giovedì 6 marzo 2014

Renzi, la prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi

di Felice Mill Colorni, da confronti.net

Quasi a tutti, anche a chi non apprezzava il Presidente Nipote, la sostituzione di Renzi a Letta è sembrata, se non altro per le modalità, un’inutile e gratuita manifestazione di brutalità e di incontinenza, spiegabile più con gli strumenti dell’analisi psicologica e caratteriale che con quelli dell’analisi politica. L’inizio non cessa di essere pessimo se, come è certo, si trattava anche di mettere le mani sulle numerose nomine di alto livello in scadenza.

Naturalmente speriamo di essere smentiti, ma questo Consiglio dei ministri somiglia tremendamente alla segreteria del Pd renziano, e rischia di somigliare in modo ancor più sinistro al prossimo gruppo parlamentare di quel partito. E a buona parte del prossimo Parlamento, perché la tendenza non è certo esclusiva del Pd, che semmai sta portando a perfezione schemi berlusconiani, a conferma che la catastrofe politica degli ultimi vent’anni è diventata antropologica, e che il berlusconismo è destinato a sopravvivere al fondatore più a lungo di quanto è durata l’eredità antropologica del fascismo. Un gruppo di giovani devoti, che non sembrano in condizione non solo di tener testa al principale sulle questioni di loro competenza (competenza?), ma neppure di avvertirlo, quando lo intuissero, che sta per commettere una castroneria fenomenale. Di che far morire di invidia Berlusconi e Grillo.

A questo punto il giovane Renzi dovrà pur fare qualcosa di eclatante per giustificare la defenestrazione del predecessore. Quasi certamente, e salve improbabili inversioni radicali di tendenza nell’andamento dell’economia internazionale, poco potrà fare in campo economico, e nulla in significativa controtendenza rispetto ai partner comunitari (per riacquistare un po’ di sovranità gli europei dovrebbero darsi un governo comune, ma il risultato delle prossime elezioni europee probabilmente spingerà in direzione opposta).

Come farà dunque Renzi a dare l’impressione di un vero e profondo «cambiamento di passo»? Purtroppo l’ha già fatto abbondantemente capire: facendo fuori qualunque possibilità di contrastare democraticamente le tre forze politiche maggiori che dominano senza costrutto nell’Italia di questi anni, il suo Pd, Berlusconi e l’insopprimibile Grillo. A questo, esplicitamente, punta l’Italicum, la legge elettorale super-truffa stilata da Renzi assieme a Berlusconi.

Alle ultime elezioni politiche solo il 50,1% degli aventi diritto ha votato per Berlusconi, per il Pd o per Grillo, le sole tre opzioni (oltre alla Lega, se passa l’emendamento ritagliato in suo favore ad uso di Berlusconi) che resterebbero a disposizione degli elettori. Il 49,9% degli elettori italiani non avrebbe nulla da votare. Ammettiamo che una parte di questi potrebbe turarsi il naso e votare per il meno repellente dei tre: quasi metà del corpo elettorale finirebbe per non essere rappresentata nelle istituzioni. Cittadini di serie C, soggetti a «taxation without representation». Possibile che fra gli eletti dei tre maggiori partiti non ci sia quasi nessuna voce che esprima almeno qualche imbarazzo? Dopo vent’anni di analfabetismo civile dilagante, lo scippo del diritto di essere rappresentati ai danni di quasi metà degli elettori italiani non sembra a nessuno uno scandalo inaudito?

«I partiti più piccoli non ragionano per il bene del paese». Questa affermazione è grottescamente comparsa sulle labbra di Silvio Berlusconi (!), massimo benemerito della patria. Dunque i responsabili del disastro italiano non sono quelli che hanno sgovernato in questi anni: quelli – Berlusconi in testa – ragionavano «per il bene del paese». Così, dopo l’Europa, l’euro, Merkel, i «comunisti» e i giudici, ecco trovato un nuovo responsabile per le malversazioni e l’inettitudine dei governi passati.

La soglia di legge dell’8 per cento, prevista dall’Italicum perché possa avere rappresentanza parlamentare un gruppo politico estraneo alle tre coalizioni principali, non esiste in nessuna democrazia liberale. È come se, per consentire a due o tre imprese dominanti di spartirsi il mercato al riparo della concorrenza, si vietasse per legge che imprese concorrenti possano entrare nel mercato. In economia sarebbe una catastrofe, in politica la si fa passare per una scelta di efficienza.

In preda ad un’autentica «sindrome di Stoccolma», se ne stanno buoni e zitti perfino gli attuali rappresentanti delle forze minori, destinati alla resa o al macello. «Sono responsabili dell’instabilità», si dice, proprio nei giorni in cui, come quasi sempre, a far cadere un governo sono state le faide interne al partito maggiore.

Hanno ormai corso, anzi sembrano ovvietà, tesi che in precedenza avrebbero fatto accapponare la pelle a qualunque democratico (di sinistra, di destra o di centro, di sopra o di sotto). Come la tesi che democrazia significhi eleggere un «capo» di governo e dargli pieni poteri.

O che le garanzie costituzionali siano ormai diventate inutili perché la democrazia è ormai al sicuro. Invece le garanzie costituzionali delle libertà fondamentali sono destinate ad essere travolte, perché tutti i quorum sono stati fissati nella Costituzione sulla base del presupposto, tacito ma all’epoca universalmente condiviso, che la legge elettorale per l’elezione del Parlamento sarebbe stata proporzionale.

Per l’analfabetismo politico dilagante non c’è più bisogno di garanzie costituzionali. Proprio quando i populismi totalitari sono alle porte.

Così nel 2014 una classe politica di irresponsabili balordi spianò la strada al futuro Orban italiano che avrebbe preso il potere negli anni successivi.

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