venerdì 12 aprile 2013

Un anno sognato pericolosamente di Massimiliano Guareschi





In fondo, la ricetta si è rivelata geniale. Slavoj Zizek deve il proprio successo alla riproposizione di qualcosa che potrebbe apparire inesorabilmente datato e demodé, ossia il marxismo, nella sua declinazione leninista. A quel punto, il pericolo poteva essere quello di essere scambiato per un adepto di Lotta Comunista o di qualche altro gruppuscolo residuale. E allora perché non impacchettare il tutto in una cornice lacaniana, con tanto di reiterati riferimenti al Reale, all’Osceno, alla Forclusione o all’Altro (rigorosamente con la maiuscola) e spingere sull’acceleratore della contaminazione con la cultura pop? L’impatto è stato notevole, e planetario, accreditando Zizek come il punto di riferimento per un pensiero critico controcorrente rispetto ai canoni ormai consolidati del minimalismo teorico e del narcisismo delle piccole differenze. La produzione del filosofo e psicoanalista sloveno, nel frattempo, si è fatta quasi compulsiva. Se i testi più direttamente teorici, spesso e volentieri assai massicci per numero di pagine, possono risultare ripetitivi e ridondanti, più interessanti risultano in genere i volumi più agili scritti, a cadenze quasi fisse, a ridosso dell’attualità. Come la nottola di minerva hegeliana, Zizek si interroga alla fine dell’anno sul senso politico e filosofico dei dodici mesi appena trascorsi. Così avviene in Un anno sognato pericolosamente, dedicato al 2011, considerato “l’anno del risveglio della politica radicale di emancipazione in tutto il mondo”. Il bilancio, tuttavia, non è affatto trionfalistico, si parla immediatamente di “fragilità e spossatezza di quel risveglio”, con le rivoluzioni arabe che hanno aperto la strada a fratelli musulmani di vario tipo quando non a devastanti guerre civili e i vari Occupy consegnati a una inesorabile perdita di vigore. E tuttavia, per Zizek, i fatti del 2011 sono portatori di segni che parlano al futuro, e a un presente “perforato da tensioni crescenti che annunciano nuove esplosioni”. A patto che si sappia operare un salto di qualità. Al Reale capitalistico, e alla sua universalità, infatti, sarebbe necessario opporre un’universalità di segno opposto, incentrata sul partito, la lotta di classe, la dittatura del proletariato. Al di là del tono compiaciuto con il quale Zizek invoca, contro lo spirito del tempo, formule divenute tabù, si deve riconoscere che quei significanti alludono a problemi reali (con la minuscola) e imprescindibili: come organizzare le lotte? Come riattivare il conflitto di classe? Quali istituzioni immaginare per dare sostanza politica alle controcondotte dei movimenti? In sintesi, Zizek, come sempre, appare assai lucido nel sottolineare i limiti di un senso comune radical improntato al culturalismo, al dogma consolatorio della resistenza al potere e a una versione “colta” dell’antipolitica, anche se si può nutrire più di una riserva sul fatto che l’antidoto a tutto ciò possa essere costituito dall’atto di enunciare il lessico del marxismo-leninismo. 
 
Fonte: book detector 

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