giovedì 1 novembre 2012

"Torce umane", la sconfitta della politica e la reinvenzione dell'utopia sociale di Giovanni Russo Spena


L’ultimo, recente libro di Anna Maria Rivera (“Il fuoco della rivolta. Torce umane dal Maghreb all’Europa”, Dedalo editore), affronta il fenomeno, sempre più diffuso, delle”torce umane”, della”autoimmolazione pubblica”, a partire da quella di Mohamed Bouazizi, che si inserisce, in maniera politicamente sconvolgente e socialmente trainante, all’interno del sommovimento che conduce alla rivoluzione tunisina del 14 gennaio.
Straordinario è, nel libro, il lavoro di inchiesta, documentazione, la passione per la conoscenza del fenomeno. I suicidi non sono una fredda casistica, ma vengono nominati, perché dietro ogni nome vi è una narrazione individuale e collettiva, una propensione, un bisogno, una umana tragedia. Condivido la tesi principale del libro: esibire in pubblico il proprio corpo divorato dalle fiamme per testimoniare, denunziare, non è una delle tante maniere in cui gli esseri umani si danno la morte, perché, in contesti differenti ma di volta in volta definiti, diventa “un fatto sociale totale”. Vi è una connessione tra rivolta spontanea e autoimmolazione (essa diventa forma stessa del conflitto sociale). Vi è una triade da tener presente: autoimmolazione/dignità/sfida al potere.
Ho conosciuto e vissuto, ovviamente, avvenimenti simili:quello, tra i tanti, che più direttamente ho attraversato con emozione, partecipazione, voglia di capire, è stato il lasciarsi morire nelle carceri dell’imperialismo inglese di Bobby Sands (ne discutemmo a fondo anche con Adams, dirigente del Sinn Fein, che era suo fratello di lotta e che candidammo, nelle elezioni europee, nelle liste di Democrazia Proletaria). Parlo, ovviamente, di un conflitto sociale aspro che, oggi, si dipana dentro la semischiavitù imposta da quella rivoluzione capitalistica reazionaria che chiamiamo globalizzazione liberista, che aliena e mercifica in maniera pervasiva e in misura totalizzante e che si caratterizza per la messa in discussione delle vite stesse (cosa altro rappresenta la dicotomia lavoro/salute all’Ilva di Taranto?). Il Mediterraneo è un sacrario di vite distrutte, immolatesi nella ricerca di una esistenza dignitosa. Il conflitto sociale (questo è il tratto della contemporaneità) mette in gioco il corpo stesso di chi protesta. Abbiamo visto minatori a 400 metri nelle viscere della terra, operai, ferrovieri, precari, docenti universitari, migranti, in alto, in fuga verso il cielo, sulle gru, sui tetti, aggrappati alle ciminiere più alte. Sono corpi che urlano ribellione, rivolta, indignazione. Il gesto è il recupero della dignità che il capitale calpesta. Le torce umane, dunque, corpi che si autoimmolano, alludono al fuoco della rivolta. Rivera ci offre anche una approfondita e preoccupata elaborazione sulla rivoluzione tunisina. Nella rivoluzione tunisina (ci spiega), le torce umane della rivolta “hanno acceso e generalizzato l’insurrezione popolare, ma sono anche segnali luminosi che indicano i lati oscuri del cammino post/rivoluzione. ”Non a caso, in Tunisia, la rivoluzione e la controrivoluzione si manifestano e parlano al mondo entrambe con una torcia umana, che assurge a paradigma: Bouazizi, da un lato, moltiplica e catalizza la rivolta popolare; dall’altro lato, la controrivoluzione si rende palese, nella sua gravità, in coincidenza con il suicidio di un blogger, Karim Alimi,che si suicida nella notte tra il 15 e il 16 giugno 2012. Era una delle voci più limpide dell’opposizione al regime e della rivolta. Era angosciato per gli esiti della transizione. Vi è, insomma, una dialettica tra un atto singolare ed un valore collettivo. Non è solo “scintilla” che accende l’insurrezione ma parte integrante di un ciclo storico di sommovimenti sociali e politici. L’autoimmolazione (secondo Rivera) è solo, in contesti dati, uno degli elementi di una dialettica complessa tra colui che si immola, coloro che rivendicano e insorgono,le masse che li sostengono,i loro avversari, i media e i cyberattivisti che sfuggono alla censura del potere. L’autrice cita un passo molto significativo di Baudrillard in cui egli sostiene che il suicidio, in alcune condizioni, è ”forma stessa della sovversione”. Perchè "ogni individuo è una particella di capitale, non gli è concesso il diritto di distruggere se stesso. E' contro questa ortodossia del valore che il suicida si ribella,distruggendo la particella di capitale di cui dispone". Quando non si hanno interlocutori pubblici, per lamentarsi di un torto subito e rivendicare una riparazione, la morte volontaria esibita diviene, paradossalmente, il solo modo per "prendere parola".Ormai, occorre non negare il fenomeno rimuovendolo, le fiamme dei "martiri" lambiscono anche l'Europa. Le sponde del Mediterraneo si avvicinano (e anche Israele è coinvolta). Certo, le statistiche ci parlano di numeri molto inferiori, rispetto all'Oriente e ai paesi del Maghreb; ma la tendenza disegna il tratto del cambiamento anche in Europa, come effetto della depressione e della deprivazione di senso, della crisi organica del modello di civiltà. L'eurocentrismo liberista (e i suoi massmedia) tenta di nascondere il fenomeno censurando gli avvenimenti. All'interno della globalizzazione, peraltro, fenomeni di radicale critica dell'esistente, del potere, che sembrano appartenere ad altre culture ed alle dolenti periferie del mondo, diventano nostro vissuto quotidiano. Le "torce umane", anche qui da noi, ci parlano della morte della politica, reclamano una politica alternativa, che sappia raccogliere il grido strozzato. Esse ci indicano un percorso ineludibile: basta con i politicismi, con le astruse alchimie delle politiche di palazzo, ripartiamo dalle anime e dai corpi dolenti, che pretendono organizzazione del conflitto e della speranza collettiva. Solo cosi gesti individuali e simbolici possono essere evitati perchè riassorbiti dentro l'alveo di una soggettività critica organizzata. Rivera riprende,alla fine,giustamente(ed io con lei)la proposta fatta a settembre da Checchino Antonini, di intitolare piazza Montecitorio ad Angelo Di Carlo, il militante ecologista che,ad agosto, si è autoimmolato dinanzi alla sede della Camera. La stampa ha nascosto il suo grido di protesta e di dignità. Ma noi perchè siamo cosi inerti?

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