sabato 1 dicembre 2012

La deriva moderata di Sel e il profumo di Bersani di Checchino Antonini


«C'è un servizio pubblico che non va più toccato - scrive Bersani ai medici della sanità pubblica - non si può procedere sulla strada dei tagli, la via è quella di una seria riorganizzazione». Che cosa vuol dire in concreto “riorganizzazione", rilancio o piuttosto ristrutturazione? Eppure si potrebbe scegliere un vocabolo più dettagliato in una lettera agli addetti ai lavori. Qualcuno ha captato frasi di Bersani sul welfare e sul reddito di cittadinanza più profonde di quel «bisognerebbe fare qualcosina di più» che gli è scappato nel confronto con Renzi.
Ma è dentro frasi anche più ambigue di queste che Nichi Vendola riesce a sentire “profumo di sinistra" nei propositi del segretario di una delle forze che ha voluto e sostenuto il montismo. E che ha inchiodato il governatore pugliese a correre per le primarie in uno scenario del tutto diverso da quello che, solo un anno fa, lo vedeva come papabile papa straniero alla guida del nuovo che avanzava. E che lo ha inchiodato a correrle firmando una carta d'intenti che nessuno spazio lasciava all'immaginazione che, in fondo, già sarebbe una forma della politica. I programmi, in queste primarie, sono stati soppressi dalla evocazione di categorie scivolose come il “nuovo” e il “vecchio”, il “rinnovamento” e la “conservazione”. E il “profumo di sinistra", sottoprodotto delle fabbriche di Nichi ormai in via di chiusura o delocalizzazione, fa parte della miseria linguistica e politica di una coalizione di centrosinistra che ha sposato l’agenda Monti. I risultati delle primarie sono modesti sia in termini di partecipazione sia nei consensi al leader ormai solo di Sel. Lo ha detto a caldo Alfonso Gianni, dall'interno del partito, con onestà intellettuale e con la speranza che il processo del quarto polo attragga un settore che sembrava comunque più dinamico a sinistra, almeno nella “narrazione" che forniva di sé o per la buona stampa di cui ha goduto. Sono così modesti che perfino la notista politica (di un noto quotidiano di sinistra che non riesce a nascondere l'entusiasmo per il leader pugliese) deve ammettere che quei numeri non sono esaltanti.
Ma Vendola e il suo cerchio magico, i dirigenti che lo hanno seguito nello strappo con il Prc, tentano la carta del ballottaggio e si cuciono il ruolo di ago della bilancia. Voteranno per Bersani «socialista europeo», come gli ultimi presidenti del Fmi. Voteranno Bersani che, se il ballottaggio fosse stato tra Vendola e Renzi avrebbe fatto la fila ai gazebo per votare il sindaco di Firenze. Bersani potrà contare su Vendola, forse, se vorrà dare corso a un montismo senza Monti a Palazzo Chigi, ossia se vorrà guidare lui stesso il governo che uscirà dalle politiche di marzo. Ma dal montismo non ci si schioda. E Sel lo sa. Il patto di governo, ha detto Nichi, «si basa anche sul nostro rapporto personale di stima e fiducia». In fondo al tunnel ci sono solo le trattative per la pattuglia di parlamentari da far eleggere e il profumo delle poltrone da negoziare e probabilmente, Occhetto ad esempio non ne fa mistero, la confluenza di Sel in un Pd magari senza Fioroni e fioronisti. Ma un Pd che comunque vada domenica esce dalle primarie molto cambiato e quel 40% di Renzi sta lì da monumento ad una mutazione genetica compiuta da tempo. Dentro Sel si acclara la sconfitta della battaglia per l'egemonia nel centrosinistra e si insegue la costruzione di una forza di governo che si ponga nella geografia europea «tra Hollande e Syriza», più o meno come i loro cugini greci che sono stati determinanti nella genesi del governo che sta applicando le ricette della Bce. Orizzonte angusto e che però potrebbe sprigionare energie tra chi era approdato in Sel per non morire nel Pd, tra chi aveva creduto davvero alla poesia del vate di Terlizzi. Quanti sono a pensare che «non erano le "nostre" primarie, che buttarsi nelle braccia del Pd ci avrebbe equiparato a chi riduce la sfida destra-sinistra a una competizione tra chi esegue con più efficienza gli ordini ricevuti da Bruxelles, come se non fosse possibile proporre un'alternativa»?. Chi l'ha scritto, Monica Pasquino, è sicura che «tanti compagni sono andati via, altri lo faranno nei prossimi mesi. A loro e a chi era rimasto nonostante i tanti dubbi, la dirigenza di Sel ha risposto che la strategia politica che voleva costruire un polo delle forze che oggi sono all'opposizione del Governo Monti, era perdente. Ci è stato ripetuto che non ci rendevamo conto che queste primarie Vendola poteva vincerle... L'argomentazione cambiamento versus testimonianza che la dirigenza di Sel ha usato contro i cosiddetti non allineati interni è stata abbattuta dal voto alle primarie, oltre che aver dimostrato un considerevole livello di intolleranza e scarsa propensione al confronto democratico interno».
Dentro Sel mastica amaro Fulvia Bandoli, uno dei nomi più conosciuti del dissenso interno, che implora il partito di rafforzare i suoi legami sociali e sul sito si legge una riga di attivisti che preferiranno andare al mare, nonostante il tempo infame, anziché al ballottaggio. Una parte di loro potrebbe votare Renzi per amore di rottamazione, componente non secondaria nel dna della sigla nata dalla diaspora di Viale del Policlinico. Una parte di loro misura l'angustia delle esperienze di governi locali, quella della stessa Puglia, ad esempio, o dell'arancione genovese Doria convertitosi alle grandi opere, quella dell'assessora Frascarelli di Bologna, prodiana della Caritas eletta con Sel: «Sono passati 18 mesi e la poltrona dell’assessore al welfare sembra vuota, nessuna scelta che vada in controtendenza con la macelleria sociale agita dal governo. Noi operatori ci sentiamo muti, la prevenzione ridotta al lumicino, gli interventi di accesso a bassa soglia e rivolti a chi è in gravi condizioni di indigenza (come i dormitori pubblici) ridimensionati notevolmente», scrive un addetto ai lavori del sociale di stretta osservanza vendoliana.

Nessun commento: