lunedì 14 gennaio 2013

Hollande e Miliband vanno a destra di carlo Formenti, Micromega

Le socialdemocrazie europee, abbandonato ogni residuo pudore, imboccano la strada del liberal liberismo senza voltarsi indietro. Per non lasciare a Monti la palma del politico europeo più deciso a sbarazzarsi dei residui lacci e laccioli che limitano lo strapotere padronale sulla forza lavoro, il presidente Hollande – che pure si era presentato come paladino di una politica economica non allineata al dogma liberista – sembra orientato a introdurre “riforme” non dissimili da quelle varate da Elsa Fornero in Italia.
Con la benedizione della maggior parte delle sigle sindacali (ad eccezione della CGT e di Force Ouvrière) e, ovviamente, delle associazioni imprenditoriali, il governo francese intende infatti varare alcuni provvedimenti atti a “semplificare” le relazioni industriali, allo scopo di attirare gli investitori stranieri, spaventati dalla eccessiva rigidità del mercato del lavoro in Francia. Con le stesse motivazioni – prive di fondamento – che abbiamo sentito ripetere fino alla nausea dal governo “tecnico” di Monti: così si creeranno più posti di lavoro, come è avvenuto in Germania (peccato che i livelli di occupazione tedeschi siano favoriti da tutt’altre ragioni: livelli di produttività – e di retribuzione! – più elevati, ma, soprattutto, possibilità di sfruttare la forza lavoro a buon mercato degli altri Paesi europei per delocalizzare, abbassando i costi di produzione per trainare le esportazioni), e si ridurranno le sperequazioni fra lavoratori garantiti e precari (cioè si abbasseranno le retribuzioni e le condizioni di lavoro dei primi al livello dei secondi!).
Allo squillo di tromba di Hollande risponde quello di Ed Miliband, il leader laburista inglese che, secondo i sondaggi, avrebbe buone probabilità di subentrare al conservatore Cameron alla prossima tornata elettorale. In un discorso tenuto qualche giorno fa davanti alla Fabian Society, Miliband ha decretato la fine del New Labour di Tony Blair, riconoscendo – bontà sua – che si è trattato di un’esperienza politica paurosamente sbilanciata a favore dei ricchi, ma ha anche tassativamente negato di voler ricondurre il partito alla tradizione “classista” dell’Old Labour (di questi tempi tutto ciò che odora anche lontanamente di tutela degli interessi delle classi subordinate viene liquidato come “vecchio”, “ideologico”, ecc.). Il futuro, ha dichiarato, appartiene allo One Nation Labour, formula che evoca il superamento delle divisioni fra poveri e ricchi, destra e sinistra, in nome degli interessi comuni (la favoletta di Menenio Agrippa, come si vede, è sempre di attualità, tornando buona ogniqualvolta si vogliono infinocchiare le classi subordinate convincendole di avere gli stessi interessi di quelle dominanti).
Per inciso, apprendiamo dalle sue parole che, fra le vittime sacrificali di questa improbabile armonia fra alto e basso, ci saranno i lavoratori migranti, il cui flusso Miliband si impegna a frenare, in ossequio agli umori della “gente comune” inglese, spaventata dalla concorrenza interetnica. Come volevasi dimostrare: più si insiste sul superamento della opposizione destra/sinistra più si va a destra.

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