giovedì 5 dicembre 2013

Arriva la Cina? di Nicola Melloni, Liberazione




Un paio di giorni fa su quasi tutti i giornali economici, ma anche su quelli generalisti, è rimbalzata la notizia che lo yuan ha superato l’euro come seconda moneta più usata negli scambi internazionali. Shock immediato, l’Europa scavalcata dalla Cina, lo spostamento di potere che tutti percepiamo confermato dai dati concreti dell’economia internazionale.
In realtà la situazione è un poco diversa. Lo yuan ha superato sì l’euro, ma non come moneta usata nelle transazioni commerciali, quanto piuttosto nella finanza del commercio internazionale – le lettere di credito delle banche, tanto per capirci – una parte assai minuta del mercato delle valute. Per avere un ordine di grandezza adeguato, basta rendersi conto che il mercato valutario ha una portata di 5.3 migliaia di miliardi di dollari al giorno, mentre gli yuan scambiati giornalmente sono all’incirca 120 miliardi di dollari.
Nel mercato globale della valuta, la moneta cinese rimane al dodicesimo posto, mentre l’Euro è ancora saldamente secondo. Insomma, non è ancora il caso di allarmarsi. Ciò premesso, sarebbe però poco saggio non tenere in conto i cambiamenti in corso nell’economia globale. Il fatto che nel giro di un anno nell’ambito della finanza commerciale, il peso cinese sia quintuplicato e abbia rubato quote di mercato a Euro, yen e anche a dollaro, qualcosa vorrà pur dire. Pechino ha un peso sempre più rilevante e dunque alcune aziende che cercano di avere accesso allo spazio economico cinese, in particolare quelle australiane e tedesche, hanno provato ad aumentare la propria attrattività offrendo contratti già fatti in yuan. Un trend che, probabilmente, sarà destinato a confermarsi nel futuro.
Inoltre la Cina non fa mistero che nel medio periodo vorrebbe un riequilibrio dell’architettura economico-finanziaria internazionale. Il mercato valutario è ancora largamente dominato dal dollaro, il che permette agli Stati Uniti un utilizzo – ed una produzione – pressoché illimitato del biglietto verde (prova ne sono i quantitative easing degli ultimi anni, presto assorbiti dai mercati internazionali), un diritto di signoraggio globale – ogni dollaro stampato ad un costo di pochi cents, viene pagato dal resto del mondo con l’equivalente in beni e servizi del valore dell’intero dollaro –, ed un aiuto concreto per le banche e le imprese americane, che non sono soggette al rischio del tasso di cambio.
A Pechino hanno capito che questa situazione è paradossale e rischia di bloccare gli sforzi di crescita cinese. Inizialmente avevano pensato di usare l’Euro come contro-altare alla forza del dollaro, ma dati i problemi dell’Eurozona questo progetto sembra quantomeno ardito e la Cina potrebbe cercare di giocare questa partita in prima persona. Almeno così potrebbe lasciar pensare la recentemente progettata liberalizzazione del mercato finanziario cinese. Con dei rischi seri, però. La Cina e la sua moneta sono, al momento, sottorappresentate come peso commerciale e finanziario, proprio per scelta di Pechino che mantiene un rigido controllo sulla propria valuta – che non è liberamente scambiata internazionalmente, ma viene gestita direttamente dalla Banca Centrale. Allo stesso tempo i movimenti di capitale, in Cina, sono severamente ristretti, proprio per evitare quella speculazione finanziaria che per due decenni ha messo a repentaglio la crescita di tanti paesi in via di sviluppo, e non solo. Due misure prudenti, che però, ovviamente, hanno limitato il peso finanziario cinese su mercati internazionali. Pian piano, Pechino è ora pronta ad aprirsi alle forze della finanza globale per riaffermare la propria importanza e per limitare il peso del dollaro. Questo però vorrà dire giocare con le regole degli altri, proprio ciò che la Cina ha è sempre cercato di evitare.
Rimane dunque da capire quanto, quando ed in che modi la leadership cinese deciderà di entrare in forza nel mercato globale. Al momento si parla di piccoli passi, che si rifletteranno senza dubbio su alcuni aspetti della finanza internazionale, senza però alterarne la struttura americano-centrica. Trent’anni di riforme ci hanno insegnato che i cinesi sono alquanto restii a brusche manovre che possono compromettere l’equilibrio così difficilmente raggiunto. Ma con la crescita della propria economia e del proprio peso politico, è ovvio che, prima o poi, Pechino dovrà prendersi anche più responsabilità e più rischi, soprattutto in presenza di una crisi dell’Occidente che sembra destinata a protrarsi.

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