mercoledì 4 giugno 2014

Ditegli sempre di sì

rENZI«Non è un son­dag­gio sul governo, non è un refe­ren­dum sul governo, non c’è nesso tra il voto per le euro­pee e il governo, non cam­bierà nulla per il governo». Tutto que­sto diceva in tv Mat­teo Renzi prima delle ele­zioni. Ma il voto è andato bene, molto bene, e tanti saluti alla pru­denza. Ora un brutto riflesso auto­ri­ta­rio incombe sulle riforme costi­tu­zio­nali. Diversi ren­ziani — ante­mar­cia o con­ver­titi — decli­nano lo stesso pre­cetto: Mat­teo ha vinto le ele­zioni, guai a chi si mette di tra­verso sulla riforma-abolizione del senato.
Il Pd che per tanti anni si è sen­tito ripe­tere da Ber­lu­sconi che «chi prende i voti ha sem­pre ragione» alla fine ha preso i voti e si è con­vinto. I suoi diri­genti ci spie­gano adesso che il 25 mag­gio si è votato sul governo. E sulle riforme costi­tu­zio­nali. In fondo, argo­men­tano, sono la stessa cosa.
La discus­sione sul testo del governo — adot­tato in senato come rife­ri­mento, mal­grado fosse stato smen­tito dalla volontà della com­mis­sione — comin­cia uffi­cial­mente oggi. Ma potrebbe finire subito, secondo gli infer­vo­rati ren­ziani che attac­cano chi si ostina a pro­porre modi­fi­che. «Ma non è suc­cesso niente il 25 mag­gio?» chiede un sena­tore ai venti col­le­ghi che ten­gono fermi gli emen­da­menti per l’elezione diretta. Altro­ché: «Chi ha votato Pd vuole le riforme di Renzi», avverte minac­ciosa un’altra sena­trice demo­cra­tica. E il capo­gruppo, già troppo svelto nell’abbracciare l’idea di far sce­gliere «a ogni regione il modo in cui eleg­gere i suoi sena­tori» (ma Renzi scher­zava, e lui l’ha capito tardi), impar­ti­sce istru­zioni alla truppa: «Gli elet­tori hanno dato cre­dito al governo, i sena­tori del Pd devono lavo­rare com­patti per con­so­li­dare il con­senso conquistato».
Al mat­tino, d’abitudine, i par­la­men­tari Pd si dedi­cano a sfot­tere via agen­zia i col­le­ghi 5 stelle, costretti a obbe­dire a Grillo. Ieri cam­bio di pro­gramma e col­let­tivo richiamo all’ordine dei dis­si­denti interni. Con la raf­fi­na­tezza di argo­menti della vice­pre­si­dente della camera: «Basta obie­zioni di prin­ci­pio». In fondo la mino­ranza della mino­ranza Pd — così come Sel, i gril­lini e gli ex gril­lini — pro­pone di dimi­nuire non solo il numero dei sena­tori ma anche quello dei depu­tati. Di fare del senato un ente non inu­tile. Di eleg­gere i sena­tori assieme ai con­si­gli regio­nali. Ma il con­fronto nel merito è escluso, la rispo­sta della mag­gio­ranza è uno slo­gan: «Fac­ciamo come in Fran­cia». Die­tro lo slo­gan c’è una pro­po­sta assai diversa dal sistema fran­cese; farlo notare però è sabo­tag­gio. In Fran­cia i grandi elet­tori scel­gono i sena­tori tra tutti i cit­ta­dini sopra i 24 anni. In Ita­lia potreb­bero essere eletti solo sin­daci e con­si­glieri regio­nali. In Fran­cia la for­mula ha fal­lito ed è stata rifor­mata, al punto che né i pre­si­denti dei con­si­gli regio­nali né i sin­daci potranno più essere eletti, in Fran­cia l’altra camera si forma in base a una legge elet­to­rale pre­sen­ta­bile; in Ita­lia si imma­gina l’opposto. La «media­zione» met­te­rebbe il nuovo senato nelle mani dei con­si­glieri comu­nali. Asso­mi­glia molto alla prima pro­po­sta Renzi-Delrio (il sot­to­se­gre­ta­rio già lea­der dell’associazione dei comuni), poi riti­rata per eccesso di zelo.
Ma al rac­conto del vin­ci­tore manca sem­pre un pezzo. Non sono i dis­si­denti a ral­len­tare la mar­cia verso le riforme. Il fre­na­tore ora è Ber­lu­sconi, l’alleato scelto da Renzi per evi­tare il con­fronto a sini­stra e nel suo par­tito. A Ber­lu­sconi tutti quei sin­daci non piac­ciono. Gli piace invece l’idea di rimet­tere mano alla legge elet­to­rale già appro­vata alla camera. L’ottimo risul­tato del Pd alle euro­pee, e quello medio­cre dei cen­tri­sti, sug­ge­ri­scono di alzare la soglia sotto la quale si può vin­cere al primo turno, e di abbas­sare gli sbar­ra­menti. L’errore è sem­pre quello di sta­bi­lire le regole del gioco inse­guendo le con­ve­nienze del momento (tra un anno chissà). Ma in que­sto caso si andrebbe incon­tro, almeno in parte, ai sug­ge­ri­menti di molti costi­tu­zio­na­li­sti. Due mesi fa il pre­si­dente del Con­si­glio li aveva rumo­ro­sa­mente irrisi. Adesso si ade­gua. L’importante è che gli si dia ragione. «Compatti».
ANDREA FABOZZI
da il manifesto

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