mercoledì 5 dicembre 2012

E.R. – Tecnici in prima linea di Roberto Errico, Il Manifesto



Il nuovo «fronte del debito» aperto da Mario Monti la scorsa settimana punta a colpire un pezzo fondamentale del nostro welfare, il sistema sanitario nazionale (Ssn). Secondo il premier il nostro Ssn costerebbe troppo, e sarebbe quindi necessario trovare nuove fonti di finanziamento di tipo privatistico. Stanno davvero così le cose?
Secondo l’Ocse, il tanto insostenibile modello italiano assorbe risorse pari all’1,5% del Pil nostrano. Negli Stati Uniti, patria di un modello sanitario completamente privato, il pubblico spende per sussidiare alcuni programmi di assicurazione (come Medicare e Medicaid) una cifra pari al 4,5% del Pil. Anche come spesa complessiva, sia pubblica che privata, la spesa in Italia è poco più della metà di quella Usa (9,5% contro 17,6% del Pil). In generale, la spesa sanitaria procapite negli Usa è di circa 8.200 dollari mentre, a parità di potere d’acquisto, in Italia non arriva a 2.350. Insomma, in America non solo la salute non è un diritto garantito, ma è anche un elemento che incide tantissimo sia sulla spesa privata che su quella pubblica. Niente equità e costi molto più alti: è questo il modello che il nostro premier Monti vorrebbe prendere ad esempio?
Gli sprechi e le inefficienze, è inutile negarlo, esistono e vanno certamente trovati dei rimedi. C’è da dire che spesso però, come dimostrano le numerose indagini della magistratura, dalla Lombardia sino al Lazio e alla Sicilia, più che di sprechi sarebbe opportuno parlare di «zone grigie» che si formano nel rapporto tra strutture pubbliche regionali e il blocco di potere rappresentato da sanità privata in regime di convenzione e lobby del farmaco.
Più che una spending review, servirebbe un audit popolare sui costi, che parta dalla presa d’atto del fallimento delle partnership pubblico private nel settore e che punti, a parità di costi, a far rientrare all’interno del perimetro pubblico lavorazioni e lavoratori (spesso precari). Nel contempo, una politica seria di investimenti pubblici sull’università e la ricerca pubblica dovrebbe portare ad una rottura dei legami stretti con Big Pharma sia in materia di ricerca su nuovi farmaci che di produzione degli stessi, specialmente nel campo dei farmaci generici. Un cambio di rotta epocale che non è nelle intenzioni  dell’attuale esecutivo, più attento a recepire i segnali provenienti dai mercati finanziari che a ragionare nel lungo periodo con un’ottica di equità sociale. L’intervento di Monti più che un monito agli utenti è sembrato un chiaro segnale d’interesse verso il mondo della finanza assicurativa.
Nel 2009, le 5 maggiori assicurazioni sanitarie Usa hanno registrato profitti per oltre 12 miliardi di dollari. Una mole di danaro che viene spesso reinvestita in altri prodotti finanziari e che contribuisce ad alimentare, tra le altre cose, gli attacchi speculativi sul nostro debito pubblico. Con una spesa per interessi che supera gli 80 miliardi l’anno, il debito del nostro paese è da anni una delle prime voci di ricavi della finanza internazionale, la stessa che oggi ci chiede con sempre maggiore forza di poter mettere le mani su beni comuni come la sanità per macinare ancora altri profitti. E se la soluzione fosse semplicemente quella di rifiutarsi di sottostare a questa logica perversa?

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