sabato 1 marzo 2014

Oltre Renzi e il Pd


Oltre Renzi e il Pd


di Piero Bevilacqua – il manifesto

Ammet­tiamo pure che Renzi rie­sca, come ormai si dice, quasi fosse un biscaz­ziere che tenta la for­tuna. Un lin­guag­gio, appli­cato a un pre­si­dente del Con­si­glio e rela­tivo alle sorti di un grande paese, che segnala il punto ultimo di bana­liz­za­zione e sca­di­mento cui è giunta la vita poli­tica nazio­nale. Ammet­tia­molo, ipo­tiz­zando che il suc­cesso possa venire da qual­che riforma isti­tu­zio­nale riu­scita, da qual­che rat­toppo legi­sla­tivo e da altri risul­tati par­ziali sfrut­ta­bili sul piano della pro­pa­ganda media­tica. Que­sto è il mas­simo che un osser­va­tore otti­mi­stico può con­ce­dere alla pro­pria imma­gi­na­zione fidu­ciosa. Assai più pro­ba­bile è che il governo Renzi costi­tui­sca una replica, certo più vivace sotto il pro­filo comu­ni­ca­tivo, del governo Letta. Ci sono infatti tutte le con­di­zioni per­ché la situa­zione eco­no­mica di una parte cre­scente della popo­la­zione tendi a peg­gio­rare, la disoc­cu­pa­zione rimanga inscal­fita almeno per tutto il 2014 (pre­vi­sioni della Banca d’Italia) e le poli­ti­che di rigore dell’Ue riman­gano entro i vin­coli dog­ma­tici che hanno gene­rato la bufera della defla­zione euro­pea. Quelle poli­ti­che che Renzi non si sogna nep­pure di con­te­stare. Come già con i pre­ce­denti governi, di cen­tro­de­stra e di lar­ghe intese, in que­sti anni di tra­collo dell’economia, il volto della poli­tica con­ti­nua a mostrarsi feroce nei con­fronti delle popo­la­zioni e mite nei riguardi delle imprese e del potere finan­zia­rio. Forte con i deboli e debole con i forti come qual­cuno ebbe a dire in un tempo ormai remoto.
Ma, qua­lun­que sia lo sce­na­rio del Paese nei pros­simi due-tre anni, una cosa appare ormai certa e pre­ve­di­bile nel sue pros­sime evo­lu­zioni. Il Pd non sarà più un par­tito di cen­tro­si­ni­stra, tanto meno di sini­stra, quale mai è stato. Sarà sem­pre più quello che in parte è già oggi, come osser­vato da tanti com­men­ta­tori: un par­tito per­so­nale, anzi nep­pure un par­tito (la liqui­da­zione di que­sto ter­mine infa­mante è stata annun­ciata), ma una agen­zia di mar­ke­ting elet­to­rale, nuova fiam­mante come una Fer­rari uscita di fab­brica. E che que­sto stia acca­dendo e acca­drà a pre­scin­dere dalle dichia­rate inten­zioni di Renzi e del suo gruppo lo dicono i fatti osser­vati. Non c’è solo da pren­dere atto che Renzi, for­mando un nuovo governo senza pas­sare per le urne, replica e ampli­fica il tra­di­mento nei con­fronti degli elet­tori del Pd, già con­su­mato da Letta. Non rea­lizza sol­tanto le lar­ghe intese, per limi­tati e tran­si­tori atti di governo, ma mette in piedi un ese­cu­tivo di legi­sla­tura, esten­dendo a Ber­lu­sconi la pre­senza sostan­ziale in un dise­gno di riforma costi­tu­zio­nale. Gli elet­tori del Pd ne saranno edi­fi­cati. Ma, si ricor­derà, den­tro quel par­tito, prima dell’avvento di Renzi, 101 par­la­men­tari hanno tra­dito il loro impe­gno, non votando Prodi alla pre­si­denza della Repub­blica, inflig­gendo un vul­nus incac­cel­la­bile all’ onore di quel orga­ni­smo. Ora Renzi, che aveva ras­si­cu­rato sino a pochi giorni prima il suo com­pa­gno Letta, lo cac­cia via senza una qual­che plau­si­bile ragione che non sia di pura forza.
Dun­que, che mes­sag­gio lan­cia a tutti i suoi com­pa­gni? Che cosa resta, den­tro il Pd di quella spe­ciale stoffa che tesse i rap­porti umani, un tempo defi­nita morale? Se il par­tito non è di sini­stra, per­ché non per­se­gue ideali di ugua­glianza, non si schiera dalla parte dei lavo­ra­tori – gli uomini e le donne che fati­cano dalla mat­tina alla sera per miseri salari, gene­rando la ric­chezza di que­sto Paese — quale col­lante lo tiene insieme? Che cosa se non l’interesse dei sin­goli per fina­lità di car­riera per­so­nale ani­merà il col­let­tivo? Ed è facile imma­gi­nare, anche per­ché è già in atto, quale logica dar­wi­niana ispi­rerà la sele­zione dei gruppi diri­genti nella peri­fe­ria del par­tito, che evi­den­te­mente pre­mierà i carat­teri gene­ti­ca­mente domi­nanti della spre­giu­di­ca­tezza, della capa­cità di mano­vra e di con­qui­sta. Ricordo som­mes­sa­mente che cono­sciamo già i tratti tra­gici di que­sta vicenda. Essa ha già per­corso la sto­ria nazio­nale, lascian­doci in ere­dità magni­fi­che rovine. Bet­tino Craxi fece qual­cosa di simile con il Psi. E la distru­zione di quel par­tito — dive­nuto ben pre­sto il bastone del Capo – così come il danno incal­co­la­bile alla sini­stra e al Paese, fu tanto più facile e pos­si­bile quanto il ten­ta­tivo venne pre­miato dal suc­cesso per­so­nale e dai risul­tati poli­tici ini­ziali. Tanto la riu­scita che l’insuccesso di Renzi apre ugual­mente sce­nari inquie­tanti e inde­si­de­ra­bili, quanto meno per la sini­stra ita­liana. Schie­ra­mento poli­tico la cui sorte a me non appare sepa­ra­bile da quella del Paese.
Ma tanto l’uno che l’altro esito non inter­ro­gano anche noi? Noi sini­stra radi­cale, costel­la­zione divisa e dispersa di movi­menti, gruppi, pic­coli par­titi, per­so­na­lità? Noi che da almeno un decen­nio con­du­ciamo lotte, vin­ciamo refe­ren­dum di por­tata sto­rica, eleg­giamo qual­che sin­daco signi­fi­ca­tivo, pro­du­ciamo idee e cul­tura poli­tica nuova, espri­miamo figure intel­let­tuali di pri­mis­simo piano, diamo un con­tri­buto di prim’ordine all’analisi del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo, ma non riu­sciamo a orga­niz­zare que­sta fram­men­tata ric­chezza in un orga­ni­smo poli­tico comun­que deno­mi­nato?
In que­sto momento que­sta vasta area sta com­piendo un pic­colo mira­colo. Sta por­tando in porto la can­di­da­tura di Ale­xis Tsi­pras alla Com­mis­sione euro­pea e sele­zio­nando la lista dei can­di­dati che dovranno accom­pa­gnarlo nella com­pe­ti­zione del pros­simo mag­gio. L’idea di un comi­tato pro­mo­tore che diventa comi­tato di garanti, per la felice ini­zia­tiva di Bar­bara Spi­nelli, sta fun­zio­nando, anche se biso­gnerà met­tere nel conto qual­che errore e qual­che sba­va­tura per i tempi stret­tis­simi entro cui esso è costretto a ope­rare. Ma que­sta breve espe­rienza ci dice alcune cose su cui occor­rerà riflet­tere, da cui par­tire per ten­tare il grande mare di un pos­si­bile pro­getto poli­tico. Intanto occorre com­pia­cersi di un dato non scon­tato in par­tenza: il fatto che l’autorevolezza dei mem­bri che com­pon­gono il comi­tato non sia stata messo in discus­sione. Nes­suno ne ha con­te­stato la legit­ti­mità. È un suc­cesso impor­tante, un prin­ci­pio d’autorità neces­sa­rio. È la con­ferma di un fatto noto: esi­ste nell’area della sini­stra un folto gruppo di per­so­na­lità di larga popo­la­rità e spesso di indi­scussa auto­re­vo­lezza. È un patri­mo­nio pre­zioso, un punto di par­tenza rile­vante. Ebbene, lo usiamo solo per rispon­dere all’iniziativa dell’avversario, per difen­dere la Costi­tu­zione – come è acca­duto, certo con suc­cesso – per l’esperienza della Via mae­stra di Rodotà e Lan­dini? E poi ripo­niamo la spada nel fodero e tutti a casa? Lo met­tiamo in campo solo per sele­zio­nare e fre­nare la rissa dei can­di­dati in occa­sione delle com­pe­ti­zioni elet­to­rali? E sta­remo nei pros­simi mesi, una volta con­clu­sasi la cam­pa­gna elet­to­rale euro­pea, a osser­vare i segni di cedi­mento den­tro il Pd, ad atten­dere qual­che pro­ba­bile scis­sione den­tro quell’organismo?Non dob­biamo cam­biare pro­spet­tiva?
Io credo che oggi dovremmo pun­tare a una più grande e urgente ambi­zione: creare un grande tavolo di discus­sione, di con­fronto, di ricerca tra tutte le forze in campo. Una sorta di Costi­tuente della sini­stra dove si con­fron­tino idee, posi­zioni, pro­po­ste, senza avere sul capo l’urgenza defor­mante di una cam­pa­gna elet­to­rale alle porte. So bene quanto sia dif­fi­cile la riu­scita di un simile labo­ra­to­rio, che dovrebbe pun­tare alla crea­zione di una forma poli­tica nuova, una fede­ra­zione di forze tenuta insieme da vin­coli e regole severe e ben defi­nite. So bene quanta ris­so­sità, set­ta­ri­smo, super­fi­cia­lità, alberga tra le nostre file. Ma se non si tenta adesso una tale strada, in pre­senza di una delle più grandi crisi della nostra sto­ria, con fon­da­menti della nazione in pezzi (la scuola, l’Università, la pic­cola indu­stria, la giu­sti­zia ammi­ni­stra­tiva, la lega­lità repub­bli­cana, il ter­ri­to­rio), quando mai si ten­terà la prov­vida avven­tura? Lasce­remo a Grillo, oppo­si­zione urlante e poli­ti­ca­mente inetta il com­pito di rac­co­gliere il grido di dolore di milioni di ita­liani? E non dob­biamo pen­sare che quando giun­gerà il momento delle ele­zioni nazio­nali – se que­sto governo dovesse durare – c’è il rischio che il Paese sia ricon­se­gnato alle destre o sia reso ingovernabile?

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