venerdì 5 aprile 2013

“Se non si cambia strada la fine dell’Euro è segnata”. Intervista a Vladimiro Giacchè



“Se non si cambia strada la fine dell’Euro è segnata”


Intervista a Vladimiro Giacché di Fabio Sebastiani -
 
Le parole di Draghi e della Bce non sono per niente rassicuranti. Tra l’altro, il sistema creditizio rimane come incagliato dentro la sua stessa trama. E la Bce non sembra darsi molta pena.
Continua a prodursi una divaricazione nei diversi paesi dell’Unione, con diversi trend negativi, tra cui il nostro. Tutto sommato, la situazione nel 2013 è del tutto simile a quella del 2012 per quanto riguarda la recessione. In una situazione come questa è normale che le banche restringano il credito. Sofferenze e tassi di copertura sono a livelli di guardia. Viceversa, con paesi con Pil positivi gli istituti bancari sono messi peggio. E quindi se ne deduce che la differenza la fa il livello dei titoli di Stato.
Le banche italiane però ora cominciano a soffrire proprio per la recessione e non solo per il differenziale tra i tassi legati al debito tra l’Italia e gli altri paesi…
Si certo, i problemi delle banche italiane derivano dalla recessione degli ultimi anni. Il punto è che questi fattori vanno visti nel loro rapporto. La divaricazione tra i vari paesi è causata dalla recessione, e aggravata dall’austerity.
Dalle tue parole capisco che a fare la differenza in questa crisi è stata la scelta della Germania di esportare la crisi verso i paesi più deboli…
Guarda, all’origine della crisi in Europa c’è sicuramente l’arrocco della Germania. Molti dimenticano che all’esplodere della crisi negli Usa è corrisposto il fallimento di una banca tedesca, finita anch’essa nelle maglie dei derivati, che aveva acquistato in grande quantità. Come negli anni ’30 tra Usa e Germania, si produce subito una precisa posizione della Germania nei confronti della Grecia. I tedeschi per non rischiare fanno rientrare centinaia di miliardi peggiorando di fatto la situazione dei paesi periferici. Ad un certo punto la situazione precipita per le troppe esitazioni dell’Europa.
Torniamo per un attimo al discorso sulla divaricazione tra i vari paesi…
Le condizioni macroeconomiche si stanno divaricando per tutti, e questo per una Europa che dice di essere unita sotto una stessa moneta è esiziale. Anche l’Olanda rischia la recessione. Nel frattempo però c’è stata una massiccia distruzione della capacità produttiva dei paesi periferici. La torta si restringe e la lotta non è più soltanto tra capitale e lavoro ma tra capitali. Certo, l’Italia ha ancora qualche cartuccia da sparare, soprattutto per quanto riguarda l’export. Ma anche qui c’è da dire che se aumenta è perché diminuisce l’import. La verità è che il crollo lo stanno subendo quei settori che producono per il mercato interno. Nel rapporto tra economie forti in Europa e paesi periferici si sta replicando quello che è accaduto tra la Germania dell’Ovest e quella dell’Est dopo la caduta del muro, ovvero un indebolimento straordinario che di fatto rende il paese più debole economicamente dipendente.
Draghi ha sorvolato sul piano B. Eppure è sempre più all’ordine del giorno.
Quello che sta succedendo da dopo le elezioni è la dimostrazione che il miglior programma era quello di Rivoluzione civile: lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, non rispetto del fiscal compact e rinegoziazione delle condizioni. Soprattutto su questo ultimo punto, se non si riesce ad andare avanti è chiaro che la fine dell’euro è prossima. E non per una scelta di questo o quel partito politico ma per una tendenza oggettiva. Per dirla in breve, diciassette paesi con economie divergenti non stanno nella stessa moneta.
A quale soluzione si potrebbe pensare?
E’ molto tardi per rimettere insieme i cocci. L’euro potrebbe ritrovare una sua strada attraverso il deprezzanto, ma il punto è che i tedeschi non ci pensano proprio. Bisogna che qualcuno cominci a svegliarsi. E un po’ l’hanno fatto i sindacati tedeschi che parlano di un nuovo piano Marshall. Resta da vedere quanto questo conterà nelle elezioni in Germania il prossimo settembre.
Valutata da punto di vista delle ricette per uscire dalla crisi, quanto è inadeguata la nostra classe politica?
Abbiamo per la prima volta un Parlamento che ha una totale identità di vedute senza più distinzioni apprezzabili. Guarda quello che è accaduto sull’articolo 18. E’ chiaro che stanno sbagliando le priorità. Ritenere che il problema sia la cosiddetta casta politica e non la costruzione di un orizzonte per le imprese del Paese non sta né in cielo né in terra. C’è da dire che stanno indietro perfino rispetto a Confindustria che comincia a ricredersi rispetto all’austerity. In questo va detto che anche il sindacato ha sbagliato completamente la mira. Basta con questo collateralismo che di fatto ha portato alla paralisi del ruolo dei lavoratori.

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