sabato 15 dicembre 2012

IL PUNTO DI CIOFI. Mario Monti forever



L’investitura di Monti come leader del controdestra italiano da parte del Partito popolare europeo, mentre aleggia sulla scena il fantasma di Arcore, riapre tutti i giochi in vista delle elezioni. E mette in crisi la strategia del Pd, costruita in funzione di un’alleanza con i centristi. Al tempo stesso segnala un’ulteriore aggravamento della crisi democratica dalle conseguenze imprevedibili, poiché l’Italia è chiamata a votare con una legge elettorale lesiva della libertà di voto, che secondo la Costituzione deve essere «personale ed eguale, libero e segreto».
Resta il fatto che neanche con il meccanismo ipermaggioritario della «legge porcata», di fronte all’imprevedibilità dei fattori in campo, si può scommettere a questo punto sulla vittoria di Bersani. E l’investitura dall’alto di Mario Monti come ai tempi del Sacro Romano Impero vuol dire, insieme al disarcionamento del Cavaliere, che siamo arrivati al punto di caduta di una lunga crisi di sistema: per il duplice effetto del fallimento della borghesia capitalistica come classe dirigente dopo l’abbattimento del muro di Berlino; e della soppressione nel sistema politico del movimento operaio e dei lavoratori dopo la svolta della Bolognina.
Adesso paghiamo le conseguenze devastanti di quell’onda lunga. I gruppi dominanti del capitalismo italiano, trasformati in questo ventennio da imprenditori in prenditori e in rentier, da produttori in tagliatori di cedole e di teste, hanno seguito il Cavaliere sulla via della speculazione, della rendita, del parassitismo. Diventati con le privatizzazioni padroni delle banche, di settori portanti dell’economia, di beni comuni inalienabili, hanno accumulato rendite e profitti. Ma non hanno rischiato, non hanno investito, non hanno innovato.
Diciamo la verità: deboli con i forti e forti con i deboli sulla scena globale, i grandi padroni si sono esercitati - come il Cavaliere e i suoi sodali - a espropriare l’Italia dei beni comuni, dei diritti del lavoro, dei servizi sociali, della formazione. E la politica, anch’essa privatizzata a loro beneficio, ha raccolto le briciole di quest’enorme esproprio. Altro che libero mercato: in questi anni c’è stato un vero e proprio incesto tra privato e pubblico, che ha partorito nuovi mostri della corruzione. E quando il Cavaliere è diventato un pericoloso ingombro, per metterlo da parte è intervenuta la più alta carica dello Stato offrendo garanzie ai mercati e alle cancellerie. 
I grandi proprietari - a cominciare da Luca di Montezemolo - sono diventati adesso i più accorati sostenitori di Mario Monti, e lo acclamano leader indiscusso della borghesia capitalistica. Come conferma lo stesso Berlusconi. Il quale, in palese contraddizione con se stesso ma in perfetta consonanza con un comune sentire classista, dopo aver accollato al capo del governo ogni responsabilità per il peggioramento della situazione economica del Paese, dichiara che si ritirerebbe dalla competizione elettorale se Super Mario assumesse la leadership dell’intero schieramento di centrodestra.
Dove è evidente, al di là dei tatticismi elettorali, la contiguità di interessi economici profondi. E se il Cavaliere ha destrutturato moralmente e civilmente il Paese, piegandosi infine al diktat della Bce e al rigorismo restrittivo della Germania, si può dire che Monti, con lo scopo di accreditare il capitalismo italiano come partner affidabile nel concerto europeo e mondiale, sta applicando spietatamente vecchie ricette del classismo liberista, con effetti distruttivi sulle persone, sull’ambiente e sull’intera società. È l’agenda Monti pienamente sostenuta dal cosiddetto centro moderato, che vuole Super Mario forever e uber alles.
In questo quadro appare subalterna e perdente la posizione del Pd, al di là del risultato elettorale. Dichiarandosi portatore del cosiddetto interesse generale, in realtà Bersani ha già contribuito nei fatti a spostare gli equilibri di potere a vantaggio della borghesia capitalistica dominante, come è accaduto e continuerà ad accadere quando si rifiuta una visione del lavoro come soggetto politico libero e autonomo. È questo il cuore della democrazia costituzionale, che considera i lavoratori protagonisti della politica del Paese, e che oggi riguarda la vita di milioni di esseri umani senza voce e senza volto. Ma che, nell’impostazione di Bersani (e di Vendola), non trova soluzione

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