domenica 2 novembre 2014

Fuoco di paglia di Emanuele Salvati – Operaio TKAST, Circolo lavoratori PRC Terni

La vertenza TKAST ha subìto in queste ore un’accelerazione che potrebbe portarla ad una sciagurata conclusione. L’altro ieri, la risposta eversiva da parte delle forze dell’ordine al corteo dei lavoratori ha, da un lato, creato giusto consenso intorno alla figura del sindacato ed alle rivendicazioni delle RSU e dei lavoratori; dall’altro, ha invece portato ad una proposta governativa di riscrittura fittizia del piano industriale che ha trovato il consenso delle segreterie nazionali dei metalmeccanici. Il pericolo che si possano rivivere i giorni della vertenza del magnetico, con l’accantonamento del piano da parte di TKAST per poi riproporlo ad acque calme, è reale.
Venerdì scorso, i sindacati hanno chiamato a raccolta l’intera cittadinanza ed un immenso corteo composto da decine di migliaia di persone ha sfilato per le vie della città per dire no allo smantellamento del sito siderurgico. Il sindacato necessitava di una prova di forza da contrapporre alle istituzioni locali e nazionali che, avendo prodotto un documento rifiutato in toto dai lavoratori, avevano posto la RSU e le segreterie locali dei metalmeccanici in completa solitudine di fronte agli attacchi dell’azienda.
È, infatti, da segnalare che dal dopoguerra ad oggi, questa è la prima volta che un sindaco, Leopoldo Di Girolamo, e un presidente di regione, Catiuscia Marini, entrmbi eletti nelle liste del Partito Democratico, si schierano fattivamente con il governo e non coi lavoratori; per una città come Terni è qualcosa di inaudito. Segno di una mutazione genetica ormai conclamata del PD. Ma non tutto è andato come previsto.
Se i rappresentanti delle RSU sono stati applauditissimi, non è stato lo stesso per i segretari nazionali, soprattutto per la Camusso. La piazza in toto ha quindi espresso bene il malcontento generale e ha rifiutato un’altra manfrina circa la difesa dello stabilimento, delle produzioni e delle unità lavorative che si erano sentiti dire già dieci anni fa durante la vertenza del magnetico. Oltremodo, la parte più politica della piazza, formata da USB, centro sociale e Rifondazione Comunista ha criticato gli apicali perché dietro le belle parole si nasconde in realtà l’intenzione di mediare con il governo Renzi sia sulla manovra di stabilità che sul Jobs Act e perché gli stessi, negli ultimi anni, si sono resi firmatari di accordi capestro che ledono l’agire democratico dei lavoratori e che aprono una voragine su contrattazione e condizioni lavorative.
La risposta della CGIL ternana non si è fatta attendere e, oltre a sminuire la portata della contestazione ha tacciato di “delinquenza politica” chi aveva fischiato la Camusso perché, a loro dire, in quel modo si era criticato anche l’operato dei compagni delle RSU che stanno gestendo la vertenza, ma disconoscendo volutamente e pretestuosamente il fatto che la RSU della FIOM, in questa fase, gode del più ampio consenso e appoggio da parte di tutte le soggettività politiche della sinistra d’alternativa che vedono proprio, in una parte ben definita della FIOM stessa, il punto avanzato e radicale della lotta sindacale e quindi della gestione della vertenza stessa.
La vertenza delle acciaierie ternane rappresenta, infatti, un punto avanzato, nella metodologia della lotta, in primis, rispetto a tutte le altre vertenze sparse nel paese. Da una settimana, oltre ai blocchi delle portinerie ed allo sciopero ad oltranza, si è cominciato a presidiare la Prefettura e soprattutto si è occupata la sala del Consiglio Comunale con l’interruzione dei lavori istituzionali. Un atto simbolico, ma che nasconde una forza politica non indifferente dato che, come già specificato sopra, nella storia di questa città è la prima volta che un sindaco si schiera di fatto contro i lavoratori ed il sindacato.
L’asse istituzionale formato da sindaco, presidente della regione e governo ha lavorato costantemente contro il piano alternativo delle RSU e contro la salvaguardia del sito a favore delle logiche aziendali, mettendo in piedi anche a livello locale il disegno eversivo del governo Renzi che vede nelle Istituzioni governative l’unico soggetto politico qualificato da contrapporre alle aziende ed ai lavoratori per la risoluzione delle vertenze industriali.
Il sindacato, o perlomeno una parte di esso, è divenuto il problema che frena la ripresa e lo sviluppo. Per questo, se da una parte è giusta la battaglia politica della CGIL per la riconferma nel paese del ruolo strategico e democratico del sindacato come luogo di rappresentanza dei lavoratori in un contesto di centralità delle masse lavoratrici –le parole di Landini dopo le manganellate ricordano questo- dall’altra, è doveroso affermare e tentare di evitare che tutto questo potenziale si tramuti del tutto e che venga visto solo, come purtroppo sta accadendo, come mero braccio di ferro tra le due fazioni del PD e cioè l’ala renziana e quella della “sinistra interna”.
Lo si è potuto vedere sia nelle dinamiche locali che hanno appunto visto contrapporsi sindacato e sindaco e lo si sta scoprendo in questi giorni con il braccio di ferro tra CGIL e governo Renzi anche dopo i fatti accaduti l’altro ieri durante il presidio/manifestazione degli operai della TKAST. Dicevamo che la vertenza TKAST è divenuta un punto avanzato della battaglia politica e sindacale in Italia, che travalica ormai la questione della vertenza territoriale stessa assumendo la portata di vertenza nazionale simbolo sia per le innumerevoli aziende in crisi, sia perché è ormai divenuta la potenziale miccia per l’accensione di una stagione di lotte in tutto il Paese.
Dopo la risposta eversiva delle forze dell’ordine contro il corteo dei lavoratori ternani, in Italia si è improvvisamente svegliata la coscienza operaia e di classe. Presidi spontanei davanti alle Prefetture si sono susseguiti in tutto il paese, gli studenti di Napoli sono stati caricati dalla polizia per aver dimostrato solidarietà ai lavoratori ternani, innumerevoli aziende metalmeccaniche hanno organizzato scioperi e presidi, la FIOM ha indetto uno sciopero nazionale di categoria.
Terni sta quindi rappresentando la riscossa del movimento operaio nazionale ed ancora oggi i lavoratori hanno in mano la possibilità di costruire un movimento sociale che, facendo cardine sulla battaglia politica e sindacale, riesca a far cambiare le sorti del Paese. Non bisogna disperdere questo potenziale.
Non bisogna disperderlo lasciandolo solo in mano al sindacato confederale; tutte le forze sociali e politiche della sinistra radicale devono stare al fianco dei lavoratori e saper indirizzare la battaglia verso una radicalizzazione strategica e programmatica che porti alla costruzione di un grande movimento nel Paese, perché se il sindacato resta solo, tutto si tramuterà in una mera mediazione tra le parti, tutto si risolverà in un’asfittica, sterile, grande vertenza politico-sindacale con protagonisti le correnti del PD e la sinistra poltronista (al corteo dei lavoratori erano presenti anche parlamentari di SEL e ciò, se proiettato in lontananza riesce a far capire anche i movimenti che attualmente stanno avvenendo a sinistra del PD e che condizioneranno, in negativo, la sinistra nel prossimo futuro).
Non a caso le uniche prese di posizione forti che sono venute da SEL e da altri partiti d’opposizione vanno solo nella direzione della richiesta di dimissioni del ministro dell’Interno Alfano.
Il Paese ed i lavoratori non vogliono e non si meritano un grande fuoco di paglia. Il pericolo è proprio questo e già in queste ore i principali attori si stanno muovendo in questa infelice direzione. E, infatti, per far spegnere la miccia di una eventuale “insurrezione nazionale” già si parla di una possibile soluzione della vertenza TKAST.
L’incontro di ieri tra il governo e le segreterie nazionali dei sindacati ha permesso al ministro Guidi di mettere sul tavolo una proposta di modifica del piano industriale, che pare già sia stata accettata dall’azienda e in più la convocazione di un nuovo tavolo di confronto per il 6 novembre prossimo; il nuovo piano, ma che nuovo in sostanza non è, prevederebbe il ridimensionamento degli esuberi da 537 a 290 –come da piano presentato quasi un mese fa dalla stessa Guidi- sotto forma di esuberi incentivati (già un centinaio di lavoratori hanno scelto di andarsene usufruendo dell’incentivo di 80000 euro) e in più la possibilità a marciare con un forno a 15 turni ed uno a regime completo; investimenti confermati (100 milioni che servono solo per la manutenzione ordinaria), ma nulla si dice su volumi e mix produttivi come non si dice nulla sul commerciale, sul contratto integrativo e sui contratti di solidarietà.
Una proposta che somiglia di più a quella dell’azienda che a quella delle RSU. Anche la questione del tubificio, Aspasiel, Società delle Fucine e Titania resta ignota. Addirittura l’azienda ha di punto in bianco riconfermato il contratto, fino a fine dicembre e con rinnovi su base trimestrale, dell’Ilserv (un’azienda che si occupa di seconde lavorazioni all’interno dell’acciaieria e che sotto il profilo logistico è essenziale) mentre l’altra notte, a contratto scaduto e non rinnovato, la dirigenza Ilserv aveva dovuto annunciare ai sindacati e ai lavoratori che avevano assediato ed occupato la sede della Confindustria ternana, la messa in cassa integrazione di duecento operai.e senza contratto. Tuttavia, finora la vicenda dell’IIserv rimane in sospeso e non vi è chiarezza, come d’altronde sul resto.
È una grande partita a scacchi giocata da governo e azienda sopra la testa dei lavoratori. Rispetto a tutto questo, i sindacati hanno detto che se si rispetteranno i punti del nuovo piano i lavoratori faranno la loro parte. Ciò significa che le segreterie nazionali dei confederali saranno disposte a ragionare di esuberi ed integrativo. Oltretutto, la provocazione aziendale continua con il mancato pagamento dei salari mentre l’altro ieri il ministro aveva garantito lo sblocco degli accrediti.
È in questa fase che la risposta dei sindacati dovrebbe essere una sola: radicalizzazione del conflitto. E, invece, si assiste ancora oggi ad un silenzio minaccioso che lascia i lavoratori gonfi di rabbia davanti ai presidi. Perché si è scelta la strada del silenzio? Perché dopo il corteo massacrato dalla celere non si è deciso di occupare la fabbrica? Perché si continua con i blocchi, aspettando inermi l’incontro del 6? Si è forse giunti ad un accordo tra governo, azienda e sindacati in cui, ad una riscrittura parziale del piano avallata dall’azienda si è chiesto come contro partita la fine delle agitazioni – a parte scioperi e presidi che rimangono nell’alveo del concetto di democrazia- con conseguente spegnimento della miccia che può far divampare un Paese intero? Del resto, anche alla ThyssenKrupp e alla sig.ra Morselli sta a cuore la tenuta sociale di una città e di un intero paese.
Se fosse così, i confederali incapperebbero in due madornali errori: il primo, di pura naturale sindacale. Infatti, se ipoteticamente si sottoscrivesse un nuovo piano industriale come quello avanzato dalla Guidi, si commetterebbe lo stesso sbaglio della vertenza del magnetico. La ThyssenKrupp non rinuncerà alle quote che l’AST che può portare in dote al sistema produttivo tedesco e, ad acque calmate, ripresenterà il piano originario (chiusura dei forni) con la differenza che i lavoratori saranno già sfiancati dalla vertenza attuale e, sfiduciati, non parteciperanno a nessuna mobilitazione.
Il secondo errore sarebbe quello di aver volutamente dissipato un potenziale politico impressionante costruito l’altro ieri col sangue dei lavoratori e dei sindacalisti stessi; un potenziale, ripeto, fatto di scioperi spontanei, presidi alle Prefetture e cortei studenteschi. Se si vuole cambiare il Paese, è giunta l’ora di radicalizzare il conflitto. Se il sindacato, in particolar modo la FIOM-CGIL, pensa di ridurre tutto questo solo ad una sterile mediazione tra governo e parti sociali o, ancor peggio, tra due parti del PD, avrà perso un’occasione storica e soprattutto perderà di credibilità.
Landini e la FIOM tutta hanno, se vogliono, il sostegno dell’intera classe lavoratrice nazionale, della sinistra comunista e radicale, degli studenti e dei movimenti sociali. Ieri in conferenza stampa, il segretario nazionale della FIOM ha parlato della necessità di un intervento statale nella strategia industriale del paese, in risposta alla provocazione renziana circa un intervento pubblico per la TKAST. Bene: per i comunisti l’unica conseguenza a queste parole è una presa di posizione pubblica e netta del sindacato verso la ripubblicizzazione di tutto il comparto siderurgico italiano -Terni, Piombino, Taranto- e non solo siderurgico, per poter garantire investimenti sugli impianti, sulla sostenibilità ambientale delle produzioni, avviando così una nuova fase per l’industria manifatturiera italiana.
La strategicità delle produzioni si ha solo quando una fabbrica è pubblica. Si può fare, ce lo ricorda la Costituzione. In più, la Cassa Depositi e Prestiti possiede un tesoro, pubblico, di circa 316 miliardi di euro. I comunisti devono in questa fase attivarsi affinchè i lavoratori si rendano conto che solo la radicalizzazione del conflitto paga e che sarà determinante non solo per la buona riuscita delle vertenze sindacali, ma anche per la costruzione di un conflitto sociale allargato al Paese che può determinare il cambio di rotta di un governo eversivo ed espressione dei poteri forti

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