lunedì 30 aprile 2012

DISONESTÀ ELETTRICA di Leonardo Mazzei, http://sollevazione.bolgspot.com


L'Enel nel mondo (clicca per ingrandire)

L'aumento delle bollette e le lacrime di coccodrillo del presidente dell'Enel

 
Fino ad un anno fa la dirigenza dell'Enel diceva «o nucleare o buio»; con la stessa faccia tosta oggi piange per la sovrapproduzione che riduce la redditività del termoelettrico tradizionale. Poco onesti allora o poco onesti oggi? Poco onesti ieri ed oggi.
Ieri appoggiavano il ritorno all'atomo, ma badando bene di assicurarsi l'immissione in rete del chilowattora nucleare, bypassando così la stessa borsa elettrica, come se si trattasse di una fonte rinnovabile. Oggi strillano contro gli incentivi all'eolico ed al solare (settori dove l'Enel è piuttosto debole), ma guardandosi bene dal citare gli affari lucrosi di cui l'azienda ha beneficiato con il CIP6 e con i certificati verdi nell'idroelettrico e nel geotermico, dove l'Enel ha una posizione dominante. 
In questi giorni in molti hanno capito come la partita elettrica vada facendosi pesante. Ed è una partita in cui viene ora utilizzata un'arma di distruzione di massa: l'aumento del 10% delle tariffe. Un primo aumento (5,8%) è già scattato il 1° aprile, mentre il secondo del 4% andrà in vigore a maggio. Un 10% in due mesi in un periodo di recessione, di salari bloccati e tagliati dalle tasse, di pensioni falcidiate, di disoccupazione crescente. Un'enormità decretata dall'«Autorità per l'energia», e presentata all'opinione pubblica come la conseguenza dell'aumento del prezzo del petrolio e degli incentivi alle rinnovabili. Un'enormità che ha soprattutto un preciso obiettivo politico: condizionare le scelte del governo sulla quinta versione del "conto energia", in modo da colpire le rinnovabili, favorendo gli inquinanti impianti termoelettrici dei big del settore, Enel in primis. 
Il gioco è alquanto spudorato. Gli stessi che invocavano il nucleare, come vi fosse una carenza di energia elettrica, oggi si lamentano della domanda insufficiente. Leggiamo cosa ha dichiarato il presidente dell'Enel, Andrea Colombo: «Lo sviluppo delle rinnovabili, unito alla stagnazione della domanda, sta rendendo difficile la copertura dei costi di produzione degli impianti convenzionali, mettendone a rischio la possibilità di rimanere in esercizio» (daRepubblica del 30 marzo). Ci sarebbe da ridere. Fino a ieri si sosteneva la necessità di nuovi impianti convenzionali (meglio se nucleari) da mettere in esercizio, oggi ci si accorge che alcuni di quelli in funzione dovranno essere fermati a causa della sovrapproduzione. Eh sì, perché questo è il punto: la crescita delle rinnovabili porterà - ed è giusto e naturale che porti - alla progressiva chiusura delle centrali termiche, con un certo sollievo per i polmoni delle popolazioni che vivono vicine a questi impianti. Se così non fosse, a cosa servirebbero le rinnovabili? Il fatto è che molti erano favorevoli alle rinnovabili solo perché credevano che non avrebbero mai superato una certa soglia. Ma le cose non sono andate così. Le fonti rinnovabili coprivano il 15% dei consumi nel 2007, il 18% nel 2008, il 22% nel 2009, il 23% nel 2010, arrivando al 26% nel 2011. Un dato ancor più significativo, quest'ultimo, perché penalizzato da un forte calo dell'idroelettrico dovuto alla siccità dello scorso anno, ed ancora in corso. Il trend è chiaro, ed alcune centrali termoelettriche hanno ora un funzionamento di 3mila ore annue, contro le 4-5mila ritenute necessarie affinché questi impianti siano redditizi. Crisi da sovrapproduzione dunque, che ammette in via teorica solo 3 soluzioni: 
a) un aumento dei consumi superiore all'incremento dell'apporto da fonti rinnovabili, 
b) una progressiva chiusura programmata degli impianti termoelettrici a partire da quelli più inquinanti, 
c) uno stop più o meno brutale alle rinnovabili. 
La prima soluzione è palesemente impraticabile, sia perché la recessione porta con se un'inevitabile stagnazione dei consumi, sia perché - come abbiamo visto - il trend delle rinnovabili non lascia speranze in assenza di un pesante intervento legislativo (vedi soluzione c). La seconda soluzione sarebbe ovviamente quella auspicabile, ma richiederebbe una politica di programmazione industriale e la rinazionalizzazione del settore elettrico. Una prospettiva per la quale noi ci battiamo, ma che è vista con orrore dal dogma liberista dominante e da una dirigenza, come quella dell'Enel, nominata da governi tutti invariabilmente liberisti. La terza soluzione è dunque quella prescelta da lorsignori, con l'appoggio di un'«Autorità» assai poco autorevole come quella dell'energia. Citiamo da la Repubblica del 1° aprile: «L'Autorità dell'Energia ha spiegato che la possibilità di aumentare ulteriormente la bolletta dell'energia elettrica punta a dare un segnale ai "decisori" delle politiche energetiche impegnati a scrivere le nuove norme in materia di rinnovabili».Avete letto bene: «dare un segnale». Dunque si ammette che gli aumenti non corrispondono ad un effettivo costo di produzione, bensì - almeno in parte - alla volontà di «dare un segnale». Nell'interesse di chi a questo punto l'avranno capito anche i sassi. Ora, costoro, anziché «dare segnali» potrebbero ad esempio spiegarci quanto ha inciso sugli ultimi aumenti la speculazione borsistica (sì, anche nella borsa elettrica si specula ogni giorno e le speculazioni vengono pagate in bolletta) in occasione delle fredde settimane di febbraio. Ma possiamo star certi che di questo non gli chiederà conto alcuna forza politica né le organizzazioni sindacali del settore. Attacco dunque agli incentivi. Attacco in parte facilitato dagli abusi degli anni passati. Abusi di cui peraltro l'Enel si è giovata più di tutti. E' naturale che, di fronte alla riduzione dei costi degli impianti (ed in particolare dei pannelli fotovoltaici), si riducano proporzionalmente gli incentivi. Ma una cosa è la giusta riduzione, altra cosa la cancellazione o comunque la forte penalizzazione delle rinnovabili come pretende oggi l'Enel
Le scelte dei governi precedenti sono state per certi versi disastrose. Hanno favorito speculazioni di vario tipo, ma nessuno critica un aspetto decisivo di quelle scelte, quello di aver scaricato i costi degli incentivi sulle bollette. Dato che lo sviluppo delle rinnovabili risponde ad un'esigenza sociale generale, in termini ambientali e di salute, non sarebbe stato più giusto far ricadere quei costi sulla fiscalità generale?
Già ci immaginiamo le grida di dolore dei rigoristi bocconiani di fronte ad una simile ipotesi, che infatti il governo neppure prende in considerazione. Ma se è così, inutile lamentarsi allora dell'incidenza sulle bollette. Gli incentivi - benché gestiti in malo modo e senza alcuna programmazione industriale, al punto che l'Italia ha un passivo di 11 miliardi per l'importazione di pannelli solari! - sono stati decisivi nel far partire davvero le energie rinnovabili nel nostro paese. Tornare indietro sarebbe un vero crimine sociale ed ambientale, ma anche economico visto lo sviluppo del settore e l'occupazione che ha generato in questi anni. Eppure c'è chi lavora in questo senso. Nei giorni scorsi è stata prodotta una bozza sulla nuova regolamentazione del quinto «conto energia» assai penalizzante per le rinnovabili. Chi ha scritto quel testo? Ufficialmente non si sa, ma in alcuni ambienti parlamentari (in particolare del Pd) è stato attribuito ad un non meglio identificato ghost writer di Enel. L'azienda elettrica ha smentito, ma senza convincere troppo. Del resto, per come funziona la politica italiana, specie nell'epoca dei «tecnici», la cosa non stupirebbe più di tanto. Tantomeno dopo le pittoresche lacrime di coccodrillo di Paolo Andrea Colombo, nominato presidente dell'Enel dal governo Berlusconi, quando già era consigliere di amministrazione di Mediaset e Versace... a proposito di «tecnici» senza colore e senza macchia, e soprattutto senza pudore.

Brancaccio e Passarella: oltre il mainstream, a sinistra, di Francesca Coin, Il Fatto Quotidiano

Uno standard retributivo europeo, che consenta di contrastare la deflazione competitiva dei salari e di riattivare la domanda all’interno dei confini europei; il ridimensionamento del ruolo della finanza privata; un più ambizioso piano di politica industriale continentale; il rilanico della pianificazione pubblica dello sviluppo: sono queste le proposte di Emiliano Brancaccio e Marco Passarella in L’austerità è di destra (Il Saggiatore, 2012), il testo che in sole due settimane ha scalato le classifiche dei saggi di economia più letti in Italia.
Questo pamphlet, diverso dai testi analitici cui gli autori ci hanno abituato, dialoga con l’oggi a partire da firme fuorilegge, come Keynes, Marx o Hyman Minsky, sino a divenire una sorta di manuale del presente, un lavoro di generosità divulgativa che si propone di risalire pazientemente dagli effetti alle cause della metamorfosi sociale in corso. Già ne La crisi del Pensiero Unico Emiliano Brancaccio aveva tentato di ricucire la distanza tra la teoria economica e il vissuto sociale, aprendo varchi nella nebbia del paradigma dominante. Così L’austerità è di destra è un testo ricco di suggestioni da leggere dalla fine all’inizio, dalla rassegna bibliografica all’introduzione, nel tentativo di spiegare analiticamente quanto è avvenuto negli ultimi trent’anni.
Cominciamo dalla rassegna bibliografica, dove Oliver Blanchard ci ricorda che “la condizione della macroeconomia è buona” (p. 140), e il premio Nobel Robert Lucas ci rassicura che “il problema centrale della prevenzione della depressione è stato risolto” (p. 140). Il silenzio colpevole del mainstream fa da sfondo al testo, che dietro ai mantra di innovazione, efficienza, competitività, svela i processi di emoragia occupazionale e deflazione salariale che costellano gli ultimi tre decenni.
Gli autori richiamano così la mezzogiornificazione d’Europa, ciò che oggi Gallino definisce la terzomondializzazione d’Europa, e che Krugman già nel 1991 presentava come probabile conseguenza dell’introduzione della moneta unica nel continente. All’epoca, questi avvertimenti s’infrangevano sulle rassicurazioni di Oliver Blanchard e Francesco Giavazzi (2002), che di fronte al terremoto sociale in erba rassicuravano che l’ampliamento degli squilibri commerciali tra i paesi europei avrebbe rappresentato uno stimolo virtuoso all’integrazione finanziaria della zona euro. Erano anni di ottimismo, quelli. Le riviste di economia con più alto Impact Factor negavano alcun pericolo imminente, e i redattori de la voce.info non avevano ancora confessato che “questa è la più grande crisi della storia. [...] Nessuno di noi redattori, dobbiamo ammetterlo, l’aveva prevista” (p. 140).
L’ottimismo termina nel 2008. Fino ad allora la finanza privata era stata il primo motore della domanda. “La Banca Centrale creava moneta e la iniettava nel circuito delle istituzioni finanziarie private, così finanziando a debito una spesa destinata all’acquisto di ingenti volumi di titoli, azioni e immobili”. Quando scoppia la bolla immobiliare, il sistema economico si trova non solo “orfano di una robusta fonte di domanda e di una bussola per la produzione” (p. 15), in grado di assorbire come una spugna le eccedenze produttive mondiali, ma di interpretazioni teoriche condivise e sensate. La riluttanza ad accettare la fallibilità dei principi liberali, l’indebolimento dell’influenza marxista e keynesiana nelle accademie, legittimano austerità, pareggio di bilancio e contrazione della spesa proprio nel momento in cui le conseguenze del paradigma liberale diventano palesi a tutti.
Fatto il danno, evitateci almeno le soluzioni, verrebbe da dire. Va detto chiaro: non v’è soluzione all’attuale impasse entro il paradigma dominante. Oggi il paradigma dominante ha solo due cose da offrire: depressione e destra. Nei giorni in cui Tremonti mette in guardia contro il “fascismo finanziario”, il primo difensore delle pensioni in Olanda è Wilders, il leader xenofobo del Partito olandese delle libertà (Pvv), e in Francia il 35% dei voti delle classi popolari è andato a Marine Le Pen, gli autori giustamente ricordano come Keynes già nel 1919 ammonisse: “se diamo per scontata la convinzione che […] per anni e anni la Germania debba essere tenuta in miseria, i suoi figli rimanere nella fame e nell’indigenza, il paese circondato di nemici […], oso farmi profeta, la vendetta non tarderebbe”.
Rovesciare le ricette del paradigma dominante per uscire dal sadismo sociale: è questa, infondo, la lucida proposta dei due autori. Un processo coordinato di pianificazione produttiva, un motore economico che assolva al compito di trainare la domanda, il coordinamento e bilanciamento della contrattazione salariale e delle relazioni europee. Infondo, lo diceva anche Milton Friedman: in tempi di crisi “questa, io credo, è la nostra funzione principale: sviluppare alternative alle politiche esistenti, mantenerle in vita e disponibili finché il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile” (1982).

sabato 28 aprile 2012

Lettera aperta al Sindaco di Deruta ed alla cittadinanza

Lettera aperta al Sindaco di Deruta
ed alla cittadinanza
Oggetto: “PIAZZA BETTINO CRAXI”
Sig. Sindaco,
Le chiediamo, nuovamente, di rimuovere al più presto  la targa “PIAZZA BETTINO CRAXI” posta in uno spazio accessibile al pubblico, nel comune di Deruta.
Questo per i seguenti motivi:
·      Nella delibera del Consiglio Comunale, con la quale si è provveduto ad intitolare uno spazio pubblico “Piazza Bettino Craxi”, era espressamente previsto l’invio della delibera al Prefetto di Perugia affinché la sottoponesse alla Deputazione di Storia Patria per l’eventuale approvazione, come prevede la normativa che regola la materia in questione. 
Lei non l’ha inviata.
Le ricordiamo che l’omissione di atti di ufficio per il nostro ordinamento è un reato.
·      Anche se Lei riveste la carica di Sindaco, non ha l’autorità per intitolare una piazza a chicchessia, in particolare ad un personaggio pluricondannato e latitante come Bettino Craxi.
La legge conferisce questo potere alla Prefettura, non al Sindaco.
·      Alla petizione popolare, promossa dal nostro Comitato, per intitolare lo stesso spazio a“SANDRO PERTINI”, sottoscritta da 700 cittadini, non ha risposto secondo le modalità previste dallo Statuto Comunale.  Ufficialmente, non ha dato nessuna risposta, incorrendo anche in questa occasione nella omissione di atti di ufficio,
·      Alla nostra formale richiesta di esibire l’approvazione  da parte della Prefettura della delibera inerente “piazza Bettino Craxi” non ha dato nessuna risposta.
Forse tale approvazione non esiste?
Se quanto detto corrisponde a verità le consigliamo:
1)   di togliere immediatamente la targa in oggetto,
2)   di restituire al Comune di Deruta l’importo speso per l’acquisto, la collocazione, il costo per la rimozione e lo smaltimento della targa stessa, nonché tutte le spese per la manifestazione di inaugurazione, se pagate dal Comune di Deruta.
     (le ricordiamo che anche l’utilizzo improprio dei soldi dei cittadini è reato)
Se per la semplice intitolazione di una piazza è incorso in tanti ed evidenti errori ed irregolarità, non osiamo pensare come siano stati trattati gli altri provvedimenti amministrativi da Lei presi in questi anni. 
 
Ricordi che i cittadini di Deruta hanno diritto alla trasparenza degli atti amministrativi  così come hanno diritto ad ottenere risposte.
Il Comune è la casa di tutti, non è “COSA VOSTRA”
Comitato Deruta 26 Settembre - No Piazza Craxi

 

John Maynard Keynes spiega “Le conseguenze economiche di Mario Monti”

Da Keynesblog un testo di Keynes, aggiornato nei nomi e nei riferimenti, descrive  benissimo la situazione attuale, che, ora come allora,  scarica tutto il riequilibrio sul mercato del lavoro e sui salari. Il lupo perde il pelo...
Questo testo è stato scritto da Keynes nel 1925 come 5° capitolo del pamphlet “Le conseguenze economiche di Winston Churchill”. A parte qualche taglio ed attualizzazione (in quello scritto Keynes prevedeva la crisi che sarebbe arrivata quattro anni dopo, noi la stiamo già vivendo), ci siamo limitati a sostituire Churchill con Mario Monti (ed Angela Merkel), il gold standard con l’Euro, i minatori con i lavoratori in genere, La Banca d’Inghilterra con la BCE, il Tesoro di Sua Maestà con il governo e la Commissione UE e il cambio dollaro/sterlina con lo spread. E’ davvero sorprendente l’attualità del testo. Dopo 87 anni il dibattito è ancora lo stesso: far pagare la crisi a chi non può difendersi, oppure ribaltare la prospettiva, per il bene di tutto il Paese.

Devo scegliere il lavoro come la più illustre delle vittime della nostra politica monetaria. In queste circostanze i datori di lavoro propongono di ristabilire l’equilibrio con una riduzione dei salari, quale conseguenza della maggiore precarietà, indipendentemente dalla riduzione del costo della vita: il che vale a dire riducendo il livello di vita dei lavoratori, i quali dovrebbero sopportare questo sacrificio per permettere di sanare una situazione di cui non sono assolutamente responsabili, e di cui non hanno alcun controllo.

Il fatto che questa appaia una soluzione ragionevole è di per sé una pesante critica al nostro modo di dirigere gli affari economici (anche se ciò non implica affatto che debbano essere i datori di lavoro a subire la perdita). Come ad altre vittime della transizione economica del passato, ai lavoratori non si offre altra scelta che la fame o la sottomissione, mentre i frutti della loro sottomissione vanno a beneficio di altre classi.

Sul piano della giustizia sociale la riduzione dei salari dei lavoratori è insostenibile. Sono le vittime sacrificate al Moloch dell’economia, rappresentano in carne e sangue i “riassestamenti fondamentali” elaborati dal governo nazionale, dalla Commissione Europea e dalla Banca Centrale Europea per soddisfare l’impazienza con cui i sacerdoti dei “mercati” vogliono livellare i differenziali tra i tassi d’interesse dei titoli di stato dei paesi periferici rispetto a quello della Germania. I lavoratori sono il “modesto sacrificio” ancora necessario per garantire la stabilità dell’Euro. La critica situazione dei lavoratori è la prima, ma non l’ultima (a meno che non ci assista molta fortuna) delle “conseguenze economiche del Professor Monti” (e della signora Merkel).

La verità è che siamo al bivio fra due teorie della società economica. L’una sostiene che i salari dovrebbero essere determinati facendo riferimento a quanto è “giusto” e “ragionevole” in un rapporto tra classi. L’altra, la teoria del Moloch economico, afferma che i salari dovrebbero essere determinati dalla pressione economica, altrimenti detta “realtà dei fatti”, e che tutta la nostra grande macchina debba procedere a rullo compressore, tenendo presente soltanto l’equilibrio generale, senza prestare attenzione alle conseguenze che comporta sui gruppi sociali.

L’Euro, affidato com’è al puro caso, con la sua fede nei “riassestamenti automatici” e la sua grande indifferenza ai particolari di carattere sociale, è l’emblema sostanziale, l’idolo di quelli che siedono nella cabina di comando.
Ritengo che nel loro cinismo, nel loro vago ottimismo, nella loro confortante fiducia che nulla di veramente grave possa accadere, vi sia temerarietà infinita. Nove volte su dieci nulla di veramente grave accade. Ma se continuiamo ad applicare i principi di una politica economica elaborata sulle ipotesi del laissez-faire e della libera concorrenza, vediamo che si verifica il decimo caso e, fra l’altro, conduciamo il gioco stupidamente.

“Le conseguenze economiche di Winston Churchill” si può trovare nel volume “Keynes, Esortazioni e profezie” edito da “Il Saggiatore”.

Italo: un treno privato pagato coi soldi pubblici

E' partito stamattina tra gli squilli di tromba Italo, il nuovo convoglio ad alta velocità della società NTV. "Un treno tutto privato senza contributi pubblici" ha detto giorni fa Montezemolo. Ma è davvero così?
E' partito alle 7 di questa mattina da Napoli il primo Italo, il treno della società privata Ntv che da oggi fa concorrenza al Freccia Rossa di Trenitalia sull'alta velocità. Centottanta i passeggeri saliti a Roma Tiburtina, dove il treno, diretto a Milano, ha fatto tappa. Tra di loro anche l'amministratore delegato di Ntv, Giuseppe Sciarrone, soddisfatto della numerosa presenza di viaggiatori: "Qui sono molti - ha detto - e a Milano il treno é tutto pieno". "Un treno tutto privato e senza contributi da parte dello Stato" aveva rivendicato nei giorni scorsi Luca Cordero di Montezemolo, grande sponsor dell'operazione di affiancamento dei convogli privati a quelli pubblici. Ma è davvero così? In rete abbiamo trovato questo interessante articolo. 

Italo: il treno dei ricchi pagato dai poveri
ilsimplicissimus2.wordpress.com
Non c’è che dire, Luca Cordero di Motezemolo, magari non riesce a far andare le Ferrari, ma con il suo nuovo treno che da domani è in esercizio, è riuscito a mettere insieme tutte le più moderne tecnologie disponibile nel Paese. No, non parlo dei treni in sé che sono di produzione francese, ma di tutto quello che ci sta attorno, un vero gioiello, preso scegliendo il meglio del liberismo.
Dunque vediamo.
1) Ai lavoratori della Ntv (nuovo trasporti viaggiatori), grazie a Monti, non si applica il contratto nazionale, quindi la società può fare concorrenza sleale nei confronto degli altri gestori, ossia di Trenitalia. Ma anche questo aiutino professorale non servirà a ridurre i prezzi del biglietto perché si sa che nella visione moderna, la concorrenza è stata superata dai cartelli. E dunque l’Italo, nome dei convogli, fa prezzi praticamente uguali a quelli delle ferrovie “normali”. Al massimo costa 2 euro in meno e i tempi di percorrenza sono gli stessi. Il minor costo del personale finisce dunque tutto nelle tasche del medesimo Montezemolo e dei suoi due soci, Della Valle e Punzo.
2) Il nostro Cordero , in tempi più che sospetti, è riuscito ad assicurarsi la posizione di concessionario senza alcuna gara. L’aumento di valore della società è dunque schizzato alle stelle senza bisogno di alcuna particolare progettualità o idea e per di più paga a Trenitalia per l’uso dei binari e di tutto il know how, cifre di gran lunga inferiori a quanto avviene nel resto d’Europa. Ma ancora una volta il risparmio non va in tasca al cliente, ma ai tre porcellini.
3) In questo meraviglioso insieme non potevano mancare le scatole cinesi societarie. La maggioranza di Ntv è infatti detenuta da La MPD Holding, scatola vuota per usi futuri, costituita a sua volta da altre tre srl: la MDP Holding uno, la MDP Holding due e la MDP Holding tre. Le tre aziende appartengono, con quote paritetiche a Della Valle, Montezemolo e Gianni Punzo. Solo che le azioni del nostro ferroviere di lusso sono in realtà in mano ai due figli che ne hanno concesso l’usufrutto al padre, una gabola architettata in caso di discesa in politica di Monteprezzemolo.
Così abbiamo una società privata che sfrutta per pochi soldi le strutture della società pubblica, ossia di Ferrovie dello Stato che alla fine sono pagate da tutti i cittadini, compresi quelli che non potranno mai permettersi l’ Italo, ma in virtù di questa regalia non farà vera concorrenza né sui prezzi, né sui tempi di percorrenza, si “accontenterà ” di sfruttare il minor costo del lavoro. E naturalmente tutti gli ammodernamenti e la manutenzione delle linee sono e saranno in carico al pubblico.
Perfetto, modernissimo. Ma con un possibile finale a sorpresa. Il 20 % abbondante di Ntv appartiene a una società pubblica: non italiana però, ma alla celebre Societè nationale des chemin de fer, ovvero le ferrovie di Stato francesi. Nel caso le cose non dovessero andare bene al gentlemen driver e ai suoi soci, nel senso che potrebbero guadagnare anche meno di 100 volte l’investimento iniziale, ci vorrebbe niente a rifarsi rivendendo passo passo le azioni al colosso transalpino. Così avremmo una società pubblica straniera che sfrutta le strutture di una società pubblica italiana e i soldi dei suoi cittadini, potendo contare su un costo del lavoro inferiore a quelli del contratto nazionale. Più moderno di così si muore, mentre Montezemolo campa a meraviglia.

Tasse locali e tariffe. Salasso di classe

Una raffica senza limiti di aumenti tariffari e di tasse locali. Inutile metterci qui anche noi a rifare l'elenco: è lo stesso che fanno tutti i gionali. Però...
Però c'è una cosa che nessun giornale mette in evidenza: queste tasse "uguali per tutti" o quasi non sono affatto "eque". Pesano molto di più su chi ha poco che sui benestanti. L'Imu per un pensionato o un cassintegrato rappresenta spesso una tragedia, mentre per chi può disporre di qualche migliaio di euro al mese già diventa solo un'incombenza antipatica.
Lo stesso dicasi per acqua, luce, gas, i cui consumi hanno poche variazioni anche tra livelli di reddito molto differente.
Questo modo di procedere nel prelievo, dunque, ha caratteristiche "di classe" particolarmente evidenti. L'intenzione, chiarissima, è di impoverire al massimo la popolazione per costringerla ad accettare qualsiasi retribuzione, per qulasiasi lavoro, senza alcunché pretendere.

Due conti da la Repubblica:

La carica delle tasse locali, oltre mille euro a famiglia
Sindacati in trincea: "Così ci mangeranno del tutto la tredicesima di quest'anno". Alla vigilia delle elezioni, molti sindaci hanno già aumentato i tributi, altri lo faranno dopo
di ROBERTO PETRINI
LA carica delle tasse comunali continua. A pochi giorni dalla tornata elettorale che coinvolgerà circa mille amministrazioni locali, la pressione fiscale è in primo piano: Imu, addizionali Irpef, tassa dei rifiuti, imposta di soggiorno, tasse di scopo, Rc auto e Irpef regionale. Secondo l'"Osservatorio" della Uil servizi politiche territoriali i sindaci che hanno già deciso il rincaro dell'Irpef sono 341, i grandi Comuni che hanno deliberato rincari dell'Imu (già assai pesante) sono 24, quelli che hanno varato la tassa di soggiorno 495, mentre 12 capoluoghi hanno aumentato la Tarsu. Il costo medio è alto: 157 per l'Irpef comunale, 371 per quella regionale, 113 euro per l'Imu prima casa, 223 per la spazzatura. Tassa di soggiorno anche sui camping. In media più di 1.000 euro se ne andranno in tasse locali. Ma non è finita: entro il 30 giugno, dopo le elezioni, i Comuni potranno ancora aumentare l'Irpef e avranno tempo fino al 30 settembre per ritoccare l'Imu. "Giù le tasse", hanno chiesto Cgil, Cisl e Uil. "Ci mangeranno la tredicesima del 2012", ha avvertito il segretario della Uil Angeletti. 
L'addizionale comunale. Costeranno 157 euro pro-capite: a Roma l'aliquota più alta d'Italia Le ha sbloccate il governo Berlusconi e da allora 341 Comuni ne hanno approfittato, tra questi 8 città capoluogo. I Municipi possono aumentare l'addizionale dallo 0,1 allo 0,8 per cento e molti sindaci lo hanno fatto senza indugi. Ad esempio, a Palermo è passata dallo 0,5 allo 0,8; a Chieti dallo 0,7 allo 0,8; a Brescia dallo 0,2 allo 0,55; a Viterbo dallo 0,4 allo 0,5 per cento. Ferrara ha deliberato 3 aliquote per fasce di reddito passando da una aliquota unica dello 0,5 ad aliquote comprese tra lo 0,6 e lo 0,8 per cento. Roma, che ha l'aliquota più alta d'Italia, allo 0,9 per cento, ha confermato. Ma non è finita: la stragrande maggioranza dei Comuni potrà ancora agire, magari dopo le elezioni amministrative, perché c'è tempo fino al 30 giugno per deliberare l'aumento. Il costo medio pro capite sarà quest'anno di 157 euro. Il gettito 3,4 miliardi.
La tassa di scopo. Nessuno vuole l'Imu-bis, consumatori sul piede di guerra Per ora l'hanno applicata solo 20 Comuni, ma vista la fame di risorse che affligge i sindaci non è esclusa una escalation della tassa di scopo o Imu bis. Per metterla in campo bisogna impegnarsi a finanziare con il gettito un'opera pubblica, può durare fino a dieci anni e, se l'opera non viene realizzata, deve essere restituita al contribuente. Nata con il governo Prodi è stata confermata da Berlusconi e, da ultimo, da Monti che ha dovuto adeguare il meccanismo alla nuova Imu. Infatti la base imponibile dell'Imu-bis è la stessa dell'Imu: di fatto si tratta di una addizionale dello 0,5 per mille alla base imponibile dell'Imu, cioè la rendita catastale rivalutata. Il Codacons ha già messo le mani avanti e ha minacciato: se la tassa sarà applicata al di fuori dei suoi limiti sarà illegittima e scatteranno migliaia di ricorsi al Tar.
La tassa di soggiorno. Per i turisti fino a 35 euro al giorno, a Firenze e Venezia si paga il lusso Chi fosse già partito per il ponte, condizioni economiche permettendo, la troverà già operativa in molti centri. E' l'imposta di soggiorno: costa fino ad un massimo di 5 euro a notte. Solo in albergo? No. Anche il turismo low cost subirà la stangata. A Firenze, ad esempio, si paga 1 euro a notte anche per il campeggio, a Ragusa 1 euro per l'agriturismo, a Genova un euro per il B&B. I sindaci di città d'arte, di mare, montagna e collina si sono mossi con velocità: fino ad oggi l'hanno deliberata in 495. Introdotta dal governo Berlusconi e prevista dal federalismo municipale potrà dare un gettito che, secondo una stima approssimativa, è valutato in 1,2 miliardi. Per un soggiorno di una settimana in media si pagheranno 22 euro. Ma se si sceglie un albergo a cinque stelle a Venezia o a Firenze l'aggravio è di 35 euro a persona. Per una famiglia di quattro persone basta moltiplicare.
La Tarsu. Milano, Messina e Reggio Calabria, rifiuti e servizi più cari del 25-30% Le cartelle in molte città stanno arrivando in questi giorni: è maggio infatti il mese della Tarsu, la tassa sui rifiuti. Già 12 Comuni capoluogo hanno messo a segno o annunciato gli aumenti: a Messina il 30 per cento, a Reggio Calabria il 25 per cento, a Milano, dove il costo del servizio era fermo dal 2002, l'aumento sarà del 20 per cento. Rincari sono previsti anche a Torino, Siracusa, Bari e Latina. Si paga in base ai metri quadrati e dal prossimo anno arriverà un'altra sorpresa: la Tarsu cambierà nome in Tares, cioè tassa sui rifiuti e servizi. La parte rifiuti dovrà coprire il 100 per cento del costo del servizio (oggi è possibile anche posizionarsi più in basso), ma soprattutto si pagherà anche un forfait per illuminazione, anagrafe e così via: una sovrattassa che andrà dai 30 ai 40 centesimi al metro quadrato. Il costo non è irrilevante: 223 euro a famiglia per 7,2 miliardi.
L'imposta Rc auto. Colpiti gli automobilisti per finanziare le Province Anche le Province partecipano al balletto delle tasse. Nel carniere vantano l'imposta sulla Rc auto: la base è del 12,5 per cento, ma le Province possono aumentarla (o diminuirla) del 3,5 per cento. Dal 2010, da quando è in vigore il decreto sul federalismo fiscale varato da Tremonti e Calderoli, su 90 province 68 hanno approfittato dell'occasione. Di queste 34 lo hanno fatto quest'anno. Da Napoli a Bari, da Potenza a Torino gli aumenti sono arrivati fino al tetto massimo. In controtendenza solo la provincia di Firenze che ha diminuito l'imposta sulla Rc auto dell'1 per cento. Non si tratta di minutaglie: costa in media 133 euro ad automobilista e dà un gettito di 1,8 miliardi, il 40,9 per cento delle entrate proprie delle Province. A rendere ancora più doloroso l'intervento la prevista franchigia di 40 euro sulla deducibilità della tassa sulla Rcauto che va al Servizio sanitario nazionale (10,50 per cento) che sarà introdotta per finanziarie la riforma degli ammortizzatori sociali.
L'addizionale regionale. A maggio verifica sulla sanità, si rischia lo 0,3% in più La batosta non è stata ancora digerita e non sono escluse sorprese per il futuro. Lo sblocco delle addizionali regionali va attribuito al governo Berlusconi, ma l'esecutivo Monti - per far fronte all'emergenza - ha aumentato l'aliquota di base dell'Irpef regionale dello 0,33 per cento portandola all'1,23 per tutte le Regioni. A conti fatti si tratta in media di un esborso complessivo di 371 euro, aumenti compresi. Il gettito delle addizionali regionali è complessivamente di 11 miliardi di cui 2,4 miliardi relativi al recente rincaro. Il costo dell'inasprimento è stato di 76 euro in media testa per 40 milioni di contribuenti. L'effetto si è sentito sulle buste paga di gennaio-marzo e la coda si troverà nella dichiarazione dei redditi. Ma non è finita: a maggio ci sarà la verifica sui disavanzi sanitari e c'è il rischio che in alcune Regioni scatti l'incremento dello 0,3 già in vigore in Campania, Molise e Calabria.

Adottato in via definitiva Piano d’Ambito dei Rifiuti, “no” dei sindaci a Clini


UMBERTIDE - Con voto unanime, l’assemblea dell’Ambito Territoriale Integrato 1 dell’Umbria, riunita ad Umbertide, ha adottato in via definitiva il Piano d’Ambito per la Gestione Integrata dei Rifiuti e ha preso atto dei contenuti delle delibere approvate dai consigli comunali delle quattordici municipalità dell’Alta Umbria, che hanno dato parere favorevole al Piano ed espresso alcuni indirizzi sulla sua applicazione.
L’assemblea ha manifestato, sempre all’unanimità, la contrarietà delle amministrazioni del comprensorio al decreto preannunciato dal ministro all’Ambiente Corrado Clini, che prevede l’incenerimento dei rifiuti nei cementifici.
In questo contesto, i sindaci dell’Alta Umbria hanno condiviso l’impegno di promuovere e sviluppare la raccolta differenziata dei rifiuti, nella convinzione di fare una scelta di campo che potrebbe portare alla rivisitazione ulteriore del Piano Regionale dei Rifiuti sotto il profilo delle soluzioni legate all’impiantistica.
“Tutti i comuni hanno compiuto uno sforzo importante per arrivare all’adozione in via definitiva del Piano d’Ambito dei Rifiuti e siamo soddisfatti del lavoro che è stato fatto - commenta il presidente dell’Ati 1 Giampiero Giulietti – ora si tratta di dare seguito alle procedure per l’individuazione del gestore unico del servizio”.

La democrazia secondo Marchionne

Ferrari, Maserati e Cnh: Fiom espulsa e il sindacato passa in mano ai dirigenti

La rappresentanza sindacale in mano ai capi reparto: gli operai, col sindacato di Landini fuori, non sono più rappresentanti


In Ferrari, Maserati e Cnh la Fiom prende una valanga di voti, ma non valgono nulla. A vincere davvero è invece l’Assoquadri, l’associazione dei quadri e capi Fiat che nelle tre aziende modenesi del gruppo guidato da Marchionne fa il pieno, e in alcuni stabilimenti porta addirittura a casa la maggioranza dei delegati sindacali. Cosa vuol dire? Semplice: i delegati sindacali che dovranno fare gli accordi con i dirigenti del gruppo saranno i dirigenti stessi. In sostanza equivale a dire che non ci sarà trattativa.
 A rivendicare il successo la stessa Assoquadri, che già ieri in un comunicato spiegava come a livello nazionale “nelle 20 unità del gruppo Fiat dove ha presentato liste, su un totale di 130 Rsa eleggibili, l’Associazione Quadri e Capi Fiat ne ha conquistate 80, pari al 61% del totale”.
Voti inutili invece, perché la Fiat non li riconosce, quelli della Fiom. Tra Ferrari, Maserati e Cnh oltre 1200 preferenze. Al contrario di quello che è successo alla Magneti Marelli di Bologna però, a Modena il Tribunale del lavoro non si è ancora pronunciato sui ricorsi presentati contro Fiat, e quindi la Fiom resta esclusa dalle aziende del gruppo non avendo firmato il nuovo contratto in vigore da gennaio. Insomma: come passare dall’essere il primo sindacato in termini di voti (il 40%) e delegati (22 su 54) a sparire da tutti gli stabilimenti modenesi del gruppo. Se dentro le fabbriche la Fiom è bandita, fuori dai cancelli però invece resta viva e vegeta. A dimostrarlo il voto organizzato con banchetti di fortuna e urne volanti. In tutto un bottino di 1200 schede che comunque avranno un loro peso quanto meno politico. Nella pratica se si fosse votato regolarmente la maggioranza relativa delle preferenze sarebbe andata proprio alla Fiom. Esattamente come nelle scorse elezioni 2010.
A sorpresa dunque a fare la parte del leone è stata invece l’associazione dei dirigenti e capi Fiat (oggi si chiamano professional), che in alcuni stabilimenti ha fatto davvero il pieno. Come alla Cnh di San Matteo Modenese, dove nel 2010 i 9 delegati erano divisi tra i 4 Fiom, i 3 Uilm e i 2 Fim-Cisl. Ora l’Assoquadri, che prima non esisteva, ne conquista 5 e lascia le briciole alle altre sigle. Difficile spiegare il perché di un’avanzata così fulminante. Ci prova la Fiom, che parla di “decisione di Fiat di far crescere un sindacato piuttosto che un altro”. “In tutte le votazioni sindacali precedenti il disinteresse della Fiat era completo – ha spiegato Giordano Fiorani, segretario modenese della Fiom-Cgil – Questa volta c’erano i capi sulle linee che si aggiornavano con la Commissione elettorale per sapere in quanti avevano votato sino a quel momento, mentre ai lavoratori veniva detto che era bene non fermarsi troppo vicino al presidio della Fiom”. Gli operai hanno riferito di pressioni dei capi reparto e inviti a votare solo per i sindacati firmatari. Altrimenti, racconta un tecnico Ferrari, “la minaccia era quella di perdere il diritto di voto”. Segnalazioni del genere, a quanto riferiscono le ex rsu Fiom, ne sono arrivate a decine.
Al di là delle accuse, le votazioni ufficiali hanno visto una flessione dei partecipanti e un forte voto di protesta. Oltre il 20% delle schede sono risultate bianche o nulle. Segno evidente che non tutti i lavoratori hanno gradito l’impossibilità di votare Fiom. Ad esempio in Ferrari a votare per le Rsa sono stati in 1600, e su questi in 350 hanno preferito annullare la scheda o lasciarla bianca. Fuori dai cancelli invece la Fiom ha collezionato 723 voti, poco meno dei 790 del 2010.

venerdì 27 aprile 2012

Lettera aperta al Sindaco di Deruta ed alla cittadinanza


Lettera aperta al Sindaco di Deruta
ed alla cittadinanza

Oggetto: “PIAZZA BETTINO CRAXI”

Sig. Sindaco,
Le chiediamo, nuovamente, di rimuovere al più presto  la targa “PIAZZA BETTINO CRAXI” posta in uno spazio accessibile al pubblico, nel comune di Deruta.

Questo per i seguenti motivi:

·      Nella delibera del Consiglio Comunale, con la quale si è provveduto ad intitolare uno spazio pubblico “Piazza Bettino Craxi”, era espressamente previsto l’invio della delibera al Prefetto di Perugia affinché la sottoponesse alla Deputazione di Storia Patria per l’eventuale approvazione, come prevede la normativa che regola la materia in questione. 

Lei non l’ha inviata.

Le ricordiamo che l’omissione di atti di ufficio per il nostro ordinamento è un reato.

·      Anche se Lei riveste la carica di Sindaco, non ha l’autorità per intitolare una piazza a chicchessia, in particolare ad un personaggio pluricondannato e latitante come Bettino Craxi.
La legge conferisce questo potere alla Prefettura, non al Sindaco.

·      Alla petizione popolare, promossa dal nostro Comitato, per intitolare lo stesso spazio a“SANDRO PERTINI”, sottoscritta da 700 cittadini, non ha risposto secondo le modalità previste dallo Statuto Comunale.  Ufficialmente, non ha dato nessuna risposta, incorrendo anche in questa occasione nella omissione di atti di ufficio,

·      Alla nostra formale richiesta di esibire l’approvazione  da parte della Prefettura della delibera inerente “piazza Bettino Craxi” non ha dato nessuna risposta.

Forse tale approvazione non esiste?

Se quanto detto corrisponde a verità le consigliamo:
1)   di togliere immediatamente la targa in oggetto,
2)   di restituire al Comune di Deruta l’importo speso per l’acquisto, la collocazione, il costo per la rimozione e lo smaltimento della targa stessa, nonché tutte le spese per la manifestazione di inaugurazione, se pagate dal Comune di Deruta.
     (le ricordiamo che anche l’utilizzo improprio dei soldi dei cittadini è reato)

Se per la semplice intitolazione di una piazza è incorso in tanti ed evidenti errori ed irregolarità, non osiamo pensare come siano stati trattati gli altri provvedimenti amministrativi da Lei presi in questi anni. 
 
Ricordi che i cittadini di Deruta hanno diritto alla trasparenza degli atti amministrativi  così come hanno diritto ad ottenere risposte.

Il Comune è la casa di tutti, non è “COSA VOSTRA”

Comitato Deruta 26 Settembre - No Piazza Craxi