sabato 15 marzo 2014

La Volskwagen e il buffone che ha distrutto la Fiat fingendo di salvarla di Dino Greco, Liberazione.it



Vi ricordate con quanti irridenti improperi Sergio Marchionne si scrollava dalle spalle le critiche a lui indirizzate per la politica industriale della Fiat, fra dismissioni di stabilimenti, tagli occupazionali, crollo delle vendite, all’estero e in Italia?
Quando gli si fece osservare che del progetto denominato “Fabbrica Italia”, corredato da un piano di investimenti stimato in 20 miliardi, non vi era neppure la più labile traccia, il magnifico amministratore delegato del Lingotto escogitò, lì per lì, una spiegazione stupefacente per tutti, meno che per i nostri corrivi governanti, che suonava così: “E’ assurdo chiedere ad un grande gruppo di investire consistenti risorse finanziare per creare nuovi modelli mentre il mercato dell’auto si restringe”, perché sarebbero denari buttati. “Gli investimenti li faremo – sentenziava – quando la domanda riprenderà a tirare”. E a chi replicava che solo chi avesse investito oggi (in prodotti, ricerca, tecnologie, nuove motorizzazioni) si sarebbe assicurato prospettive per il domani, Marchionne rispondeva eludendo il tema posto e dava sfoggio alle sue millanterie di eroe dei due mondi, di salvatore provvidenziale di due grandi aziende, di qua e di là dell’oceano, la Fiat e la Chrysler, altrimenti destinate al fallimento.
Il solo terreno su cui il general manager investiva davvero e senza risparmio le sue energie, con i rampolli di casa Agnelli al seguito, erano (sono) l’attacco ai lavoratori, ai loro salari, ai loro diritti, al loro sindacato. Corroborato, in questa meritoria impresa dai governi - Berlusconi prima e Monti poi – tutti solidalmente ingaggiati in una lotta senza quartiere contro la assai presunta rigidità del nostro mercato del lavoro e contro lo Statuto dei lavoratori, a loro dire responsabili della scarsa propensione all’investimento nel nostro paese da parte dei maggiori player industriali esteri.
Che fossero tutte plateali fandonie, frutto di una vera e propria campagna ideologica, orchestrata per mettere la mordacchia al lavoro e chiudere definitivamente i conti con ciò che rimaneva delle conquiste operaie degli anni Settanta, era già allora cosa evidente. Rimasero tuttavia solo i comunisti, la Fiom e i sindacati di base a denunciare il carattere fraudolento dell’operazione e a svelare che dietro questa brutale regressione dei rapporti sociali si nascondeva anche una sostanziale incapacità imprenditoriale, una rinuncia al rischio industriale, una propensione parassitaria, contrassegno di una parte non piccola della borghesia italiana.
Ora arriva Volskwagen group a raccontare, dati alla mano, un’altra storia e a sputtanare i “capitani coraggiosi” che hanno fatto macerie dell’azienda che ha avuto il privilegio di produrre auto in Italia in regime di monopolio.
Ebbene, la casa tedesca, con i suoi dodici marchi (Vw, Audi, Porsche, Skoda, Seat, Lamborghini, Bentley, Bugatti, Vw veicoli industriali, Man, Scania, Ducati) sta sbancando il mercato, avendo venduto, nel 2013, quasi 10 milioni di automobili, ad un solo palmo dalla Toyota per ora ancora leader mondiale.
E qual è il “segreto” di questa stupefacente performance in un anno che tutti i costruttori mondiali hanno definito “duro”?
Anche qui parlano le cifre: investimenti in prodotti ad alto contenuto tecnologico (cento nuovi modelli da qui a fine 2015), motorizzazioni d’avanguardia (benzina, gas, diesel, ibrida o elettrica pura su quasi tutte le cilindrate, secondo richiesta). E 23 mila posti di lavoro creati in tutto il mondo senza perderne in casa. Con un 'piccolo' risultato a latere: in Germania ad ogni dipendente ed in misura eguale sarà corrisposto un bonus di 6.200 euro.
Il corrispettivo teutonico di Marchionne, l’Ad Norbert Reithofer, spiega: “Il nostro obiettivo è eccellere nella qualità della ricerca tecnologica, del prodotto a tolleranza zero verso i difetti, nella qualità del rapporto con i dipendenti, il nostro maggior tesoro: noi non crediamo all’efficacia di spettacolari tagli”.
Questo accade nell’azienda che compete alla pari con la Fiat, nell’area euro, ma dove si pagano i salari più alti e si effettuano gli orari di lavoro più bassi del mondo.

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