La natura del grillismo non è nelle parole d'ordine ma nelle modalità in
cui a queste viene dato corpo. E il corpo è quello del leader [Mattia
Pelli, Popoff.globalist.it]
"Ils n'aiment pas
l'intelligence. La prétendue intelligence, comme dit Hitler. Et, partout
où ils la rencontrent, ils la pourchassent, ils la clouent au poteau
d'infamie, ils la livrent aux flammes.
J'avais, comme tout le monde, lu cela dans les journaux. Sans parvenir à y croire." (D. Guérin)
Andiamo subito al sodo: perché tanti "delusi" della sinistra radicale, siano essi intellettuali, militanti dei movimenti, cittadini impegnati, hanno pensato di trovare un approdo sicuro nel grillismo, rivendicando la continuità delle loro scelte e non cogliendo nessuna rottura tra un passato genericamente "comunista" o "no global" e il populismo del M5S, che rivendica di "non essere né di destra né di sinistra?"
Sulla natura di questo movimento, fondamentalmente di destra, concordo con quando scritto dai Wu Ming sul loro blog GIAP. Mi permetto di aggiungere solo un elemento, che è al centro della mia argomentazione e che cercherò di svolgere nelle prossime righe.
Daniel Guérin, nel suo magistrale pezzo di giornalismo militante intitolato "La peste brune", raccontava il suo viaggio a piedi (!) nella Germania del 1932, descrivendo "dal basso" il fenomeno nazionalsocialista.
Una delle sue riflessioni sulla differenza tra socialdemocratici e nazisti mi ha sempre colpito (e la cito a memoria): mentre i primi avevano l'onere di spiegare, di argomentare le loro parole d'ordine, basate sulla presa di coscienza e sull'autoeducazione delle classi sociali oppresse, di radicarle in una pratica quotidiana basata sulla conoscenza delle condizioni sociali in cui l'oppressione nasce, i nazisti non avevano questo onere.
Essi - spiegava Guérin - hanno degli slogan, non hanno bisogno di spiegare niente, si basano sui luoghi comuni più beceri, individuano capri espiatori, orientano le emozioni più che la ragione.
Per questo, mentre un comizio socialdemocratico non necessariamente scalda il cuore, ma mobilita la mente, uno nazista colpisce la pancia, il ventre molle, direttamente, senza mediazioni. Elimina le mediazioni.
Ovviamente - e lo dico subito - non sto facendo un paragone storico: non credo che l'Italia del 2012 sia come la Germania del 1932, né che Grillo sia come Hitler. Quello che mi interessa è la riflessione attorno a due modalità di orientare i militanti descritta da Guérin: quella basata sulla coscienza e quella basata sulla pancia.
Wu Ming spiega giustamente che destra e sinistra sono due polarità ineliminabili all'interno del pensiero politico, nonostante la perdita di ogni credibilità della "sinistra realmente esistente". Tra le caratteristiche di questa polarità ne aggiungo una: la necessità della conoscenza, dal momento che - come sosteneva Marx - le classi oppresse non hanno che la conoscenza per liberarsi dalle loro catene e grazie ad essa (e la rivoluzione, ovviamente, ma le due cose sono legate.) libereranno l'intera umanità (la rivoluzione è dunque anche una forma di conoscenza.)
Quindi essere di sinistra vuol dire, faticosamente, quotidianamente, senza fine, spiegare. E spiegare non vuol dire solo parlare, discutere, comunicare, ma radicare questo lavoro di svelamento nel territorio, dargli corpo in un progetto collettivo che cerca di toccare, capillarmente tutta la società.
Ma spiegare non sempre dà risultati immediati. A volte lo spazio temporale tra lo spiegare e il vincere (anche vittorie piccole, su temi specifici) è molto lungo, faticoso, stremante, dispendioso dal punto di vista delle forze, individuali e collettive. Un esempio straordinario è stato il referendum sull'acqua, dove la vittoria è stata preparata da anni di lavoro di studio, di attivismo sul territorio, di iniziative di riflessione e lotta.
Spiegare è difficile, frustrante. Spiegare è un lavoro che pesa sulle spalle di ciascuno di noi, che necessita di una mobilitazione continua, della mente e del corpo.
Perché allora non farlo fare a qualcun'altro, magari uno che lo sa fare bene, magari uno che non ha difficoltà a farsi ascoltare direttamente da milioni di persone, riuscendo a saltare tutte le mediazioni normalmente necessarie?
Che importa se questo qualcuno in realtà non spiega, non crea coscienza ma utilizza gli stessi metodi di mobilitazione del "popolo" che usano i suoi nemici, verticalizzando il rapporto tra leader e attivisti, che delegano a lui l'onere della presa di parola, della costruzione di una narrazione collettiva?
Non stupisce che molti militanti della sinistra radicale si trovino oggi - rivendicandolo - nel M5S: a leggere il programma si trovano molti punti condivisibili, dalla scuola pubblica alla sanità gratuita per tutti. Ma è uno specchietto per le allodole: la vera natura del grillismo non è nelle sue parole d'ordine ma nelle modalità in cui a queste viene dato corpo. Il corpo non è quello di un progetto collettivo; il corpo è quello del leader.
Allora la domanda iniziale deve forse essere cambiata in questo modo: come è possibile che tanti militanti, cittadini, elettori della sinistra radicale si trovino così privi di strumenti critici da non riuscire a interpretare il grillismo per quello che è, cioè un movimento fondamentalmente di destra?
L'esempio di uomini forti (e con tutt'altra dignità, per carità!) nella sinistra italiana non mancano, a partire da Togliatti, il quale riuscì a costruire un partito basato più sulla mobilitazione fideistica che non su una reale discussione democratica all'interno del movimento operaio italiano, come insegna la lunga storia di rimozioni (a partire dal "caso" Gramsci), espulsioni, allontanamenti, ecc. (questo non significa ovviamente che il PCI sia stato solo questo: non mi sognerei mai di negare la sua importanza in tutte le battaglie importanti del secondo dopoguerra.).
Ecco: tanti dei militanti dei movimenti, dei partiti di sinistra radicale, si sentono orfani. Orfani di un uomo forte che possa mobilitare le passioni più che la ragione, e che così facendo possa parlare ad alta voce a nome loro saltando tutte le mediazioni.
Senza obbligarli a parlare - loro - quotidianamente, perché ai più parlare ormai sembra inutile, e come dar loro torto? La distanza tra la sofferenza quotidiana e i compiti imposti da una qualsiasi idea di cambiamento sociale paiono impossibili da colmare.
Chissà che affidandosi a un leader il compito non ne risulti semplificato?
Infine c'è il fatto che - anche a causa della storia stessa della sinistra italiana, a parte un breve decennio, quello degli anni '70 - nessuna efficacia è stata mai riconosciuta alla politica fuori dalle istituzioni della rappresentanza democratica. A partire dal PCI, che della sua presenza in parlamento ha sempre fatto un obiettivo centrale, nutrendo l'equivoco che l'ottenimento della maggioranza elettorale fosse in fondo solo una variante della presa del potere rivoluzionaria.
Se si è fuori dal parlamento non si è niente, non si conta niente, non si può fare niente.
Questa legge, che potremmo assimilare a una delle tre leggi della robotica di Asimov tanto pare radicata e inaggirabile e per i riflessi pavloviani ai quali dà luogo nell'urna, è il risultato di decenni di diseducazione a sinistra. Che unita alla stanchezza per un presente insostenibile porta ad orientarsi verso l'unico movimento e l'unico leader che paiono poter rispondere alla necessità di essere là dove - si crede - le cose in fondo si decidono, succedono: il parlamento, magari il governo.
E magari si finisce per pensare che - finalmente, dopo anni di frustrazione - il potere è veramente a portata di mano e che ora le cose cambieranno.
O almeno: così dice il leader.
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