venerdì 2 maggio 2014

Gramsci, il sistema in movimento



Esito di una ricerca trentennale, il libro completa un trittico inaugurato da due precedenti volumi ( Gramsci storico. Una lettura dei “Quaderni del carcere” , Laterza 2003, e Per Gramsci. Crisi e potenza del moderno , DeriveApprodi 2007). Qui è l’intero lascito gramsciano a essere riletto nella sua integrità, e riguardato come un intero attraversato dal susseguirsi dei drammatici eventi politici che segnarono la storia italiana e mondiale tra il primo dopoguerra e il consolidarsi, a seguito della Grande crisi del ’29, della «stabilizzazione capitalistica» sulle due sponde dell’Atlantico.
L’analisi spazia dalla riflessione sulle forme e le logiche della politica alle questioni capitali della ricerca del Gramsci storico e teorico della storia, alle problematiche fondamentali della filosofia sottesa all’opera precarceraria e ai Quaderni. Si tratta per un verso della teoria del partito e delle questioni della rappresentanza e della democrazia borghese e operaia; della coscienza di classe e dei rapporti tra Stato e società civile; dei temi classici dell’egemonia, del cesarismo e del bonapartismo; della rivoluzione passiva, dell’americanismo e del fordismo. E, per l’altro verso, della riflessione sulla temporalità, la modernità e la sua crisi immanente; della teoria delle crisi e delle transizioni; del ruolo teorico e pratico della dialettica e della filosofia della prassi.
Un assaggio
Per molte importanti ragioni Antonio Gramsci è oggi inattuale. Vede nella storia il solo luogo nel quale sia possibile comprendersi, come individui e come soggetti collettivi. È quindi, direbbe il poeta, «più moderno di ogni moderno», posto che la modernità nasce col sentimento di un nuovo tempo che comincia nel segno di grandi trasformazioni. Oggi il sentimento del tempo storico appare sradicato, e si direbbe imploso l’orizzonte di senso che sul suo sfondo si costituiva. L’idea che la storia sia uno «svolgimento» coerente ci è estranea. Suona per noi come un che di scolastico e di astratto.
Gramsci investe sulla forza delle organizzazioni del movimento operaio, delle quali, pure, scorge gravi limiti, dovuti all’inadeguatezza dei gruppi dirigenti e alla loro estraneità alla classe. Confida nella trasformazione rivoluzionaria e nell’avvento, anche in «Occidente», di una «nuova società», regolata dall’autogoverno dei corpi sociali. Alieno da qualsiasi determinismo, lo considera una «necessità storica» perché ha fiducia nell’efficacia della volontà (della razionalità) collettiva. Nulla più di un simile ottimismo storico si direbbe, di questi tempi, lontano dal sentire comune.
Ma la sua lettura della crisi ci riguarda, ci coinvolge. Come Marx, Gramsci pensa dialetticamente la crisi come conseguenza necessaria dello sviluppo, e come premessa di una transizione differibile ma non evitabile.
È uno scenario che parla di noi. Da oltre un secolo l’Occidente è stabilmente in crisi. Genera guerre apocalittiche (quest’anno cade il centenario della Grande guerra), produce devastazioni dell’ecosistema, si dimostra incapace di coniugare successi tecnici e crescita civile, intellettuale e morale delle società. Non soltanto per irresponsabilità soggettive: anche, soprattutto, per limiti sistemici.
Dunque il nostro è ancora il tempo di Gramsci, per quanto distanti ci si possa ritenere. E nonostante la divergenza delle prospettive. Da ultimo Eric Hobsbawm ha scritto che egli è parte del nostro universo intellettuale. Un classico. Senza l’aura archeologica che talora a questo giudizio si accompagna.
L’autore: Alberto Burgio
Alberto Burgio (1955) dirige il Dipartimento di filosofia dell’Università di Bologna, dove insegna Storia della filosofia. Ha studiato il pensiero politico tra Sette e Novecento e la storia delle ideologie razziste. È stato deputato nella XV legislatura repubblicana. Fa parte del comitato scientifico della collana “ Labirinti ” di DeriveApprodi.
 
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