mercoledì 4 settembre 2013

Pd e Pdl: "Simul stabunt, simul cadent" di Dino Greco, Liberazione.it


Nel suo tradizionale intervento domenicale su Repubblica, Eugenio Scalfari è tornato a “dare la linea” a dritta e a manca. Cominciamo con la destra, o centrodestra che dir si voglia, tanto in Italia fa lo stesso.
“I moderati - scrive Scalfari - debbono costruire una forma di rappresentanza politica che abbandoni totalmente il populismo e si configuri come una destra democratica ed europea…”.
Il tema, come si vede, è quello della “deberlusconizzazione” del Pdl che rappresenta l’aspirazione massima, non soltanto del ‘nostro’, ma del Pd o di una cospicua parte di esso.  Si tratta della “destra normale” che dovrebbe appaiarsi alla sinistra già ampiamente normalizzata, per poter finalmente vivere tutti (remember D’Alema) in un “paese normale”.
E quali sono le persone “che stanno già lavorando a quel progetto”? Scalfari le nomina, con investitura solenne: “Quagliariello, Lupi, Cicchitto e molti altri”. Incredibile, eppur vero, questi sono, per il maitre a penser di Repubblica, i rifondatori del Pdl. Di più: i demiurghi di una nuova destra, commestibile, addomesticata allo stato di diritto, non più eversiva, ma democratica ed europea.
Poi, si ha come la sensazione che Scalfari sia colto dal sospetto di averla sparata un po’ grossa, quasi si fosse reso conto di avere trascurato le ragioni culturali e storiche, prima ancora che politiche, che hanno trasformato l’Italia in un territorio esposto alle scorribande di tutti i peggiori lestofanti, che hanno fatto della cosa pubblica un mercimonio privato dove operano indisturbati ladri e malversatori, che hanno mandato al macero l’architettura costituzionale edificata nella sola fase rivoluzionaria della storia patria.
Questa improvvisa reminiscenza spinge Scalfari ad opportune considerazioni che però annullano l’ottimismo appena profuso pronosticando la fine dell’era berlusconiana. Sì, perché il fondatore diRepubblica riconosce che la riuscita dell’impresa “presuppone che in Italia esista una borghesia moderata capace di dare lo sfondo sociale ad una simile operazione”. Infatti: lo presuppone. Peccato che – continua Scalfari – “una borghesia moderata non c’è, anzi – per essere più chiari – in Italia non esiste una borghesia se con questa si intende una classe generale che abbia ad un tempo stesso un ruolo economico, sociale, politico”.
Parole sante. Che ci rimandano al gramsciano “sovversivismo delle classi dominanti”, alla compromissione del capitale nostrano con il regime fascista prima, col para-golpismo di Stato democristiano dell’era repubblicana poi, quindi con la mafia e, per un lungo tempo, non ancora sepolto, con la deriva dinastica parafeudale del caimano. Questo è il personale politico a cui la borghesia italiana ha di volta in volta, nelle sue trasformistiche evoluzioni, affidato il paese.
Per queste ragioni la caduta di Berlusconi dal proscenio principale non cambierà sostanzialmente le cose. Anche perché sull’altro fronte – come ricorda Scalfari – “non esiste più una classe operaia che sia anch’essa una classe generale”, munita cioè di un’idea e di un progetto di società. E, potremmo aggiungere, come non esiste più, a fortiori, una forza politica che ne forgi un punto di vista complessivo e indipendente. Tutto vero, purtroppo. I partiti, come “nomenclatura delle classi”, non esistono più. Esiste la dittatura del capitale, oggi nella sua più proterva versione finanziaria, usuraria e speculativa che occupa tutto il campo della politica organizzata. Con differenze, all’interno degli schieramenti che si contendono il potere, del tutto avulse dall’essenziale, cioè dalla natura dei rapporti sociali. Quelli sono già dati, una volta per tutte, fur ewig. Le coordinate di essi si tracciano a Francoforte, di là dall’Atlantico, nei santuari del Fondo monetario internazionale, nei club esclusivi “dove si puote ciò che si vuole”.
Sconfiggere Berlusconi, tuttavia, ha una doppia utilità. Quella di archiviare vent’anni di regressione medioevale e quella di seppellire – finalmente – l’alibi che tiene in ostaggio tutta la politica italiana: il conflitto che tutto assorbe e divora fra berlusconismo e antiberlusconismo, il gioco di specchi che lega in un abbraccio (per noi) mortifero il Pd e il Pdl.
Una volta sconfitto il “genio del male”, sarà possibile guardare là dove è stato vietato puntare lo sguardo, cioè nella materialità della politica reale, nella concretezza degli interessi in gioco, dove contano i fatti e non il duello propagandistico fra contendenti che hanno in comune più di quanto vorrebbero far credere.
Il Pd ha sino ad oggi lucrato molti consensi, dal “voto utile” in avanti, speculando sulla presenza del “nemico alle porte”, quello con cui, come poi si è visto, non disdegna di governare.
Quando la nebbia dovesse dissolversi e il Pd dovesse guadagnarsi i consensi non perché dall’altra parte c’è Berlusconi, ma in ragione della propria proposta, allora si potrà finalmente vedere quanto poca minestra bolla nel pentolone democratico.
Forse è proprio per questa inconfessabile consapevolezza che non pochi, in quel partito, si affannano per le sorti del caimano e tentano, più o meno sottobanco, di procurarne la riabilitazione.

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