sabato 31 maggio 2014

«CARI AMICI DI M5S» di Aldo Giannuli

31 maggio. 

a leggere i giornali di oggi si riceve l’impressione che la discussione non stia partendo sul piede giusto. Come sapete io non aderisco al Movimento, di cui però mi considero un compagno di strada e, se qualcuno potrebbe giustamente obiettarmi che, essendo un esterno, non devo interferire nella discussione, però questa mia posizione mi dà, forse, il vantaggio di vedere le cose con più distacco e dare un contributo, spero, utile. Ed, allora, prima di tutto, penso si possa essere d’accordo su una cosa: al M5s non servono processi ed imputati da portare alla fucilazione, ma una discussione politica pacata, seria, profonda, alla ricerca degli errori che possono aver prodotto questo cattivo risultato. E non serve cercare giustificazioni, anche perché, se ci sono errori soggettivi si può sempre cercare di correggerli, se invece non ci sono errori ed è tutto il frutto delle avverse circostanze, c’è solo da prendere atto che la battaglia è impari e occorre arrendersi. Ma, se si vuol continuare a combattere, è necessario capire cosa non ha funzionato e cosa va corretto.

Anche se poi nella vicenda hanno pesato altri elementi come l’assenza di Casaleggio che è stato fuori combattimento sino alla vigilia del comizio romano, il che ha avuto un suo peso e come!

Più che erranti, vanno cercati gli errori. E partiamo da una cosa molto facile: qui bestialità sono state fatte da tutti in questo anno. Anche da Grillo e Casaleggio (quando si perde, lo Stato Maggiore è sempre il primo a doverne rispondere), ma anche dai gruppi parlamentari, dagli addetti alla comunicazione ed anche dai militanti che sono stati troppo subalterni e non hanno alzato sempre la voce quando avrebbero dovuto. ecce cc. Ma la cosa è anche normale: in politica come nella vita si fanno un sacco di sciocchezze, è inevitabile, l’importante è riconoscerle in tempo e correggerle. Anche perché qui non siamo alla disfatta di Watterloo e neppure a Caporetto, siamo ad una sconfitta consistente, ma onorevolissima e suscettibile di ripresa. Per cui non facciamo psicodrammi.

Capisco che a un movimento politico giovane e fatto da giovani ed inesperti, la prima sconfitta sembri un fatto terribile e irreparabile, ma cari amici, imparerete che in politica si prendono un sacco di cazzotti in faccia, l’importante è non andare al tappeto e contrattaccare. Se mi consentite, da vecchio sessantottino, ho una certa pratica in materia di sconfitte e so dirvi che ci si può rialzare.

Allora, se lo spirito è questo, il metodo più corretto è quello per cui ciascuno parta dall’analisi dei propri errori, prima di parlare di quelli degli altri. Questo vale per tutti: dai parlamentari ai singoli militanti e per Beppe e Gianroberto che, troppe volte, si sono comportanti un po’ da primedonne insofferenti alle critiche. E, invece, un leader politico che sa accogliere le critiche ed ammettere i suoi errori non perde di autorevolezza, ne acquista.

E per essere coerente con quello che ho appena detto, non mi chiamo fuori ed inizierò dall’ammissione delle mie responsabilità: anche se in diverse occasioni ho criticato Grillo dalle pagine di questo blog, non l’ho fatto abbastanza e sono stato un po’ troppo indulgente. Ed anche io, pur non essendo fra i più scatenati, ho creduto in una facile vittoria, ero convinto di un risultato intorno al 27% e, soprattutto, non ho valutato adeguatamente le potenzialità di espansione del Pd che davo al 31-33%. Di conseguenza, anche io ho assecondato aspettative eccessive che oggi hanno un pesante effetto boomerang.

Gad Lerner mi ha gratificato di un post in cui mi definisce “demenziale azzeccagarbugli” con uno stile offensivo che non gli conoscevo e mi ha stupito; poco male: non sono permaloso e non me la prendo. Di tutte le cose che dice, su una ha ragione: quando mi rimprovera di non aver fatto subito presente, già in campagna elettorale, che la minaccia di Grillo, di farsi da parte se non avesse vinto, era una inutile sbruffonata perché si sarebbe trovato nella impossibilità di dar corso a quell’impegno. Giusto: non ho dato alla cosa il peso che avrebbe dovuto avere e non l’ho segnalata, sbagliano. Magari oggi sarebbe carino che Grillo ammettesse di essersi sbagliato, spiegando perché resta. Sono contrario alle sue “dimissioni”, ma, insomma, non è che si possa far finta di niente e continuare senza un briciolo di giustificazione.

Come vedete, anche da collaterale ho le mie responsabilità, che ammetto. Ora vediamo se questo lo fa anche chi non è collaterale ma è dentro. Ognuno si assuma la sua quota di responsabilità senza giocare al rinfaccio di colpe vere o presunte.

Soprattutto, per cortesia, abbassate i toni e siate tutti realisti: il M5s oggi non è in grado di sopravvivere senza Grillo (per lo meno non ancora), ma è anche vero che se Beppe non si fa un po’ di lato, lasciando spazio agli altri, il M5s non crescerà mai. Cattivi allievi quelli che non cercano di superare il maestro, ma pessimo maestro quello che non lavora per il suo superamento.

Peraltro, che tutti evitino di portare il dibattito al limite della rottura: è autolesionistico chiedere a Grillo di farsi da parte, ma basta anche con le espulsioni alla prima parola storta contro il “Capo”. Si discuta laicamente di tutto senza isterismi. Andare in Tv? Parliamone. Cambiare i toni della comunicazione? Si può ma che nuovi registri adottare? Criticare Grillo o Casaleggio? Si ma senza astio da una parte e risentimenti dall’altra. Si può parlare di tutto. Soprattutto se non si urla.

Credo anche che sarebbe bene discutere della forma organizzativa che, così com’è, non convince per niente. La soluzione del simbolo e sigla proprietà di una società di poche persone non è una novità: più o meno la stessa cosa avevano fatto molto prima Berlusconi e Di Pietro, che, però, non mi sembrano esempi da imitare.

Lo so che Grillo non usa questo suo potere, ad esempio, per fare le liste, ma questo del partito “personale” diventa un argomento degli avversari che si può togliere dalle loro mani. Dunque, sarebbe il caso di formalizzare l’esistenza del movimento, magari di dotarlo di organi dirigenti, i più snelli del mondo, sia chiaro, ma comunque certificati da atti formali.

Dopo di che, oltre che cercare errori, è il caso di individuare obiettivi e target: a chi vuole rivolgersi il M5s? In che aree sociali di elettorato vuol fare breccia? Che proposte offre e che battaglie intende fare in loro favore? Fra un anno ci saranno le amministrative, che sono un test sempre sfavorevole al M5s che prende regolarmente una metà o un terzo del suo elettorato delle politiche. Attenzione perché questo sarà servito come la prova del declino inarrestabile del movimento e, dunque, occorre uno sforzo straordinario per reggere l’impatto.

E voglio farla io una proposta: il M5s esca dal chiuso del blog, delle stanze di Montecitorio, di Palazzo Madama o di via Morone, vada in piazza, promuova assemblee popolari, mandi i suoi parlamentari nei posti di lavoro, nelle facoltà, nei circoli di quartiere, nel caso anche nei bar dello sport, per chiedere alla gente, faccia a faccia, “Cosa ti aspetti dal M5s? Cosa vorresti che facesse? Cosa non ti convince nel M5s? Come vorresti che parlasse?” E cominci di lì la consultazione per la ripresa. Un confronto forse più faticoso, ma certamente meno velenoso e più produttivo delle faide interne.

Dopo di che si riprenda il confronto interno senza arrocchi settari ma anche senza autolesionismi. Ultimissima cosa e perdonatemi la lunghezza: l’Ukip di Farange non è un gruppo fascista, come Alba dorata, siamo d’accordo, ma è un gruppo ultranazionalista, xenofobo, nuclearista e reazionario. Cosa ha a che fare il M5s con un gruppo così? Temo che fare gruppo insieme a Strasburgo costerebbe una paccata di voti al M5s. Pensateci bene.

Mi rendo conto che ci sono pochi giorni e che se si finisce nel gruppo misto, per il demenziale regolamento del Parlamento europeo, non si ha neppure diritto di parola e di proposta, ma solo di voto, per cui occorre fare gruppo con qualcuno. Ma non sarebbe meglio cercare verso i Verdi o la lista Tsipras? Magari escogitando qualche formula tecnica particolare (avrei delle idee in proposito). Capisco che neanche Verdi e Tsipras siano la stessa cosa del M5s, ma, insomma, mi pare siano complessivamente ben più simili di Farange.

Scusate la lunghezza, ma vi assicuro che da amico non vi tacerò mai nessuna critica, anche aspra, quando lo meriterete. Quelli che dicono sempre di si non sono gli amici veri, sono i lacchè ed i carrieristi.

Cordialmente vostro

* Fonte: Aldo Giannuli

Lista Tsipras. Difendere il miracolo e non entrare nel coro renziano.

di Giulia Rodano

imageChe senso avrebbe promuovere una lista che si caratterizza per cercare di dare voce anche in Italia a una critica radicale alle politiche di austerità e a una concezione della ripresa basata sul binomio classicamente di destra di meno tasse e più tagli della spesa pubblica e poi riporre le bandiere nel cassetto?
Tutto si può chiedere  alla Lista Tsipras tranne che il gioco classico fatto da tanti in questi anni: chiedere i voti sbandierando posizioni di sinistra e poi gestirli in una politica moderata.
La lista Tsipras non è la riedizione della Sinistra Arcobaleno. Proprio la presenza di Tsipras ne fa l’inizio di un processo nuovo, quello che ha fatto arrivare in Europa non tante forze piccole e divise forze di sinistra, ma un movimento di europeismo radicale di sinistra, in grado di sottrarsi al populismo nazionalista e all’acquiescenza socialdemocratica.
La Lista Tsipras non è patrimonio di nessun azionista di maggioranza. Proprio il risultato ci dice che ogni voto è stato essenziale e decisiva è stata la rinnovata mobilitazione di tanti militanti, elettrici e elettori che pensano che avere una sinistra oggi sia essenziale anche in Italia.
Ricominciare con una sterile discussione tipicamente italiana sulla futura collocazione nel mercato politico sarebbe un suicidio. Il problema non è e non sarà se guardare al PD o rivolgersi ai 5Stelle. Il problema sarà dare seguito alla promessa elettorale: far vivere la sinistra e sostenere politiche profondamente diverse da quelle di questi anni, quelle idee, quei valori e quelle proposta che sono descritti nei dieci punti del programma della Sinistra Europea di Alexis Tsipras.
Bisognerà battersi per aggredire il nodo del debito dei paesi europei con una politica di solidarietà e intervento europeo, un piano europeo del lavoro, che crei occupazione attraverso politiche industriali e intervento pubblico, per redistribuire la ricchezza e il lavoro, per affrontare il grande tema di come restituire un minimo di sicurezza nel proprio futuro a generazioni di giovani precari, poveri e senza assistenza.
Significherà ricominciare a parlare di riconversione ecologica dell’economia, di riduzione dell’orario di lavoro, di reddito minimo garantito, di riprendere politiche previdenziali accettabili. Comporterà investire in scuola, ricerca, servizi e salute. Vorrà dire affrontare i conflitti di interesse e ricominciare a parlare di patrimoniale.
Significherà ricominciare a parlare di democrazia, trasparenza, partecipazione, applicazione della nostra Costituzione.
Questo vorrà dire in Italia con tutta probabilità stare all’opposizione di un governo che vuole una legge elettorale che riduca la rappresentanza e una legge sul lavoro che accresce la flessibilità e la precarietà.
Non credo che fare questo significhi rinunciare alla politica.  Se si rientra nel gruppone del pensiero unico, allora sì che si diventerà insignificanti.

Il filosofo Alain Badiou: «Comunismo è il nome dell’alternativa»



Controlacrisi.org è lieta di proporvi una bella intervista - inedita in italiano - al filosofo francese Alain Badiou.

«La filosofia che desidero fare è una filosofia che ha una rilevanza per i rivoluzionari. Una filosofia che non soltanto non li contraddice ma li aiuta a cambiare il mondo». Il tono è dato. Incontro con un giovane uomo di 85 anni.
Nel 2012, fare una conferenza sulla rivoluzione, non è un anacronismo?
Alain Badiou: In un certo senso, questa parola è sempre anacronistica perché in fin dei conti, ciò che caratterizza le rivoluzioni, è in generale che nessuno le ha attese, né previste. Sono delle rotture. La difficoltà, è che questa parola ha molti sensi finali (finalement). Quel che io credo, è che se si intende per «rivoluzione», un evento collettivo che produce una rottura nell’ordine stabilito e che ha come strascico delle conseguenze sull’organizzazione della collettività, non ci sono ragioni di pensare che questa parola sia meno appropriata all’ordine del giorno, all’attualità che ai suoi precedenti. Se ne vedono oggi giorno delle sorte di sintomi. Io penso che le rivoluzioni della primavera araba, il movimento degli indignati, i piccoli gruppi che tentano di fare qualche cosa sulle questioni della regolarizzazione dei sans-papier o i tentativi a livello statale in America Latina, indicano che non c’è alcuna ragione per disperare.
I liberali presentano la democrazia e il libero mercato come andanti di pari passo…
Alain Badiou: Non sono affatto d’accordo con ciò e ciò mette in causa la definizione che si dà di democrazia. Apparentemente, la democrazia in seno allo Stato rappresentativo, con un governo eletto, funziona piuttosto nel contesto dell’economia liberale. E’ un fatto. Ma è una definizione molto ristretta. La democrazia vuol dire «potere al popolo». Nelle nostre società ha il popolo un grande potere politico? Se ne può dubitare. Si ha anche l’impressione che sia veramente un piccolo gruppo di persone ad avere il potere politico. E’ in questo gruppo, alcuni sono eletti, ma non tutti. O, allora, da dei consigli di amministrazione. E ci sono quelli che hanno un grande potere finanziario per essere in ogni modo influenti. Ci sono quelli che comprano la stampa. Alcuni dei media non sono indipendenti, essi dipendono tutti da gruppi influenti.
La mia tesi radicale, è che noi non siamo in democrazia, ma in una «oligarchia moderata». Essa non ha bisogno di esercitare un terrore visibile. Ma è un gruppo ristretto che detiene il potere, i mezzi di informazione. Dopo, c’è una rappresentazione politica di tutto ciò. Dunque, è del tutto falso che l’economia liberale di mercato e la democrazia vanno assieme se si prende la parola «democrazia» seriamente. Ciò che va assieme, è «economia di mercato» e «regime oligarchico moderato». Questa connessione riposa sul consenso che non rimette in questione questi dispositivi economici e politici che io chiamo «capital-parlamentarismo».
Un’altra «tesi radicale», è che il capitalismo è un sistema finito. Può illustrare ciò in maniera concreta?
Alain Badiou: Quando si dice «finito», ciò può intendersi in due sensi. Esso è alla fine, esso è limitato. La fine di qualcosa di tale ampiezza può durare a lungo. Io non sono prossimo ad annunciare la fine del capitalismo per domani. Io penso che esso abbia esaurito le sue risorse di creatività propria e che sia prossimo ad arrivare fino alla fine di se stesso (involuzione). Secondo, peraltro, le previsioni marxiste le più rigorose. Rendiamoci conto del fatto che Marx parlava del mercato mondiale nel 1850. Che cos’era il mercato mondiale in tale epoca in rapporto ad oggi?
La tesi che l’ideologia dominante è l’ideologia della classe dominante è ben vera. Ma una classe dominante, è una classe che allo stesso tempo, in una fase ascendente, produce una cultura che ha una certa universalità. Marx stesso riconosceva che noi siamo ancora interessati dalle tragedie greche, il grande romanzo francese, ecc. Io penso che questa capacità creativa delle classi dominanti è oggi esaurita. E’ una classe troppo cinica, molto occupata dagli affari propri, a mio avviso sempre più autoritaria perché precisamente l’ambito parlamentare stesso la può generare. E’ il segno che dal punto di vista intellettuale, politico, ideologico e economico, il grande dominio imperiale non può più conquistare che delle cose già esistenti ma non crearne di nuove. E’ ciò peggiorerà ulteriormente: devastazione del pianeta, contraddizioni incontrollabili, disastri finanziari e guerra, alla fine.
In termini di speranza, il comunismo è ancora un’alternativa?
Alain Badiou:  Lo dirò al contrario: il comunismo è il nome che io dò all’alternativa. La questione di sapere quel che è il comunismo è complicata. Il comunismo significa il nome generico di un’alternativa al capitalismo, al momento stesso della sua costituzione. C’erano i comunisti utopici, i marxisti, anche delle correnti anarchiche. Cosa vuol dire il comunismo? Vuol dire che è possibile  necessario organizzare la società su un’altra base che non la proprietà privata dei mezzi di produzione, l’egoismo di classe, la concorrenza e la guerra internazionale. Ecco.
Io penso che bisogna tornare a ciò facendo il bilancio di questa specie di passaggio accanto  che è stata l’esperienza del XX secolo, passaggio accanto, che io penso, è stato l’ossessione della vittoria insurrezionale. C’è stata una militarizzazione dell’idea comunista, una militarizzazione dell’idea organizzativa. Se ne vede bene la ragione: c’è stata lo schiacciamento della Comune di Parigi che ha avuto un effetto non immaginabile. Ciò ha portato all’idea che, a meno di essere ben organizzati, ci si faceva schiacciare e eliminare.
Bisogna ripartire e fare un passo indietro verso il significato profondo dell’idea comunista e vedere cosa se ne può fare politicamente nelle situazioni concrete di oggi. Ecco perché io difendo questa parola. Questa vecchia parola. L’abbandonarla non sarebbe un bene. Se qualcuno ne inventa un’altra altrettanto formidabile, io me ne rallegrerò.
Come vede il fatto che un filosofo, Berbard Heny-Levy arrivi ad incitare un paese a lanciarsi nella guerra in Libia?
Alain Badiou: Ciò ha funzionato soltanto perché Nicolas Sarkozy voleva coinvolgersi in tale guerra. Ma è inquietante. BHL ha un ruolo importante di ideologo reazionario. Egli ha, inoltre, preso i suoi galloni da tanto tempo. Egli ha dietro di se più di trenta anni di esercizio di questo genere. Ma vorrei raccontarvi un passaggio al di là dell’azione personale di BHL. C’è stato un consenso molto diffuso in Francia di questa spedizione militare. Così è stato fino a quando Jean-Luc Mélenchon si riprendesse subito dopo. Ma sono obbligato a constatare che, nei primi giorni, egli si dichiarava a favore. Mi sono sentito molto isolato. Sono stato sorpreso io stesso di essere tanto contro corrente. Ho scritto praticamente nell’immediatezza che il risultato inevitabile di tale intervento sarebbe stato la devastazione della Libia. Pura e semplice. Un paese sconfitto, consegnato alla guerra civile, alla mercé delle forze armate. Un paese annientato. Al momento, si può sostenere la tesi che tutti gli interventi militari occidentali in questo genere di situazioni distruggono i paesi. Anche l’Irak è stato distrutto. Se si spinge alla guerra civile in Siria, anchela Siria sarà distrutta e a lungo. E dopo? I petrolieri se ne disinteressano purché possano rendere circoscritte e sicure le regioni petrolifere. E’ ciò che succederà in Libia. Gli Occidentali vogliono dare delle chiusure di sicurezza alle regioni petrolifere. Negozieranno con le differenti bande armate e, siccome non ci sarà uno Stato, si sarà ben più tranquilli.
In Belgio, abbiamo un Primo ministro socialista. La social-democrazia ha ancora una ragion d’essere, una utilità?
Alain Badiou: Il parlamentarismo non può funzionare senza che ci sia un principio di differenziale minimo. In fin dei conti, tendenzialmente, ciò è in linea con il genere di opposizione che c’è tra i Repubblicani e i Democratici negli Stati Uniti.
Ma io penso che la social-democrazia non rappresenti più granché. Potrebbero chiamarsi Partito Democratico e penso che questa differenza si manterrebbe pur restando molto affabile. Nell’azione reale la differenza è molto labile. Si è visto con Zapatero, con Papandreu, così come si era visto con Tony Blair, che era il primo, che non soltanto questi partiti non sono fondamentalmente diversi dagli altri, ma anche che fanno avallare delle cose che gli altri non arrivano a far assimilare.
Come vede gli ecologisti, francesi, belgi o europei che sognano un’economia verde restando nel capitalismo? Lei ci crede?
Alain Badiou: Neanche per sogno. E’ la ragione per la quale non ho alcuna simpatia vera per il movimento ecologista organizzato. Sono convinto che la capacità di devastazione del capitalismo esista. La legge del profitto è spietata. Se l’industria farmaceutica continua a vendere una medicina nociva perché fa guadagnare molto, lo farà. Esse arrivano a corrompere chi occorre. Alla fine, è quando della gente cerca anche di vendervi del veleno se ciò conviene loro, di armare delle bande criminali in Africa con armi pesanti, ecc. per della gente che andrà a uccidere e violentare, semplicemente perché è business, o semplicemente perché vogliono mettere in sicurezza una regione dove ci sono dei minerali. Dunque, io non nego che il capitalismo scatenato faccia pesare sull’ambiente una minaccia pesantissima, ma penso che le cose vadano prese alla radice. E, dunque, alla mitologia del capitalismo moderato, amabile.
L’ecologia ha due vantaggi per il capitalismo. Primo se si vuole fare dell’energia rinnovabile su grossa scala, ciò aprirà dei mercati colossali, e lo Stato li finanzierà. E, d’altro canto, dal punto di vista delle rivalità tra capitalisti, ciò rallenta il processo di sviluppo dei paesi emergenti, perché si cerca di costringerli a rispettare delle regole, che noi, noi non abbiamo rispettato. E, dunque, con ciò li metteremo nella merda, fissando delle norme, ecc. Ciò contribuisce alla disuguaglianza nel mondo. Gli ecologisti non sono altro che dei social-democratici di nuova generazione. E’ il vecchio dibattito «un capitalismo regolato, normato, gentile, non è praticabile?» che nega i fondamenti stessi del capitalismo. Se il capitalismo è feroce, spietato non è perché è «cattivo»: E’ la sua propria natura.  Non si può immaginare che qualcosa che funziona sulla norma assoluta del profitto massimale si preoccupi del benessere dell’umanità. Se essere verde, equivale ad essere pitturati di verde, non ci sono speranze: si pitturerà di verde.
Guardando la resistenza del popolo greco, guardando i sollevamenti popolari nei paesi arabi, gli indignati un po’ ovunque in Europa, Occupy Wall Strett, ecc. ciò le da un po’ di speranza?
Alain Badiou: Assolutamente. Ci sono dei segni, dei sintomi, delle cose che succedono. Partiamo da ciò piuttosto che contemplare costantemente gli orrori del capitalismo e rientrare a casa terrorizzati. E’ molto più importante cercare di conoscere bene l’insieme delle esperienze positive che ci sono nel mondo. Ce ne sono. Bisogna interessarsi a ciò che succede e partecipare.
Siamo molto più vicini al 1840, al capitalismo nascente, era potente…Ma c’era un brusio, delle sommosse operaie qui e là, c’erano dei comunisti, c’era Marx, c’erano delle scuole… Quelle persone non erano veramente nella scena pubblica, non erano nei media dell’epoca. I media dell’epoca non parlavano di ciò. Qualcuno come Victor Hugo, che è anche una figura importante, che ha attraversato tutto il XIX secolo, non ha pronunciato una sola volta il nome di Marx, non lo conosceva. Erano delle persone al di fuori dei media, ciò non ha impedito loro di esistere e di divenire importanti alla fine del secolo, conosciuti, pericolosi, ecc. Dunque, anche in questi casi, non bisogna dirsi che non si è nulla del tutto, non è vero.
Al momento in Francia, da quel che vediamo in Belgio, l’elezione presidenziale sembra ridestare il gusto della militanza di una certa sinistra.
Alain Badiou: E’ vero e penso che sarà un’ironia dell’elezione, cioè che sarà servita a qualcosa d’altro oltre che a se stessa. E’ lo spazio militante che è risorto. L’idea che si possa fare qualcosa. Ed è largamente sintetizzato da Mélenchon, al momento, che si è dedicato all’impresa di resuscitare il partito comunista che era morto, perché sono comunque i militanti del PCF che fanno il grosso del lavoro. E’ per questo che alcune persone si riavvicinano ora, perché hanno visto che succede qualcosa. La capacità di Mèlenchon è stata di alzare il tono. I suoi nemici gli rimproverano la sua retorica, ma ha ragione perché nella situazione in cui è, se vuole essere un candidato, se vuole risvegliare qualcosa, bisogna andare, bisogna parlare, far riapparire e risentire qualcosa che non si diceva più. L’idea, anche, che non si parte battuti in partenza.

testo originale: http://www.ptb.be/nieuws/artikel/alain-badiou-le-communisme-est-le-nom-de-lalternative.html

traduzione di Consuelo Diodati

Alain Badiou (Rabat 1937) ha studiato filosofia e matematica all'École Normale Supérieure di Parigi. Dopo anni di insegnamento all'Università di Parigi viii Vincennes-Saint Denis, è oggi direttore dell'Istituto di filosofia dell'École Normale. Politicamente molto attivo, è stato tra i fondatori, nel 1967, del "Cercle d'Épistemologie" dell'École Normale, che diede vita a una rivista fondamentale per il dibattito culturale in Francia, i "Cahiers pour l'analyse". Tra i suoi libri tradotti in italiano: Manifesto per la filosofia (Feltrinelli, 1991), L'etica. Saggio sulla coscienza del male (Pratiche, 1994; Cronopio, 2006), L'essere e l'evento (il Melangolo, 1995), Metapolitica (Cronopio, 2003), La Comune di Parigi. Una dichiarazione politica sulla politica (Cronopio, 2004), Deleuze. Il clamore dell'Essere (Einaudi, 2004), Il secolo (Feltrinelli, 2006), Sarkozy: di che cosa è il nome?(Cronopio, 2008), Heidegger. Il nazismo, le donne, la filosofia (Il Nuovo Melangolo 2010), L'ipotesi comunista (Cronopio, 2011).

A sinistra scoprono Podemos — Luca Tancredi Barone, Il Manifesto

Spagna. Intervista a Pablo Iglesias, professore e icona della tv, leader della lista anti-casta che ha catalizzato il voto indignados e ottenuto un incredibile 8% alle europee. E 5 deputati a Bruxelles nel Gue
Gli indi­gna­dos son tor­nati. È effi­cace l’incipit dell’Eco­no­mist sull’inaspettato suc­cesso del par­tito Pode­mos (“pos­siamo”) – nato solo a gen­naio di quest’anno – e ben rias­sume il senso di una pic­cola rivo­lu­zione nella poli­tica spa­gnola. Per la prima volta dalla Tran­si­zione alla demo­cra­zia, i due prin­ci­pali par­titi rac­col­gono meno della metà dei con­sensi. La stessa fru­stra­zione che in Fran­cia, in Olanda e in Inghil­terra prende tinte xeno­fobe in Spa­gna si tra­sforma in un impor­tante affer­ma­zione delle forze della sini­stra non socia­li­sta che insieme rag­giun­gono quasi il 25% dei voti. Izquierda Unida (IU) e alleati pas­sano da meno del 4% al 10%, i verdi di Equo otten­gono quasi il 2% dei voti. I tra­di­zio­nali par­titi della sini­stra nazio­na­li­sta anti­ca­pi­ta­li­sta otten­gono un seg­gio – altri tre seggi vanno alla sini­stra cata­lana Esquerra Repu­bli­cana. E, appena affac­cia­tosi sulla scena,Podemos irrompe con ben 5 seggi — quando i son­daggi gliene davano al mas­simo uno — e l’8% dei voti.

31desk2 spagna  giulia  pablo iglesias
Nata dall’iniziativa della star tele­vi­siva con coda di cavallo, il 35-enne pro­fes­sore di scienze poli­ti­che all’Università di Madrid Pablo Igle­sias (si chiama pro­prio come il padre fon­da­tore del Psoe), la lista Pode­mos è addi­rit­tura arri­vata terza in alcune comu­nità, fra cui quella di Madrid. Segni di un vento nuovo, lo stesso che ha por­tato il 28-enne Alberto Gar­zón a pas­sare dalle piazze del 15M alle Cor­tes di Madrid e che ha agglu­ti­nato entu­sia­smi fra le file di IU. Con cen­ti­naia di cir­coli in tutta Spa­gna e una comu­ni­ca­zione web ele­gante e pulita – che non manca di cer­ti­fi­care le spese soste­nute per la cam­pa­gna – Pode­mos ha l’ambizione dichia­rata di costruire un’alternativa alla “casta” – un’alternativa di sini­stra, che usa con sciol­tezza il lin­guag­gio e lo stile tele­vi­sivo del suo media­tico por­ta­voce. Con poco più di cen­to­mila euro, Pode­mos ha con­qui­stato cin­que seggi (2 donne e tre uomini, tra cui un fisico tetra­ple­gico), che si iscri­ve­ranno tutti, assi­cura Pablo Igle­sias, nel gruppo della Sini­stra Euro­pea. Il mani­fe­sto ha impie­gato quat­tro giorni per riu­scire a par­larci. «Siamo obe­rati di richie­ste», si giustifica.
I son­daggi davano una cre­scita dell’astensionismo. Invece è rima­sto sta­bile. Merito vostro
È ancora pre­sto per fare que­sta valu­ta­zione. Biso­gnerà aspet­tare i dati sulla par­te­ci­pa­zione e sulla com­po­si­zione del voto. Ma, a occhio, abbiamo cer­ta­mente mobi­li­tato molte per­sone che non avreb­bero votato.
Quali saranno le vostre prio­rità all’Eurocamera?
Diremo che non vogliamo essere una colo­nia della Ger­ma­nia. Vogliamo dignità per i paesi del sud. Non è accet­ta­bile che le poli­ti­che eco­no­mi­che che stanno con­dan­nando alla mise­ria una parte delle popo­la­zioni siano decise da orga­ni­smi non demo­cra­tici come l’Fmi o la Bce. Degli 8.000 euro dello sti­pen­dio, noi trat­ter­remo solo l’equivalente di tre salari minimi (3x645 euro, nd). Il resto lo done­remo. Non è accet­ta­bile che un euro­de­pu­tato gua­da­gni più di un chi­rurgo della sanità pub­blica, o di un pro­fes­sore uni­ver­si­ta­rio o di un ispet­tore del lavoro. È neces­sa­rio finirla con le “porte gire­voli” fra poli­tici e con­si­gli di ammi­ni­stra­zione delle grandi imprese. Pro­por­remo di fare un audit del debito che metta gli inte­ressi della gente davanti a quelli delle banche.
Pro­po­nete l’adozione di quella che chia­mate «la diret­tiva Vil­la­rejo», una bat­te­ria di misure dal nome del giu­dice anti­cor­ru­zione, numero tre nella vostra lista.
Il docu­mento è il risul­tato di un pro­cesso di ela­bo­ra­zione col­let­tiva con un metodo aperto a cui hanno par­te­ci­pato e che hanno votato migliaia di per­sone. In sin­tesi, pre­vede un tetto ai salari. La limi­ta­zione dei man­dati par­la­men­tari a due o al mas­simo a tre con ragioni molto giu­sti­fi­cate. E la fine dei pri­vi­legi otto­cen­te­schi, come il tri­bu­nale spe­ciale per i mini­stri. Per non par­lare del re. Le cari­che pub­bli­che devono essere giu­di­cate da tri­bu­nali ordi­nari. La legge è uguale per tutti.
Per­ché avete deciso di pre­sen­tarvi alle elezioni?
Rispetto a IU, noi abbiamo pun­tato su due chiavi fon­da­men­tali. La prima è il pro­ta­go­ni­smo cit­ta­dino. Per le nostre liste si poteva pre­sen­tare e votare qual­siasi cit­ta­dino. Era impor­tante che non fosse una lista decisa da un organo di dire­zione. La seconda è che cre­diamo che l’asse fon­da­men­tale per capire quel che accade non è il gioco destra, cen­tro, sini­stra. Ma la con­trap­po­si­zione cit­ta­dini con­tro elite, cit­ta­dini con­tro casta. La mag­gio­ranza dei cit­ta­dini è d’accordo con quello che pro­po­niamo: una riforma fiscale per­ché paghino i ric­chi, un audit del debito, la fine degli sfratti ipo­te­cari, smet­tere di usare le risorse pub­bli­che a bene­fi­cio dei pri­va­tei Il 15M ha messo in campo una realtà: che esi­ste una mag­gio­ranza sociale che si può con­ver­tire in mag­gio­ranza politica.
Per­so­na­lità di IU come Alberto Gar­zón dicono che sono inte­res­sati a costruire con voi un «Frente Amplio».
Per il momento dob­biamo lavo­rare a un pro­cesso costi­tuente interno a Pode­mos. per poi dare avvio a un per­corso di con­fluenza evi­te­remo le riu­nioni dall’alto. Se la gente vuole, per­ché biso­gnerà con­sul­tarla, magari si sta­bi­li­ranno que­ste col­la­bo­ra­zioni. Però senza scor­cia­toie diri­gi­ste. È chiaro che non pos­siamo fer­marci: dob­biamo costruire una nuova mag­gio­ranza poli­tica di governo
Dicono che siete un par­tito troppo personalizzato.
È vero: il mio pro­ta­go­ni­smo media­tico è stato enorme. Ma per noi, senza il bud­get dei grandi par­titi, uno dei prin­ci­pali mezzi di comu­ni­ca­zione era un ragazzo con la coda che si vedeva in alcuni salotti televisivi.
Dicono anche che vi ispi­rano modelli poli­tici come il Venezuela.
Non si pos­sono impor­tare modelli acri­ti­ca­mente, ma biso­gna impa­rare dai posti dove le cose sono state fatte bene. Il modello edu­ca­tivo fin­lan­dese è una mera­vi­glia, mi piace molto anche che in Fran­cia buona parte delle imprese stra­te­gi­che siano sta­tali. In Ame­rica Latina sono state prese misure molto ragio­ne­voli. Per esem­pio in Ecua­dor c’è stato un audit del debito che è ser­vito per fare una poli­tica redi­stri­bu­tiva. Del Vene­zuela mi piac­ciono i refe­ren­dum revo­ca­tori. Mi pare una que­stione di salute demo­cra­tica che un gruppo di elet­tori possa deci­dere di cac­ciare un poli­tico che non ha rispet­tato le pro­messe. Sono anche state fatte poli­ti­che sociali che hanno esteso i ser­vizi pub­blici a set­tori della popo­la­zione che non lo conoscevano.
Dall’Italia c’è qual­cosa che vor­re­ste copiare?
Siete stati un mio rife­ri­mento poli­tico per molti anni, la mia tesi di dot­to­rato è stata sulle Tute bian­che e la ric­chezza poli­tica ita­liana mi ha sem­pre affa­sci­nato. Ho anche fatto anche l’Erasmus a Bolo­gna. Ma oggi come oggi leg­gere i gior­nali ita­liani mi pro­duce una enorme tristezza.

“Per la costituente della sinistra italiana”


Paolo-Ferrerodi Intelligonews – La sinistra è pronta alla costituente che non significa mera unità dei vari partiti, ma partecipazione reale del popolo attraverso discussione e condivisione.
Questo il messaggio lanciato da Paolo Ferrero nell’intervista a IntelligoNews, due giorni dopo il successo elettorale delle europee che ha visto “L’Altra Europa con Tsipras” superare la fatidica soglia del 4%.
Per Ferrero la sinistra è tutt’altra cosa dal governo Renzi, definito centrista e con un programma di riforme di destra…
L’Altra Europa al 4% è un successo per la sinistra italiana?
«Abbiamo preso il 4% in una condizione disperante, senza avere un soldo e inseriti nello schema finto del voto utile visti i distacchi abissali. Anche nelle condizioni difficili vi è dunque un popolo della sinistra che si è riconosciuto in noi e nella proposta di Tsipras candidato presidente in alternativa a Schulz. Il successo è in questo dato».
La costruzione di un’unità d’intenti e di simboli, avviata a sinistra con queste elezioni, è ormai un punto di non ritorno o siamo ancora ad una fase embrionale?
«Dobbiamo innanzitutto essere coerenti con questo indirizzo, costruendo su questa base di partenza una partecipazione reale del popolo di sinistra che è molto più ampio delle sole forze organizzate nei partiti.
Occorre avviare un percorso partecipato facendo una specie di social forum della sinistra, una fase costituente dove l’elemento della discussione e della condivisione, con i dovuti tempi, modi e luoghi sia al centro. La volontà politica per realizzare tutto questo c’è ed è forte».
Un elettorato al quale non è piaciuto il corteggiamento di Berlinguer da parte di Grillo. Sarebbe servita maggiore prudenza…
«Grillo ha provato a fare la spugna assorbi tutto, dicendo cose e avendo modi opposti a quelli di Berlinguer e della sinistra. Noi siamo pronti ad avanzare proposte concrete e respingiamo la politica fatta di insulti».
Una proposta per l’Europa?
«Draghi farà un’operazione di finanziamento delle banche, presentata come misura contro l’austerità, ma che in realtà è l’ennesimo regalo al sistema finanziario internazionale. Si continua ad alimentare la malattia presentandola come la medicina.
Noi diciamo a Draghi di acquistare immediatamente titoli di Stato al tasso di interesse dello 0,25%! Pensiamo che l’Italia oggi paga con interessi al 5% che hanno portato a 80 miliardi di interessi. Se si facesse un’operazione di passaggio del debito nazionale dei singoli Paesi alla Banca centrale con il tasso dello 0,25%, avremmo almeno il dimezzamento della quota degli 80 miliardi che paghiamo per interessi.
Questa è una proposta concreta che non parla di uscita dall’euro, ma di politiche che mettano al centro le persone».
Venendo all’Italia, Renzi ha avuto ora quella legittimità popolare che gli mancava. Quanta sinistra c’è in questo governo?
«La sinistra è una cosa, il centrosinistra un’altra. Separare i nomi è alla base di ogni riflessione politica.
In Italia abbiamo un centrosinistra che governa con il centrodestra, esattamente come fa la Merkel in Germania. La distanza tra noi e il centrosinistra è molto forte, visto che loro promuovono, addirittura codificano politiche neo-liberiste: tra Merkel e Renzi non vi è differenza sulle politiche economiche».
Sulle riforme?
«Lì il programma del governo Renzi è specificatamente di destra! L’idea di demolire l’elegibilità diretta del Senato, introducendo un premio di maggioranza alla Camera con l’aggravante dell’espellere le minoranze dal Parlamento è roba di estrema destra.
Tutto questo per arrivare al presidenzialismo e, dunque, al plebiscitarismo.
Renzi guida dunque un governo centrista, a maggioranza di centrosinistra con un programma di riforme di destra».
L’aver scelto un leader forte come Tsipras per queste elezioni segna un cambio di metodo della sinistra, solitamente restia nell’identificarsi con un capo?
«Credo di no perché Tsipras non era l’uomo della provvidenza, ma l’esemplificazione di un simbolo.
Non vanno inseguiti i vari Grillo, Renzi e Berlusconi nella personalizzazione teatralistica della politica. La sinistra può crescere non perché ricerca l’uomo della provvidenza, ma perché spezza la spirale dell’assimilazione di massa, del consenso passivo, del plebiscito! Questo è il problema dell’Italia: la gente soffre individualmente e non ha percorsi collettivi. A noi il compito di ricostruire lotta, unità, solidarietà! Per questo non avremo mai un leader a cui delegare tutto, l’uomo solo al comando…».

Caro Migliore, il tuo appello è una truffa di Giulio Cavalli, L'Espresso

Gennaro Migliore aspetta la chiusura delle urne delle ultime elezioni europee (con SEL confluita nella lista Altra Europa con Tsipras che supera la soglia di sbarramento) e subito rilancia la sua (e non solo sua) vecchia ossessione di entrare nel PD. Certo, l’ha detto in modo più articolato e forbito ma il succo è questo: fare i “sinistri” nel PD meno sinistro degli ultimi anni. E non importa se alle ultime politiche l’alleanza con i democratici sia durata il tempo di mettere il piede in Parlamento e non importa (a Migliore e altri) che l’alleanza civica e politica per le europee sia una proposta profondamente diversa dall’idea di Europa e di Italia di Matteo Renzi: l’importante è collocarsi. Da fuori sembra proprio così.
Sono anni ormai che a sinistra del PD coesistono due posizioni sclerotizzate che stanno agendo per usura: chi aspetta che la sinistra del PD si spacchi (Pippo Civati, per fare un nome) e chi aspetta di avere la giusta merce di scambio per entrarci, nel PD. Intorno coloro che ogni volta si mettono pancia a terra a raccogliere firme, montare banchetti, scrivere manifesti e costruire una forza autonoma sono semplicemente la “passeggera utilità” per raggiungere obbiettivi ovviamente a brevissimo termine e così si incensa Tsipras dimenticando il suo lavoro di collazione e unificazione di una sinistra greca che è diventata adulta solo quando ha avuto il coraggio di unirsi. Unità significa rinuncia della sicurezza delle proprie posizioni, non è difficile capirlo e non è difficile riconoscere chi, miope, crede che l’autopreservazione passi per forza solo dal conservatorismo. La Sinistra è un’altra cosa. Il progetto è un’altra cosa e, se non sbaglio, Sel era un’altra cosa. Ricorda Gennaro Migliore che Sel e Nichi Vendola sono nati da una candidatura alla Regione Puglia contro gli stati generali del Partito Democratico? Ricorda Gennaro le parole di Vendola (e tutta SEL) su Matteo Renzi alle primarie vinte da Bersani? Ricorda Gennaro quando Sel parlava di “coraggio”, “cambiamento”, “andare in mare aperto”?
Ecco, sarebbe il caso di chiedere agli “storici” dirigenti della sinistra se hanno coscienza che lì in fondo, alla base, hanno cominciato a stancarsi di sentire parlare di coraggio senza praticarlo, hanno capito tutti che le scorie di beghe personali di un’era geologica fa stanno rallentando un processo che non si può e non si deve arrestare e hanno tutti sensazione che questa classe dirigente ha quasi esaurito il suo tempo.
La proposta di Migliore è una truffa: uno spostamento di posizioni che include un tradimento dell’idea di fondo. Siete nel posto sbagliato e, attenzione, viene il dubbio che siate in minoranza e non ve ne siete ancora accorti.

Sel non si divide, è tregua di Daniela Preziosi, Il Manifesto

Sinistre. Vendola tiene uniti i suoi, ma alla presidenza è scontro duro fra chi chiede di proseguire l’esperienza di Tsipras e chi vuole aprire un dialogo con il governo: «Renzi un pericolo? No, un’opportunità»
«La mia idea è con­ti­nuare a delu­dere la pat­tu­glia di eroici gior­na­li­sti che seguono le nostre riu­nioni in attesa di vedere scor­rere il san­gue». Alla fine di una tor­men­ta­tis­sima riu­nione di pre­si­denza, in cui volano parole grosse e si scon­trano due fazioni oppo­ste — da una parte i soste­ni­tori del «pro­cesso» uni­ta­rio a sini­stra inne­scato dalla lista Tsi­pras, dall’altra quelli che chie­dono un avvi­ci­na­mento al Pd e una ridi­scus­sione del rap­porto con il governo Renzi, in mezzo un drap­pello di pon­tieri — Nichi Ven­dola non resi­ste alla ten­ta­zione di pren­der­sela con «i gior­na­li­sti». Non che possa negare che il dis­senso in Sel c’è ed è pro­fondo: «Da noi i capi del dis­senso interno», spiega, per riven­di­care demo­cra­zia interna rispetto all’M5S, «sono uno capo­gruppo alla Camera e un altro teso­riere del par­tito. Non vedo vicende ana­lo­ghe in altri par­titi. Nes­suno ha detto a nes­suno: se vuoi man­te­nere il tuo inca­rico o cambi linea poli­tica o rimetti il tuo mandato».
Durante la riu­nione, Ven­dola media senza tre­gua. Si sforza di tenere unita «la nostra comu­nità», bac­chetta chi alza i toni — qui ci vuole una paren­tesi sulla sini­stra pri­mi­tiva che dopo tante scis­sioni non non ha smesso dare del tra­di­tore, se va bene, a chi la pensa diver­sa­mente — «le voci dif­fe­renti non sono una minac­cia ma una ric­chezza. Piut­to­sto che repri­mere, ci piace discu­tere», «l’importante è non tra­sfor­marlo in una guerra con morti e feriti. Occorre tro­vare un equi­li­brio, una sin­tesi». Ma la «sin­tesi» sta­volta è un’esercizio dif­fi­cile fra le posi­zioni in campo, in un dopo-europee che poteva essere di festa (la lista Tsi­pras ha supe­rato di un sof­fio lo sbar­ra­mento, tre gli eletti) e invece è l’annuncio di una bat­ta­glia interna: chi chiede il par­tito unico fra Pd e Sel, date le pro­por­zioni (40,8 per cento con­tro il 4,03) è sospet­tato di fare domanda di iscri­zione al Pd. Chi chiede il «pro­cesso» uni­ta­rio a sini­stra sconta il sospetto di voler far scio­gliere Sel in una even­tuale ’cosa rossa’. Dalla prima parte Gen­naro Migliore, Ser­gio Boc­ca­du­tri (appunto il capo­gruppo e il teso­riere), Ileana Piaz­zoni, Clau­dio Fava, e una decina di depu­tati; dall’altra Nicola Fra­to­ianni, Mas­si­mi­liano Sme­ri­glio, Lore­dana De Petris, Paolo Cento, Fabio Mussi.
La gior­nata fini­sce con una tre­gua: le con­clu­sioni di Ven­dola sono votate all’unanimità, un po’ per­ché ecu­me­ni­che (e infatti i pro-Tsipras scal­pi­tano), un po’ per­ché i ’dis­si­denti’ sono par­la­men­tari quindi invi­tati senza diritto di voto. La sin­tesi di Ven­dola è: «Una sini­stra di governo non è una sini­stra nel governo». Rie­cheg­gia la for­mula ber­ti­not­tiana «siamo uomini in que­sto mondo, non di que­sto mondo» che apriva uno spa­zio di dia­logo con Prodi (a sua volta era una cita­zione di Paolo Tarso). Ma del resto que­sto pre­lu­dio di una nuova divi­sione è per forza un gioco di rimandi alle (tante) scis­sioni pre­ce­denti e infatti anche Migliore lan­ciando il suo avvi­ci­na­mento al Pd usa la for­mula «stare nel gorgo» che fu quella di Pie­tro Ingrao ad Arco di Trento nel 1990 quando annun­ciò di restare nel Pds.
Fin qui nes­suno cam­bia posi­zione. Alla fine Migliore può apprez­zare le parole di Vendola e quasi annun­ciare vit­to­ria: «Si è evi­tata la costi­tuente della sini­stra che era pro­mossa da alcuni espo­nenti della lista Tsi­pras. Ipo­tesi archi­viata per pun­tare invece sul rilan­cio del cen­tro­si­ni­stra, sul futuro del cen­tro­si­ni­stra». Dall’altra parte se di ’costi­tuente’ non parla nes­suno, la cer­tezza di aver avviato un per­corso con la lista Tsi­pras è gra­ni­tica. Fra i due fronti la terra di mezzo di quelli che «se la discus­sione è fra ade­rire al Pd o alla costi­tuente allora io mi iscrivo al gruppo misto», come dice Cic­cio Fer­rara. È una bat­tuta, ma in effetti alcuni depu­tati vedono ormai il gruppo misto come un approdo pos­si­bile.
Ven­dola smina il campo anche sul decreto sugli 80 euro, prov­ve­di­mento diven­tato sim­bolo della bat­ta­glia dei ’miglio­ri­sti’ che vogliono votare sì. Dice il pre­si­dente della Puglia: «Noi non abbiamo detto che gli 80 euro sono una man­cia per il voto di scam­bio. Vedremo, se è ottimo lo votiamo, se è pes­simo lo boc­ciamo, se è pos­si­bile miglio­rarlo non ci tire­remo indie­tro, come sem­pre».
L’eventuale conta è riman­data all’assemblea nazio­nale del 14 giu­gno. Nel frat­tempo oggi a Roma si riu­ni­scono i can­di­dati della lista Tsi­pras, poi toc­cherà ai comi­tati e ai garanti e biso­gnerà vedere qual è la pro­po­sta per pro­se­guire l’esperienza della lista. Se fosse già una «costi­tuente», per la quale spinge anche Rifon­da­zione, per Sel sarebbe un grosso guaio.
«Comun­que una dire­zione dob­biamo pren­derla», dice dal palco Nicola Fra­to­ianni. Ed è così, e il 40,8 per cento di Renzi non lascerà mar­gini di inde­ci­sione. Il segre­ta­rio Pd si schiera nel campo del bipar­ti­ti­smo. Con que­ste per­cen­tuali, e con una legge come l’Italicum, il Pd sarebbe auto­suf­fi­ciente a gover­nare da solo e «cor­rere soli» di vel­tro­niana memo­ria. Archi­viando il cen­tro­si­ni­stra, come fece Vel­troni in quel 2008. O, come dicono i dis­si­denti, «tra­sfor­mando il Pd nel centrosinistra».

venerdì 30 maggio 2014

Meteorologia liberista, la ripresa per il … di Il Simplicissimus

images (9)La fantasia degli economisti per giustificare le previsioni sballate, è straordinaria, meriterebbe un Nobel molto più dei fumosi tentativi di trovare o di spacciare leggi universali. Da qualche mese la meteorologia è stata arruolata in questa appassionata narrazione, visto che proprio non si riusciva a trovare qualche giustificazione plausibile alla mancata ripresa data ormai per certa. Il pil dell’Olanda va giù del 1,2% nel primo trimestre del 2014? Colpa dell’inverno troppo mite che ha ridotto il consumo di gas ed energia elettrica ed è la stessa giustificazione che si adotta per la mancata crescita italiana. Chissà poi come si spiega la crescita tedesca dello 0,8% visto che le il clima più mite ha coinvolto l’intero continente. Ma ecco che arriva anche il tonfo dell’ 1% dell’economia Usa, come spiegarlo? Jason Furman, presidente dei consiglieri economici del capo della Casa Bianca non ha dubbi: l’inverno troppo rigido che avrebbe frenato le attività economiche.
Ormai siamo alle comiche, la mitica ripresa è divenuta un atto di fede da recitare al momento dei telegiornali e una necessità politica per le elite al potere: la latitanza del miracolo spinge a trovare le più singolari spiegazioni per la teologia salvifica del liberismo. Cosa dirà Renzi quando diventerà chiaro che l’Italia rischia un altro segno meno, che è colpa delle mezze stagioni? Certo da settembre in poi quando i metodi di calcolo del Pil verranno cambiati introducendovi spese militari, assicurative, prodotti semilavorati di reimportazione e arruolando anche prostituzione e delinquenza, si potrà presumibilmente abbandonare la spiegazione climatica: si dirà che Genny la bionda ha battuto la fiacca o che Ciro ‘O animale ha bruciato meno rifiuti del solito.
Certo non si può spiegare facilmente come l’interscambio commerciale globale si sia ridotto del 2,7% nel primo trimestre dell’anno in assenza di un diluvio universale. L’unica cosa sicura è la ripresa c’è, per i fondelli.

In libreria il n° 31 di Alternative per il Socialismo. "La paura delle élites"

DURERA’ QUESTA CIVILTA’?
Addirittura dalla Nasa arriva un allarme forte sulla capacità di tenuta e di futuro di questa civiltà. Nello studio si mettono a confronto le crisi di grandi civiltà antiche per avvertire che anche i loro sovrani hanno creduto di poterne dominare i processi, finché qualcosa è avvenuto che le ha fatte deragliare. Si può ovviamente dissentire, ma quel che colpisce è l’individuazione delle due cause che, congiuntamente, determinerebbero la crisi delle civiltà: l’impoverimento delle risorse disponibili (tesi principe dell’ecologismo) e l’esplosione della diseguaglianza sociale, con la violenta stratificazione della società in una realtà sociale formata dalle élites e, dall’altra, in quella delle popolazioni impoverite (la lettura di classe della globalizzazione capitalistica e della sua crisi).
La tesi è che la crisi di civiltà si genera quando il controllo delle élites blocca la ridistribuzione della ricchezza prodotta, generando un collasso del lavoro salariato e degli strati popolari. A rispondere a questa emergenza troviamo una pantomima impresentabile che pretende di opporre al populismo la difesa della democrazia. In realtà c’è un populismo che anima (anche pericolosamente) la società civile e un populismo che si è insediato nella stanza dei bottoni. Il populismo di stato si chiama bonapartismo o, più opportunamente, applicato al caso nostro, neo-bonapartismo. Le liste Tsipras sono chiamate a rompere questo gioco a somma zero. E’ un compito difficilissimo, ma è giusto provarci.
FAUSTO BERTINOTTI

UNA SYRIZA ITALIANA NON PUÒ ESSERE CONTIGUA AL PD di Giandiego Marigo

La contraddizione che aveva distinto la fase iniziale della costituzione di questa lista e che SeL porta in sé sta esponendosi … immediatamente, peccato davvero, ed era tutto sommato prevedibile. A suo tempo mi ero chiesto a che titolo e soprattutto a che pro, alcuni intellettuali, tutto sommato “organici” all'area ampia del PD, quali per esempio gli scrivani di Repubblica avessero scelto di correre con Tsipras.
Questa “ambiguità” era una delle premesse poco chiare che questa lista aveva (e che Sinistra Unita-AreA di Progresso e Civiltà aveva , puntualmente, stigmatizzato) e sulla quale si è soprassieduto in nome della sua importanza e dell'apporto fondamentale della sinistra europea e di Tsipras, ma soprattutto in nome della speranza che il percorso unitario facesse comprendere come , appunto, l'AreA potesse svilupparsi solo in assenza del PD ed in situazione non promiscua a lui.
Purtroppo le “esternazioni” di Vendola, Migliore e non ultimo di Curzio Maltese obbligano alla precisazione, almeno per quanto mi riguarda, a livello personale Ma anche come fondatore di pagine d'appoggio e parte dei “Comitati Pro L'Altra Europa Con Tsipras”.
Questa vicinanza, tanto cara a questi “intellettuali” e pochissimo chiara anche in fase costitutiva è, io credo, del tutto gratutita e “non sentita” dal popolo che ha votato questa lista, non condivisa e condivisibile, se non in termini di assoluta chiarezza.

Il Progetto Unitario di Sinistra non comprende il PD che non è di Sinistra, se non in alcune manifestazioni del tutto utilitaristiche e finalizzate al recupero di una fascia di votanti,
Questo partito ha un progetto del tutto diverso, lontanissimo da ogni alternativa sistemica, di collaborazione e con il potere e l'elìte che lo detiene.
Una premessa “politica di fondo”, quale la lotta ai “progetti di austerità”, alla politica dei sacrifici, al taglio selvaggio del Welfare, alle privatizzazioni al precariato, alle delocalizzazioni, non può comprendere un partito che ne è il vessillifero e il propugnatore, Prodi è un artefica di quest'Europa, di quest'Euro … un uomo di Bilderberg … un artefice di questa trappola e non solo lui nel PD è fra le menti che quest'Europa hanno pensato.
Come può dunque avvenire che per combattere questo sistema ci si possa alleare con gli artefici, non ne abbiamo avuti a sufficienza di abbracci mortali e di alleanze suicide.

Ho già espresso questo pensiero e sono stato accusato, guarda caso da compagni d'area SeL di propugnare una sorta di “Rifondazione 2.0”, non è così, quella che io vedo è un'AreA ampia e plurale dove di incontrano "Socialisti, Comunisti. Libertari e persino Keinesiani", ma non neo-democristiani … cosa che avvicinando il PD è assolutamente certa.
Questo progetto è alternativo a questo sistema e quindi alternativo al PD. Propone e ricerca una spiritualità ed un mondo altri che non possono essere, nemmeno per errore o distrazione, quelli degli emendanti per eccellenza che, di fatto, condividono il sistema sino in fondo … sino nel DNA.
Questo esclude collaborazioni? Assolutamente no, esclude il fatto che sia nostro fine influenzare e aprire contraddizioni in seno al corpo di questo partito e di tutta l'area pseudo-socialista tradizionale? Ancora una volta niente affatto!

Vi saranno amplissimi spazi di “contatto”, momenti di convergenza su tematiche specifiche, ma questi avverranno anche con M5S e gli euroscettici di sinistra, altro è però programmare la lista per essere contigua al PD … tutt'altro.

Altro ancora il cercare le strade del “partito unico con il PD”, altro svendere senza nemmeno averne verificato le possibilità il “sogno europeo" che gli elettori della lista ci hanno consegnato, insieme al compito di unificare l'arcipelago rosso.
Vendola ci fa sapere che se si parla di Syriza Italiana lui non ci sarà? Dispiace sentirlo, ma ce ne faremo una ragione.
Io e moltissimi con me, credo e confido la stragrande maggioranza degli elettori di questa lista è di là che vogliamo andare ...
Vendola , Migliore, La sig.ra Spinelli, il dott Curzio Maltese non ci vogliono venire, liberissimi di andare dove pare loro, ma non in nome della Lista Tsipras … NON IN MIO NOME.
Strano, peraltro e permettetemi strumentale che abbiano fatto riferimento a Tsipras, alla Sinistra Europea, per implementare un progetto che ci vorrebbe portare ad essere, tutti, “Camerieri dei Neo-democristiani”.

La lista Tsipras non è stata una lista civetta per ostacolare Grillo ed M5S che alla chiusura delle urne confluisce ordinatamente nel corpo della “Grande Mamma”.
Questa lista ha portato speranze, progetti, aspirazioni e visioni … che non siamo disposti a recedere e a dimenticare … dietro ad essa c'è un sacco, davvero tanta gente, che confida e vuole una sinistra forte fuori dal PD, primo passo verso un'AreA di Progresso e Civiltà alternativa a questo sistema.

PRC TORGIANO - COMUNICATO STAMPA


Il Direttivo del Circolo comunale del Partito della Rifondazione Comunista, riunitosi per analizzare il voto delle elezioni amministrative ed europee, esprime grande soddisfazione per il risultato della Lista L’Altra Europa per Tsipras alle  elezioni europee. Considera non soddisfacente il risultato della Lista Torre – Torgiano Bene Comune nelle elezioni comunali.

Prendendo atto  del risultato elettorale, ringrazia innanzitutto gli elettori che hanno condiviso le proposte della Lista Torre – Torgiano Bene Comune. Un particolare ringraziamento va al nostro candidato sindaco Feliciano Martinelli che, pur in una situazione estremamente difficile,  ha avuto il coraggio di “metterci la faccia”.

All'interno del dato della Lista Torre vogliamo sottolineare lo straordinario successo personale del nostro candidato Andrea Ferroni che con 178 preferenze risulta il primo degli eletti. Un risultato, questo, che indica chiaramente il radicamento del partito e della sinistra sul territorio in termini di rinnovamento ed apertura.

Al rieletto sindaco di Torgiano vanno le nostre congratulazioni.

Consapevoli delle responsabilità che dovremmo sostenere e convinti della necessità di un forte cambiamento nella gestione della cosa pubblica, dichiariamo fin d’ora che porteremo avanti una linea di intransigente opposizione rispetto alla nuova Amministrazione cittadina. Un’opposizione, tuttavia, non preconcetta o settaria, ma volta innanzitutto al bene del paese e dei cittadini.

Stefano Antognoni,
Segretario Circolo PRC “Pierino Ranieri”