Fino a un mese fa, chiunque azzardasse qualche pallida critica, qualche tenue perplessità, qualche timida riserva sul ritorno al nucleare veniva bollato da un ampio fronte di giornali, politici ed “esperti” come un vecchio rottame nemico della Modernità. E non solo dagli house organ del Cainano, ma anche da quelli della banda larga dei costruttori che già pregustavano la pappatoia degli appalti per le nuove centrali atomiche.
Ancora all’indomani del disastro in Giappone, il Messaggero (gruppo Caltagirone) ospitava un profetico commento di Oscar Giannino, quello che pare una comparsa del Marchese del Grillo con il cocchio dorato che l’attende fuori dagli studi televisivi: “Tentare di dimostrare che il nucleare non possiamo permettercelo è dimostrazione di crassa ignoranza tecnologica.
Da oggi c’è da giurare che nessuno di quelli che vengono eufemisticamente chiamati “giornalisti e intellettuali di destra” (in realtà dipendenti a libro paga di B.) oserà più dire una mezza parola pro nucleare. Anzi, diventeranno tutti antinuclearisti convinti e accuseranno di “crassa ignoranza tecnologica” chi fosse a favore. Così come per l’Iraq e l’Afghanistan erano guerrafondai e oggi per la Libia sono pacifisti. Così come sulla morale sessuale erano puritani e bigotti (addirittura “atei devoti”), per poi trasformarsi in sfrenati libertini quando si è dimostrato che il premier è un puttaniere e “utilizza” minorenni. In attesa di vedere Giannino col berretto del Sole che ride, Ferrara con le mutande verdi, Belpietro appeso all’altare della patria avvolto nella bandiera di Greenpeace, Olindo Sallusti sulla goletta verde di Legambiente con Rosa Santanchè nella scialuppa di salvataggio, la retromarcia su Fukushima segnala le catastrofiche condizioni in cui versa il premier.
Lui, ovviamente, del nucleare se ne infischia: non distingue una centrale da un palo della lap dance. Ciò che lo angoscia sono i referendum: non quelli sul nucleare e l’acqua pubblica (è talmente liberaleliberistaliberalizzatore che non ha mai privatizzato nemmeno un canile), ma quello sul legittimo impedimento. Quel diavolo di Di Pietro gli ha infilato proprio lì un cuneo mica male: fra due mesi, dopo vent’anni di leggi ad personam, i cittadini potranno finalmente decidere se la legge è uguale anche per B. o no. Un referendum sull’imputato B. che, al contrario di quel che cianciano i soliti idioti, lo colpisce nel suo unico vero tallone d’Achille: i processi.
L’unico attacco che teme davvero, perché gli fa perdere consensi e lo manda fuori di testa, è quello giudiziario: infatti non dorme la notte all’idea che il 12-13 giugno si raggiunga il quorum e il legittimo impedimento venga raso al suolo. Infatti ha relegato i referendum in periodo vacanziero, a costo di sperperare 350 milioni con la rinuncia all’election day, nella speranza che gl’italiani andassero al mare. Ma l’emozione per la catastrofe di Fukushima è tale da garantire che il quorum si raggiungerà per tutti e tre i quesiti, compreso quello che lo riguarda ad personam.
Ed ecco, ieri, la mossa da giocatore delle tre carte: una leggina che sospende il piano nucleare per un anno, così il referendum sull’atomo salta, gli altri due mancano il quorum, e poi da settembre, fra il lusco e il brusco, quando nessuno ci penserà più, si riesumano le centrali.
Una truffa al cubo. Ricapitolando. Tre anni fa B. truffa una prima volta i cittadini che nell’87 avevano detto No al nucleare, annunciando una raffica di nuove centrali. Di Pietro raccoglie le firme di quasi un milione di cittadini per cancellare quel piano criminale e lui B. li truffa una seconda volta, assieme ai milioni di italiani che avrebbero votato Sì a cancellare per sempre dall’Italia la fonte energetica più vecchia, inquinante e pericolosa del mondo. Fra qualche mese li trufferà per la terza volta, facendo rientrare dalla finestra il nucleare appena espulso dalla porta. Per salvare una legge ad personam, la numero 40, ne fa un’altra, la numero 41. È troppo sperare, oltre ai soliti moniti, che non venga firmata?
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano
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