Sono sette anni che ci si gira intorno: se c'è una crisi finanziaria,
sul banco d'accusa andrebbero messe le banche. Che invece hanno preteso e
ottenuto aiuti inenarrabili (solo in Europa per 4.000 miliardi), senza
peraltro risolvere quasi nessuno dei problemi che le attanagliano. Se
quelle cifre fossero state investite nell'economia reale... (pensano i
keynesiani).
Ma molti di quei problemi si chiamano
“sofferenze”, ovvero crediti “inesigibili”, o di “dubbio realizzo”,
insomma prestiti erogati alle imprese e ormai da classificare tra le
perdite più o meno certe.
Intorno al capezzale del malato (in molti
casi terminale) si affollano in tanti, a cominciare ovviamente dalla
Bce. La quale, tra l'altro, ha da quest'anno la responsabilità di
“sorveglianza” del sistema bancario continentale e dal 1 novembre
gestirà il Meccanismo unico di supervisione (Ssm). E anche qualche idea
su cosa fare...
L'idea principale è crudele ma giusta,
infondo: chi non ce la fa – tra le banche – deve morire. Non si può
leggere altrimenti il discorso fatto ieri da Mario Draghi mentre
riceveva il premio intitolato a Joseph Schumpeter. «Incoraggiando la
distruzione creativa nel settore bancario, possiamo agevolare la
distruzione creativa nell’economia in generale e sostenere la ripresa».
Nessuno degli astanti ha tremato, ma
forse noi dovremmo preccuparci molto di più. I presenti, in fondo, erano
banchieri e tecnocrati dell'Unione Europea. Per loro il problema si
pone in modo molto “asettico”. Una banca che non ce la fa, viene
lasciata fallire; il personale licenziato (nessuna banca sta veramente
bene, quindi nessuna assumerà i licenziati altrui), le sedi chiuse, gli
amministratori riciclati altrove (in altri consigli di amministrazione o
addirittura nella stessa tecnocrazia europea). Se una banca ha invece
solo “troppe sofferenze”, ma buoni fondamentali, si potrà lasciarla
vivere “distruggendo creativamente” una parte delle sue attività Come ha
spiegato lo stesso Draghi: «Facendo pulizia e riparando i bilanci delle
banche, creiamo le condizioni necessarie perché le risorse tornino a
scorrere verso le quelle aziende che le usano nel modo più produttivo».
Ma come si fanno “le pulizie” nei bilanci
di una banca? In Italia come altrove si è già cominciato a recintare
delle “bad bank”, istituti “di scopo” desrtinati a morire trascinando
con sé le perdite della banca-madre che si vuol salvare. L'idea piace
anche alle banche centrali, come si è visto, e quindi si può fare.
I profani potrebbero chiedere: ma come,
si possono tranquillamente parcheggiare le perdite su un conto fantasma e
poi andarsene? Sì, in qualche misura, se intervengono “risorse
pubbliche”. È infatti comunque necessario proteggere correntisti,
investitori, gente che aveva puntato i propri soldi su determinate
attività e che quindi va in qualche modo risarcita. E chi la risarcisce?
Non certo la “bad bank”, che non ha letteramente un soldo, ma solo
debiti. Deve farlo “il pubblico”, lo Stato, la fiscalità generale.
Insomma: noi, coi nostri pochi soldini.
Ecco perché “gli astanti” davanti a Draghi possono applaudirlo mentre noi dovremmo corrergli dietro...
Non basta. La seconda frase del presidente della Bce è tanto consequenziale quanto raccapricciante:
«Incoraggiando la distruzione creativa nel settore bancario, possiamo agevolare la distruzione creativa nell’economia in generale e sostenere la ripresa». Leggete bene una seconda volta: “agevolare la distruzione creativa dell'economia in generale”. Quando, da marxisti, parliamo di “crisi di sovraproduzione del capitale” (“del capitale”,
non solo delle “merci”; quindi sia di capitale finanziario che di
“capitale fisso” - macchinari, stabilimenti, impianti, ecc – ma anche di
“capitale variabile”, ovvero persone fisiche, in carne e ossa, lavoratori che diventano disoccupati e non riescono più a vivere),
vediamo spesso sollevare gli occhi al cielo e alzarsi un fumetto sulla
testa di diversi interlocutori “oh, no! di nuovo con il marxismo...”. Se
invece lo fa il presidente della Bce è normale economia capitalistica,
vero? Come se Marx avesse individuato le leggi di funzionamento di
qualcosa che non era il capitale realmente esistente...
Se dobbiamo dunque prestar fede alle parole di Draghi – e non abbiamo motivo di dubitarne – il piano è il seguente:
- lasciamo fallire un po' di banche
- - “ripuliamo quelle che possono sopravvivere addebitando al debito pubblico le perdite da risarcire
- - facciamo così anche chiudere un bel po' di aziende “non competitive”, che non ce la fanno a stare sul mercato senza aiuti
- - provochiamo quindi di riflesso un bel po' di disoccupazione aggiuntiva, che contribuisce ipso facto a tener basso il costo del lavoro e i livelli salariali
… e il gioco è fatto” Si ricomincia ad accumulare profitto. Pardon, a “crescere”.
Tropo semplificato? Lo ammettiamo,
certamente. Era necessario per farsi capire, superando tecnicismi e
“complessificazioni” che fanno perdere di vista la direzione di marcia
di un discorso. Ma se dobbiamo dar retta anche alle osservazione di
altri commentatori (vedi l'allegato dal Corriere della sera, qui sotto)
non ci sembra di essere andati troppo lontani dalla verità.
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