I "due pesi e due misure" dell'ipocrita propaganda occidentale denunciati da questo articolo del GuardianLe
dichiaraioni diplomatiche sono note per la loro ipocrisia e per la
tendenza ad adottare due pesi e due misure. Ma la denuncia occidentale
dell’intervento russo in Crimea ha raggiunto nuove vette caricaturali.
L’incursione – finora incruenta – è un “incredibile atto d’aggressione”,
come ha dichiarato il Segretario di Stato americano John Kerry. Nel XXI
secolo non si invadono i Paesi sulla base di un “pretesto completamente
inventato”, ha insistito, mentre gli alleati degli Stati Uniti
convengono che si è trattato di una violazione inaccettabile del diritto
internazionale che non sarà esente da “costi”.
È assurdo che queste affermazioni vengano proprio da coloro che hanno
lanciato la più clamorosa e ingiustificata aggressione della storia
moderna sulla base di un pretesto inventato – contro l’Iraq, in una
guerra illegale che si stima abbia causato la morte di 500.000 civili, e
con l’invasione dell’Afghanistan, il cruento colpo di Stato in Libia e
le migliaia di vittime degli attacchi con i droni in Pakistan, Yemen e
Somalia, tutti senza l’autorizzazione delle Nazioni Unite.
Non è semplicemente che le aggressioni e le uccisioni illegali appaiano assolutamente sproporzionate rispetto a ciò che la Russia pare avere solo contemplato (e nemmeno messo in atto), azzerando la credibilità delle proteste degli Stati Uniti e dei loro alleati per le trasgressioni russe: le potenze occidentali hanno anche e innanzitutto svolto un ruolo cruciale nella creazione della crisi ucraina.
Gli Stati Uniti e le potenze europee hanno esplicitamente appoggiato le proteste mirate a deporre il governo corrotto ma legittimamente eletto di Viktor Janukovich, innescate dalle controversie sul trattato di associazione con l’Unione Europea, un accordo “o tutto o niente” che avrebbe escluso l’associazione economica con la Russia.
Nella famigerata telefonata in cui si è fatta sfuggire la frase “si fotta l’Unione Europea”, la diplomatica americana Victoria Nuland prospettava un governo post-Janukovich che si è nei fatti realizzato un paio di settimane dopo quando il presidente è stato deposto in seguito all’intensificazione delle violenze.
A quel punto Janukovich aveva perso ogni autorità politica, ma il suo impeachment è stato certamente discutibile dal punto di vista costituzionale. Al suo posto è stato instaurato un governo di oligarchi, neoliberali riciclati della Rivoluzione arancione e neofascisti. Una delle sue prime iniziative è stata quella di cancellare lo status ufficiale della lingua russa, parlata dalla maggioranza della popolazione in aeree a sud e a est del Paese. Sono poi state intraprese azioni per mettere al bando il Partito comunista, che alle ultime elezioni ha ottenuto il 13% dei voti.
Si è detto che il ruolo dei fascisti nelle manifestazioni è stato esagerato dalla propaganda russa per giustificare le manovre di Vladimir Putin in Crimea. La realtà è così allarmante da rendere superflue le esagerazioni. Gli attivisti riferiscono che circa un terzo dei manifestanti era di estrema destra, ma che quella componente è stata decisiva negli scontri armati con la polizia.
Adesso le bande fasciste pattugliano le strade. Ma hanno anche accesso alle stanze del potere. Il partito di estrema destra Svoboda, il cui capo ha denunciato le “attività criminali” degli “ebrei organizzati” e che è stato condannato dal Parlamento europeo per le sue “idee razziste e antisemite”, nel nuovo governo ha cinque cariche ministeriali, comprese quelle di vice primo ministro e di procuratore generale. Il leader di Settore Destro, organizzazione ancora più estremista che ha avuto un ruolo fondamentale nelle violenze di piazza, è oggi il vice capo della sicurezza nazionale.
È la prima volta che l’Europa del dopoguerra vede i neonazisti al governo: un governo non eletto appoggiato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. E in spregio alla popolazione ucraina che protestava contro la corruzione e sperava in un reale cambiamento, la nuova amministrazione ha nominato due oligarchi milionari – uno dei quali opera in Svizzera – governatori delle città orientali di Doneck e Dnepropetrovsk. Nel frattempo il Fondo monetario internazionale sta approntando per la disastrata economia ucraina un piano d’austerità draconiano che otterrà soltanto di aumentare la povertà e la disoccupazione.
In una prospettiva storica più ampia, la crisi in Ucraina è il prodotto della disastrosa disgregazione in stile Versailles dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni Novanta. Come nel caso della Jugoslavia, popoli che erano soddisfatti del loro status di minoranza nazionale all’interno di un’unità amministrativa di uno Stato multinazionale – i russi nell’Ucraina sovietica, gli osseti meridionali nella Georgia sovietica – cambiarono decisamente idea quando quelle unità divennero Stati verso i quali provavano scarsa lealtà.
Nel caso della Crimea, trasferita all’Ucraina da Nikita Chrušcëv negli anni Cinquanta, questo è senz’altro vero per la maggioranza russa. Contrariamente alle promesse fatte allora, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno allargato inesorabilmente la NATO fino ai confini russi, incorporando nove paesi dell’ex Patto di Varsavia e tre ex repubbliche sovietiche in quella che è di fatto un’alleanza militare anti-russa in Europa. E il trattato di associazione con l’Unione Europea che ha provocato la crisi ucraina comprendeva clausole volte a integrare l’Ucraina nella struttura di difesa europea.
L’espansione militare occidentale ha subìto una prima battuta d’arresto nel 2008, quando la Georgia (Stato cliente degli Stati Uniti) ha attaccato le forze russe nel territorio contestato dell’Ossezia del Sud ed è stata respinta. Il breve ma sanguinoso conflitto ha segnato la fine del mondo unipolare di George Bush in cui l’impero statunitense imponeva incontrastato la sua volontà in ogni continente.
Data la situazione, non sorprende che la Russia abbia agito per impedire che un paese strategicamente nevralgico come l’Ucraina finisse decisamente nella sfera occidentale, tanto più che la sola grande base navale in acque calde della Russia si trova in Crimea.
Certo, le giustificazioni fornite da Putin per l’intervento – la protezione “umanitaria” dei cittadini russi e l’appello del presidente deposto – sono legalmente e politicamente deboli, anche se neanche lontanamente paragonabili alle “armi di distruzioni di massa”. E il nazionalismo o il regime oligarchico di Putin non godono certo del consenso internazionale.
Ma il ruolo della Russia come contrappeso limitato a uno strapotere unilaterale occidentale è certamente legittimo. E in un mondo in cui gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e i loro alleati violano regolarmente il diritto internazionale accampando deboli motivi morali, è ovvio che altri Paesi tentino di fare lo stesso gioco.
Per fortuna le forze russe si sono finora limitate a sparare in aria. Ma i rischi di un’escalation sono ovvi. Ciò che serve è una soluzione negoziata per l’Ucraina che porti alla formazione di un governo di unità nazionale ripulito dei fascisti; una costituzione federale che garantisca le autonomie regionali; un sostegno economico che non riduca in miseria la maggioranza della popolazione; e la possibilità per il popolo di Crimea di scegliere il proprio futuro. Qualsiasi altra cosa rischierà di allargare il conflitto.
Non è semplicemente che le aggressioni e le uccisioni illegali appaiano assolutamente sproporzionate rispetto a ciò che la Russia pare avere solo contemplato (e nemmeno messo in atto), azzerando la credibilità delle proteste degli Stati Uniti e dei loro alleati per le trasgressioni russe: le potenze occidentali hanno anche e innanzitutto svolto un ruolo cruciale nella creazione della crisi ucraina.
Gli Stati Uniti e le potenze europee hanno esplicitamente appoggiato le proteste mirate a deporre il governo corrotto ma legittimamente eletto di Viktor Janukovich, innescate dalle controversie sul trattato di associazione con l’Unione Europea, un accordo “o tutto o niente” che avrebbe escluso l’associazione economica con la Russia.
Nella famigerata telefonata in cui si è fatta sfuggire la frase “si fotta l’Unione Europea”, la diplomatica americana Victoria Nuland prospettava un governo post-Janukovich che si è nei fatti realizzato un paio di settimane dopo quando il presidente è stato deposto in seguito all’intensificazione delle violenze.
A quel punto Janukovich aveva perso ogni autorità politica, ma il suo impeachment è stato certamente discutibile dal punto di vista costituzionale. Al suo posto è stato instaurato un governo di oligarchi, neoliberali riciclati della Rivoluzione arancione e neofascisti. Una delle sue prime iniziative è stata quella di cancellare lo status ufficiale della lingua russa, parlata dalla maggioranza della popolazione in aeree a sud e a est del Paese. Sono poi state intraprese azioni per mettere al bando il Partito comunista, che alle ultime elezioni ha ottenuto il 13% dei voti.
Si è detto che il ruolo dei fascisti nelle manifestazioni è stato esagerato dalla propaganda russa per giustificare le manovre di Vladimir Putin in Crimea. La realtà è così allarmante da rendere superflue le esagerazioni. Gli attivisti riferiscono che circa un terzo dei manifestanti era di estrema destra, ma che quella componente è stata decisiva negli scontri armati con la polizia.
Adesso le bande fasciste pattugliano le strade. Ma hanno anche accesso alle stanze del potere. Il partito di estrema destra Svoboda, il cui capo ha denunciato le “attività criminali” degli “ebrei organizzati” e che è stato condannato dal Parlamento europeo per le sue “idee razziste e antisemite”, nel nuovo governo ha cinque cariche ministeriali, comprese quelle di vice primo ministro e di procuratore generale. Il leader di Settore Destro, organizzazione ancora più estremista che ha avuto un ruolo fondamentale nelle violenze di piazza, è oggi il vice capo della sicurezza nazionale.
È la prima volta che l’Europa del dopoguerra vede i neonazisti al governo: un governo non eletto appoggiato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. E in spregio alla popolazione ucraina che protestava contro la corruzione e sperava in un reale cambiamento, la nuova amministrazione ha nominato due oligarchi milionari – uno dei quali opera in Svizzera – governatori delle città orientali di Doneck e Dnepropetrovsk. Nel frattempo il Fondo monetario internazionale sta approntando per la disastrata economia ucraina un piano d’austerità draconiano che otterrà soltanto di aumentare la povertà e la disoccupazione.
In una prospettiva storica più ampia, la crisi in Ucraina è il prodotto della disastrosa disgregazione in stile Versailles dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni Novanta. Come nel caso della Jugoslavia, popoli che erano soddisfatti del loro status di minoranza nazionale all’interno di un’unità amministrativa di uno Stato multinazionale – i russi nell’Ucraina sovietica, gli osseti meridionali nella Georgia sovietica – cambiarono decisamente idea quando quelle unità divennero Stati verso i quali provavano scarsa lealtà.
Nel caso della Crimea, trasferita all’Ucraina da Nikita Chrušcëv negli anni Cinquanta, questo è senz’altro vero per la maggioranza russa. Contrariamente alle promesse fatte allora, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno allargato inesorabilmente la NATO fino ai confini russi, incorporando nove paesi dell’ex Patto di Varsavia e tre ex repubbliche sovietiche in quella che è di fatto un’alleanza militare anti-russa in Europa. E il trattato di associazione con l’Unione Europea che ha provocato la crisi ucraina comprendeva clausole volte a integrare l’Ucraina nella struttura di difesa europea.
L’espansione militare occidentale ha subìto una prima battuta d’arresto nel 2008, quando la Georgia (Stato cliente degli Stati Uniti) ha attaccato le forze russe nel territorio contestato dell’Ossezia del Sud ed è stata respinta. Il breve ma sanguinoso conflitto ha segnato la fine del mondo unipolare di George Bush in cui l’impero statunitense imponeva incontrastato la sua volontà in ogni continente.
Data la situazione, non sorprende che la Russia abbia agito per impedire che un paese strategicamente nevralgico come l’Ucraina finisse decisamente nella sfera occidentale, tanto più che la sola grande base navale in acque calde della Russia si trova in Crimea.
Certo, le giustificazioni fornite da Putin per l’intervento – la protezione “umanitaria” dei cittadini russi e l’appello del presidente deposto – sono legalmente e politicamente deboli, anche se neanche lontanamente paragonabili alle “armi di distruzioni di massa”. E il nazionalismo o il regime oligarchico di Putin non godono certo del consenso internazionale.
Ma il ruolo della Russia come contrappeso limitato a uno strapotere unilaterale occidentale è certamente legittimo. E in un mondo in cui gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e i loro alleati violano regolarmente il diritto internazionale accampando deboli motivi morali, è ovvio che altri Paesi tentino di fare lo stesso gioco.
Per fortuna le forze russe si sono finora limitate a sparare in aria. Ma i rischi di un’escalation sono ovvi. Ciò che serve è una soluzione negoziata per l’Ucraina che porti alla formazione di un governo di unità nazionale ripulito dei fascisti; una costituzione federale che garantisca le autonomie regionali; un sostegno economico che non riduca in miseria la maggioranza della popolazione; e la possibilità per il popolo di Crimea di scegliere il proprio futuro. Qualsiasi altra cosa rischierà di allargare il conflitto.
Nessun commento:
Posta un commento