lunedì 31 marzo 2014

La svolta autoritaria e il Grillo opportunista


Giovanni Favia ospite a ''Otto e Mezzo''Mago Belino e Lord Blog hanno deciso senza consultare nessuno che l’M5s sosterrà l’appello di Libertà e giustizia denominato “la svolta autoritaria”. Lo spirito di adesione del bi-leader all’iniziativa è lo stesso del torero che sottoscrive una campagna contro la violenza sugli animali. Grillo è il leader politico più autoritario ed allergico al dissenso d’Italia.
Anche la sua preoccupazione sul destino della Carta è strumentale ed ipocrita. Più volte l’ha attaccata definendola un “copione scritto dai partiti stessi” (in sfregio alla memoria dei padri costituenti) “blindata” e “quasi impossibile modificarla” in riferimento all’art 138. Salvo poi, quando il governo Letta voleva modificare lo stesso art. 138, gridare al golpe ed occupare i tetti della camera. L’ha accusata di essere causa, insieme ai media ed al finanziamento pubblico ai partiti, dell’attuale “dittatura” e le voleva dedicare persino un vaffanculo day, finalizzato ad una nuova stesura della stessa aprendola ad un confuso ed imprevedibile concetto di democrazia diretta. Dicasi stravolgerla completamente. Il bi-leader non ama per nulla la costituzione. E’ capace di cavalcare e montarsi qualsiasi cosa, purché sia funzionale a delegittimare gli avversari e a tirar su consensi.
Grillo è una minaccia alla nostra Costituzione, almeno quanto chi vuole superare il bicameralismo perfetto, eccezione per cui siamo unici al mondo. Fa più paura chi vuole rompere con lo sdoppiamento dei lavori parlamentari o chi vuole abrogare l’articolo 67, base di qualsiasi democrazia liberale?
Pensate che sia esagerato considerarlo una minaccia? Delira di una democrazia senza partiti ed il suo marketing politico, in un paese così confuso e in crisi, senza più vere culture politiche di riferimento buca terribilmente. Specie dopo aver invaso i talk show sempre pronti a genuflettersi in nome dell’audience.
M5s è il secondo partito italiano, ha un finto statuto depositato al viminale che è carta straccia. Grillo può direzionare il “movimento” come vuole, ne è padrone assoluto nonché titolare del consenso popolare e degli asset strategici quali dati sensibili, brand, sistemi di voto e dell’unica piattaforma comunicativa. Domani lo sarà anche degli assistenti parlamentari, che per nuovo regolamento, insieme al gruppo comunicazione, saranno tutti nominati dal socio in affari Casaleggio. E in un paese dove la politica è diventata comunicazione, chi controlla la comunicazione detta la linea politica. Ormai può permettersi qualsiasi cosa senza colpo ferire, non incarna più una speranza, ma una fede.
Gioca tutte le sue carte sull’emotività promuovendo l’irrazionalità e l’assenza di un pensiero critico ed analitico. Parli di presidenzialismo? Golpe! Il premier è stato eletto dal Parlamento e non dai cittadini? Golpe! Rintronati dal blog ignorano che il presidenzialismo è proprio la scelta diretta del premier attraverso il voto dei cittadini. Delle due l’una. L’Italia che piaccia o no è una Repubblica parlamentare ed i governi si fanno a Roma, non col voto. Lord Blog lo sa, infatti il M5s è stata l’unica forza politica nel 2013 che ha chiesto il voto senza dichiarare, nel caso di vittoria, chi avrebbe fatto il premier (colmando furbescamente un loro evidente vuoto). Vera trasparenza verso gli elettori e grande coerenza. Gioca con l’incultura del suo popolo che da una parte strumentalmente difende la Costituzione, dall’altra inconsapevolmente lavora per stravolgerla.
Chissà se se ne renderanno conto gli insigni giuristi. Il tempo, come sempre, sarà giudice.
GIOVANNI FAVIA
da Il Fatto quotidiano

Più precari, meno produttivi. Così Renzi affonderà il Paese di Paolo Pini

Tra le numerose critiche che abbiamo sollevato al primo decreto Lavoro dell’era Renzi-Poletti ("Diamo credito a Renzi?" e "Errori e illusioni della Renzinomics"), vogliamo qui ritornare su una che ci sembra di particolare rilevanza per i deleteri effetti che la liberalizzazione dei contratti a termine rischia di produrre nel medio-lungo periodo per l’economia italiana ed il lavoro in particolare.

Si tratta degli effetti sulla produttività del lavoro. È talmente noto il declino della produttività italiana che sembra quasi inutile ritornarvi, ma siamo costretti a farlo proprio a causa di questo “malefico” decreto.

Guardiamo i grafici che seguono, tratti dal recente volume di Comito, Paci e Travaglini (Un paese in bilico, Ediesse 2014, pp.55-56).

Il primo grafico dipinge in modo impietoso la dinamica della produttività del lavoro italiana negli ultimi trent’anni. Da metà degli anni novanta abbiamo ridotto la crescita della produttività di quattro volte, dall’1,65% allo 0,39%. Un tracollo ben noto per tutti coloro che studiano di produttività, competitività e salari.
Nello stesso periodo, il tasso di accumulazione del capitale, fisico ed immateriale, ovvero il suo tasso di crescita, si è ridotto di ben otto volte, come la seconda figura accanto mostra. Siamo passati da una crescita poco sotto il 4%, ad un misero 0,5%, con una prima fase al 2,6% annuo per poi crollare dagli anni novanta all’1,5% annuo, prima che la crisi ci portasse al disastro dello 0,5
L’altra faccia della medaglia di queste dinamiche è ben raccontata dal terzo grafico, che rappresenta il tasso di crescita dell’intensità di capitale, ovvero del rapporto capitale/lavoro. Nei trent’anni lo abbiamo dimezzato da una media del 2,1% annuo sino a metà anni novanta, ad un misero 0,96% dei giorni nostri.
Queste dinamiche negative della produttività del lavoro, degli investimenti realizzati dalle imprese, e del rapporto capitale/lavoro, sono poi risultati in un annullamento della
crescita della produttività totale dei fattori, il fattore di avanzamento tecnologico per eccellenza, che è passata da un modesto 1% annuo nella prima fase, ad un pressoché 0% nella seconda fase, con un tracollo negativo negli anni della crisi, come ci racconta il quarto grafico.
Cosa è avvenuto di così eclatante a cavallo degli anni novanta e successivamente sino ai giorni nostri da indurre le imprese a smettere di investire sia sulla qualità del lavoro che sull’avanzamento tecnologico? Tra le tante cose avvenute, due sono quelle per noi più rilevanti. La moderazione salariale e la flessibilità del mercato del lavoro.
Nel 1993 è stato firmato dalle parti sociali ed il governo un accordo importante che ha riformato la contrattazione definendo i due livelli contrattuali, quello nazionale e quello aziendale o decentrato. Mentre con il primo si doveva assicurare una dinamica salariale compatibile con la riduzione dell’inflazione (inflazione programmata), con il secondo si sarebbe dovuto avviare un percorso virtuoso e partecipativo con i lavoratori per far crescere assieme produttività e salari reali, innovando in tecnologie, organizzazione del lavoro e prodotti innovativi. Il governo avrebbe dovuto sostenere questo cambiamento con politiche macroeconomiche e microeconomiche, politiche per l’innovazione e politiche industriali.

Sappiamo poi come la storia si è risolta . La moderazione salariale è stata realizzata, l’inflazione è stata ridotta, l’Italia è rientrata nel parametro tasso d’inflazione previsto da Maastricht e ciò ci ha permesso di entrare a far parte dell’Eurozona, anche se con uno “spiacevole” effetto collaterale, ovvero una perdita di 10 punti percentuali della quota del lavoro sul reddito complessivo, a vantaggio di profitti e rendite (soprattutto queste).

Circa il percorso virtuoso e partecipativo che avrebbe dovuto far crescere produttività e salari reali con l’innovazione tecnologica ed organizzativa, neppure l’ombra. Anzi, le imprese hanno smesso di investire sia nell’organizzazione del lavoro (le “buone pratiche” queste sconosciute!) sia nelle tecnologie, ed anche gli investimenti si son ridotti).

Anzi, come abbiamo spiegato nel nostro lavoro "Lavoro, contrattazione, Europa" (Ediesse, 2013), ciò che è avvenuto dagli anni novanta, dalle Legge Treu “iniziazione alle liberalizzazioni” del 1997 per passare a quella Biagi “supermarket dei contratti” del 2003 per finire con la contraddittoria Legge Fornero “buona e cattiva flessibilità” del 2012, è stata una progressiva deregolamentazione per favorire la flessibilizzazione del mercato del lavoro che ha avuto proprio l’obiettivo di creare con interventi al margine un mercato del lavoro duale, quello precario, da affiancare a quello in cui le tutele sarebbero state poi ridotte in tempi successivi, come in effetti è avvenuto (ad esempio con l’introduzione dell’art.8, legge 148/2011, e con la quasi eliminazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori nel 2012)[1].

Indice di protezione all’impiego, 1990-2012 (Oecd Statistics)
Questa “deriva” ha indotto ancor più le imprese ad affidarsi a lavoro precario, poco retribuito, e poco produttivo, sostituendolo a lavoro stabile, invece di fare innovazione nei luoghi di lavoro, di investire risorse in ricerca, in formazione, in capitale umano, supportate da uno Stato che da un lato deregolamentava il lavoro e dall’altro evitava di assumersi qualsiasi responsabilità di politica industriale per modificare il nostro apparato produttivo verso settori a più elevato contenuto tecnologico e di sostenibilità economica ed ambientale. Non solo, ma ha anche contribuito a spiazzare le imprese che avrebbero potuto o voluto muoversi su un sentiero innovativo, in virtù della concorrenza a basso tasso di tutele del lavoro praticate da quelle che grazie alla flessibilità del lavoro potevano sopravvivere sul mercato.

La “deriva della flessibilizzazione e della moderazione salariale” ci ha così condotto nella “trappola della zero produttività” in cui ci troviamo ora, negli anni dell’Euro

Crescita annua della produttività del lavoro per ora lavorata, 2000-2012 (Oecd Statistics)
Purtroppo, sembra che chi ci governa non impari nulla. Cambiano le maggioranze, cambiano i Primi Ministri, cambiano i Ministri del Lavoro, ma l’unica ricetta a cui questi riescono a pensare è la “agognata” flessibilità del lavoro. Ora è il turno del duo Renzi-Poletti, che folgorati sulla via di Damasco, ci raccontano la favola della “precarietà espansiva”, e ci vendono la loro ricetta da “piazzisti” per farci credere che con ancora un poco più di flessibilità e semplificazione delle norme le imprese ricominceranno ad assumere, riconquisteranno competitività, e faranno magari crescere anche la produttività perché i lavoratori avranno più certezze di essere stabilizzati, così ci ha narrato Giuliano Poletti [2].
Il rischio è invece che dopo il declino, questi signori ci conducano direttamente dentro il baratro. Siamo alla soglia decennale di “zero” crescita della produttività, un altro passo ed inauguriamo la fase “renzian-polettiana” di crescita “sotto zero” della produttività. La fase della glaciazione, la dovremo chiamare.

Post scriptum: Il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ieri al convegno Confindustria a Bari su “Il capitale sociale: la forza del paese” ha esternato: “Il miglioramento della competitività delle imprese passa in misura importante attraverso la valorizzazione e lo sviluppo del capitale umano di cui dispongono, anche in collaborazione con il sistema di istruzione e di ricerca. A questo riguardo, studi della Banca d’Italia mostrano come rapporti di lavoro più stabili possano stimolare l’accumulazione di capitale umano, incentivando i lavoratori ad acquisire competenze specifiche all’attività dell’impresa. Si rafforzerebbero l’intensità dell’attività innovativa e, in ultima istanza, la dinamica della produttività.” (corsivo nostro)
Lo avranno ascoltato in sala i numerosissimi presenti, oppure il vento della flessibilità del lavoro ha portato via le sue parole prima che giungessero alle orecchie degli interessati?


 NOTE

[1] L’Italia è per l’Ocse il paese che ha maggiormente flessibilizzato il mercato del lavoro tra i paesi industriali, riducendo le tutele senza conseguire alcun incremento di produttività, anzi accompagnando la riduzione di tutele a dinamiche della produttività sempre peggiori (http://keynesblog.com/2013/03/20/produttivita-e-regimi-di-protezione-del-lavoro/).

[2] “È chiaro che, se un periodo di 36 mesi ci sono 6 persone che si danno il cambio, credo sia meglio avere la possibilità che su quei 36 mesi ci sia la proroga del contratto alla stessa persona. Alla fine dei 36 mesi è più ragionevole immaginare che venga assunta una persona che è stata lì 36 mesi, piuttosto che una, a sorte, su quelle sei che ci sono state prima. Come si possa sostenere che questo aumenta la precarietà, secondo me è in contrasto coi numeri” (Giuliano Poletti, Rainews, 27 marzo 2014).

Francia. Il vero ‘botto’ è quello della sinistra, Front de gauche, ma i media tacciono


frontIl “day after” le elezioni municipali in Francia i media parlano di vittoria assoluta di Le Pen e del Front National. Nessuno nomina il Front de Gauche di Mèlenchon, evidentemente l’estrema destra piace di più della sinistra radicale al mainstream.
Tutti parlano dell’inarrestabile ascesa della destra del Front National, e sicuramente l’ascesa della Le Pen è un fatto reale, anche se per nulla nuovo. Nessuno invece nomina anche solo la sinistra di Jean-Luc Mélenchon, forse perchè troppo di “sinistra” e quindi troppo fastidioso per i cantori dell’informazione. Eppure osservando con attenzione i risultati del primo turno delle elezioni municipali francesi, ecco che emerge subito come sia lui, e non Marine Le Pen, il vero protagonista, al punto che ha rubato migliaia di voti ai socialisti di Hollande. La vera domanda quindi è: come mai i media vogliono sbandierare lo spauracchio del neofascismo? Come mai preferiscono Marine Le Pen, presentata quasi con simpatia, alla sinistra di Mèlenchon? Il Fronte della Sinistra ha presentato liste in molti più comuni che l’estrema destra e nelle città con più di 9000 abitanti il Front De Gauche ha letteralmente quadruplicato i voti andando al secondo turno in 67 municipalità; non solo, il FG ha anche superato il 10% in 308 comuni francesi, non proprio bruscolini, ma i quotidiani italiani hanno pensato bene di non nominarlo nemmeno, come se non esistesse. Sia mai che venisse anche in Italia in mente a qualcuno di votare a sinistra e non per Renzi. Del resto visto anche il modo con cui hanno affrontato le vicende ucraine, presentando come “positivi” i neofascisti di piazza Maidan, ecco che ben si capisce dove vanno le preferenze di questa nostra “bella” Europa.
da tribunodelpopolo.it

Ferrero (Prc): “Il Senato di Renzi? Un parco giochi per due partiti… E’ il programma di Craxi”

paoloferreroSi schiera apertamente contro la riforma del Senato il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero, intervistato da Intelligonews: «L’idea che i problemi dell’Italia derivino dal fatto che ha due Camere è semplicemente una bugia. Chiudendo il Senato non risolve nulla, Renzi è un vero depistatore di massa».
Scontro Renzi-Grasso sulla riforma al Senato?
«Renzi ha un piglio iper Berlusconiano quindi chiunque si frapponga alla sua idea viene considerato un nemico. In una democrazia si discute, soprattutto su una modifica costituzionale piuttosto pesante. C’è un elemento pesantemente autoritario da parte di Renzi che coniuga arroganza e ignoranza. Anche gli Stati Uniti sono un sistema a bicameralismo perfetto, non è vero che siamo l’unico Paese, lui rischia di credere alle stupidaggini che dice. L’idea che i problemi dell’Italia derivino dal fatto che ha due camere è semplicemente una bugia, Renzi dà degli obiettivi finti agli italiani perché non affronta quelli veri. Farebbe molto prima a seccare gli F35 o a sforare il 3%. Dove ci sono i poteri veri, lui abbaia ma non morde e dà degli obiettivi incongrui rispetto a ciò che dice. Chiudendo il Senato non risolve nulla, è vero un depistatore di massa».
Per quanto riguarda gli F35 però si parla di una diminuzione.
«Lo vedremo alla fine. Dall’incontro con Obama, che ha chiesto di aumentare la spesa militare, non è uscito il messaggio che Renzi è in dissenso. E’ emerso da Obama che c’è un accordo profondo e lui non ha smentito. Ho come il sospetto che gli F35 alla fine ce li compreremo tutti».
Siete contrari alla riforma del Senato o volete che resti elettivo come dice Grasso?
«La cosa che viene proposta da Renzi trasforma il Senato in un parco giochi dei due partiti maggiori. Se uno guarda come verrebbero nominati, sarebbero quasi tutti Pd e Pdl. Il Senato diventerebbe semplicemente un elemento di compensazione all’interno dei due più grandi partiti. Se lo mettiamo insieme al fatto che già la legge sulla Camera va in questa direzione siamo di fronte, in nome dell’efficienza, a una torsione bipolare antidemocratica. Se vogliono fare una riforma così è meglio togliere tutto. Invece di essere una democrazia in cui gli italiani si esprimono Renzi sta rovesciando questo in un modo che neanche Berlusconi aveva osato fare e riesce a farlo perché quella è la proposta di Berlusconi da sempre e in parte della P2. Renzi riuscirà a realizzare il programma di Craxi. Fino adesso era stato impossibile perché il centro-sinistra si era opposto alla destra. Adesso, diventando il programma di Renzi, lo fanno tutti insieme appassionatamente ma è il programma della destra non del centro-sinistra».
Si può parlare di un Nuovo Fronte Conservatore che è trasversale e va da Grasso e Rodotà a Monti passando per Grillo.
«Non solo d’accordo a chiamarli conservatori. In Italia la dizione conservatore è in sé un giudizio negativo, chi pone un problema di Costituzione fa un’opera meritoria, cioè pone al Paese il fatto che la Costituzione è stata fatta dopo la dittatura fascista che è cominciata in modo molto simile alla richiesta dell’uomo della provvidenza che vediamo oggi nel Paese. Secondo me giustamente, loro pongono il problema di conservare la saggezza che c’è dentro la Costituzione».
Non le sembra strano che ci sia anche Grillo?
«Sarebbe positivo che Grillo ponesse al centro le questioni della Costituzione».
La vittoria di Marine Le Pen è il segnale della forza dei partiti anti-euro?
«Io do una lettura un po’ diversa. Secondo me il risultato principale è la sconfitta del partito socialista. C’è una vittoria significativa del centro-destra, dell’UMP che è il primo partito. La Le Pen rispetto alle presidenziali va indietro di 1,5%. A me pare che ci sia un grande fenomeno mediatico sulla Le Pen, c’è un gonfiaggio che non è casuale che avvenga».
Eppure si dice che i poteri forti boicottino mediaticamente i partiti anti-euro.
«Secondo me sono due cose distinte. Impedire la visibilità della sinistra anti-liberista e accentuare all’inverosimile il rischio della destra fascista per far vedere che l’unica alternativa è votare Renzi o i gollisti. Perché Repubblica pompa tanto questa cosa della Le Pen? Perché la barriera alla destra è Renzi. Non sto dicendo che non è successo niente, i risultati del Fronte Nazionale segnalano una capacità di radicamento sul territorio, ma il punto vero è la sconfitta dei socialisti che è drammatica e io penso positiva perché in Francia ha fatto malissimo».

È già ieri (Marco Travaglio).


RenziNel film È già ieri del 2004, Antonio Albanese interpreta un divulgatore televisivo condannato a svegliarsi ogni mattina e a rivivere esattamente ciò che aveva vissuto il giorno prima. Stesso destino tocca agli italiani che leggono i giornali o guardano i telegiornali attivando la funzione “memoria”. Qualunque notizia o annuncio lascia addosso la fastidiosa sensazione di averlo già visto, letto o sentito. Il Corriere titola: “Stretta sui manager pubblici. Dal 1° aprile taglio agli stipendi”. E Repubblica : “Da aprile tetto agli stipendi dei manager”. E La Stampa: “Arriva la stretta sui manager di Stato”. E l’Unità: “Ecco il ‘tetto’ agli stipendi dei manager pubblici”. Retrogusto di déjà vu. Infatti il 31-21-2012, regnante Monti, Repubblica avvertiva: “Manager pubblici, tetto agli stipendi senza deroghe. Retribuzioni non oltre i 310 mila euro”. E il 29-2-2012 il Corriere comunicava: “Maxi stipendi dei manager, tetto sui contratti futuri”. Quale sarebbe dunque il tetto di Renzi ai manager già sottoposti al tetto di Monti? Un tetto sul tetto? Un sottotetto mansardato? Un soppalco? Mistero. 

Intanto La Stampa anticipa il “piano di Alfano per recuperare 400 agenti” (infatti vuole tagliare 200 presìdi di polizia): “Giro di vite al Viminale. La scorta sarà data solo a chi rischia davvero”. Ma Alfano era ministro dell’Interno anche nel governo Letta, partito 11 mesi fa. Dunque ci sta dicendo che per quasi un anno ha dato la scorta a gente che rischiava per finta? E a chi, e con quali criteri, e perché? Il libro La Casta di Stella e Rizzo, che fra l’altro segnalava gli sperperi di denaro pubblico per auto blindate usate come status symbol dai papaveri e dalle loro signore per fare la spesa col lampeggiante e accompagnare i figli a scuola senza cercare parcheggio, è uscito nel 2007: quindi, dopo sette anni di solenni promesse di tagli, il Viminale si sveglia nel 2014? Può darsi, come dice Renzi, che l’Italia sia infestata da “un esercito di gufi e rosiconi che spera che l’Italia vada male”: ma non sarà che, più semplicemente, qualcuno ha conservato un pizzico di memoria e, come San Tommaso, crede solo se vede? Prendiamo la riforma del mercato del lavoro: a parte il nome pittoresco (“Jobs Act), si parla di svuotare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per aumentare la “flessibilità” e dunque il precariato in vista dell’auspicato calo della disoccupazione. Oh bella, ma l’articolo 18 non l’aveva già cambiato la Fornero? E la flessibilità non è la parola d’ordine degli ultimi cinque governi, dalla legge Treu del ’97 alla Maroni (detta abusivamente “Biagi”) del 2002 alla Fornero del 2012? I risultati si sono visti: disoccupazione ai massimi storici e zero nuovi posti di lavoro. Andiamo avanti così? 

Prendiamo gli F-35, che l’Italia scelse di acquistare dall’americana Lockheed grazie ai governi D’Alema e Berlusconi (che ora si dice “contrario da sempre”). Due anni fa Renzi, ancora sindaco di Firenze, tuonava: “Non capisco perché buttare via così una dozzina di miliardi per gli F-35(6-7-2012). Gliel’ha poi spiegato Obama l’altro giorno. L’attuale ministra degli Esteri Mogherini invocava “la consistente riduzione del numero di F-35 da ordinare” (15-2-2012). E Bersani: “Vanno assolutamente riviste e limitate le spese militari degli F-35, le nostre priorità sono altre: non i caccia ma il lavoro” (22-1-2013). Il 19-3-2014 la ministra della Difesa Pinotti annunciava: “Abbiamo sospeso i pagamenti, facciamo una moratoria, di fronte alle preoccupazioni si può vedere se è il caso di ridimensionare”. L’altroieri, ricevuti gli ordini da Obama, riecco la Pinotti: “I militari stiano sereni, non ci saranno passi indietro”. 

Chi ricorda queste cosucce è un gufo, un rosicone, o una persona sensata? Per completare il déjà vu, ci sarebbe poi l’arresto di Previti: ma come, non l’avevano già arrestato nel 2006, salvo poi salvarlo con l’indulto? Sì, ma quello era Cesare, lo zio di Umberto. È l’unica novità di giornata, peraltro in linea con la “staffetta generazionale” auspicata dalla ministra Madia: prepensionare i vecchi per liberare le celle ai nipoti.
Da Il Fatto Quotidiano del 30/03/2014.

domenica 30 marzo 2014

“E’ la Costituzione di Boschi e Verdini”

Sandra_Bonsanti_stampa_esteraLibertà e Giustizia parla di una svolta autoritaria, inaccettabile se in ballo c’è la democrazia parlamentare, la Costituzione. Sandra Bonsanti, da qualche lustro guida l’associazione, ma fu anche tra i pochi giornalisti a prendere le distanze da quella che era la grande ubriacatura del craxismo. Lo faceva a testa alta. Ieri, come oggi. Perché il disegno di Renzi non è dissimile da quello di Giuliano Amato e  Bettino Craxi.
Chi lo guida il Paese?
Non lo so, non lo sappiamo più. Questo è un governo che nasce su un vizio elettorale chiamato Porcellum, creato su una presunta emergenza e riformato nelle sue componenti strada facendo. Sicuramente è una questione di larghe intese.
Due nomi?
A sentire i toni ci sono due leader, uno si chiama Matteo Renzi, l’altro Silvio Berlusconi. Che appena vede muoversi qualcosa che non è di suo gradimento parla di patti traditi. Piacerebbe sapere che patti siano. Ufficialmente per una legge elettorale: l’evidenza delle cose ci dice che non è solo quello. L’accordo è quello di prendere e buttare mezza Costituzione nel cestino. Mi chiedo se alla fine cambieranno anche la firma, che non sarà più quella di Enrico De Nicola e Umberto Terracini. Probabilmente la firmeranno Boschi e Verdini. O meglio ancora, Renzi e Berlusconi. Quello che ci preoccupa è il disegno che muove i passi molto prima di ieri o l’altro ieri.
Cioè?
Quando J.P. Morgan dice che è obsoleta la nostra carta costituzionale invita a nozze le larghe intese, offre il pretesto per parlare di riforme. Poche settimane dopo Enrico Letta inizia l’accelerazione sull’articolo 138, oggi tocca a un terzo dell’intera costituzione. Un terzo che viene preso e buttato nel cestino. Poi toccherà magari all’autonomia della giustizia, all’articolo 101. E tutto nel silenzio assoluto. Loro dicono di aver ascoltato tutti.
Da voi è venuto nessuno?
No. Avranno ascoltato le associazioni che fanno riferimento a Luciano Violante, Franco Bassanini. Noi ci siamo espressi contro e non siamo stati ascoltati da nessuno. Solo dal Fatto Quotidiano.
Scoraggiati?
Abbiamo imparato a conoscere il clima da larghe intese. Io navigo tra la depressione e la rabbia. Credo che prevalga la seconda ragione. Tutti lì a spargere lacrime sul film che Veltroni ha dedicato a Enrico Berlinguer, ma per come l’ho conosciuto io Berlinguer si sarebbe fermato già alla forma, alle parole molto fuori luogo che vengono usate. Per non parlare della sostanza. Cosa vogliono dire questi quando “manderanno a casa tutti”? Che sconfiggeranno gli “uccelli del malaugurio”, i “gufi”. Inaccettabile.
Senza legittimazione alcuna.
Appunto. Neppure quella elettorale. Quando De Gaulle, e non Renzi, mise mano alla Costituzione chiese il parere due volte attraverso un referendum consultivo. Due volte.
Esiste una via d’uscita?
Presentarsi in una campagna elettorale con un programma per le riforme e prendere voti.
Complice il Quirinale?
Sicuramente il Colle ha giocato la sua parte, questa ormai è la storia. Siamo passati da una repubblica parlamentare al semipresidenzialismo. E credo anche che questo presumibilmente sarà anche il dopo. Non oso immaginare chi possa arrivare dopo Napolitano, ma penso più verosimilmente che chiedano a gran voce Amato o, che ne so, Gianni Letta, piuttosto che Romano Prodi. E’ l’ultimo anello mancante. Poi sarà accaduto quello che noi e pochi altri, incluso il Fatto, cerchiamo di evitare.  Oggi hanno aderito anche Barbara Spinelli e Maurizio Landini. Ci siamo. Con diverse idee e linguaggio ma siamo qui a difendere la democrazia.

"Quel brutto pasticcio dell'Expo tra dumping sociale e criminalità". Intervento di Luciano Muhlbauer



L’Expo si farà, non c’è alcun dubbio. O meglio, quasi tutti faranno di tutto perché si faccia, comunque. Troppi si sono esposti, troppe risorse sono state mobilitate e troppe promesse sono state fatte nel suo nome. E quindi, non c’è scandalo attuale o futuro che tenga, indietro non si può tornare. Ma tutto il resto, cioè cosa sarà esattamente Expo e, soprattutto, cosa ci lascerà in eredità, è un problema più che mai aperto. Anzi, è il problema.
Ma iniziamo da quello che Expo sicuramente non sarà. Cioè, non sarà quella cosa presentata a suo tempo al Bie e ostentata da Formigoni, Moratti e Penati nella grottesca Victory Parade del 2008. Il progetto originario è stato ripetutamente tagliato, ridotto e modificato. Vi ricordate, tanto per fare degli esempi, delle vie d’acqua navigabili, della linea metropolitana M6 o dell’orto planetario? Ebbene, oggi non solo tante cose non ci sono più, ma anche molte delle opere connesse sopravvissute non saranno pronte per l’evento.
Colpa della crisi, dirà qualcuno. Certo, la crisi ha peggiorato la situazione, ma il percorso era viziato sin dall’inizio. Infatti, una cosa era il progetto presentato per farsi assegnare l’Expo, ma ben altra faccenda era la realtà fatta di prepotenti appetiti immobiliari e speculativi, di cui lo scontro istituzionale tra l’allora Sindaco di Milano, Letizia Moratti, e l’allora Presidente regionale, Roberto Formigoni, ambedue di centrodestra, era un fedele riflesso. Eravamo solo nel 2009, ma già allora un preoccupato Corriere della Sera titolava Expo, l’occasione (quasi) perduta.
Oggi e qui, quando manca soltanto un anno all’evento, Expo si presenta come un grande pasticcio. Un pasticcio pesantemente contaminato dal malaffare e dalle infiltrazioni malavitose. E non si tratta di quisquilie che si possano liquidare con un’alzata di spalle. Quando il Prefetto di Milano parla di 34 imprese allontanate dal 2009 ad oggi (appalti M5, Teem, Pedemontana, sito Expo) e scrive alla Commissione parlamentare antimafia che c’è “una tendenza che si sta delineando e sempre più consolidando di una penetrazione nei lavori Expo di imprese contigue, se non organiche alla criminalità organizzata”, allora la soglia di allarme è già oltrepassata.
E poi c’è l’affaire Infrastrutture Lombarde (Ilspa) e la decapitazione del suo vertice ad opera della Procura di Milano, che sta destabilizzando fortemente Expo e gettando ulteriori pesanti ombre sulla gestione dell’evento. E non potrebbe essere diversamente, considerato il ruolo della società nella gestione degli appalti e il fatto che Ilspa è controllata al 100% da Regione Lombardia. E solo un ingenuo può pensare che sia finita qui, perché l’inchiesta è destinata ad allargarsi. Tanto per fare un esempio, in un’informativa della Guarda di Finanza il comportamento del Commissario Unico di Expo, Giuseppe Sala, viene definito “né irreprensibile, né lineare”.
Ma tutto questo marciume era davvero imprevedibile e inevitabile? Certo, viviamo nel mondo in cui viviamo e nessuno ha la bacchetta magica, ma è altrettanto vero che buona parte del marcio di oggi è il frutto delle condizioni e dell’ambiente in cui il progetto Expo era nato. Oggi a Milano abbiamo per fortuna un Prefetto attento alla lotta contro le mafie, ma vi ricordate che ancora nel gennaio 2010 l’allora Prefetto -e attuale Presidente dell’Aler Milano- Gian Valerio Lombardi dichiarò che dalle nostre parti la mafia non esisteva?
Oppure avete presente il sistema politico-affaristico formigoniano che condizionò sin dall’inizio i progetti legati a Expo e di cui Infrastrutture Lombarde e il suo management sono diretta espressione? Anzi, Ilspa è una di quelle società del cosiddetto Sistema Regionale (SiReg), collocate dalla gestione Formigoni fuori dal perimetro stretto dell’amministrazione regionale proprio per sottrarle ai meccanismi ordinari di controllo istituzionale e per metterle alle dirette ed esclusive dipendenze della Presidenza lombarda. Ebbene, Formigoni non c’è più e la magistratura sta smantellando pezzo per pezzo il sistema di potere ciellino, ma il vero problema è che l’attuale Presidente, Roberto Maroni, non ha mai rotto veramente con quel sistema e non ha mai prodotto discontinuità. E il fatto che Rognoni sia stato messo fuorigioco dalla Procura e non dal presidente leghista sta lì a ricordarcelo.
Nonostante tutto ciò molti milanesi e lombardi continuano a guardare con favore al mega evento, nella speranza che possa rappresentare almeno una boccata d’ossigeno economica. E come biasimarli, con i tempi che corrono. Certo, qualcosa arriverà di sicuro e comunque: un po’ di turismo, un po’ di denaro fresco e qualche posto di lavoro (precario) in più. Ma difficilmente Expo potrà essere quel volano economico universale invocato a ogni piè sospinto da Presidenti, Sindaci e Ministri, come se un grande evento potesse sostituire un progetto di sviluppo che non c’è. Anzi, la veemenza delle invocazioni è direttamente proporzionale al vuoto di visione politica e di strategie economiche.
E quindi come meravigliarsi che in tutta la vicenda Expo il tema del lavoro e del reddito sia stato ridotto a una triste rincorsa al dumping sociale. Altro che Jobs Act, qui siamo oltre e si vuole derogare persino al contratto precario “normale”. Lavoro volontario, stagista a 516 euro al mese, apprendista di Operatore di Grande Evento eccetera, sono tutte forme contrattuali inventate ad hoc da un accordo sottoscritto l’anno scorso da Expo 2015 S.p.A. e sindacati confederali milanesi.
E come se non bastasse, ora Maroni vorrebbe allargare il modello a tutta la Lombardia e a tutte le categorie, addirittura peggiorandolo ulteriormente. Ma quello che fa davvero specie in tutta questa vicenda è che anche a livello lombardo sembra esserci la piena disponibilità di Cgil, Cisl e Uil (vedi L’Expo della precarietà). Insomma, da una parte si spara a zero sui contratti precari di Renzi, ma dall’altra in Lombardia si trattano cose anche peggiori. Per intenderci, all’apprendistato in somministrazione neanche Renzi ci era ancora arrivato…
Infine, Expo è un’altra cosa ancora. È un campo di battaglia e la posta in gioco è la poltrona di Sindaco di Milano. Insomma, la campagna elettorale in vista delle elezioni comunali del 2016 è ufficialmente iniziata e basta guardare ai protagonisti istituzionali che si fanno sentire di più per capirlo, da Maurizio Lupi, Ministro delle Infrastrutture e ciellino, a Roberto Maroni, Presidente regionale e leghista. Le destre non hanno mai digerito di aver perso Milano e la vogliono riprendere.
E Giuliano Pisapia? Quella primavera del 2011 che pose fine a 20 anni di dominio delle destre a Milano è oggi lontanissima. Troppe aspettative non hanno trovato risposte, troppe delusioni. Non siamo ancora al terreno fertile per la rivincita delle destre, ma gli scricchiolii vanno ascoltati per tempo. E da questo punto di vista la vicenda della via d’acqua è illuminante.
L’elezione di Pisapia era espressione di una discontinuità, di una rottura netta con l’esperienza amministrativa precedente e pertanto al Sindaco non può essere attribuita alcuna responsabilità nella genesi della vicenda Expo. Eppure, l’amministrazione Pisapia aveva scelto nel 2011 di starci, di tentare di gestire un evento già disegnato e pesantemente ipotecato dai suoi vizi originari. La realtà ha dimostrato che quei vizi sono più forti di tanto ottimismo.
Oggi forse sarebbe necessario praticare nuovamente un po’ di discontinuità, per quello che è ancora possibile, ovviamente. Ma ciò che si può fare va fatto, perché sarebbe davvero curioso che alla fin della fiera uscissero vittoriosi i responsabili politici del disastro.
Questo è Expo oggi. Cosa sarà domani dipende da molti fattori. Dall’evoluzione delle inchieste, dalle scelte dei vari livelli istituzionali, dalla crisi e così via. Ma dipende anche da che cosa farà o non farà e da quanto riuscirà ad essere incisivo chi finora non ha avuto voce in capitolo, chi sin dall’inizio ha criticato la logica del grande evento e i suoi peccati originali, chi pensa che un grande evento non giustifichi la devastazione del suo territorio, chi ritiene che il lavoro vada rispettato e retribuito dignitosamente o chi, semplicemente, è stufo di mafie e malaffare.

Sempre più uguale all'ex Cav. : Lo striscione “Forza Renzi!” in corso Buenos Aires a Milano

Siamo già arrivati a questo: uno striscione pubblicitario che sovrasta corso Buenos Aires a Milano, in prossimità dei bastioni di Porta Venezia. Con la foto del premier e la scritta “Forza Renzi!” firmata da non meglio precisati “gli amici di Milano”. Se si tratti di una sviolinata non richiesta, o se invece stia partendo una campagna personalizzata ad opera di un comitato in cui Renzi ha voce in capitolo, lo scopriremo nei prossimi giorni.

Santi candidato Sindaco dell'Altra Marsciano: ecco le liste

Ora è ufficiale: Federico Santi sarà il candidato a Sindaco di una coalizione che sarà composta da due liste: l'Altra Marsciano e la Sinistra per Marsciano; lo si apprende da una nota stampa che annuncia la candidatura ed alcuni dei nomi delle liste a sostegno.
Dopo alcune assemblee programmatiche nel territorio è stata presa questa scelta; “la visione della Marsciano che è scaturita da questa esperienza – si legge nel comunicato stampa - è molto chiara, nessuna promessa roboante o la classica lista di critiche non costruttive ma molte proposte concrete per sviluppare un’idea di avanzamento del tessuto industriale, artigianale e commerciale in chiave sostenibile associate a proposte per la tenuta dei settori sociali emarginati da questa crisi.”
Nel documento vengono anche snocciolati alcuni dei punti programmatici che guideranno la stesura del manifesto elettorale: “la difesa dell'ambiente contro il consumo del territorio è il volano dell'unico sviluppo possibile: energie rinnovabili non speculative, proposta di Legge rifiuti 0 con polo comunale del riuso, distribuzione delle terre demaniali ai giovani disoccupati e cassintegrati, piattaforma e-commerce comunale per le imprese agroalimentari del territorio, sviluppo e sburocratizzazione delle forme mutualistiche, piano degli investimenti votato alla manutenzione del territorio a alla riqualificazione energetica degli edifici, programmazione nell’ambito di una politica di distretto industriale, difesa del ruolo pubblico dell'educazione e dei servizi nella consapevolezza che sono necessarie una riconosciuta competenza e la massima efficienza della macchina comunale”.
“La spinta fondamentale di questo processo – prosegue la nota - è l’idea che vogliamo portare in giro di ‘Amministrazione partecipata’ che si basa sulla visione paritaria tra amministrazione e cittadino”.
Nel comunicato stampa vengono poi anche snocciolati alcuni dei nomi dei candidati delle due liste, ‘La sinistra per Marsciano’ e ‘L’altra Marsciano’ : Babucci Gianni, Baiocco Fabrizio, Bolli Mario, Cardaioli Andrea, Capoccia Bruno, Ceccarini Mauro, Chiucchiù Emanuele, Cinti Federica, Ez Zahar Salah, Ferranti Daniele, Giannoni Lorenzo, Miseria Giacomo, Natalizi Tania, Pacchiarotti Giulia, Parenti Luca, Perri Andrea, Polverino Michelle, Saccarelli Giorgiana, Sorbini Giuseppe, Tomassoni Chiara, Trotta Valerio.
Il comunicato poi si conclude con un appello indirizzato agli ex compagni di viaggio della coalizione di 5 anni fa, ribadendo “la volontà di mantenere aperta la porta ad un percorso unitario con le liste civiche de ‘La Nostra Marsciano’ nel momento in cui si verificassero compatibilità programmatiche e cadessero veti sulla nostra cultura politica e imposizioni sul metodo per l’individuazione del candidato unico.”
Oramai almeno 4 dei 6 possibili candidati sono venuti allo scoperto: ora mancano solo i nomi del centrodestra.
I prossimi incontri dell'Altra Marsciano saranno a Papiano il 1° aprile, a Spina il 2 aprile ed al Cerro il 4 aprile.
Ora è ufficiale: Federico Santi sarà il candidato a Sindaco di una coalizione che sarà composta da due liste: l'Altra Marsciano e la Sinistra per Marsciano; lo si apprende da una nota stampa che annuncia la candidatura ed alcuni dei nomi delle liste a sostegno.

Dopo alcune assemblee programmatiche nel territorio è stata presa questa scelta; “la visione della Marsciano che è scaturita da questa esperienza – si legge nel comunicato stampa - è molto chiara, nessuna promessa roboante o la classica lista di critiche non costruttive ma molte proposte concrete per sviluppare un’idea di avanzamento del tessuto industriale, artigianale e commerciale in chiave sostenibile associate a proposte per la tenuta dei settori sociali emarginati da questa crisi.”
Nel documento vengono anche snocciolati alcuni dei punti programmatici che guideranno la stesura del manifesto elettorale: “la difesa dell'ambiente contro il consumo del territorio è il volano dell'unico sviluppo possibile: energie rinnovabili non speculative, proposta di Legge rifiuti 0 con polo comunale del riuso, distribuzione delle terre demaniali ai giovani disoccupati e cassintegrati, piattaforma e-commerce comunale per le imprese agroalimentari del territorio, sviluppo e sburocratizzazione delle forme mutualistiche, piano degli investimenti votato alla manutenzione del territorio a alla riqualificazione energetica degli edifici, programmazione nell’ambito di una politica di distretto industriale, difesa del ruolo pubblico dell'educazione e dei servizi nella consapevolezza che sono necessarie una riconosciuta competenza e la massima efficienza della macchina comunale”.
“La spinta fondamentale di questo processo – prosegue la nota - è l’idea che vogliamo portare in giro di ‘Amministrazione partecipata’ che si basa sulla visione paritaria tra amministrazione e cittadino”.
Nel comunicato stampa vengono poi anche snocciolati alcuni dei nomi dei candidati delle due liste, ‘La sinistra per Marsciano’ e ‘L’altra Marsciano’ : Babucci Gianni, Baiocco Fabrizio, Bolli Mario, Cardaioli Andrea, Capoccia Bruno, Ceccarini Mauro, Chiucchiù Emanuele, Cinti Federica, Ez Zahar Salah, Ferranti Daniele, Giannoni Lorenzo, Miseria Giacomo, Natalizi Tania, Pacchiarotti Giulia, Parenti Luca, Perri Andrea, Polverino Michelle, Saccarelli Giorgiana, Sorbini Giuseppe, Tomassoni Chiara, Trotta Valerio.
Il comunicato poi si conclude con un appello indirizzato agli ex compagni di viaggio della coalizione di 5 anni fa, ribadendo “la volontà di mantenere aperta la porta ad un percorso unitario con le liste civiche de ‘La Nostra Marsciano’ nel momento in cui si verificassero compatibilità programmatiche e cadessero veti sulla nostra cultura politica e imposizioni sul metodo per l’individuazione del candidato unico.”
Oramai almeno 4 dei 6 possibili candidati sono venuti allo scoperto: ora mancano solo i nomi del centrodestra.
I prossimi incontri dell'Altra Marsciano saranno a Papiano il 1° aprile, a Spina il 2 aprile ed al Cerro il 4 aprile.
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Ora è ufficiale: Federico Santi sarà il candidato a Sindaco di una coalizione che sarà composta da due liste: l'Altra Marsciano e la Sinistra per Marsciano; lo si apprende da una nota stampa che annuncia la candidatura ed alcuni dei nomi delle liste a sostegno.

Dopo alcune assemblee programmatiche nel territorio è stata presa questa scelta; “la visione della Marsciano che è scaturita da questa esperienza – si legge nel comunicato stampa - è molto chiara, nessuna promessa roboante o la classica lista di critiche non costruttive ma molte proposte concrete per sviluppare un’idea di avanzamento del tessuto industriale, artigianale e commerciale in chiave sostenibile associate a proposte per la tenuta dei settori sociali emarginati da questa crisi.”
Nel documento vengono anche snocciolati alcuni dei punti programmatici che guideranno la stesura del manifesto elettorale: “la difesa dell'ambiente contro il consumo del territorio è il volano dell'unico sviluppo possibile: energie rinnovabili non speculative, proposta di Legge rifiuti 0 con polo comunale del riuso, distribuzione delle terre demaniali ai giovani disoccupati e cassintegrati, piattaforma e-commerce comunale per le imprese agroalimentari del territorio, sviluppo e sburocratizzazione delle forme mutualistiche, piano degli investimenti votato alla manutenzione del territorio a alla riqualificazione energetica degli edifici, programmazione nell’ambito di una politica di distretto industriale, difesa del ruolo pubblico dell'educazione e dei servizi nella consapevolezza che sono necessarie una riconosciuta competenza e la massima efficienza della macchina comunale”.
“La spinta fondamentale di questo processo – prosegue la nota - è l’idea che vogliamo portare in giro di ‘Amministrazione partecipata’ che si basa sulla visione paritaria tra amministrazione e cittadino”.
Nel comunicato stampa vengono poi anche snocciolati alcuni dei nomi dei candidati delle due liste, ‘La sinistra per Marsciano’ e ‘L’altra Marsciano’ : Babucci Gianni, Baiocco Fabrizio, Bolli Mario, Cardaioli Andrea, Capoccia Bruno, Ceccarini Mauro, Chiucchiù Emanuele, Cinti Federica, Ez Zahar Salah, Ferranti Daniele, Giannoni Lorenzo, Miseria Giacomo, Natalizi Tania, Pacchiarotti Giulia, Parenti Luca, Perri Andrea, Polverino Michelle, Saccarelli Giorgiana, Sorbini Giuseppe, Tomassoni Chiara, Trotta Valerio.
Il comunicato poi si conclude con un appello indirizzato agli ex compagni di viaggio della coalizione di 5 anni fa, ribadendo “la volontà di mantenere aperta la porta ad un percorso unitario con le liste civiche de ‘La Nostra Marsciano’ nel momento in cui si verificassero compatibilità programmatiche e cadessero veti sulla nostra cultura politica e imposizioni sul metodo per l’individuazione del candidato unico.”
Oramai almeno 4 dei 6 possibili candidati sono venuti allo scoperto: ora mancano solo i nomi del centrodestra.
I prossimi incontri dell'Altra Marsciano saranno a Papiano il 1° aprile, a Spina il 2 aprile ed al Cerro il 4 aprile.
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