martedì 10 marzo 2015

Rai, la controriforma di Renzi


di Vincenzo Vita
Le anti­ci­pa­zioni della pro­po­sta del pre­mier Renzi sulla Rai fanno pen­sare ad una bru­sca con­tro­ri­forma. Ad un bru­sco risve­glio al tempo che pre­ce­dette la riforma del 1975. Quella che — con una pic­cola rivo­lu­zione coper­ni­cana — spo­stò le com­pe­tenze sull’azienda radio­te­le­vi­siva dal potere ese­cu­tivo al Par­la­mento. Il vec­chio mono­po­lio di Stato a bari­cen­tro demo­cri­stiano (la Dc, però, qual­che spa­zio lo lasciava anche agli altri) divenne così il ser­vi­zio pub­blico italiano.
Cer­ta­mente non furono rose e fiori. No, l’agognato plu­ra­li­smo dege­nerò nella ruvida lot­tiz­za­zione par­ti­tica. Inten­dia­moci. L’allora "pen­ta­par­tito" fece la parte del leone, lasciando fuori dal comando chi era in odore di comu­ni­smo. Ben­ché quest’ultimo si coniu­gasse nella sto­ria ita­liana alle punte alte e pre­sti­giose della cul­tura. Tut­ta­via, dopo la legge n.103 nac­quero espe­rienze corag­giose e di avan­guar­dia, come ad esem­pio quella del gruppo di "Cro­naca". E, ovvia­mente, le espe­rienze belle e pre­fi­gu­ranti della seconda rete tele­vi­siva diretta da Mas­simo Fichera, non­ché del tg2 di Andrea Bar­bato. Fino a che il "fat­tore K" si sciolse e si appa­lesò la tv cult di Curzi e Guglielmi. Pure il tra­di­zio­nale e pacioso primo canale tenne conto del cam­bia­mento ed assunse inte­res­santi tratti nazional-popolari.
Ecco, ora arriva il flash back e una vicenda così densa viene mesta­mente azze­rata dalla leg­ge­rezza non cal­vi­niana di Renzi. Che di con­tro­ri­forma si tratti è evi­dente, se ver­ranno dav­vero messe in prosa giu­ri­dica le anti­ci­pa­zioni de la Repub­blica. Il governo diviene il domi­nus, sce­gliendo il capo azienda che, natu­ral­mente, si chiama ammi­ni­stra­tore dele­gato. Dire diret­tore gene­rale sa troppo di antico, anche il lin­guag­gio ha i suoi sim­boli. Il resto (con­si­glio di ammi­ni­stra­zione, la stessa com­mis­sione par­la­men­tare) è noia, pun­teg­giava il Califfo. Appunto, la velo­cità futu­ri­sta (per dire) del Pre­si­dente del con­si­glio non ammette con­fronti, arti­co­la­zioni, bilanciamenti.
Dun­que, è un salto all’indietro? Certo. È la messa in sof­fitta della giu­ri­spru­denza costante della Corte costi­tu­zio­nale, sem­pre tesa a sot­to­li­neare la cen­tra­lità delle Camere? Altret­tanto evi­dente. Ma atten­zione. Non è solo una restau­ra­zione. È pure peg­gio. Se leg­giamo il capi­tolo Rai nel con­te­sto dei con­flitti in corso — revi­sione del bica­me­ra­li­smo, legge elet­to­rale, Jobs Act, nor­ma­lità della decre­ta­zione d’urgenza — la luce si accende in modo più forte e inquie­tante. I media non sono "altro", magari espres­sioni di una sfera auto­noma e indi­pen­dente: ma parte inte­grante dell’oligarchia con­sen­suale. Quella cosa che i poli­to­logi chia­mano "post-democrazia". E la Rai in Ita­lia è sem­pre stata un avam­po­sto pre­fi­gu­rante, un labo­ra­to­rio anti­ci­pa­tore dei passi suc­ces­sivi del e nel sistema poli­tico. Forse, allora, la con­tro­ri­forma di Renzi spo­sta sì le lan­cette indie­tro di quarant’anni, ma insieme le mette di qual­che minuto avanti.
In tutto que­sto ci sono pro­getti impe­gna­tivi già depo­si­tati in Par­la­mento: Civati/Sel; Maraz­ziti; Mov5Stelle. Ci fac­cia il pia­cere, Pre­si­dente. Almeno il governo depo­siti il suo testo, prima che la Rai si fermi e si bloc­chi, aspet­tando di capire da che parte andare, come Gass­man nell’indimenticabile "Armata Brancaleone".

Riforma Rai, il No di Rifondazione comunista: "Indietro di 40 anni"

 La cosddetta riforma della Rai che Renzi porterà al Consiglio dei ministri a giorni sta sollevando un vespaio di polemiche. Lo schema è quello di affidare maggiori poteri, se non proprio tutti, ad un amministratore delegato togliendo di mezzo sia il direttore generale che il consiglio di amministrazione e lasciando una vigilanza molto ridimensionata al Parlamento, che a quel punto non potrebbe eleggere nemmeno il cda. 
Se sono vere le notizie apparse sui giornali, la “controriforma” di Renzi del servizio pubblico radiotelevisivo, secondo Rifondazione comunista, come si legge in una nota a firma di Stefania Brai, "ci riporta indietro di esattamente 40 anni, a quando cioè prima della grande riforma del ’75 la Rai era tutta sotto il controllo del governo". Così Renzi, con la banale scusa di “allontanare i partiti” dalla gestione dell’azienda pubblica "dà il potere di nominare un “amministratore unico” ai soli partiti che stanno al governo. Con l’eliminazione della figura del presidente nominato dal consiglio di amministrazione e di quella del direttore generale si raggiunge un duplice obiettivo: assumere tutto il controllo della Rai da parte del governo ed iniziare una vera privatizzazione del servizio pubblico equiparandolo a qualunque azienda privata".
 
Rifondazione comunista si batterà insieme alle forze sociali, culturali e professionali perché la Rai possa tornare a svolgere quel ruolo di volano dell’industria culturale italiana che spetta al servizio pubblico radiotelevisivo. E si dichiara contro qualunque tentativo di ulteriore privatizzazione delle istituzioni che producono conoscenza, cultura e sapere. "Occorre invece lavorare per la ricostruzione di un tessuto di partecipazione reale - si legge ancora nella nota - per ridiscutere il ruolo di un servizio pubblico radiotelevisivo all’altezza delle sfide tecnologiche di oggi e di domani mettendo intorno a un tavolo non i 30 esperti di Renzi ma tutte le professionalità coinvolte insieme le forze sociali e culturali, all’associazionismo e ai movimenti". 
 
Per il Prc, occorre elaborare un grande progetto culturale che riporti la Rai ad essere un’azienda realmente democratica e autonoma, decentrata e partecipata, che possa ridare vita a tutta la produzione indipendente diffusa su tutto il territorio nazionale, pluralistica nella sua offerta culturale nel rispetto dei tanti “pubblici” e sganciata dalle logiche di mercato. 
"Una Rai governata da un consiglio di amministrazione conclude Brai - formato da personalità del mondo della cultura, dell’informazione, del lavoro e della produzione culturale, nominate in base a curricula pubblici in modo tale da garantire professionalità indipendenza e autonomia dai partiti e dai governi".
 
vedi anche: http://ilconfrontodelleidee.blogspot.it/2015/03/togliere-la-rai-ai-partiti-per-darla-chi.html
 

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