mercoledì 30 gennaio 2013

Mps, Monti fa il buonista di Michele Carugi, Il Fatto Quotidiano

La vicenda del Monte dei Paschi, con tutte le sue implicazioni politiche e penali è stata parzialmente sviscerata dai media; altro verrà auspicabilmente fatto a breve dalla magistratura. Su ciò che è avvenuto non c’è pertanto molto di più da commentare di quanto non sia stato ampiamente detto, anche perché di certo ci sono solo l’insipienza dei gestori e l’ampiezza del problema, per il resto si attendono appunto le conclusioni delle indagini.
Si può però fare un commento comparativo sulle modalità di salvataggio della banca, con il prestito di 3,9 miliardi di euro grazie ai “Monti bond”. Ascoltando Monti, il prestito è vantaggiosissimo per lo Stato in quanto ritorna interessi in partenza al 9% con possibilità che salgano perfino al 15% max.; inoltre Monti ha ampiamente spiegato che il prestito è un aiuto ai correntisti e non alla banca.
A parte il fatto che la rilevanza dei tassi di interesse presa a sé stante non è sempre indice di buon affare, – subprime docet – quello che fa pensare è l’approccio particolare che Monti sembra avere quando si parla di banche.
Venendo alla comparazione, un’impresa in difficoltà non ottiene finanziamenti; a meno che qualche istituto di credito non sia così esposto nei confronti dell’azienda da considerare un ulteriore finanziamento come un rischio inferiore al possibile default con perdita del credito, l’impresa viene messa nelle condizioni di fallire o, alternativamente, l’azionista è forzato a ri-finanziare e se non ce la fa, a vendere – talvolta a regalare – a chi può farlo; in quest’ultimo caso l’azionista perde la proprietà dell’impresa.
Contrariamente a questa prassi – molto liberista, peraltro – quando si parla di banche si parla spesso di prestiti ponte da parte dello Stato per traghettarle in acque sicure; è quello che è successo negli Usa dopo i crack dei sub-prime; anziché forzare le banche sull’orlo del default a emettere azioni che gli Stati potrebbero acquistare assumendo anche il controllo delle banche stesse, si erogano prestiti per ammontare equivalente; molto meglio per i banchieri, i quali possono rimettersi in sesto, restituire i prestiti e tornare a fare quello che facevano prima tirando un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. 
Le imprese non bancarie no; a quelle niente prestiti; se la proprietà è stata sprovveduta, se non ha saputo gestire bene una crisi di mercato o ciclica, se non ha ridotto per tempo la capacità produttiva per adeguarla alla domanda, oppure se ha sbagliato un investimento in impianti o prodotti, viene punita con la perdita dell’azienda; se va bene l’azionista riesce a (s)vendere; se va male l’acquirente lo trova talvolta l’amministratore temporaneo nominato dal giudice.
Come cittadino che ha contribuito per la propria parte a quei 3,9 miliardi di euro che vengono prestati a Mps avrei preferito che gli stessi fossero stati utilizzati per assumerne il controllo, nominare consiglieri di amministrazione di fiducia che seguissero da vicino le attività di risanamento per poi rivendere le proprie quote sul mercato una volta terminate.
Questo è ciò che con grande probabilità sarebbe successo se ad avere bisogno di un prestito ponte fosse stata un’impresa; quando la stessa non fosse stata abbandonata al default. Mi si dice: “Ma la banca non può fallire in quanto ha i correntisti che ne uscirebbero malconci”; obietto a ciò: un azienda ha dipendenti e fornitori creditori, i quali non hanno neppure una clausola di garanzia come quella dei correntisti, che sono coperti fino a 100.000 euro dallo Stato. E comunque non si deve portare la banca in cattive acque al fallimento, ma utilizzare questa ipotesi per acquisirne il controllo sì; specialmente se alla base della cattiva situazione in cui versa ci sono operazioni finanziarie disinvolte, forse malversazioni. Così come tredici mesi fa non era necessario uscire dall’euro ma utilizzare questa ipotesi per negoziare una migliore permanenza, si.
Senza voler pensare che le decisioni diverse prese da Monti siano dovute alla sua predilezione per il rigore tedesco e per le banche, brillano però in questi due casi l’assenza di cinismo e di durezza anche eccessiva che invece sono stati dispiegati da Monti in altre situazioni.
Forse l’essere forti con i poteri forti richiede determinazione convinta e indipendenza di pensiero.

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