosce bene l’emergenza che vive la nostra regione. Se fosse l’incaricato di risolvere la situazione, da dove inizierebbe?
La primissima cosa sarebbe fermare l’orribile Malagrotta. Nel mettere a punto una strategia generale occorrerebbe invece lavorare immediatamente alla separazione universale dell’organico, come prima tappa essenziale. La seconda tappa riguarda le discariche situate nei centri urbani e nelle loro vicinanze, che dovrebbero essere messe in sicurezza e bonificate costruendo a fianco impianti che separano i materiali residui. La terza tappa sarebbe localizzare all’interno dei centri urbani luoghi dove si fanno riciclo, riuso e riparazione e pensarli come villaggi, come comunità. Occorre costruire a livello locale, dei centri di riuso e riparazione nei quartieri che poi siano integrati con il resto della rete di reciclaggio e trattamento dei rifiuti. Il sindaco di Londra ha aperto 9 centri di riparazione e riuso, investendo 12 milioni di dollari. Se lo fa una città come Londra, anche Roma potrebbe e dovrebbe farlo. Basterebbe avere la volontà di farlo.
 
Marica Di Pierri - il manifesto

venerdì 30 marzo 2012

Il Consiglio regionale ha ribadito che in Umbria l’acqua è un bene comune

Approvata mozione Idv-Prc per il pieno rispetto del voto referendario: gestione e proprietà pubblica, no alla remunerazione del capitale investito. 19 i voti favorevoli della maggioranza di centro sinistra e del capogruppo della Lega Nord; astenuto Lignani Marchesani (Pdl), contrari 5 dell’opposizione.
PERUGIA – Con i voti favorevoli (19) della maggioranza e del capogruppo della Lega Nord, Gianluca Cirignoni, l'astensione di Andrea Lignani Marchesani (PdL) ed i voti contrari (5) degli altri esponenti dell'opposizione, l'Assemblea regionale ha approvato una mozione firmata da: Oliviero Dottorini (primo firmatario) e Paolo Brutti (IdV) e da Damiano Stufara (Prc-Fds) sulla “Attuazione dell'esito del referendum nazionale sulla gestione dell'acqua pubblica svoltosi il 12 e 13 giugno 2011”.
In sostanza, con questo atto di indirizzo, il Consiglio regionale impegna la Giunta ad “operare con la massima urgenza per ottenere l'applicazione del dettato del Referendum sul Sistema idrico integrato relativo alla eliminazione della voce del 7 per cento garantito come remunerazione del capitale investito, chiedendone l'attuazione agli Ati (Ambiti territoriali integrati) cui compete di fissare la tariffa, non procedendo ad alcun adeguamento delle tariffe della fornitura dell'acqua”.
Con lo stesso atto, viene impegnato l'Esecutivo di Palazzo Donini ad “inserire strumenti partecipativi riconosciuti affinché la gestione del bene comune avvenga attraverso la partecipazione della rappresentanza cittadina e dei lavoratori, in quanto portatori di interessi diffusi e radicati nel territorio, di saperi e di conoscenze”.

OLIVIERO DOTTORINI (capogruppo IdV), primo firmatario della mozione, ha illustrato l'atto spiegando che: “Una larga e prevalente fetta di opinione pubblica italiana è convinta che l’acqua sia un bene comune e un diritto umano fondamentale ed è quindi sbagliato considerarla un bene economicamente rilevante, per questo va sottratto al mercato e gestito da un soggetto giuridicamente pubblico. Il voto del referendum (12 e 13 giugno 2011) ha affermato la gestione pubblica e partecipata dell’acqua. Oltre 27 milioni di italiani si sono recati alle urne e circa il 95 per cento di questi ha votato a favore delle proposte del Comitato referendario. Le stesse persone hanno votato anche la difesa dei servizi pubblici locali dalle strategie di privatizzazione. Questa mozione mira alla esclusione della remunerazione del capitale investito pari al 7 per cento dal calcolo della tariffa idrica. Solo in pochi e limitati casi in Italia si è provveduto ad attuare quanto previsto dal referendum. Il risultato del referendum è stato riconosciuto anche dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini chiedendo di dare attuazione a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale e dall’esito del referendum. Gli ATI hanno recentemente assunto deliberazioni che sembrerebbero addirittura andare contro il dettato referendario rispettato, sembra, soltanto dall’ATI n. 3. Lo stesso assessore Rometti ha recentemente inviato una nota alle Autorità di ambito umbre per dare seguito all’abrogazione della remunerazione del capitale investito dal gestore privato considerando che la tariffa idrica deve prevedere la sola copertura integrale dei costi del servizio e non altri oneri aggiuntivi. Con questa mozione intendiamo impegnare la Giunta regionale a operare da subito, in tutte le sedi deputate, per ottenere l’applicazione del dettato del referendum in relazione all’eliminazione della voce del 7 per cento garantito come remunerazione del capitale investito, chiedendo attuazione agli ATI di fissare la tariffa e non procedendo ad alcun adeguamento delle tariffe alla fornitura dell’acqua. Si vuole impegnare inoltre la Giunta a avviare iniziative rivolte a inserire strumenti partecipativi riconosciuti affinché la gestione del bene comune avvenga attraverso la partecipazione della rappresentanza cittadina e di lavoratori in quanto portatori di saperi, di conoscenze e di interessi diffusi e radicati nel territorio. Su questo tema, come su tutti quelli che interessano la gestione dei beni comuni e la tutela dei diritti diffusi, la politica deve mantenere alta l'attenzione e le istituzioni agire per evitare che prevalgano tentazioni affaristiche o richiami ultraliberisti che, per giunta, spesso vengono declinati in modo monopolistico”.
SILVANO ROMETTI (assessore regionale Ambiente): “L'Umbria, nelle politiche del settore idrico, ha dimostrato negli anni posizione avanzate, pianificando un Piano regionale degli acquedotti e con il Piano di tutela delle acque ha previsto obiettivi di assoluta qualità. Nei fondi Fas, che la Regione ha ricevuto, la fetta più importante di risorse è destinata proprio al ciclo idrico integrato, soprattutto al versante depurazione. Sul versante della gestione, il messaggio del referendum risulta chiaro. In Umbria, sostanzialmente ci troviamo di fronte a gestioni completamente pubbliche o a gestione a maggioranza pubblica. La Regione Umbria, come già specificato nel Dap, intende portare avanti questa concezione. Abbiamo già comunicato agli ATI il fatto che nella tariffa debbono essere previsti solo i costi di gestione del servizio. Viene detratto l’utile che poteva essere previsto in tariffa, mantenendo la previsione per gli investimenti. L’attuazione del referendum è legato anche ad alcune norme che dovranno essere emanate dal Governo nazionale. Va ricomposto un quadro normativo coerente e organico, in linea e coerente con l’impostazione emersa dallo stesso referendum. Voglio ribadire che, nella tariffa, gli investimenti e il loro costo possono essere inseriti, non possono essere inseriti gli utili per la gestione”.
DICHIARAZIONI DI VOTO
GIANLUCA CIRIGNONI (Capogruppo Lega Nord): “voteremo favorevolmente a questa mozione, di cui condividiamo il dispositivo, tant'è che abbiamo anche presentato una proposta di legge per l’inserimento nello Statuto regionale del riconoscimento dell’acqua come bene pubblico. Bisogna rispettare quello che gli stessi cittadini nel referendum hanno chiesto: togliere la parte di utile nelle tariffe relative alla gestione dell’acqua del servizio idrico. Per quanto riguarda Umbra Acque, che è il gestore del servizio idrico integrato più grande, c’è una mia interrogazione che giace senza risposta da ormai tre mesi in Consiglio regionale”.
DAMIANO STUFARA (capogruppo Prc-Fds – firmatario della mozione): “Voteremo a favore di questa mozione condividendone appieno le ragioni, le opportunità e l'intervento di Dottorini. Nel giugno dello scorso anno 27 milioni di italiani hanno dato un messaggio alla politica e al legislatore di grande nettezza sulla necessità di garantire un bene comune come l’acqua nella sua natura pubblica. Mi rallegro del fatto che il Dap abbia impegnato il Governo regionale a operare in difesa dell’esito referendario e sono particolarmente lieto del passo compiuto dall’assessore Rometti nei confronti degli Ati dell’Umbria per sollecitarli ad ottemperare a quello che gli italiani hanno detto e rispettare l’abolizione della quota del 7 per cento sul capitale investito”.
RAFFAELE NEVI (capogruppo PdL): “Basta poco assessore Rometti per conquistarsi la fiducia. È bastato trasmettere una lettera del Ministro, agli Ati per conquistarsi la fiducia di chi invece in teoria dovrebbe badare agli atti concreti. Vorrei ricordare che quella 'letterina' crea un po’ di problemi. Forse qualcuno non si è accorto che si rischia di far saltare investimenti milionari sulle infrastrutture. Così gli Ati ti dicono: basta che mi dai i soldi in cambio e facciamo tutto. Quella lettera non produrrà nulla, fin quando non ci sarà un intervento puntuale e preciso, che miri a risolvere i problemi sul tavolo. Per il contenuto manifestamente ideologico della mozione, che intende consolidare i risultati di un referendum, avvenuto in un momento particolarissimo, voteremo contro”.
MASSIMO BUCONI (Capogruppo Psi): “Questa mozione la ritengo totalmente inutile in quanto la Giunta regionale ha già provveduto, con proprio autonomo atto, a scrivere alle società di gestione di attenersi al dettato referendario e di non considerare il 7 per cento. È chiaro che non intendiamo andare contro la volontà popolare che, tra l’altro, condividiamo pienamente. Non crediamo che tutte le esperienze riferite alla gestione delle acque in forma associata o in forma mista da parte delle amministrazioni in Umbria siano esperienze da buttare. Nel merito la mozione non produrrà effetti perché l’effetto è già stato prodotto”.
LUCA BARBERINI (PD): “Ribadiamo con fermezza la volontà di rispettare l’esito referendario. Apprezziamo molto l’intervento dell’assessore Rometti che ha chiarito la questione e ha toccato i diversi aspetti che vengono evidenziati in questa mozione. Il servizio idrico è indiscutibilmente un bene pubblico, deve essere un bene accessibile, un bene fruibile, universale, ma deve anche prestare molta attenzione alla qualità dei servizi che devono essere prestati. La qualità necessita di risorse che possono essere pubbliche, ma che debbono garantire e tutelare la qualità di un servizio irrinunciabile per i cittadini. Non ci convince la differenza che viene rappresentata tra il contenuto della mozione, condivisibile e le affermazioni utilizzate all’atto della presentazione. Quello che è scritto nella mozione è troppo diverso rispetto a quanto, invece, affermato nella relazione di presentazione da parte di Dottorini. Avremmo preferito modificare alcuni punti, tuttavia votiamo la mozione perché sostanzialmente ci convince”.
SANDRA MONACELLI (UDC): “Non parteciperò alla votazione su questa mozione che ritengo essere una farsa. Lo si capisce perfettamente dal tenore delle ultime dichiarazioni, ad esempio quando alcuni consiglieri della maggioranza (Buconi e Barberini), dicendo e non dicendo, sostanzialmente affermano: siamo divisi su tutto, persino sull’acqua, ma per fare vedere che invece andiamo perfettamente d'accordo la mozione la votiamo. Siccome è imbarazzante questa forma di unanimismo/immobilismo che si vuole affermare con questo nuovo corso, io non ci sto ed uscirò al momento del voto”.
PAOLO BRUTTI (IdV): “I presentatori della mozione hanno diritto di esprimerla e raccontarla come meglio credono, cercando magari di trovare maggiori consensi. I presentatori hanno detto quello che secondo loro sta alla base della motivazione, comunque della mozione si vota il dispositivo. Noi dobbiamo mettere in equilibrio due esigenze: che il bene pubblico 'acqua' venga erogato e reso disponibile nella migliore delle condizioni, cosa che richiede anche l'utilizzazione, la messa a disposizione di risorse finanziarie provenienti dalla tariffa o da altre fonti, e su questo siamo d'accordo. Ma, constatata questa esigenza, è giusto rispondere alle aspettative del voto dei cittadini. La mozione, in sostanza, dice che: fino a quando non avrete fatto le riduzioni del 7 per cento non proseguite a fare ulteriori aumenti. L’assessore Rometti ha già indicato la sua volontà, ma ora è necessario sostenere il tutto con uno strumento di cogenza rispetto al passato”.

Le spine di Passera. Dal "salva" e "cresci" Italia alla recessione

di Mario Pianta, da il manifesto, 29 marzo 2012

Dopo le rose di Monti, le spine di Passera. Il ministro dello sviluppo economico nell’audizione alla Camera ha parlato di recessione lunga, di stretta del credito, di manovre in arrivo nella forma di un”pacchettone che tocchi la vita delle famiglie” ogni “2-3 mesi”
Nello stesso giorno l’Ocse calcola che nel primo trimestre il Prodotto interno lordo italiano è caduto dell’1,6% rispetto all’anno precedente. Ce n’è abbastanza per far cadere la Borsa di Milano del 3,3%, e per riportare lo spread tra i tassi d’interesse dei titoli italiani e quelli tedeschi a 3 punti percentuali e mezzo.

La recessione italiana è una “non notizia”. Tre mesi fa il Fondo monetario aveva già annunciato per il 2012 una caduta del Pil del 2,2%, che si aggiunge alla scivolata del 2008 (-1,2%), al crollo del 2009 (-5,1%), e al ristagno di 2010 e 2011. L’intera Europa (Germania esclusa) è in recessione, ma l’Italia cade più in fretta degli altri. La novità è piuttosto misurare la crisi con il moltiplicarsi dei suicidi di lavoratori disoccupati e artigiani senza lavoro.

Erano state le rassicurazioni di Mario Monti sulla tenuta dell’Italia a far dimenticare il declino economico del paese e i conti pubblici che continuano a non tornare. 
Secondo i dati Confindustria oggi la produzione industriale resta del 22% inferiore al livello dell’aprile 2008, prima dell’arrivo della crisi: in quattro anni abbiamo perso oltre un quinto della produzione e si può solo sperare di rallentare la perdita, non di recuperare la china. Questo potrebbe significare quest’anno 800 mila posti di lavoro perduti, mentre le richieste di cassa integrazione continuano a crescere. La riforma Fornero, da questo punto di vista, appare come lo strumento per consentire alle imprese di liberarsi senza difficoltà di un quinto della propria capacità produttiva e forza lavoro. Ma che tipo di economia – e di paese – avremmo dopo una trasformazione di questo tipo?

L’idea del governo è che produzione e occupazione potrebbero riprendersi non appena le banche torneranno a offrire credito e si realizzino le “riforme strutturali” con più concorrenza e meno costi e tutele del lavoro. 
A fine 2011 la Banca centrale europea ha offerto alle banche europee 489 miliardi di euro a tassi dell’1%. Ora il Ministro (e banchiere) Passera ci dice che quasi nulla di quella liquidità – pari a quasi un terzo del Pil italiano – si è trasformata in credito per imprese e famiglie. Non dice che ha consentito alle banche di tappare i buchi dei propri bilanci comprando titoli pubblici che nei paesi in difficoltà rendono oltre il 6%. Quanto alle “riforme strutturali”, non c’è liberalizzazione delle farmacie che possa creare nuova occupazione, né libertà di licenziare che possa attirare investimenti cinesi. Il nodo - che il governo italiano e i vertici europei continuano a ignorare – resta la ripresa della domanda e la direzione dello sviluppo.

Nulla di risolto anche sul fronte della spesa pubblica. Per lo stato la recessione significa circa 15 miliardi di minori entrate fiscali, molto più dei proventi aggiuntivi che potranno venire dalla riduzione dell’evasione fiscale. Ci sono forse 15 miliardi da spendere in più per interessi sul debito pubblico, oltre gli 80 miliardi del 2011. E il “patto fiscale” firmato a Bruxelles ci imporrebbe di rimborsare circa 50 miliardi di euro l’anno. La spirale della crisi del debito non si è fermata, le politiche di austerità aggravano la recessione, le rigidità ideologiche del governo aggravano la crisi sociale. E anche la popolarità del governo Monti - e il consenso ad un liberismo estremo e tardivo - potrebbe precipitare di fronte alla recessione più grave dal dopoguerra.

Ma fino a qualche mese fa non avevamo bisogno del nucleare?

“Lo sviluppo delle rinnovabili, unito alla stagnazione della domanda, sta rendendo difficile la copertura dei costi di produzione degli impianti convenzionali, mettendone a rischio la possibilità di rimanere in esercizio”.  
Parola del presidente dell’Enel Paolo Andrea Colombo. Un’affermazione di cui abbiamo ampiamente illustrato il significato e la portata, ma di cui resta da valutare un aspetto a dir poco sorprendente: ma Colombo è a capo della stessa Enel che insieme ai ministri Scajola e Romani fino a meno di un anno fa ci voleva convincere che l’Italia non poteva fare a meno di dieci (DIECI) centrali nucleari per aggiungere all’attuale produzione di elettricità un ulteriore 25%?
Per chi ha cuore lo sviluppo delle rinnovabil e della democrazia energetica (e quindi politica) le parole di Colombo non lasciano presagire nulal di buono, ma almeno un effetto positivo sembrano averlo: mettono definitivamente un apietra sui sogni nucleari dei grandi oligopolisti.

Rinnovabili, le paure dell'Enel
"A rischio impianti convenzionali"

Allarme del presidente dell'azienda elettrica Andrea Colombo: "Più fonti verdi e meno consumi, le centrali tradizionali faticano a guadagnare". Nel mirino gli incentivi a eolico e fotovoltaico  

di VALERIO GUALERZI, La Repubblica



A lanciare quello che per i grandi produttori di energia è un allarme rosso è il presidente dell'Enel Paolo Andrea Colombo. "Lo sviluppo delle rinnovabili, unito alla stagnazione della domanda, sta rendendo difficile la copertura dei costi di produzione degli impianti convenzionali, mettendone a rischio la possibilità di rimanere in esercizio", ha lamentato oggi Colombo.

Le ultime conferme di come sta irreversibilmente cambiando il sistema di produzione e distribuzione dell'energia è arrivata non più tardi dell'altro ieri dal rapporto Comuni Rinnovabili di Legambiente 2. "Dal 2000 ad oggi 32 TWh da fonti rinnovabili si sono
aggiunti al contributo dei vecchi impianti idroelettrici e geotermici: è qualcosa di mai visto,
che ribalta completamente il modello energetico costruito negli ultimi secoli intorno alle fonti fossili, ai grandi impianti, agli oligopoli", si legge nel dossier.

Una lettura che non è ormai solo degli ambientalisti. Quanto è accaduto negli ultimi anni, spiegava il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, fa sì che ci sia "poco spazio per altre grandi centrali termoelettriche e questo impatta sul monopolio energetico nazionale". "Ma ormai questo - concludeva Clini - è lo schema sul quale stiamo lavorando". E allo stesso incontro anche il rappresentante di un'istituzione tradizionalmente cauta e conservativa come l'Autorità per l'energia ammetteva per bocca del suo presidente Guido Bortoni che "il paradigma è cambiato e il mondo dell'energia così come l'abbiamo conosciuto fino al 2008 non tornerà mai più".

Il problema, agli occhi dell'Enel, è che quel mondo prevedeva una serie di impianti costati fior di investimenti ma che per essere redditizi hanno bisogno di produrre a ritmi ormai ampiamente superflui. In termini numerici a dare un'indicazione del fenomeno è l'ex consigliere di amministrazione di Enel G. B. Zorzoli, oggi presidente della sezione italiana dell'International Solar Energy Society, in un'intervista al sito Qualenergia. "Questi (impianti, ndr) per ripagarsi dovrebbero funzionare circa 4-5mila ore l'anno, invece ne stanno funzionando, quando va bene, 3mila. Il ridotto uso dei cicli combinati si traduce anche in miliardi di metri cubi di gas in meno, con un innegabile vantaggio in termini ambientali e di bilancia dei pagamenti, ma con un danno economico per chi vende gas".

Queste centrali servono infatti ormai sempre più come stabilizzatori della produzione, per dare continuità alla quantità di energia immessa in rete a fronte della inevitabile variabilità nella produzione da rinnovabili (legata alla quantità di sole e vento). Un compito che in un futuro sempre meno lontano dovrebbe essere svolto dalla cosiddetta "rete intelligente" (la smart grid) e dai sistemi di accumulo e back up.

Un'evoluzione che Enel conta di rallentare (è stata anche oggetto di un duro scontro nei mesi scorsi con Terna 3) andando innanzitutto a rivedere il conto energia che nelle sue diverse versioni ha sino ad oggi fatto da volano a questa rivoluzione. Per questo Colombo ha invocato una "razionalizzazione degli incentivi" che consenta una maggiore efficienza, che "eviti gli sprechi inutili e garantisca lo sviluppo selettivo dei progetti". "Tenuto conto dell'emergenza finanziaria - ha detto intervenendo alla Terza Conferenza del diritto dell'energia del Gse - è ragionevole attendersi un'adeguata ridefinizione dei meccanismi incentivanti".

La riformulazione del conto energia (con il varo della sua quinta edizione), i nuovi incentivi per le rinnovabili extra fotovoltaico e quelli per le rinnovabili termiche sono in queste ore allo studio del governo 4 e stando alle prime indiscrezioni i provvedimenti andrebbero a colpire duramente il settore. Sul fatto che le concessioni fatte fino ad oggi siano state troppo generose, soprattutto alla luce del crollo dei prezzi dei moduli solari, è ormai opinione condivisa. L'orientamento politico iper punitivo mostrato sino ad ora dal governo (di "storuture insostenibili e da correggere" ha parlato anche oggi il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera) spaventa però gli operatori del comparto, alimentando più di un sospetto sul fatto che possa essere in qualche maniera ispirato proprio dagli interessi dei grandi gruppi come Enel. Emblematico, al riguardo, il giallo della bozza 5 circolata nei giorni scorsi e attribuita direttamente a un ghost writer di Enel. Circostanza seccamente smentita dall'azienda, senza però convincere l'autore della denuncia, il senatore del Pd Francesco Ferrante.

"Anche oggi - afferma il parlamentare democratico - Enel entra a gamba tesa sul tema dell'incentivazione alle rinnovabili, collegando lo sviluppo delle rinnovabili alle difficoltà incontrate sul mercato dalla produzione di energia elettrica da fossili. Le cose sono due: o si tratta di disinformazione o di una sorta di confessione di chi guarda al passato e ha paura del futuro. Sono comunque dichiarazioni gravi, a cui rispondiamo con argomentazioni fondate, ad esempio con l'autorevole studio dell'Università Bocconi diffuso proprio oggi, che stima i benefici netti delle Fer (fonti rinnovabili elettriche, ndr) al 2030 in 79 mld € nei prossimi vent'anni, suddivisi tra maggiore occupazione, mancato import combustibili fossili, export netto dell'industria e riduzione del prezzo di picco dell'energia".

31 marzo. Nessuno conti sulla nostra rassegnazione di Jacopo Venier*

Tutte e tutti a Milano il 31 Marzo . Ci sono momenti in cui un fatto politico può cambiare ciò che sembrava scontato.  Il 31 marzo è uno di questi.
Se la manifestazione di Milano “Occupyamo Piazza Affari” riuscirà a tutti sarà chiaro che anche in Italia esiste una opposizione sociale e politica che mette in discussione le fondamenta stesse su cui si fonda il Governo Monti-Napolitano.  
Aver scelto di contestare per la prima volta a viso aperto l’egemonia della finanza sulla politica andando a sfilare nella tana del lupo è un atto di sfida radicale che non resterà senza conseguenze. Chi ha indetto la manifestazione è infatti uscito, speriamo definitivamente, da ogni politicismo elettoralista, dai calcoli tattici, dalla estenuante attesa per le dinamiche dei gruppi “dirigenti”, per prendersi la responsabilità di chiamare la sinistra politica italiana ad uscire da ogni ambiguità andando al cuore del problema. Si accettano o no le compatibilità imposte dalle dinamiche del dominio del capitalismo finanziario? E se non si accettano si ha il coraggio di proporre l’unica realistica soluzione e cioè il non pagamento di un debito che è il guinzaglio che incatena i popoli?
Chi sfilerà per le vie di Milano sabato prossimo manderà quindi un doppio segnale.
Il primo arriverà diretto al Governo PD/PDL/Terzo Polo . Monti ha chiarito che il suo scopo principale è far ingoiare agli italiani le medicine della BCE senza troppe resistenze. Finora c’è riuscito. Lo scopo della manifestazione è prima di tutto quello di mettere in moto un percorso di lotte e mobilitazioni che alzi il prezzo politico e sociale delle scelte antipopolari.  Non è facile ma è decisivo. Se si romperà la “pace sociale” Monti avrà in sostanza fallito e una opinione pubblica, fino ad ora annichilita dalla mancanza di una reale alternativa, potrà trovare la forza di identificarsi con chi ha avuto il coraggio della sfida.
Il secondo messaggio arriverà a quelle forze “democratiche” che hanno sostenuto o hanno fatto finta di contrastare l’operazione politica Monti/Napolitano magari sperando, o illudendosi ancora, nella chimera delle elezioni anticipate con il porcellum. Sia i numeri che i contenuti politici della manifestazione di sabato  dovrebbero infatti dimostrare che appunto è finita l’epoca dei funambolismi e dei tatticismi e che bisogna dire “pane al pane e vino al vino” e cioè che con chi sta al Governo con i banchieri, la Cei e Berlusconi non è possibile pensare di costruire una alternativa.
Monti rappresenta uno spartiacque della storia politica italiana come lo furono Berlusconi e Craxi prima di lui. Sono personaggi che danno corpo ad un cambio d’epoca, ad un diverso rapporto tra politica ed economia, ad una diversa idea di democrazia.  Si è passati dalla democrazia della partecipazione a quella delle partitocrazie alla telecrazia. Oggi siamo alla fine della rappresentanza in nome del denaro.
C’è chi lo ha capito per tempo denunciando, ancora ai tempi di Berlusconi, come si stesse aprendo una nuova fase dove il dominio passava nelle mani delle banche e chi fatica ancora oggi a lasciarsi alle spalle il rimpianto della felice epoca dell’antiberlusconismo dove bastava urlare più forte, e collocarsi un poco più a sinistra del manovratore, per raccogliere qualche voto e partecipare alla scena politica anche a prescindere dei contenuti e delle scelte.
L’apparente paradosso è che alla “morte della politica” rappresentata da Monti si deve rispondere con la nascita di una nuova politica.
Politica come partecipazione e costruzione dal basso e sul nulla di nuovi insediamenti sociali capaci di contrapporsi alle dinamiche di dominio dentro e fuori i luoghi di lavoro, politica come sfida al presente in nome di un futuro non utopistico ma possibile ed anzi probabile proprio perché capace di rispondere alle crisi dell’oggi, politica come luogo della crescita e della selezione di gruppi “dirigenti” che siano disposti a sporcarsi le mani costruendo sul campo una nuova credibilità della sinistra. Politica come capacità di innovare, di cambiare prima di tutto noi stessi, di uscire dalle ristrette sette che praticano le logiche dell’autoriproduzione, per aprire luoghi aperti ma chiari dove, a partire dai contenuti, ci si possa organizzare democraticamente per far valere la logica dei numeri, perché la battaglia per l’egemonia presuppone la fine di ogni dirigismo, elitarismo e minoritarismo.
Per tutte queste ragioni è importante che a Milano ci troviamo in tante e tanti; che la manifestazione riesca nei numeri e nel simbolico.
Il 1 aprile potremmo davvero fare un bello scherzo a chi ha pensato di poter contare sulla nostra rassegnazione.
 
* Direttore di Libera Tv, attivista del Comitato No Debito

Italia: un mondo alla rovescia



Quasi 11 milioni di italiani non pagano l’Irpef 
E i dipendenti battono gli imprenditori



I dati del ministero dell'Economia. Il reddito medio dei contribuenti è di circa 19mila euro, uno su 3 dichiara meno di 10 mila euro, solo uno su 100 ha un reddito superiore ai 100mila euro. Le regioni "più ricche" sono Lombardia e Lazio

I lavoratori dipendenti sono più ricchi degli imprenditori. Questo, almeno, è quanto dicono le analisi delle dichiarazioni dei redditi diffuse oggi dal dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia. Secondo le cifre delle dichiarazioni Irpef, i primi dichiarano un reddito medio di 19.810 euro, i loro datori di lavoro hanno invece un reddito medio di 18.170 euro. Il dato degli imprenditori è calcolato, si legge nel dossier, “con riferimento ai soli contribuenti che non dichiarano perdite”.

Gli imprenditori, insomma, sono i lavoratori più poveri nel 2010. Andando a salire seguono i dipendenti e gli autonomi (che è la categoria “più ricca” con una media di reddito di 41.320 euro). Il reddito dei pensionati è, invece, di 14.980 euro, mentre è di 16.500 euro il reddito cosiddetto “da partecipazione“, cioè redditi d’impresa, derivanti dai profitti conseguiti nell’esercizio d’imprese commerciali, nel caso di società di persone.

I dipendenti tornano ad aumentare. I lavoratori dipendenti sono più di 20,9 milioni (cioè il 50,37% dei contribuenti): dopo un vistoso calo nel 2009 (-273.746), dovuto alla fase più acuta della crisi economica, nel 2010 tornano a crescere (+56.557). Se si considera il reddito complessivo posseduto il valore medio sale a 21.810 euro. Circa l’82% dei dipendenti dichiara un’imposta netta, per un valore complessivo di 90,7 miliardi di euro (61% del totale imposta netta dichiarata) ed un valore medio di 5.300 euro. Più di 3,7 milioni di dipendenti non dichiarano imposta netta per effetto sia di livelli di reddito che rientrano nelle fasce di esonero, ma soprattutto per l’utilizzo delle detrazioni. Conseguentemente, le retribuzioni erogate nel 2010 sono quasi 425 miliardi. Analizzando la composizione del reddito complessivo si evidenzia un’incidenza di circa il 91% del reddito da lavoro dipendente.

Undici milioni a reddito zero. Sono quasi 11 milioni (10,7), stando alle statistiche del ministero dell’Economia, i contribuenti che dichiarano zero, cioè che in pratica non pagano l’Irpef. Si tratta di contribuenti a basso reddito compresi nelle soglie di esenzione o la cui imposta lorda si azzera con le numerose detrazioni del Fisco. Più di 4 milioni sono dipendenti.

Reddito medio di 19mila euro. Il reddito medio degli italiani è di 19.250 euro. In un anno il reddito è cresciuto dell’1,2%. Il 49% dei contribuenti italiani ha un reddito complessivo lordo annuo che non supera i 15mila euro l’anno. Un terzo invece non supera i 10mila euro. Solo l’1% dei contribuenti italiani invece dichiara redditi superiori ai 100mila euro. I contribuenti con redditi dichiarati superiori ai 300mila euro sono invece 30.590, lo 0,07% del totale. Si tratta in quest’ultimo caso della platea potenziale del contributo di solidarietà del 3 per cento che verrà applicato negli anni d’imposta 2011-2013. Di questa fascia fanno parte circa 7.800 pensionati e 18mila lavoratori dipendenti.

I lombardi i più ricchi. La regione con reddito medio complessivo più elevato è la Lombardia (22.710 euro), seguita dal Lazio (21.720 euro), mentre la Calabria ha il reddito medio più basso con 13.970 euro.

Le detrazioni. Le detrazioni per lavoro dipendente e pensioni ammontano nel 2010 a 41,9 miliardi di euro, mentre quelle per carichi di famiglia ammontano a 11,4 miliardi. Gli oneri deducibili, pari a circa 22 miliardi di euro, registrano un complessivo aumento dello 0,9% rispetto al 2009. Da qui gli sconti sull’Irpef, secondo il ministero, valgono 50 miliardi di euro. Gli oneri deducibili sono stati pari a 22 miliardi di euro, mentre gli oneri detraibili al 19% hanno pesato per 28 miliardi. Sono deducibili, come noto, le spese che comportano una diminuzione del reddito, mentre sono detraibili quelle che garantiscono uno sconto sull’imposta da pagare.

Gli incrementi percentuali maggiori riguardano i contributi per servizi domestici e familiari (+31,5%) e i versamenti per la previdenza complementare (+16,7%). Riguardo agli oneri detraibili al 19% (circa 28 miliardi di euro), si registra una flessione dello 0,6%, determinata principalmente dalla riduzione degli interessi passivi relativi a mutui (in particolare si assiste a un calo del 28% degli oneri relativi ai mutui per recupero edilizio).

Circa 15 milioni di contribuenti dichiarano oneri detraibili per spese sanitarie, per un totale di 13,6 miliardi di euro; i due terzi di questa cifra sono concentrati nei contribuenti con reddito superiore a 20.000 euro. In forte aumento le spese per la riqualificazione energetica detraibili al 55 per cento (+23%) e le spese per il recupero edilizio detraibili al 36% (+12%). Tra le detrazioni fanno la parte del leone quelle relative alle spese sanitarie che sono utilizzate da oltre 15 milioni di contribuenti; seguono, nella frequenza delle detrazioni che risultano nelle dichiarazioni Irpef, le spese per assicurazioni e quelle per i mutui.

Ma la crisi non ferma la solidarietà. La crisi tuttavia sembra non interrompere gli slanci di solidarietà: nel 2010 quasi un milione di contribuenti (915 mila) ha effettuato nel 2010 erogazioni liberali a favore delle Onlus.

Aumentano le spese per le badanti. Tra le particolarità emerge che in un anno sono aumentati i contribuenti italiani (sono 18mila circa in più) che hanno dichiarato di aver sostenuto spese per addetti all’assistenza personale (badanti), con un incremento del 21,8% dell’ammontare totale delle spese.

Imposta media di 4800 euro. L’imposta netta Irpef sui redditi del 2010 ha un valore medio di medio di 4.840 euro e segna un aumento del 2,5% (+120 euro) rispetto ai 4.720 euro del 2009. L’imposta “positiva” è dichiarata da circa 30,9 milioni di soggetti, il 74 per cento del totale contribuenti. L’addizionale regionale Irpef ammonta complessivamente a 8,6 miliardi di euro (+3,7% rispetto al 2009) con un importo medio per contribuente pari a 280 euro, mentre quella comunale ammonta a circa 3 miliardi (+0,4%) con un importo medio pari a 120 euro. L’addizionale regionale media più alta si registra nel Lazio (440 euro), seguito dalla Campania (360 euro), mentre l’addizionale regionale più bassa si registra in Puglia e Basilicata (180 euro).
 
Fonte: Il fatto Quotidiano

Con la Tariffa puntuale a Capannori differenziata oltre il 90%


TIA PUNTUALE: LA RACCOLTA DIFFERENZIATA SALE AL 90%
Prima dell’estate nuove estensione a Lammari e Marlia e, entro l’anno,  in tutto il comune. Incremento di 8 punti nelle 8 frazioni dove è praticato il sistema sperimentale. Quasi dimezzati i rifiuti non riciclabili

Ha raggiunto quota 90% la differenziata nelle 8 frazioni in cui si sta sperimentando la Tia puntuale, che premia i cittadini più virtuosi che conferiscono meno rifiuti non riciclabili nella raccolta “porta a porta”. Dopo due mesi dall’introduzione di questo sistema, dunque, la percentuale di differenziata è salita di otto punti, partendo dall’82% certificato dalla Regione Toscana per il 2011. A febbraio, inoltre, la quantità di rifiuti indifferenziati si è pressoché dimezzata, scendendo da una media di 20 tonnellate mensili a 11,2 tonnellate. A queste si aggiungono 7,9 tonnellate di carta, 30,5 tonnellate di organico, 12,4 di plastica, tetrapak e metalli e 7,6 di vetro. Sono questi i risultati più significativi che emergono dall’analisi dei dati elaborati dal Comune di Capannori e da Ascit.
“Siamo molto soddisfatti di come sta procedendo la sperimentazione – afferma l’assessore all’ambiente, Alessio Ciacci -. I cittadini, grazie anche alla disponibilità degli operatori di Ascit e delle associazioni che hanno distribuito il kit e il materiale informativo, hanno ben compreso i vantaggi economici e ambientali che derivano dalla Tia puntuale. In particolar modo registriamo una particolare cura nella corretta differenziazione e una maggiore attenzione a come produrre meno rifiuti non riciclabili. E’ per questa serie di motivi che stiamo progettando la seconda estensione di questo sistema, che interesserà Lammari e Marlia, importanti frazioni della zona nord. Sarà effettuata prima dell’estate per poi arrivare a coprire, entro la fine dell’anno, tutto il territorio”.
La tia “puntuale” è stata introdotta a gennaio 2012 in 1678 famiglie e 350 utenze non domestiche delle frazioni di Guamo, Coselli, Badia di Cantignano, Vorno e Verciano e di parte di Parezzana, Toringo e Massa Macinaia. Ha un funzionamento semplice, che permette ai cittadini che producono meno rifiuti non differenziabili di avere una bolletta più leggera. In pratica viene applicato un sistema di calcolo della bolletta più preciso e più equo, basato sul numero di ritiri dei sacchi di colore grigio. Ogni famiglia viene incentivata a selezionare i materiali riciclabili in modo da ridurre al minimo la quantità dei rifiuti residui da smaltire. In sintesi, più si riducono i conferimenti dei rifiuti indifferenziati, più viene ridotta la tariffa d’igiene ambientale. La sperimentazione della Tia puntuale prevede l’utilizzo di sacchetti “radiobag” dotati di un adesivo al cui interno è inserito un chip di tipo rfid con il codice identificativo di ciascun utente, che viene letto direttamente dagli operatori Ascit con un apposito dispositivo.
Procede in maniera molto soddisfacente per amministrazione comunale e Ascit anche la divisione del vetro (bottiglie, bicchieri e vasetti), che viene ritirato il sabato ogni 15 giorni, dal multimateriale leggero (flaconi, lattine, barattoli, tetrapak) introdotta da gennaio con la Tia puntuale.
Grazie a queste iniziative, dunque, Capannori fa un altro passo in avanti verso l’obiettivo “Rifiuti Zero” a cui il Comune ha aderito per primo in Italia.


fonte: http://www.ciaccimagazine.org/

L' Art. 18 non si tocca - Maurizio Landini - Dal Blog di Beppe Grillo

Scelte politiche precise

Sono 20 anni che l'idea che il mercato da solo può risolvere i problemi è stata utilizzata. Siamo di fronte a una situazione di una gravità senza precedenti e il problema oggi in Italia non è quello di licenziare più facilmente, ma è di superare la precarietà, di creare nuovi posti di lavoro, di investire per un diverso modello di sviluppo, di tutto questo non si sta parlando e invece dovrebbe essere questo il centro dell’azione del governo. E' bene saperlo, l’Art. 18 dice una cosa molto precisa, che se un lavoratore individualmente è licenziato senza una giusta causa ha diritto a essere reintegrato nel suo posto di lavoro. Con il provvedimento del governo ci troveremmo nel paradosso che una persona può essere ingiustamente licenziata, ma non ha più diritto a tornare a lavorare dove era prima, gli danno solo un po’ di soldi, è evidente che questo permette a qualsiasi imprenditore di inventarsi quello che vuole per lasciare a casa chi gli sta sulle scatole. Questo è un elemento che mette in discussione la libertà di qualsiasi persona, compreso il fatto che nel nostro paese lo Statuto dei lavoratori nasce negli anni 70 anche dentro un’idea in cui le persone possono organizzarsi collettivamente, contrattare liberamente la propria condizione. Quello che sta succedendo in questo periodo, penso in particolare alla FIAT, rende evidente che non è vero che in Italia non ci sono più le discriminazioni, non ci sono più gli imprenditori che fanno le discriminazioni, perché in FIAT siamo di fronte al fatto che chi è iscritto alla Fiom o Pomigliano non viene assunto e a Melfi che 3 persone sono state licenziate, l’azienda non le vuole riassumere, nonostante che il giudice abbia affermato che il licenziamento è stato un licenziamento discriminatorio, che sono stati licenziati perché sindacalisti scomodi della Fiom C.G.I.L. Va anche tenuto conto che il Governo Monti sta facendo le cose che la BCE in agosto aveva chiesto al governo: mettere mano alla riforma delle pensioni, rendere più facili i licenziamenti. Siamo di fronte a risposte che si danno non per i bisogni che hanno le persone, ma per richieste fatte dalla banca centrale, per ragioni finanziarie e economiche che non c’entrano niente con gli interessi dell’Italia, con gli interessi delle persone che in Italia dovrebbero lavorare per poter vivere.
Questo è un governo che è stato eletto in Parlamento e che ha una maggioranza in Parlamento che nessun altro governo ha avuto e le scelte che sta facendo sono scelte politiche. Prima hanno cancellato il sistema pensionistico in Italia, oggi pensano a un intervento sul mercato del lavoro che non è solo di cancellazione dell’Art. 18, ma una conferma della precarietà e non c’è un’estensione degli ammortizzatori sociali, quindi stanno facendo delle scelte politiche precise, insisto troppo vincolate dai diktat che arrivano dalla Bce. Noi della proposta di modifica del mercato del lavoro, non solo non condividiamo la modifica dell’Art. 18, ma non siamo neanche convinti degli altri provvedimenti. Per esempio si dice che bisogna ridurre la precarietà, e a parole sono tutti d’accordo, ma in quel provvedimento non si riduce la precarietà, per farlo bisogna cancellare forme di lavoro inutili, in Italia ci sono 46 forme di lavoro precarie, quante ne hanno cancellate? Si riducono a 6/7? Si portano davvero a alcune forme e basta dove il contratto e l’assunzione a tempo indeterminato hanno la centralità? Non mi pare che funzioni così, anzi, quella riforma rende possibile a un’impresa di avere tutti i dipendenti interinali o che non hanno nessun rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Uno dei problemi è combattere la precarietà, così come anche si dice "
Quella riforma serve per estendere le tutele, il reddito a tutte le persone, anche ai giovani", anche questo non è del tutto vero, perché la cassa integrazione che è pagata dai lavoratori e dalle imprese, non viene estesa a tutte le imprese, a tutti i lavoratori perché per avere la disoccupazione bisogna avere lavorato 52 settimane negli ultimi due anni e un sistema di questo genere non estende le tutele a tutte le persone, mentre ci vorrebbe un sistema universale dove chi lavora, a prescindere dal rapporto di lavoro, in un’azienda o in un’attività dove c’è una crisi temporanea, deve avere il sostegno al reddito della cassa integrazione e se perdi il lavoro devi avere un periodo di sostegno al reddito garantito come condizione e dignità da affrontare. Questi temi dentro alla riforma non ci sono e uno dice "Ma le risorse dove si trovano?" Questo governo dovrebbe cominciare a prendere i soldi dove finora non li ha mai presi, 120 miliardi di evasione fiscale, 60 miliardi per la corruzione, senza contare il livello di illegalità e di spese inutili. Quindi bisognerebbe lì prendere i soldi, istituendo anche una patrimoniale e cioè chi è ricco e si è arricchito in questi anni anche sul piano finanziario dovrebbe pagare e quelle sono le risorse che servirebbero a riformare il mercato del lavoro, ma soprattutto il problema che oggi non viene affrontato è come si creano nuovi posti di lavoro.

Rappresentanza sindacale

Il problema non è rendere più facili i licenziamenti, ma che i giovani, le persone non trovano posti di lavoro. Il problema è come si costruiscono nuovi posti di lavoro. Come si affronta un’idea diversa di politica industriale. Di tutto questo non si sta discutendo.
Le cose da fare per far ripartire il paese e uscire dalla crisi, debbono affrontare le 3 ragioni che l'hanno prodotta: 1) c’è una diseguaglianza nella distribuzione del reddito senza precedenti e il primo problema è come si redistribuisce la ricchezza, aumentando anche i salari e istituendo un sistema fiscale giusto, che non vuole dire che tutti debbono pagare. Debbono pagare meno i lavoratori dipendenti e i pensionati, gli unici che pagano le tasse in questo paese al 100%. 2) c’è un nuovo modello di sviluppo da affrontare, in Italia non c’è un piano nazionale per i trasporti, non c’è un piano nazionale per la mobilità, non c’è un piano nazionale per le energie rinnovabili, non c’è un piano nazionale per la manutenzione del territorio, allora bisognerebbe mettere in campo piani straordinari di investimenti pubblici e privati che mettono al centro la qualità del prodotto, la sostenibilità ambientale delle produzioni che si fanno, la necessità di estendere delle tutele sociali e dei diritti e bisognerebbe aprire una discussione sulla riduzione degli orari di lavoro, in questa fase va incentivato anche fiscalmente chi sceglie di redistribuire il lavoro riducendo gli orari di lavoro e allargando e tutelando i posti di lavoro in questa direzione.
Interi pezzi della nostra struttura industriale rischiano di sparire perché vanno a investire in altri posti in giro per il mondo e non c’è alcun intervento invece che vincoli gli investimenti nel nostro paese, c’è un ritardo sull’innovazione e la ricerca, l’Italia è il paese che in Europa spende meno sulla ricerca e sull’innovazione dei prodotti sia pubblici che privati, allora affrontare il tema non è quello di rendere più facile i licenziamenti o di rendere più precarie le persone, c’è bisogno di una diversa politica economica e, in questo senso, ci siamo espressi anche contro le grandi opere, perché non è detto che quella sia l’esigenza di questo paese, molto spesso si è dimostrato che le grandi opere sono anche un luogo dove l’illegalità, l’appalto, il subappalto e la malavita organizzata. In un paese dove basta che ci sia un alluvione e non si sa cosa succede, se c’è un terremoto non si sa se si è in grado di ricostruire, la manutenzione del territorio e un piano straordinario di ricostruzione che abbia a cuore anche ambiente, cosa produci, perché lo produci, quale sostenibilità ambientale e sociale ha, dovrebbe essere il nuovo orizzonte in cui il governo, le regioni, le università, le imprese, il lavoro discutono per costruire un nuovo sistema e in questo ci vorrebbe una nuova democrazia, penso poi che sul piano sociale ci sono temi non affrontati da questo governo che riguardano il fatto che in Italia non c’è una legge sulla rappresentanza sindacale!
Perché c’è divisione? Perché ci sono tanti accordi separati e perché alle lavoratrici e ai lavoratori è negato il diritto di poter votare sempre per eleggere i delegati che vogliono e di poter votare sempre per approvare i propri contratti, non sotto ricatto ma in modo libero, questa legge non c’è, anzi il governo Berlusconi prima di andare via ha fatto una legge, l’Art. 8 che dice che in Italia un’azienda può non applicare i contratti nazionali, può derogare dalle leggi, può scegliersi il sindacato che ritiene più opportuno, penso che queste leggi vadano cancellate e che occorra lavorare per applicare la Costituzione nel nostro paese ribadendo che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, allora il lavoro deve avere dei diritti, deve diventare la base su cui si costruisce un nuovo modello di sviluppo.
Il lavoro inteso come diritti nel lavoro, come diritto delle persone attraverso il lavoro di realizzarsi e di poter utilizzare tutta l’intelligenza di cui dispongono. Per questo ci vorrebbe non un governo tecnico, ma un governo eletto dal popolo che dicesse con chiarezza prima di essere eletto, cosa intende fare e avere un mandato, delle persone per poterlo realizzare.

Diritti di civiltà

Di fatto sul piano del lavoro si introduce l’idea che è possibile licenziare e anche se non hai ragioni, paghi una multa e sei a posto, quindi è una regressione, vuole dire tornare indietro di 50 anni e naturalmente sul piano economico,vuol dire affermare l’idea, sbagliata che lasciando fare al mercato si risolvono i problemi. Sono 25 anni che si sta lasciando fare il mercato, la precarietà che c’è in Italia è la più grande d’Europa. Siccome c’è una gran discussione sul modello tedesco, uno prima di parlare dei licenziamenti, dovrebbe porsi la domanda "Perché in Germania un lavoratore metalmeccanico prende il doppio che in Italia e lavora meno che in Italia e nonostante ciò le aziende tedesche vengono più auto che quelle italiane?" Perché c’è un problema che riguarda gli investimenti, la qualità dei prodotti, i progetti complessivi e soprattutto si è investito sul lavoro! Penso che sia assolutamente sbagliato proseguire su questa strada, quindi mi auguro che il governo cambi idea e le decisioni prese dalla C.G.I.L. di proclamare 16 ore di sciopero, fino a arrivare allo sciopero generale di tutti i lavoratori nei prossimi mesi, sia un fatto importante e sia la condizione per poter far cambiare idea a questo governo e per provare a risolvere in modo diverso la crisi che stiamo vivendo! Siccome questi temi non riguardano solo le persone che lavorano, non riguardano solo i metalmeccanici, siamo di fronte a diritti di civiltà, ma riguardano anche quelli che oggi sono giovani o un lavoro non ce l’hanno e hanno davanti a sé solo un futuro di precarietà, l’invito che faccio è partecipare, essere presenti, scendere in piazza insieme alle lavoratrici e lavoratori, insieme per provare a costruire un nuovo futuro, diverso da quello che il Governo Monti e questo Parlamento sta disegnando per noi. Per queste ragioni saluto tutti, fatevi vedere in piazza e fatevi sentire!
 

giovedì 29 marzo 2012

Un "Pagliaro" di banalità - Vittorio Malagutti, Il Fatto Quotidiano

Il posto fisso? “Scordatevelo, perchè la vostra generazione avrà molte meno risorse a disposizione della nostra”. Parola di Renato Pagliaro, presidente di Mediobanca, un manager che da 31 anni lavora nella stessa banca, che è poi la prima e unica che l’ha assunto. Un tipo con questo curriculum ha ovviamente una conoscenza approfondita delle difficoltà (eufemismo) dei giovani alla ricerca di un lavoro. E quindi, con una scelta davvero azzeccata, Pagliaro è stato chiamato a parlare proprio di questo argomento a una platea di oltre 300 ragazzi delle scuole superiori. L’incontro si è svolto lunedì nell’auditorium del liceo classico Carducci di Milano e gli studenti si sono sentiti rivolgere frasi di questo tipo. “Cercate di fare meno vacanze e trovatevi un impiego, così entrerete presto nell’ottica organizzativa”. Certo, l’ottica organizzativa è importante. Ci si mette pochissimo a capirla, soprattutto quando ti spediscono a fare fotocopie durante gli stage non pagati. Però non vi sarà sfuggito il senso profondo del suggerimento, nato sicuramente da un’analisi approfondita della realtà italiana e della crisi di molte aziende. Insomma: per trovarvi un impiego trovatevi un impiego. Facile.

Poi, una volta entrati nell’ottica giusta, “non bisogna sottovalutare il lavoro manuale”, suggerisce Pagliaro. Vero. Basta con tutti questi laureati che pretendono pure di trovare un impiego allineato alla loro preparazione universitaria. Poi però Pagliaro dovrebbe anche spiegare perchè l’Italia ha un numero di laureati molto inferiore a quello degli altri grandi paesi europei. Oppure perché sono troppi i laureati in certe materie piuttosto che in altre. Niente. Il presidente di Mediobanca comunica però che “da noi si è sempre preferito il lavoro dietro una scrivania”. Vi sembra una banalità? Del tipo “qui una volta era tutta campagna” oppure signora mia non ci sono più le stagioni di una volta”? É solo un’impressione, oppure un errore del giornalista del Corriere della Sera che nell’edizione di ieri ha fatto la cronaca dell’illuminato (e illuminante) discorso di Pagliaro. Il quale, va detto per completezza di informazione, è anche vicepresidente dello stesso Corriere della sera.  
Consigli per il futuro: “Non abbiate paura di fare figli per insicurezza economica”. Al limite li potete ospitare insieme a voi nella casa dei nonni, visto che le banche non concedono mutui ai lavoratori precari. E che sarà mai? Pagliaro, da esperto banchiere, uno che ne ha viste di tutti i colori, ci informa che “nessuno ha diritto al credito”. Beh, dipende. Se per esempio vi chiamate Ligresti e possedete un’assicurazione tipo la Fondiaria, vedrete che Medio-banca vi presterà un miliardo di euro. Non vi chiamate Ligresti? Peggio per voi
Magari poi vi capita di frequentare una scuola pubblica e di trovare un tipo come Pagliaro (2,5 milioni di stipendio l’anno scorso) che vi viene a dare qualche saggio consiglio sul vostro futuro. Andate a lavorare che è meglio. Lavoro manuale s’intende.