mercoledì 6 marzo 2013

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Nota dell’Esecutivo di Sinistra Critica

rivoluzione possibileIl coordinamento nazionale di Sinistra Critica si è riunito a Roma il 2 e 3 marzo per un’analisi del voto e della situazione politica. Da questo punto di vista sono stati prodotti due contributi analitici (a firma uno di Piero Maestri e l’altro di Francesco Locantore, Andrea Martini, Nando Simeone e Franco Turigliatto) che costituiscono l’allegato di questa nota.
Il Coordinamento si è soffermato, in particolare, sulla situazione interna a Sinistra Critica così come scaturita dall’ultima Conferenza nazionale dove, due diverse posizioni si sono fronteggiate e alla fine sostanzialmente eguagliate. Il lavoro degli ultimi sei mesi non ha prodotto significativi passi avanti nella convergenza tra quelle impostazioni che affrontano diversamente nodi analitici e teorici rilevanti e soprattutto si danno progetti di lavoro politico e strumenti di intervento differenti.
Il coordinamento ha deciso di affrontare con chiarezza questa situazione puntando a costruire una situazione nuova di Sinistra Critica in cui evitare di ripercorrere vecchi vizi e divisioni della sinistra di classe ma, allo stesso tempo, rispettando l’impegno di tanti e tante militanti che merita uno sforzo di trasparenza. In questo senso il coordinamento è giunto a una decisione unanime (con un astenuto) sulla necessità, opportunità e, si spera, utilità, di uno schema organizzativo nuovo. I-le militanti di Sc, infatti, decidono di dotarsi di in un quadro unitario fondato, sostanzialmente, sulla comune adesione al dibattito, al patrimonio e al progetto politico della corrente Quarta internazionale così come si è andata evolvendo nel tempo e come oggi si presenta nelle sue articolazioni internazionali: dal progetto del Nuovo partito anticapitalista francese, al dibattito latinoamericano fino alle nuove esperienze asiatiche. Un riferimento non dogmatico ma politico, culturale e “in progress”.
Da questa comune appartenenza discenderanno, nella prossima fase, due progetti politici in solidarietà tra loro ma distinti. Le forme e la natura dei progetti andranno meglio precisati ma, in larga parte, saranno il frutto degli orientamenti proposti all’ultima conferenza nazionale dai due documenti allora presentati (il documento nazionale e gli ampi emendamenti presentati). A livello locale, Sinistra Critica continuerà, in questa fase, a operare sulla base dei deliberati dei circoli. Il coordinamento si impegna, in uno spirito fraterno e di solidarietà, a gestire in comune le (poche) risorse finanziarie esistenti e il patrimonio di sedi, e a programmare appuntamenti di dibattito comune tra i due progetti. Il sito nazionale pubblicherà come posizione comune di Sinistra Critica i testi e le posizioni condivise e pubblicherà tutti gli altri interventi di analisi e di proposte con la firma della/e autrici o degli autori. Nel prossimo periodo dovremo meglio definire quale sia la nostra “casa comune” che mantiene questi rapporti solidali e allo stesso tempo il libero dispiegamento dei progetti.
Quello che avviamo è un percorso difficile, in parte obbligato e certamente inedito. Ci muove la volontà di non acuire, in maniera irreversibile, le divergenze che nel tempo abbiamo accumulato ma anche di non nasconderle, né a noi né ai nostri interlocutori. Le vicende della lotta di classe in Italia sono oggi particolarmente complesse e articolate e diversi i modi di affrontarle. Anche dotarsi di una modalità innovativa rappresenta un contributo al processo, complesso ma necessario, di una forte e nuova sinistra anticapitalista nel nostro Paese.
L’Esecutivo nazionale di Sinistra Critica

Costruire una nuova sinistra, anticapitalista 

Note post-elettorali

di Piero Maestri
anticapitalistaLe elezioni politiche del 23/24 febbraio rappresentano un vero e proprio terremoto del quadro politico e istituzionale, come probabilmente non è mai avvenuto, nemmeno dopo «tangentopoli» e la ricollocazione dei tradizionali partiti (democristiani, socialisti, comunisti).
Tre sono i dati incontrovertibili di queste elezioni:
a. la sconfitta dei partiti «di governo» e dell’austerità (definiamo partiti «di governo» quelli che hanno governato nell’ultimo anno e mezzo e si ritengono «indispensabili» per la stabilità in quanto portatori dell’interesse «generale»);
b. il successo oltre le aspettative del Movimento 5 stelle;
c. il fallimento elettorale della cosiddetta sinistra «radicale».
  • Un primo dato da sottolineare è però quello della partecipazione al voto.  Ancora una volta aumenta l’astensione: domenica scorsa non hanno partecipato al voto, o hanno votato scheda bianca o annullato il voto oltre il 28% dell’elettorato, circa 12.900.000 persone (erano 10 milioni e mezzo nel 2008). E’ vero che rispetto ad altri paesi europei o agli Usa è ancora alto il numero dei partecipanti al voto, ma la tendenza all’astensione aumenta, persino in elezioni considerate (cosa poi vorrà dire?) «costituenti» e nelle quali l’offerta era un po’ più ampia del bipolarismo ormai definitivamente uscito di scena – a meno di considerare un nuovo bipolarismo tra partiti “del sistema” politico e partiti contro/fuori dallo stesso «sistema» (almeno percepiti o che si autorappresentano come esterni al sistema).
  • Guardare i numeri assoluti del voto è sempre il modo migliore per capire quale sia stato il grado di adesione alle liste elettorali e le tendenze nel tempo. E questi dati sono impietosi (prendiamo per questo l’analisi dell’Istituto Cattaneo di Bologna): il dato nazionale indica che Partito democratico (Pd) e Popolo della libertà (Pdl) hanno perso rispettivamente il 30% e circa la metà dell’elettorato che li aveva scelti nel 2008. Il Pd nel 2013 ha perso 3.435.958 voti rispetto alle precedenti elezioni politiche, pari a una contrazione del 28% (-28,4%); il Pdl ha subito una riduzione dei consensi tra il 2008 e il 2013 pari a quasi il 50% (-46%, – 6.296.744 voti); la Lega Nord ha perso oltre la metà dei consensi raccolti nel 2008 (-54%, -1.631.982 voti). Per quanto riguarda la nuova aggregazione di Centro, guidata da Mario Monti, ottiene poco più di 3,5 milioni di voti rispetto ai 2 milioni di cui beneficiava Casini nel 2008 dando per quasi nullo il contributo elettorale del «bluff» rappresentato da Futuro e Libertà di Fini. Un risultato al di sotto delle aspettative sul piano politico ma che fa crescere in dimensioni il “centro” modificandone la natura. La crescita, infatti, è maggiore in Trentino, Lombardia e Liguria mentre non è forte al Sud. Al di là del dato numerico, sono le strategie di questi partiti a essere uscite stravolte e sconfitte da queste elezioni.
a. senza alcun paradosso, è prima di tutto la strategia del PD di Bersani a collezionare la peggiore sconfitta. Dato per sicuro vincitore due mesi fa, ha perso durante la campagna elettorale buona parte delle simpatie inizialmente dichiarate. Ma in realtà la sua sconfitta è iniziata nel momento in cui ha rinunciato alle elezioni dopo la caduta di Berlusconi, grazie alle scelte del presidente Napolitano (uno dei principali artefici del disastro dei partiti «di governo») e nei mesi di applicazione del verbo di Ue e Bce, del quale verbo è stato uno dei principali interpreti (ricordiamo che ancora in campagna elettorale ex-ministri come Damiano escludevano qualsiasi intervento di ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, coerentemente con il loro comportamento parlamentare). Il PD ha pensato di aumentare la sua «credibilità» istituzionale gestendo la transizione attraverso il «tecnico» Monti voluto dall’Europa, per essere poi impallinato dallo stesso Monti e dimenticando che alla fine a mettere la scheda nell’urna non la mettono i banchieri della Bce, ma cittadine e cittadini che subiscono quelle politiche. Dopo l’esperienza del governo dell’austerità presentarsi come alternativi e difensori dei diritti e dei bisogni dei lavoratori non poteva seriamente funzionare (nemmeno con la compagnia di Vendola – che raccoglie uno scarso 3,2% (certamente più basso delle aspettative) , che non servirà in alcun modo a condizionare le scelte del PD, vista la quasi inesistenza al Senato, dove ha ottenuto 3 seggi). Oltretutto Sel crolla proprio nella Puglia dove Vendola è da un bel pezzo «governatore” – perdndo il confronto con la destra e con una forte affermazione regionale del M5S. E non sono credibili nemmeno i cosiddetti “giovani turchi” come Orlando che oggi si schierano assolutamente contro il governassimo e vorrebbero “inchiodare alle sue responsabilità” Grillo e il M5S (continuando a insultarli, tra l’altro), per un programma di alternativa all’austerità.
b. il Pdl riesce, grazie alla sovraesposizione televisiva e mediatica di un redivivo Berlusconi, a recuperare i disastrosi sondaggi di due mesi fa, riuscendo a far dimenticare (o perlomeno a farsi perdonare) le sue corresponsabilità nel governo Monti e nelle sue politiche. Questo suo successo personale non riesce comunque a tamponare la perdita di oltre 6 milioni di voti, a cui deve aggiungersi la crisi della Lega che prosegue (anche se Maroni riesce a essere eletto come presidente della regione in Lombardia, frenando l’erosione di voti nelle provincie, mentre continua soprattutto nelle aree urbane) e la scomparsa dei vecchi alleati di An, che fanno una pessima figura con la lista di Fratelli d’Italia che raccoglie meno del 2% e elegge un paio di deputati. Berlusconi riesce nel suo intento di bloccare e rendere ingovernabile il Senato, negando una maggioranza non solo al Pd, ma anche ad una possibile alleanza Pd- Monti, riuscendo in questo modo a rientrare nei giochi politici per la formazione del governo possibile.
c. il «centro» di Monti non raggiunge i risultati sperati, anche se la sua coalizione va oltre il 10%, contribuendo ad affossare qualsiasi ipotesi bipolarista e riuscendo comunque a costringere il Pd a tener conto della sua forza parlamentare – malgrado aver ridotto ai minimi termini l’Udc di Casini e la scomparsa delle velleità politiche di Gianfranco Fini (che non sarà più nemmeno parlamentare).
Non sarà ovviamente possibile un secondo governo con a capo Mario Monti, ma questa coalizione avrà certamente un ruolo di governo – anche grazie al sostegno di Bce e Ue.
Nell’insieme questi partiti raccolgono una sconfitta epocale e si trovano in mano la patata bollente di un quadro istituzionale questa volta davvero ingovernabile.
Non ha senso fare previsioni sua quale possa essere il prossimo governo e con quale maggioranza parlamentare, ma ci pare improbabile che questi partiti si consegnino in pochi mesi a nuove elezioni che potrebbero riservare loro una sorte ancora peggiore di quella attuale.
Malgrado le smentite e le dichiarazioni di questi giorni, che ci paiono dettate più da tattica e attendismo, sembra probabile una qualche forma di governo di larghe intese, che «salvi l’Italia dall’abisso della Grecia» e che tuteli i vincoli imposti da Fmi e Bce, proseguendo in questo modo le politiche di austerità di questi anni (con buona pace di Sel, che potrà anche non aderire a questa prospettiva senza conseguenze per la stessa).
Una scelta quasi obbligata, non essendo credibile una maggioranza stabile con il Movimento 5 stelle, che dovrebbe essere indisponibile a una partecipazione organica alla maggioranza (e non essendo probabili maggioranze «tecniche» o voti di fiducia tecnici, che si dissolverebbero alla prima legge finanziaria…).
Ma anche un possibile governo di larghe intese avrà vita difficile e comporterà nuovi prezzi per i partiti che vi parteciperanno.
  • Indubbiamente l’unica forza che può legittimamente gridare vittoria è il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, il non partito che ha portato nelle piazze centinaia di migliaia di persone ai comizi del suo leader. Centinaia di pagine sono state scritte in questi giorni, e tutti sono ormai esperti della sociologia del movimento. Noi per il momento non ce la sentiamo di dare un giudizio definitivo, se non per ribadire le critiche già espresse prima delle elezioni e che ci hanno convinto dell’impossibilità di un sostegno politico al M5S – e non solo perché non siamo abituati a salire sul carro del vincitore. Certamente non ci convincono quelle analisi che dipingono il movimento di Grillo come l’anticamera di un nuovo fascismo, al di là di molte dichiarazioni davvero ignobili del loro leader. Il M5S è un movimento complesso, che raccoglie una protesta diffusa e altrettanto complessa – in fondo è lì che si è espressa quella radicalizzazione che in altri paesi dell’Europa ha invece portato nelle piazze centinaia di migliaia di “indignate/i”.
In questo senso alcuni dati ci sembrano interessanti.
In primo luogo una gran parte dell’elettorato di Grillo si considera decisamente di sinistra, sia come provenienza e persino nell’immediato: sono infatti molti gli elettori del M5S alla Camera che alle regionali nel Lazio e in Lombardia votano per i candidati del centrosinistra. Anche i dati sui flussi di provenienza di Swg, Istituto Cattaneo e Mannheimer arrivano alle stesse conclusioni.
E oggi la discussione sul blog di Grillo riguardo un possibile appoggio alla formazione del governo rivela la loro distanza soprattutto da un ritorno di Berlusconi.
In secondo luogo tra gli elettori della sola Camera, cioè i giovani tra i 18 e 25 anni, il M5S raccoglie quasi il 40% dei consensi, contro il 7% del PD, il 6,1% di Ingroia e il 5% di Sel (non è un calcolo scientifico, naturalmente, ma basato sulla differenza di voti tra Camera e senato, che non possono essere considerati dai effettivi, ma una tendenza reale).
Ancora, il M5S ha risultati notevoli in alcuni luoghi chiave del conflitto sociale e ambientale, o comunque in zone significative: lo mostrano ad esempio i dati della Val di Susa, dove il M5S raccoglie oltre il 60% dei voti, ma anche a Mirafiori e altri quartieri operai torinesi, con un risultato pari a quello del Pd; e ancora Taranto, il Sulcis e così via.
Non si può quindi guardare al M5S con sufficienza e con un giudizio sprezzante nei confronti dei suo attivisti (i parlamentai saranno forse sprovveduti, ma non saranno certo peggiori dei soliti noti che avevano un posto garantito per censo o legami di casta…) e nemmeno sottovalutarne la presa in settori sociali differenti, tra i quali anche lavoratori, non solo precari e giovani.
Certamente hanno ragione i Wu Ming (http://www.facebook.com/notes/collettivo-redshift/il-movimento-5-stelle-ha-difeso-il-sistema-di-wu-ming/495666663830657), quando sostengono che Grillo ha raccolto e «risucchiato» quello che in altri paesi si è espresso nelle piazze. E d’altra parte anche chi ha partecipato a diversi movimenti alla fine ha scelto di votare Grillo, in mancanza di alternative per lui credibili (interessante in questo senso anche l’articolo di «connessioniprecarie» (http://www.connessioniprecarie.org/2013/02/24/matrix-e-il-grillo-della-rappresentanza/).
Ma per noi naturalmente il problema non è tanto analizzare il M5S per questo, quanto capire perché non siamo stati in grado noi e la sinistra anticapitalista e/o radicale di intercettare questa protesta e perché la stessa non ha sfondato i limiti del sistema, come hanno almeno provato a fare a Tunisi, Madrid, New York…
Grillo formula un discorso, una «narrazione» (come piacerebbe a Vendola), su differenti livelli, nei quali elementi propri della sinistra si mescolano a un linguaggio populista sapendo che questo non è per forza di destra: ha infatti richiami al comunitarismo politico, all’ecologismo radicale riferibile alle teorie della decrescita, e mescola cose diverse.
Nel suo elettorato, tra i suoi attivisti e, ora, tra i suoi parlamentari ci sono forze che hanno una provenienza di sinistra e che possono essere sensibili a certi richiami. Non è detto che la cosa continuerà dipende da chi si organizzerà a sinistra e come.
È del tutto evidente che una mancanza di «analisi di classe» (come scriveva Marco Rovelli in un interessante post su FB) è alla base dei maggiori limiti del M5S, ma questo non oscura il fatto che molti attivisti del M5S sono presenti in diverse lotte sociali e ambientali e che il M5S ha avuto la fiducia di molti attivisti di movimenti sociali (si legga a proposito “Grillo e i movimenti: continuità rimosse e preoccupanti contiguità” – http://ilcorsaro.info/in-piazza/grillo-e-i-movimenti-continuita-rimosse-e-preoccupanti-contiguita.html).
Da questo punto di vista è pesante il nostro giudizio riguardo le uscite contro i sindacati (che non sembravano solo una critica all’esistente e alla loro burocratizzazione, ma un preciso fastidio per le soggettività organizzate dei lavoratori), i dipendenti pubblici, i pensionati e contro i giovani, gli immigrati. Sono quindi per noi assolutamente da combattere le proposte di un “reddito minimo” finanziato con tagli alle pensioni e ai dipendenti pubblici, come fossero questi i responsabili della crisi e non banchieri, capitalisti e dirigenti politici a loro asserviti.
Altrettanto fuorviante e pericolosa la sua idea che i lavoratori debbano diventare azionisti delle loro imprese e che per questa via si annullerebbe secondo lui la funzione dei sindacati, perché non ci sarebbe più conflitto di classe. In questo modo annulla la centralità del conflitto di classe, e l’impossibilità di eliminare le differenze tra sfruttati e sfruttatori senza porsi il problema della proprietà privata dei mezzi di produzione.
Grillo, dal nostro punto di vista, è “moderato”, non solamente perché non ha un’analisi di classe e anticapitalista, ma soprattutto non propone uno strumento di autorganizzazione delle lotte e di partecipazione democratica. I suoi parlamentari “vanno” alla manifestazione No Tav ma “non sono” il movimento No Tav. “Andranno” alle mobilitazioni studentesche ma “non sono” il movimento degli studenti.
Noi invece vogliamo di “essere” dentro quei movimenti, e altri ancora e lavorare per la loro crescita soggettiva.
Sarà comunque necessario capire meglio la natura del M5S e mettere in campo una proposta che provi a raccogliere in una forma e in uno spazi differente quella proposta, almeno sul piano sociale, prima che politico.
Cosa farà ora il M5S? La sua «tentazione» siciliana – che pare sostenuta da Pizzarotti e altri nel movimento – è forte ma poco praticabile. Si faranno ingabbiare in un governo tecnico? in maggioranze variabili? In questo modo rischierebbero di buttare via la loro «alterità» e quindi di essere percepiti – magari non nel brevissimo periodo – come un partito come gli altri.
Anche per loro è arrivato uindi il momento di decidere cosa fare sul piano istituzionale, e il rischi di perdere dei pezzi non è assente. Il dibattito che si è aperto sul blog beppegrillo.it in merito alle dichiarazioni di Grillo di totale chiusura a qualsiasi accordo con Bersani è rivelatore di quella complessità di cui dicevamo e di una presenza nel movimento di critiche e articolazioni riguardo il pensiero del loro leader per dare un’idea degli oltre 15.000 commenti all’articolo di Grillo, c’è chi sostiene “riflettiamo bene prima di dire no, siamo arrivati fino al parlamento, ora dobbiamo fare in modo che i nostri voti possano davvero contare qualcosa” e chi invece insiste “niente INCIUCCI o accettano il nostro programma altrimenti a CASA Punto”.
  • anche la sinistra già radicale esce definitivamente sconfitta da queste elezioni (e non solo quella che si è presentata, che trascina in qualche modo con sé tutta l’area d alternativa al centrosinistra). I dati assoluti sono peggiori di quanto dipinga l’Istituto Cattaneo, che ritiene che «per quanto riguarda l’area politica di Sinistra radicale (nel 2008 Sinistra Arcobaleno, Pcl, Sinistra critica, Alternativa Comunista, nel 2013 Rivoluzione civile, Sel e Pcl), è possibile rilevare una crescita, sebbene contenuta… di 400.000 votanti, pari a circa il 30% in più».
In realtà non è vero che la somma dei voti di Sel e Rivoluzione Civile sia superiore a quella presa nel 2008 da SC+Pcl+Arcobaleno, per due ordini di motivi: prima di tutto in Rc è presente anche Di Pietro, che nel 2008 prese circa 1,5milioni di voti, il che porterebbe ad un saldo negativo di oltre un milione di voti; in secondo luogo non si possono sommare oggi i voti di Sel e Rc, in quanto la prima ha scelto una collocazione non di sinistra radicale ma di centrosinistra, così come non sono sommabili i voti nel 2008 di Arcobaleno e Sc/Pcl, essendo i secondi direttamente alternativi ai primi per la spaccatura nel giudizio sul governo Prodi….
In ogni caso fallisce la strategia elettorale di Rc/Ingroia e dei 4 partiti che erano saliti su quel taxi (come lo definisce Guido Viale).
Sulla lista di Ingroia abbiamo già detto molto al momento della sua formazione, che non ci aveva convinto per diversi motivi, motivi in base ai quali avevamo deciso di non sostenerla elettoralmente e politicamente.
La campagna elettorale ha dimostrato questi limiti e anche di peggio. Da una parte le liste erano state formate in maniera burocratica e senza alcun rispetto nemmeno per le scelte di base degli stessi soggetti che partecipavano al progetto, per favorire segretari di partito e una «società civile» triste e con pochi legami con movimenti e lotte sociali (a parte alcune lodevoli eccezioni).
Dall’altra parte la campagna elettorale è stata tutta subalterna al Pd e allo stesso tempo schizofrenica: si criticava il Pd e le sue scelte e si chiedeva allo stesso Pd di aprire ad una collaborazione (anche di governo) con Rc. In questo modo Rc non è stata percepita come forza davvero alternativa al Pd e quindi al sistema politico dato – come è stato invece per il M5S.
Intendiamoci: niente può dimostrare che una maggiore sottolineatura del carattere alternativo al Pd e al centrosinistra avrebbe immediatamente pagato elettoralmente, ma avrebbe certamente reso più chiari i contorni politici e programmatici del progetto, e avrebbe almeno tentato una strada più innovativa anche nelle forme dell’aggregazione.
Allo stesso modo non si può sostenere che il progetto iniziale di Cambiare si può avrebbe avuto un maggiore successo sul piano elettorale – anche perché è difficile far passare un simbolo e una lista preparati in pochi mesi. Ma Csp avrebbe potuto essere più di un progetto semplicemente elettorale e avrebbe potuto costituire un percorso di costruzione dal basso di una proposta alternativa nei programmi e nelle modalità di lavoro al Pd e alle vecchie pratiche delle sinistre radicali e dei partiti che vorrebbero rappresentarle.
Rc non avrà, e speriamo davvero che sia così, alcuna prospettiva oltre le elezioni – sperando che non si presenti qualche altro «salvatore della patria» a voler risolvere i problemi della sinistra.
  • e allora? e ora?
Ci sembra evidente che il terreno elettorale non rappresenti quello dove possa avvenire una ri-costruzione della sinistra radicale, e che lo stesso terreno possa essere utile solamente se si sceglie un altro progetto, utilizzando le elezioni stesse come strumento per incontrare altre esperienze, costruire collettivi intorno a quel progetto, tessere le fila di una rete che non ha come obiettivo principale il risultato elettorale, quanto una prospettiva «oltre le elezioni». Sapendo che anche in questo caso la dinamica elettorale potrebbe condizionare il progetto stesso e un risultato negativo renderlo meno dinamico e aggregante.
Naturalmente è per noi evidente che Rc non è stata in alcun modo all’altezza della necessità di questo progetto, sia perché alcuni dei protagonisti di quella lista non sono una soluzione ai problemi della sinistra, quanto una parte (non secondaria) del problema, sia perché la campagna elettorale è stata condotta tutta in una logica di visibilità mediatica (necessaria se si ritiene l’elezione come un fine) e tutta giocata nel «teatrino della politica», quel teatrino che oltre la metà dell’elettorato giudica negativo e da rigettare.
Noi rimaniamo convinti che un nuovo sistema lo possono costruire solo direttamente i movimenti, che le istituzioni possono essere uno strumento, ma la rottura (una rivoluzione) deve essere sociale, puntare sull’autorganizzazione dei soggetti e la loro capacità di costruire una nuova società.
Il limite di Grillo è che ne fa la rappresentanza in modo delegato, allude alla democrazia diretta ma salta completamente l’autorganizzazione. Infatti è democrazia diretta solo via internet…dove autorganizzarsi è un po’ difficile…
Le elezioni ci convincono, senza alcuna superbia, della giustezza di aver avviato una riflessione che partiva dalla consapevolezza della fine del movimento operaio come lo abbiamo conosciuto nel novecento e – soprattutto – della quasi totale inservibilità dei riti e degli strumenti politici che quella storia ci consegna (partiti e, in gran parte, organizzazioni sindacali burocratiche), che i simboli e le tradizioni non aiutano più a parlare e ricomporre socialmente e politicamente una classe frammentata ma non per questo meno colpita dallo sfruttamento e dall’alienazione, anzi, e che non basta più pensare ad una generica «unità delle opposizioni» per risalire la china.
Allo stesso tempo va compreso che queste elezioni hanno espresso un rifiuto e dissenso di massa delle politiche degli ultimi vent’anni e nei confronti del sistema di una portata senza precedenti (oltre la metà dell’elettorato non vota oppure vota per il M5S percepito come esterno al «sistema»).
Questo dato potrebbe aprire spazi enormi per i movimenti, che dovrebbero cercare di «appropriarsi» della rottura che si è creata provando a portarla sul terreno sociale, giocando sull’instabilità del sistema politico e delle forze politiche che lo hanno sostenuto, e sfidando Grillo sul terreno dell’autorganizzazione. Ridefinendo per questa via le “giuste fratture”: quelle di classe. Ma per farlo devono cambiate le modalità e le forme che movimenti e soggettività politiche radicali hanno avuto fin qui.
Da questo punto di vista ci interessa davvero poco «lavorare sulle contraddizioni» di ciò che rimane delle soggettività politiche della sinistra già «radicale»: per essere chiari, è giusto dire che «siamo in una situazione greca con Grillo al posto di Syriza» ma questo non significa che sarebbe stato possibile o utile avere una Siryza italiana, magari intorno al Prc, e tantomeno che sia auspicabile un simile progetto, che in Italia dovrebbe appoggiarsi su soggetti che non hanno nulla da offrire nella prospettiva di un’alternativa politica.
Quello che ci interessa è invece incontrare, fomentare, sviluppare, dare spazio alle forme di politicizzazione che sviluppino conflitto in questa fase di ingovernabilità istituzionale e politica.
Oggi non è più sufficiente pensare di ri-costruire una sinistra alternativa, ma bisogna pensare alla costruzione di una sinistra nuova, anticapitalista.
In questo senso due sono per noi i terreni di lavoro:
a. lo sviluppo di una forte opposizione politica e sociale alle politiche di austerità e alla trappola del debito. Opposizione che non è possibile declinare come «fronte dei soggetti di opposizione», quanto di una rete fatta di tanti soggetti sociali e politici su diversi piani, a partire da un programma comune e da «forum» che nascono sulla base di campagne comuni. In questo senso è necessario partire in primo luogo dalla generalizzazione e diffusione delle lotte sociali, ambientali, di difesa del territorio, femministe e dal loro incontro su basi diverse da quelle sperimentate finora e che richiamavano sempre la necessità di un «partito complessivo» come soggetto principale e centrale della trasformazione; dall’altra parte dalla costruzione di campagne «tematiche» con una valenza generale (sul modello di quella per la difesa dell’acqua pubblica o della campagna «per una nuova finanza pubblica», che potrebbe diventare un terreno importante per sperimentare nuove forme di unità dell’opposizione politica e sociale. 
b. la costruzione dal basso e con forze fresche (una nuova generazione politica) di una nuova sinistra anticapitalista, una soggettività politica tutta da inventare attraverso sperimentazioni e progetti, dando solidità a strumenti per l’autorganizzazione e allargando ancora, se possibile, le relazioni per costruire quelle che abbiamo chiamato “reti di movimento”. Alcuni luoghi aggregati in grado di stare in campo, alleanze utili socialmente e capaci di cogliere l’evolvere dei tempi. E’ chiaro che questi luoghi non possono essere residui di partito o di ceti politici fallimentari e che ci vorrà il tempo giusto per avere risultati – la «lenta impazienza» di cui parlava Bensaid. Ma è altrettanto chiaro che gli strumenti che finora abbiamo utilizzato e costruito non servono più, la loro funzione è stata superata dai fatti.

Le proposte per Sinistra Critica dopo le elezioni

Note post-elettorali
di Francesco Locantore, Andrea Martini, Nando Simeone e Franco Turigliatto
OccupyLe elezioni del 24 e 25 febbraio hanno scompaginato i disegni della troika europea, dei suoi supporter in Italia e della borghesia. I mercati, dopo i notevoli risultati raggiunti nel corso dei 13 mesi di governo Monti, pensavano di avere in tasca una soluzione per la prossima legislatura, attraverso un governo Bersani-Monti, che avrebbe consentito di utilizzare il leader del PD come strumento per prevenire l’insorgere di conflittualità estese e diffuse e il senatore a vita come garante della applicazione del fiscal compact e di tutti gli altri impegni comunitari.
Così non è andata. La travolgente crescita dei consensi al Movimento 5 stelle (25,55%, crescita attesa ma che ha superato ogni previsione, collocando il M5S come primo partito) si è intrecciata con il deludente risultato del PD (25,42%) e del suo schieramento di centrosinistra (29,54%) e con l’insufficienza del centro montiano (10,56%), oltre che con il crollo (anche se inferiore alla aspettative) del PdL (21,56%) e di tutto il centrodestra (29,18%). Questi risultati politici, combinati con una legge elettorale scandalosamente antidemocratica, ma anche farragginosa e controproducente per la borghesia, non riescono a garantire la formazione di nessuna maggioranza politica al parlamento che si insedierà il prossimo 15 marzo, mettendo in discussione la governabilità delle istituzioni per un periodo indefinito e facendo prevedere per il paese una fase di grave instabilità e di tendenziale crisi istituzionale.
Non si può perciò escludere che le classi dominanti, messe alle strette dalle difficoltà dell’attuale quadro istituzionale e con il pretesto di drammatizzazioni politiche prodotte dall’andamento dei mercati e dalle manovre sullo spread, possano essere indotte verso operazioni autoritarie e antidemocratiche.
L’elettorato ha punito pesantemente tutti i partiti che hanno sostenuto il governo Monti, che hanno perduto complessivamente 8.206.516 voti (PD – 3.451.119, PdL – 6.296.797, con una piccola compensazione di 1.541.400 voti in più, dovuti all’ “effetto Monti” sulla coalizione centrista).
La disaffezione dai partiti “tradizionali e dalle alchimie dei politicanti si manifesta anche attraverso l’ulteriore aumento dell’astensione (11.633.613 di elettori che non si sono recati alle urne, pari al 24,80% degli/delle elettori/trici, 2.466.368 in più che nel 2008, che con l’aggiunta delle schede bianche e nulle – complessivamente 1.267.826, pari al 3,59% dei/delle votanti – vanno a costituire il “primo partito”, di gran lunga superiore perfino al M5S (8.689.458 voti).
La tracotanza del governo Monti che affermava di avere il sostegno della maggioranza degli italiani poteva in realtà basarsi solo sull’appoggio di tre partiti che fino a due mesi fa egemonizzavano il parlamento ma che ora rappresentano poco più del 40% degli aventi diritto al voto.
Fallisce il disegno del centrosinistra di conquistare da un lato la fiducia dei mercati e della grande finanza e dall’altro di applicare con un volto bonario le politiche monetariste e recessive dettate dall’Unione europea. Nel PD si riapre una profonda crisi di identità che, con tutta certezza, spingerà quel partito verso un’ulteriore involuzione politica e culturale. Precipita il progetto di SEL, stretta tra l’alleanza strategica con Bersani e il rischio di dover dare copertura a ipotesi di governo totalmente contraddittorie con la sua propaganda elettorale.
Fallisce il bipolarismo che ha caratterizzato la vita politica italiana per venti anni, senza che ci sia in campo nessun altra proposta di assetto politico e istituzionale.
Vale la pena di aggiungere che falliscono anche i progetti politico elettorali su cui avevano puntato le proprie carte settori importanti ed egemonici delle burocrazie sindacali, quello della Cgil che mirava ad un “governo amico” (un governo Bersani, il più possibile libero dai condizionamenti di Monti!), quello della Cisl che sperava in un grande successo delle liste centriste, ma anche quello della Fiom che voleva un governo Bersani con una forte SEL ad ancorarlo alle “tematiche del lavoro”. Così come i partiti del centrosinistra, anche tutti gli apparati sindacali sono messi di fronte a una nuova crisi di prospettive e saranno costretti a una profonda e nuova ridefinizione di linea. Ciò non toglie il fatto che l’impasse istituzionale rischia di spingerli, al di là delle loro persistenti differenze, ad una ulteriore moderazione delle iniziative e delle lotte mentre la crisi e l’attacco padronale continueranno a dispiegare i loro devastanti effetti.
Fallisce infine il maldestro tentativo dei partiti della “sinistra radicale” (Pdci, Verdi e Rifondazione) e dell’Idv di prolungare la propria esistenza attraverso un’operazione di assemblaggio organizzativo privo di ogni progetto. La lista “Rivoluzione civile”, stritolata dalle proprie ambiguità e dalla mancanza di ogni spessore progettuale che non fosse puramente e semplicemente quello di far rientrare in parlamento i principali responsabili delle più recenti sconfitte della sinistra, non riesce a polarizzare che la rassegnata adesione di circa la metà dei voti che sarebbero stati necessari per garantire un qualche parlamentare. Questo esito rovinoso mette una seria ipoteca sulla sopravvivenza autonoma dei partiti che avevano puntato su quella lista tutte le loro carte e conferma la correttezza delle valutazioni a suo tempo fatte da Sinistra Critica nello scegliere di non dare nessuna indicazione di voto nella campagna elettorale.
Lo straordinario successo elettorale del M5S raccoglie spinte diverse e disparate (la protesta antiliberista di vasti settori popolari, la mobilitazione sociale di alcuni movimenti, il desiderio di tante e di tanti di potersi “vendicare” per le vessazioni subite in silenzio sul posto di lavoro o nella vita sociale, l’insofferenza diffusa verso la corruzione, il malcontento della piccola borghesia strozzata dalla crisi, il qualunquismo antipolitico…) sintomo dell’amplissimo dissenso nei confronti delle ricette applicate da tutti i precedenti governi e della grande sofferenza popolare per lo stato della società dopo alcuni anni di crisi economica, con una disoccupazione crescente, una secca perdita del potere d’acquisto delle famiglie, una precarietà del lavoro, dell’abitazione, del reddito e della vita per decine di milioni di persone, combinati con un degrado sociale e culturale che stritola diritti, libertà e dignità degli individui.
Il contesto di nuova esplosione di gravi episodi di corruzione nella gestione delle istituzioni, nell’intreccio con la grande finanza, con la speculazione e con il mercato delle tangenti ha rafforzato la capacità attrattiva e suggestiva del movimento di Beppe Grillo che è stato “incaricato” da quasi 9 milioni di elettori di punire sonoramente e di tenere sotto scacco i responsabili dei patimenti popolari.
Nel corso dei 13 mesi del governo Monti (e a fortiori nel corso dei due mesi di campagna elettorale) abbiamo assistito ad una grave stasi dei movimenti sociali, fatte salve le importanti eccezioni della resistenza in Valsusa contro il TAV, dello straordinario movimento degli studenti medi di novembre e del parallelo movimento degli insegnanti e, in parte, anche delle lotte di settori della sanità. Il mondo del lavoro più in generale ha conosciuto una paralisi delle iniziative e delle mobilitazioni e una persistente frammentazione e polverizzazione della resistenza alla crisi.
Il successo del M5S è, dunque, anche figlio di questa stasi delle lotte e delle sconfitte registrate senza combattere, come quelle sulle pensioni, sulla riforma degli ammortizzatori sociali, sull’articolo 18, perché rappresenta una volontà di delega di quella protesta che (soprattutto per responsabilità sindacale) non si è voluta o non si è potuta esprimere nei posti di lavoro e nelle piazze. Esso (e il meccanismo di delega che ha innescato in vasti settori popolari) può anche fungere da ostacolo a una nuova ripresa di mobilitazione che, invece, appare sempre più indispensabile e urgente. In ogni caso il movimento di Grillo ha conquistato una forte popolarità negli ambienti dell’associazionismo di movimento ma la battaglia per l’organizzazione dei movimenti e per la loro convergenza esula completamente dall’orizzonte culturale e politico del M5S.
La fase postelettorale si apre dunque all’insegna della incertezza istituzionale e politica, mentre la gravità della crisi e la determinazione dei potentati europei e del padronato italiano si apprestano a portare nuovi colpi alle condizioni di vita e ai diritti delle classi subalterne.
Un primo segnale in questa direzione è già dato dalla misura con la quale si intende di nuovo bloccare per un altro anno le retribuzioni, i contratti e gli automatismi di tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici. Un governo che ha già concluso il suo mandato e che è stato seccamente bocciato dagli elettori non esita, nonostante l’evidente mancanza di mandato democratico, a prendere un’ulteriore misura iniqua, punitiva verso un’intera grande categoria di lavoratori e lavoratrici. Tutto ciò si inserisce nella operazione della “spending review” che punta ad operare pesanti tagli nell’occupazione pubblica e a portare sul mercato ampia parte dei servizi sociali, a partire dalla sanità. Le gravi affermazioni del M5S sul piano del giudizio sui pubblici dipendenti e sulla spesa statale per la previdenza legittimano politicamente l’operazione governativa. Vanno al contrario appoggiate tutte le mobilitazioni che si battono per la difesa o per il ripristino del carattere pubblico dei servizi (acqua, trasporti, sanità, istruzione, ecc.), per lo sviluppo e l’estensione dei servizi universali e per la difesa del posto e delle condizioni di lavoro dei dipendenti pubblici, per un contratto del pubblico impiego che recuperi la perdita del potere d’acquisto degli ultimi anni e che porti in linea le retribuzioni con quelle europee.
In una fase così complessa, occorre rimettere a punto le nostre proposte di fase cercando di intrecciarle con un quadro politico estremamente complesso e inedito e, soprattutto, evidenziando convergenze e contraddizioni con le posizioni difese dal M5S.
Contro le devastazioni della crisi occorrerà ripartire dai beni comuni per costruire un diverso modello di sviluppo economico, ecologicamente compatibile, basato su un piano di lavori per migliaia di piccole opere, in alternativa alle grandi opere, che vanno definitivamente cancellate. Le principali infrastrutture (acqua, energia, rete informatica, comunicazioni in genere) e i principali beni vanno sottratti al mercato e riportati in mano pubblica. Occorre un piano straordinario di finanziamenti per lo stato sociale, per garantire a tutti i cittadini e a tutte le cittadine casa, sanità, pensione, scuola, in un’ottica di genere che veda anche il potenziamento delle case rifugio e delle case di semiautonomia per le donne vittime di violenza, dei consultori (unici presidi socio sanitari ad accesso gratuito) e l’ampliamento e l’aumento di servizi pubblici come gli asili nido, sottraendoli alle politiche di privatizzazione.
In questo ambito, un terreno di iniziativa importante sarà quello del rilancio della lotta contro il TAV, che troverà un primo momento di espressione nella manifestazione prevista per il 23 marzo nella Valsusa. Anche qui la legittimità della opposizione alla sciagurata “grande opera” si è espressa nella valanga di voti (oltre il 40%) per il M5S nella valle. Ma è chiaro che il grande patrimonio di autonomia, di indipendenza politica, di non delega a nessuno di quel movimento non è messo in discussione dall’affermazione elettorale del M5S.
La crisi ambientale, che sta devastando ampie aree del pianeta e minando la salute e la qualità della vita di milioni di persone e in prospettiva dell’intera umanità, la crisi economica che distrugge posti di lavoro e impoverisce drasticamente interi popoli, la crisi del modello produttivo e le contraddizioni tra lavoro, ambiente, salute e sicurezza, che appaiono esplosive in tante situazioni (vedi ad esempio il caso Ilva, ma non solo) pongono all’ordine del giorno la necessità di una trasformazione complessiva e radicale del modo di produzione, del modello produttivo e dei consumi, degli assetti e degli strumenti di potere. Questo progetto di società nella discussione teorica e politica ha assunto il nome di “ecosocialismo”, proposta che ha raccolto intorno a sé una corrente ideale e di elaborazione che costiuisce un alimento importante per la riflessione e l’elaborazione anche di Sinistra Critica. Proponiamo che il tradizionale seminario autunnale di Sinistra Critica abbia questa tematica come asse centrale.
Una contraddizione emblematica tra la difesa del posto di lavoro e dell’ambiente si è espressa nel caso dell’Ilva di Taranto. Non crediamo che la soluzione debba essere la chiusura definitiva dello stabilimento, responsabile del grave inquinamento che ammorba la città e che uccide in fabbrica e fuori dalla fabbrica, ma una gigantesca opera di riconversione ecologica e produttiva che potrà durare alcuni anni e che richiede ingentissime risorse. Pensiamo che sia utile ancora una produzione dell’acciaio e che sia possibile realizzarla adeguatamente perché oggi esistono tecnologie capaci di ridurre drasticamente gli agenti inquinanti. Inoltre dovrà essere garantito un reddito per migliaia di lavoratori nel periodo in cui la fabbrica dovrà cessare la produzione per la riconversione. Non sarà certo Riva a realizzare una ristrutturazione così radicale degli impianti; non ne ha alcuna volontà e neanche ne avrebbe tutte le risorse necessarie. Per questo il padrone delle ferriere deve essere espropriato, restituendo gli enormi profitti che ha fatto sulla pelle dei lavoratori e della città e l’azienda deve essere rinazionalizzata con il controllo diretto dei lavoratori e delle cittadine e dei cittadini. La riconversione ecologica sarà possibile solo se i lavoratori e le lavoratrici prenderanno nelle loro mani il loro futuro e si mobiliteranno per rendere concreto questo obiettivo.
Occorrerà riprendere la mobilitazione contro le spese militari e contro le missioni di guerra, a partire dalla cancellazione dell’acquisto degli F35 su cui buona parte delle liste si era caratterizzata durante la campagna elettorale (perfino, seppure parzialmente, il PD di Bersani!), ma che rischia di restare lettera morta, mentre l’acquisto rischia di essere realizzato anch’esso come espletamento dell’ “ordinaria amministrazione” dal governo dimissionario.
Occorre rilanciare la lotta per i diritti e le condizioni di vita del mondo del lavoro. Vanno abolite le leggi sul precariato, le misure che consentono la derogabilità dei contratti. Va rivendicato il blocco dei licenziamenti, la nazionalizzazione delle aziende in crisi e di quelle che inquinano e non rispettano le norme in merito alla sicurezza per i dipendenti. Va reintrodotto ed esteso a tutti l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Di fronte al dilagare della disoccupazione e all’intensificazione dello sfruttamento va imposta la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario. Va ricostruito un sistema pensionistico pubblico degno di questo nome dopo le devastanti controriforme messe in atto nel corso degli ultimi venti anni. Va ribadito e rilanciato il diritto all’autodeterminazione delle donne e alla libera scelta in tema di maternità. Su questi argomenti appare largamente inadeguata, ambigua o sbagliata la posizione del M5S, di cui è evidente tutta la impostazione aclassista con cui esso affronta la lotta contro la “casta”. Perciò la lotta contro la crisi e contro le sue conseguenze sul mondo del lavoro rischia di essere derubricata dal suo carattere cruciale. Non vorremmo che sulla scena parlamentare gli unici difensori degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori apparissero, seppur ipocritamente, i vari Vendola o Fassina. Sta perciò alla sinistra di classe ancora presente nella società battersi perché sia data voce a questi interessi e a tutte le realtà sindacali non concertative lavorare per costruire iniziative di lotta unitarie e forti per dare visibilità alle rivendicazioni del mondo del lavoro. Su tutte queste tematiche crediamo debba essere concretizzata l’idea contenuta nel documento conclusivo del nostro III congresso di riunire entro la primavera la conferenza nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori di Sinistra Critica per discutere il nuovo contesto in cui si collocherà lo scontro sulle condizioni di lavoro e di vita.
Va raccolta la sfida del reddito di cittadinanza lanciata dal M5S nella sua piattaforma, seppure posta in una forma del tutto sganciata dalla lotta per il lavoro. Occorrerà prevedere un rilancio della nostra legge di iniziativa popolare a suo tempo depositata in parlamento con le firme raccolte nelle piazze.
Un terreno più delicato è quello dei migranti, su cui non poche volte Grillo ha espresso posizioni populiste e reazionarie. Ciò non toglie che resta per noi di grande attualità la lotta per la chiusura dei CIE, per l’abrogazione delle leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini, per la parità completa dei diritti per il lavoro migrante, per il diritto alla cittadinanza e per quello di voto.
Contro la corruzione e i privilegi delle varie “caste”, contro le diseguaglianze abissali della società, va rivendicato un drastico taglio ai superstipendi e ai bonus milionari per i manager pubblici e delle aziende private, alle pensioni d’oro, vanno abbattuti drasticamente i costi del sistema politico a partire dagli stipendi dei parlamentari e degli alti burocrati.
Le storture antidemocratiche del modello maggioritario devono essere cancellate attraverso la reintroduzione di un sistema democratico proporzionale senza sbarramenti per l’elezione delle rappresentanze a tutti i livelli istituzionali. Va rivendicata una legge sulla democrazia sindacale, in alternativa al modello prefigurato dai vari accordi interconfederali, che garantisca ai lavoratori e alle lavoratrici il diritto a una libera rappresentanza nei luoghi di lavoro e al voto sui contratti e sugli accordi. Va sviluppata l’autorganizzazione democratica e popolare in ogni ambito della vita pubblica.
Per reperire i fondi per tutte le misure precedenti va condotta una lotta a fondo contro l’evasione fiscale, quella piccola ma anche e soprattutto quella delle grandi multinazionali e va introdotta una vera patrimoniale sulle grandi fortune.
Per non sottostare al ricatto della speculazione e dei mercati, occorrerà decretare il non pagamento del debito. Occorre imporre un audit per conoscere come, a favore di chi e per responsabilità di chi si sia creata una voragine così immensa. Si dice che i cittadini abbiano vissuto al di sopra delle proprie possibilità. In realtà a livello popolare in questi anni si è perso potere d’acquisto e si è straordinariamente allargata la povertà. Le responsabilità, dunque, e i beneficiari del debito sono altrove e vanno individuati.
Occorre farla finita con la speculazione finanziaria e il potere bancario enormemente cresciuti da quando tutte le banche sono state trasformate in banche d’affari. Le banche vanno nazionalizzate, a partire da quelle che chiedono enormi aiuti pubblici per coprire le proprie “sofferenze”. Le leggi a sostegno dei mercati finanziari vanno cancellate, vanno cancellati i patti monetaristici europei a partire dall’accordo di Maastricht fino al fiscal compact, passando per il patto di stabilità. Va cancellata la riforma costituzionale che obbliga al pareggio di bilancio.
Dopo queste elezioni assume ancor più rilevanza la nostra tradizionale proposta della costruzione di un movimento unitario contro la crisi, plurale e democratico, che riunisca in iniziative convergenti e comuni movimenti sociali, associazioni e organizzazioni politiche e culturali, correnti sindacali anticoncertative, collettivi locali. Va dunque sviluppata a fondo l’azione di Sinistra Critica perché tutte le componenti classiste lavorino per una convergenza dei movimenti e delle esperienze di lotta affinché non sia facilitata dalla assenza e dalla frammentarietà dei conflitti sociali la risoluzione borghese della straordinaria debolezza del quadro politico istituzionale prodottosi con le elezioni del 24 e 25 febbraio.
Parallelamente, a livello politico, dopo un decennio di scelte politiche scellerate, dal sostegno a Prodi, alle sue politiche social-liberali, alle missioni militari e alle grandi opere, per arrivare alla lista della Sinistra Arcobaleno e, infine a quella di Rivoluzione civile, la sinistra di classe nel nostro paese è sull’orlo della sparizione. Così, proprio nel momento in cui appare sulla pelle di milioni di persone la insostenibilità del sistema, sembrano legittimate tutte le letture meno che quella che vede nel capitalismo e nella proprietà privata dei mezzi di produzione le radici della crisi e delle sue conseguenze. Sinistra Critica, dunque, deve impegnarsi per stimolare ogni iniziativa che vada nella direzione della costruzione di una nuova sinistra anticapitalista, ecologista e femminista, anch’essa plurale e democratica, non ideologica o identitaria, includente e basata sull’azione dei movimenti, non burocratica né leaderistica, dall’ispirazione di massa, aperta al confronto con qualunque altra aggregazione, a partire da ciò che resta delle migliori esperienze prodottesi durante il percorso di “Cambiare si può”, non per prepararsi a futuribili operazioni elettorali, ma per battersi tutte e tutti insieme affinché le lotte e i movimenti siano capaci di costruire una alternativa di società ai disastrosi progetti politici economici e sociali borghesi.

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