martedì 6 gennaio 2015

Crollo delle borse, una fase è finita di Claudio Conti, Contropiano.org


Crollo delle borse, una fase è finita

Tracolli borsistici delle dimensioni registrate ieri si verificano solo quando una fase è giunta al termine e se ne rendono conto anche operatori o analisti che fino al giorno prima giuravano che tutto andava per il meglio. Diamo subito i numeri per capire di cosa parliamo: Milano –4,92%, Parigi (-3,3), Francoforte (-3), Londra (-2%), New York -1,8 dopo una seduta costantemente sotto il 2.
Il primo responsabile di questo scatafascio è stato individuato nel prezzo del petrolio, precipitato sotto i 50 dollari al barile per la qualità Wti e meno di 55 per il Brent. La metà esatta di sei mesi fa. A far precipitare il prezzo è la guerra in corso da alcuni mesi con l'Arabia Saudita protagonista di una corsa al ribasso per far fuori diversi concorrenti. Primi tra tutti Russia, Iran e Venezuela, che dipendono dalle esportazioni di greggio quanto i sauditi, ma con popolazioni molto più grandi. Una corsa che, non paradossalmente, ha spinto tutti i paesi produttori ad aumentare al massimo possibile la produzione, per cercare di compensare con maggiori vendite i prezzi in calo. Scelta obbligata, ancorché suicida, sul medio periodo, perché in questo modo il prezzo precipita senza trovare mai un “pavimento”.
Fin qui, agli Stati Uniti, potrebbe anche andar bene, perché la crisi dei prezzi colpisce soprattutto i suoi nemici dichiarati. Ma a spaventare i mercati finanziari c'è l'esposizione paurosa sui “titoli spazzatura” emessi da quasi tutte le società impegnate nell'estrazione di shale oil o shale gas, soprattutto in Canada e Usa. Con prezzi del greggio – e degli altri prodotti energetici – così bassi quelle società finiscono rapidamente in passivo (si calcola che mediamente il “punto di pareggio” per la produzione shale oscilla tra i 60 e gli 80 dollari al barile, a seconda del tipo di giacimento sfruttato). E se non ci sono profitti – anzi... - è impensabile che possano essere onorati i prestiti più i generosi interessi promessi contrattualmente.
La dialettica è una brutta bestia. La caduta del prezzo è infatti anche conseguenza della crescente produzione di shale oil, quella che ha ridato momentaneamente agli Stati Uniti l'indipendenza energetica. Ma a prezzi bassi quella stessa produzione – peraltro distruttiva per territori di grandi dimensioni e altamente inquinante le falde acquifere – si ferma, rovinando anche quanti hanno investito allegramente nello sviluppo del settore. A riprova, i titoli energetici sono stati ieri i peggiori su tutti i mercati.

Ma ci ha messo del suo, e non poco, anche la perenne incertezza sull'indirizzo di politica economica e monetaria dell'Unione Europea, di fatto bloccata da mesi dalla resistenza tedesca a “immissioni di liquidità” da parte della Bce che contemplino anche acquisti di titoli di stato dei paesi “Piigs”. Addirittura, nei giorni scorsi, la cancelleria aveva fatto trapelare attraverso Der Spiegel che Merkel e Scaheuble consideravano ormai “non problematica” l'eventuale uscita di Atene dall'eurozona, se il 25 gennaio Tsipras dovesse ottenere una maggioranza e formare un governo. E dire che il programma di Syriza punta al massimo a “ricontrattare” i termini del debito greco...
La smentita ufficiale diramata ieri da un portavoce di Angela Merkel è così suonata troppo “obbligata” per essere anche convincente, inducendo gli operatori di borsa a vendere i titoli di stato considerati più rischiosi. E riecco aumentare lo spread, anche sui titoli italiani.
Aggiungiamoci, come tocco finale, il rialzo delle quotazioni del dollaro rispetto alle altre monete, conseguenza del sempre promesso “quantitative easing” europeo (che indebolisce l'euro già di suo, come perlatro nelle intenzioni della Bce e negli auspici delle imprese continentali) e del contemporaneo – possibile, cauto, niente affatto sicuro – rialzo dei tassi di interesse da parte statunitense. Dinamica derivante dal tentativo di mantenere con decisione la centralità del dollaro negli scambi internazionali e che, dialetticamente, accelera gli sforzi (Russia, Cina ed "emergenti" in genere) per sottrarsi ai condizionamenti della moneta Usa.
Un menu fin troppo ricco per chi va in cerca di guadagni finanziari elevati, contando sulle “turbolenze”. Come da manuale, stamattina gli stessi titoli guidano il "tentativo di rimbalzo"...

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