domenica 9 marzo 2014

Il piano Renzi, una ricetta che non cura di Roberto Romano, Il Manifesto


Palazzo Vecchio, Renzi fa gli auguri di Natale alla città di FirenzeIl governo Renzi sta lavo­rando per costruire i primi prov­ve­di­menti a favore di lavoro, scuola e buon fun­zio­na­mento della mac­china pub­blica. Sul tap­peto ci sono pro­blemi enormi e di strut­tura. Se guar­diamo la situa­zione del paese pos­siamo dire solo una cosa: è pro­vato. La più lunga e pro­fonda crisi del capi­ta­li­smo non è finita.
Non dob­biamo mai dimen­ti­care che l’Italia ha perso 150 mld di Pil tra il 2004 e il 2013, il 20% di pro­du­zione indu­striale, cioè 1/5 del pro­prio tes­suto pro­dut­tivo, alzando il tasso di disoc­cu­pa­zione reale al 22% (6 mln di per­sone che in modo o nell’altro lavorerebbero).
Nono­stante l’inefficacia di alcune ricette, che hanno pau­pe­riz­zato troppi gio­vani e fami­glie, le «cure» sono sem­pre le stesse. Per­sino le timide idee di poli­tica indu­striale della prima bozza del Jobs act , sono scom­parse. Molto più comodo rifu­giarsi nel ben oleato retag­gio di tasse, buro­cra­zia e riforme isti­tu­zio­nali. Alla fine il piano shock del governo Renzi non è altro che la ripro­po­si­zione delle solite poli­ti­che eco­no­mi­che dal lato dell’offerta.
Sono tre le pro­po­ste in campo: la ridu­zione del cuneo fiscale per un ammon­tare di 10 mld di euro da desti­nare al lavoro o alle imprese; 2 mld per l’edilizia sco­la­stica; aumento delle risorse finan­ziare per retro­ce­dere i debiti pre­gressi della pub­blica ammi­ni­stra­zione ai privati.
Per il lavoro siamo alle solite: affian­care agli attuali con­tratti il nuovo con­tratto di inse­ri­mento a tutele cre­scenti, che per la prima fase con­gela l’articolo 18, sosti­tuendo la rein­te­gra, in caso di licen­zia­mento ingiu­sti­fi­cato, con il paga­mento di un inden­nizzo. Rimane il sospetto che i tec­nici della pre­si­denza del con­si­glio non abbiano ancora preso pos­sesso della mac­china pub­blica. Fac­ciamo una comu­ni­ca­zione di ser­vi­zio: l’articolo 18 è stato pro­fon­da­mente svuo­tato dalla legge For­nero. Sugli ammor­tiz­za­tori sociali, lo schema che sarà pro­po­sto mer­co­ledì dovrebbe avere le seguenti carat­te­ri­sti­che: con­ferma della cassa inte­gra­zione ordi­na­ria e straor­di­na­ria, uti­lizzo «vir­tuoso» della cassa in deroga, intro­du­zione di una inden­nità di disoc­cu­pa­zione «uni­ver­sale» di due anni. Dif­fi­date quando viene uti­liz­zato il ter­mine uni­ver­sa­li­stico — esteso alla pla­tea dei cosid­detti para­su­bor­di­nati e legato alle poli­ti­che attive — per la sem­plice e banale con­sta­ta­zione che lo stato sociale ita­liano è lavo­ri­stico per il lavoro e uni­ver­sa­li­stico per i ser­vizi pub­blici (scuola e sanità). Anche chi uti­lizza la cassa in deroga bene­fi­cerà dello stru­mento. Infatti, la cassa in deroga è desti­nata a scom­pa­rire prima della sua sca­denza natu­rale pre­vi­sta dalla riforma For­nero nel 2015. Il nuovo ammor­tiz­za­tore ammon­te­rebbe a circa 10 mld, la somma di Aspi e mini Aspi (7,5 mld) e cassa in deroga (2,5 mld).
Se guar­diamo i prov­ve­di­menti con atten­zione è dif­fi­cile tro­vare qual­cosa di inno­va­tivo e che possa mini­mante con­di­zio­nare il per­corso di cre­scita del paese. Non sarà la ridu­zione delle tasse, Irap o Irpef, a rilan­ciare la domanda di lavoro. Come direbbe Key­nes, non potete aspet­tarvi dei piani di rilan­cio degli inve­sti­menti da parte delle imprese se le aspet­ta­tive sono nega­tive. Alla fine gli inve­sti­menti sono diret­ta­mente pro­por­zio­nali alle aspet­ta­tive di cre­scita del sistema eco­no­mico, non all’aspettativa di una ridu­zione delle tasse. Inol­tre, la minore com­pe­ti­ti­vità delle imprese ita­liane non è attri­bui­bile al costo del lavoro, tra i più bassi a livello di paesi Ocse, piut­to­sto alla bassa pro­dut­ti­vità degli inve­sti­menti delle imprese pri­vate. Pochi lo sanno, ma il rap­porto investimenti/Pil dell’Italia è uguale alla media dei paesi euro­pei (19,4%), ma l’output è pari a 1/5. Forse abbiamo ben altri problemi.
Solo per inciso, ricordo che i dipen­denti pub­blici non hanno il rin­novo del con­tratto da tre anni, con una per­dita secca del 10%. Se pro­prio vogliamo rilan­ciare i con­sumi pri­vati, il datore di lavoro Pub­blica Ammi­ni­stra­zione potrebbe almeno aggior­nare le retri­bu­zioni del pub­blico impiego che sono appunto fermi da almeno tre anni.
For­tu­na­ta­mente la Com­mis­sione Euro­pea ha respinto l’ipotesi di uti­liz­zare una parte dei fondi strut­tu­rali (32 mld di euro) per ridurre il cuneo fiscale. In realtà la pro­po­sta del governo è di uti­liz­zare tran­si­to­ria­mente le risorse pre­gresse dei fondi strut­tu­rali del 2007–13 non uti­liz­zate, e suc­ces­si­va­mente inte­grate dal ban­co­mat spen­ding review. In que­sto caso è neces­sa­ria una domanda al Governo: ma la spen­ding review quante ini­zia­tive dovrebbe sostenere?
La Com­mis­sione ha rispo­sto che i fondi euro­pei ser­vono a creare nuovo lavoro, non a ridurre le tasse. Dif­fi­cile cre­derlo, ma la Com­mis­sione è più socia­li­sta del governo Renzi. Non solo, la Com­mis­sione ha ricor­dato che i fondi euro­pei ser­vono a raf­for­zare l’innovazione tec­no­lo­gica e la com­pe­ti­ti­vità di strut­tura delle imprese.
Non ho la più pal­lida idea di cosa il governo sug­ge­rirà mer­co­ledì. Le indi­scre­zioni sono quello che sono: indi­scre­zioni. Il ven­ta­glio delle pro­po­ste è troppo ampio per essere cre­di­bili, effi­cace e qua­li­fi­cato. Molto più utile sarebbe stato quello di uti­liz­zare le risorse dei fondi strut­tu­rali euro­pei per indu­stria­liz­zare la ricerca e svi­luppo pub­blica, legan­dola all’assunzione di gio­vani lau­reati. Que­sta misura la Com­mis­sione l’avrebbe accet­tata. In ambito euro­peo si poteva chie­dere e otte­nere di più. Per esem­pio, il seme­stre euro­peo ita­liano potrebbe pro­porre uno sfo­ra­mento una tan­tum del vin­colo del 3% di bilan­cio di un punto per­cen­tuale per tutti i paesi in ragione della pro­fon­dità della crisi, finan­ziato con euro­bond acqui­stati dalla Bce, che sareb­bero stati nel tempo ste­ri­liz­zati. Il vin­colo è quello di Europa 2020 e quello del pac­chetto (green eco­nomy) 20–20-20. Una sfida con ben altro spessore.

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