martedì 2 settembre 2014

Ma che ha detto Bertinotti? di Maurizio Acerbo


andy warholAppare utile socializzare la trascrizione dell’ormai famigerata risposta di Fausto Bertinotti a una domanda di Alessio Falconio, direttore di radio radicale (il video completo dell’intervista) nel corso del Todi Festival. La sintesi dell’intervento messa on line dal quotidiano berlusconiano Libero ha suscitato una marea di insulti sui social network. La cosa che più mi ha stupito non è il dissenso o il consenso rispetto alle argomentazioni, ma che si prenda sul serio un articolo di un giornale come Libero. E’ talmente evidente la forzatura nella titolazione dell’articolo e dello stesso video messo in giro da Bechis che è incredibile che tante persone l’abbiano presa per buona.
Preciso che non penso che Bertinotti sia soltanto vittima della manipolazione, altrimenti avrebbe diffuso due righe chiarificatrici nelle ore successive, almeno per precisare che – come si evince dal testo – non si era dichiarato “comunista pentito”. Probabilmente gli ha fatto piacere che la rabbia suscitata tra i compagni sui social network abbia attirato comunque un minimo di attenzione. Dubito che sia la modalità migliore per costruire percorsi di riflessione collettiva ma pare che da tempo Bertinotti provi un certo gusto nel fare incazzare quelli che un tempo affollavano i suoi comizi. L’intervento di Fausto non mi ha particolarmente scandalizzato, forse perché mi son sempre considerato un comunista/socialista liberale e libertario (consiglio la lettura di una mia nota di 4 anni fa in calce al decalogo liberale di Bertrand Russell). Varie cose non mi hanno convinto, ma prima di discutere e dissentire nel merito (cosa che farò forse in un prossimo post) meglio leggere che cosa ha effettivamente detto Bertinotti. Cerchiamo di far buon uso della rete.

Alessio Falconio, direttore di radio radicale:
noi ci siamo sentiti per telefono una sera per discutere di un pezzo che poi sarebbe uscito il giorno dopo, un pezzo a firma Fausto Bertinotti, sul quotidiano Il garantista che si rivolgeva a Marco Pannella in un momento in cui ha reso nota la sua malattia che però non lo toglie affatto dall’attività politica… e che cosa ha scritto Bertinotti in questo articolo? “marxisti e liberali si sfidavano sul destino dell’uomo e della polis. Oggi, dopo la grande sconfitta del movimento operaio, gli eredi di quelle tradizioni sono chiamati a drastici ripensamenti. E persino a mescolarsi”. Si riparte da qui?
Fausto Bertinotti: Io credo di si. Vedi come torna la questione dello sguardo del vinto giusto. Nel Novecento contro i totalitarismi… in realtà ci sono state queste tre grandi culture. Una che proveniva dal cristianesimo politico, cioè dalla dottrina sociale cattolica e poi dalla formazione delle grandi formazioni politiche del mondo cattolico, partiti e sindacati, e poi due grandi tradizioni diciamo laiche, una liberale, e una movimento operaio di origine marxista. Queste sono state le tre grandi culture.
La mia opinione è che se passiamo dalle persone alle culture potremmo chiamare queste tre grandi tradizioni i vinti giusti.
Per ciò che riguarda il cattolicesimo basta ascoltare le parole del pontefice per verificare il fondamento di questo considerarsi sconfitto, parole che usa quotidianamente e che secondo me gli stanno guadagnando il consenso di mondi lontani dal mondo cattolico, è che davvero sembra di assistere alla presenza nel mondo di una parola profetica. Delle tre grandi componenti sembra essere l’unica che ha riacquistato una vitalità. Non casualmente nasce da un atto rivoluzionario, cioè dalle imprevedibili dimissioni di un papa. Fintanto che non era avvenuto nessuno poteva immaginare che un papa si potesse dimettere. L’operazione di rottura realizzata da Benedetto XVI ha consentito che si producesse questa grandissima innovazione di un uomo che viene chiamato da un altro mondo. Le parole che usa sono indicative di una sconfitta(…)
Le altre due culture sotto scacco, naturalmente non sto parlando delle singole persone, (…)so bene che nell’una e nell’altra tradizione esistono forme di resistenza e di riappropriazione ma io sto parlando invece delle grandi culture e quindi dell’espressione in grandi soggettività.
E’ evidente che noi oggi assistiamo a una desertificazione della politica tanto che in un qualsiasi dibattito parlamentare è difficilissimo rintracciare le tradizioni di queste grandi culture. Oggi in un qualsiasi dibattito parlamentare dove sta la cultura liberale o la cultura di origine marxista? Non saprei dirlo. Perché? Perché i nuovi soggetti che stanno sulla scena hanno cambiato la loro natura. Hanno cambiato la loro natura e sono rivolti non a realizzare una nuova idea di società ma a guadagnare una posizione di governo. La politica si è ridotta a questo rango, a una competizione a che arriva a governare, chi vince. Si è banalizzata la vicenda politica, è come una gara sportiva, conta chi vince.
(…) di fronte a una sconfitta così bruciante io credo che nessuno di noi possa – quandanche avesse forti nostalgie -pensare di ritornare al passato, cioè non è che noi possiamo pensare di tornare a costruire il partito liberale – che non c’è mai stato – di massa, o il partito comunista o socialista. Questa ipotesi è impraticabile perché il novecento è finito. In questo senso vinti giusti. Nel novecento avevano avanzato delle suggestioni che potevano realizzarsi e infatti sono andate vicino a realizzarsi qualche volta. Ma quando quel mondo finisce ed è finito perché è cambiata la scena, è cambiata l’economia, la tecnologia, la scienza, la comunicazione (…) Ci può essere qualche forzatura ma per dire in che orizzonte ci stiamo collocando. Noi tutti siamo con un piede in un mondo che è quello che conosciamo e un piede in un mondo che fuoriesce totalmente da questo quadro di relazioni e di conoscenze. Dunque la politica non può tornare indietro… io sono cresciuto con il lavoro di sezione, della lega, con il rapporto diretto, con il comizio. Credo di aver fatto migliaia di ore di comizi e non saprei immaginare la politica diversamente. E anzi penso, come per tutti gli strumenti, che alcune di queste forme sono destinate a essere rivitalizzate, così come la stampa nei confronti della radio, così come la radio nei confronti della televisione, così come la televisione nei confronti di internet, ecc.
C’è sempre una possibilità di rimodellamento ma…ma sei entrato in una nuova scena. Questa nuova scena chiede una rifondazione delle grandi visioni del mondo.
La sinistra che io ho conosciuto era… se a me chiedi: “ma per te che cos’è la sinistra?”. Per me la sinistra è la lotta per l’eguaglianza. La sinistra pensa che sia possibile raggiungere l’eguaglianza tra gli uomini, non l’eguaglianza delle opportunità che è una banalità, no! L’eguaglianza! Questa cosa che per me è importantissima e che ovviamente è legata all’idea di un soggetto che possa conquistarla questa eguaglianza. Come nasce l’idea di “proletari di tutto il mondo unitevi”? Nasce perché proletari di tutto il mondo unitevi perché voi che siete senza potere conquisterete il potere per farci tutti uguali. Il proletariato liberando se stesso libererà l’intera umanità. Quella cosa lì indipendentemente dai cento errori è finita con la sconfitta e il mondo a cui io appartengo – io appartengo a questo mondo! – questo mondo è stato sconfitto dalla falsificazione della sua tesi – crollo dell’Unione Sovietica – e da un cambiamento della scena del mondo che possiamo chiamare globalizzazione e capitalismo finanziario globale.
Nel momento in cui questa scena viene cambiata io penso che la cultura liberale che è stata attenta più di me – della mia cultura – all’individuo cioè alla difesa dei diritti dell’individuo e della persona contro tutto, il potere economico ma anche lo Stato, questa cultura è indispensabile per intraprendere il nuovo cammino di liberazione. Adesso ve la dico un po’ grossolanamente e vi chiedo scusa ma io vengo da una cultura che – faccio fatica a dirlo – ma io appartengo a una cultura che ha pensato che si potessero comprimere almeno per un certo periodo dei diritti individuali in nome di una causa di liberazione …per cui se dobbiamo in un certo periodo mettere la mordacchia al dissenso “e vabè ragazzi miei è la rivoluzione”. Un grande comunista italiano disse una frase terribile. gli dissero: “ma lei tra la verità e la rivoluzione cosa sceglie?” e lui rispose “la rivoluzione è la verità” che è la formula rovesciata rispetto a quella di Gramsci che diceva che la verità è rivoluzionaria però non casualmente la formula di Gramsci la dice prima di andare in carcere e la formula successiva è quella di un mondo che sembrava conquistabile dal comunismo. E’ chiaro?
Quindi la mia storia, che è una storia grande, grande e terribile ma grande, ha pensato che si potesse comprimere e non sto a dire adesso “ma a me non”, è irrilevante. Quella storia ha accettato la compressione…adesso la dico in termini tragici: ma l’intellettualità europea tra il ’45 e il ’50 è stata quasi tutta comunista, l’intellettualità! Jean Paul Sartre, Gide, Camus, per parlare dei francesi. In Italia tutti! Tutti i registi del neorealismo, i principali cattedratici italiani, i grandi scrittori, le case editrici, bè adesso non mi dite per favore che non si sapeva niente di cosa accadeva in Unione Sovietica e che bisognava attendere il ’56 o Praga. In realtà…c’è una frase di Sartre – se uno cita un comunista si dice vabbè – prendiamo Sartre, il maggiore teorico europeo dell’esistenzialismo, quello che ha scritto i libri più drammatici e alti sul valore della persona e dell’esperienza della persona, quando Camus gli dice “ma scusa tu difendi l’Unione Sovietica, ma come fai a difenderla con i processi barbarici che vengono fatti contro i suoi dissensi interni?” Vi ricordate cosa rispose Sartre? Parlo di Sartre insisto. Rispose: Io difendo l’Unione Sovietica “pour ne pas désespérer Billancourt”, per non introdurre la disperazione a Billancourt, per non introdurre la disperazione tra gli operai delle grandi fabbriche francesi che devono potere – questo lo aggiungo io- alimentarsi di un mito, il mito dell’Unione Sovietica. Se io gli tolgo il mito quelli cadono nella disperazione. Quindi non questo o quello, nella mia parte c’è dentro questa devoluzione, in nome della causa, dei diritti individuali.
Io penso che la cultura liberale che secondo me ha altre cose da farsi perdonare per esempio la complicità con meccanismi di accumulazione capitalistica che sono stati spesso letti acriticamente tuttavia ha in maniera feconda difeso prima, scoperto poi, rivalutato poi, il diritto individuale come incomprimibile e anche alcune vicende che a me sembravano quasi un lusso – che so io i diritti di un popolo quasi sconosciuto di non subire un’oppressione oppure le parole del Dalai lama, le battaglie radicali – a me paiono assolutamente indispensabili alla mia ricostruzione.
Se io devo riprendere il cammino, nel mio bagaglio vorrei mettere insieme a ciò che di meglio c’è nella mia tradizione rivisitata criticamente ciò che viene portato da ciò che io considero più dialogante con me della tradizione liberale come da quella cattolica. Io penso cioè che le tre grandi culture eredi del novecento politico sono chiamate a rimescolarsi e a andare oltre il dialogo, a accettare una contaminazione perché abbiamo subito una sottrazione di capacità di premonizione del futuro. In questo senso i vinti giusti sono uno sguardo di attenzione sul futuro perché hanno perso nel loro tempo ma ciò che hanno guardato merita di essere riguardato.

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