mercoledì 6 marzo 2013

«Città della scienza: Una cattedrale nata nel deserto produttivo»



«Una cattedrale nata nel deserto produttivo»


di Roberto Ciccarelli -
L’incendio alla città della scienza è una doppia metafora. Del declino socio-economico del paese, e di Napoli che oggi guarda impietrita il cratere fumante, poco lontano dall’arenile di Bagnoli. E dell’assenza di un modello di sviluppo ecologicamente sostenibile, basato sulla ricerca e sulla conoscenza, che avrebbe dovuto sostituire quello della monocultura industriale dell’Italsider.
È dolente, ma appassionata, la ricostruzione di Pietro Greco, uno dei più noti giornalisti scientifici italiani, membro del consiglio di amministrazione della Città della Scienza, che nel 2006 ha raccontato in un libro pubblicato da Bollati Boringhieri la storia dell’impresa del fisico Vittorio Silvestrini, 78enne: costruire il futuro post-industriale a partire dalla dismissione dell’acciaio napoletano.
«A Bagnoli, dove vent’anni fa lavoravano 15 mila operai, oggi lavorano solo 80 persone, quelle della Città della Scienza – afferma Greco – Napoli non ha saputo né reagire ai problemi della nuova globalizzazione, né ha tessuto un nuovo ordito produttivo. L’incendio è una metafora: da questo declino non ne usciamo. Stiamo solo distruggendo in questo momento, senza costruire. Soprattutto non c’è consapevolezza. Questa è l’amara verità».
A cosa era dovuta la crisi della Città della scienza?
La Città della scienza nasce con un finanziamento da parte dello Stato di circa il 30%, un caso unico in Europa se consideriamo che La Villette a Parigi è finanziata per il 100%. Il resto lo recupera sul mercato, partecipando a gare o progetti europei per 1 milione di euro, sia pubblici che privati. Oltre al museo, la Città ha avviato 25 anni fa un incubatore di piccole imprese fondate sulla conoscenza. Una novità rispetto ai musei di vecchia e nuova generazione, a livello europeo e direi mondiale. Il suo fatturato è di circa 10 milioni di euro all’anno, il suo capitale immobiliare è di circa 300 milioni. Il problema è nato quando il 30% dovuto non gli è stato erogato con regolarità, mentre non veniva pagata la quota parte del 70% che deriva dal pubblico per progetti portati a termine. Ci sono casi in cui la regione Campania deve 2 milioni di euro e ha chiesto di accordarsi su 800 mila euro. Ma nemmeno questi fondi sono arrivati. La Città avanza crediti per 7-8 milioni dallo Stato e ha tra i 4 e 5 milioni di euro di debiti con le banche. Ma lo Stato non paga mentre le banche vogliono essere pagate immediatamente. Non credono – o fingono di non credere – che quei crediti con lo Stato siano inesigibili.
Che tipo di attività svolgeva?
Un’azione sociale per la ricerca e la scienza che ha attirato tra le 350 e le 400 mila persone. Ha ospitato i progetti di ricerca scientifici dei sismologi e degli astrofisici che hanno partecipato a «futuro remoto», una manifestazione con una mostra temporanea che dura alcuni mesi. La struttura ospitava spazi espositivi fissi, con tre palestre – due di fisica e una di biologia – con materiali interattivi, più l’officina dei piccoli, permettendo ai visitatori di frequentare percorsi interattivi in cui fare esperimenti. C’era un planetario, e diversi auditorium-teatro, uno dei quali è stato dato in gestione all’associazione «Le Nuvole», un gruppo di artisti che si occupa di teatro scuientifico.
La storia di Silvestrini è affascinante e parla di Napoli. Ce la racconti?
Silvestrini è un fisico sperimentale molto brillante che, alla fine degli anni Cinquanta ebbe la cattedra a Napoli e decise di trasferirsi da Roma. Abbandonata la fisica delle particelle, iniziò a dedicarsi all’energia solare, diventandone uno dei pionieri. A metà degli anni Ottanta, decise di puntare sulla comunicazione della scienza, sottolineando la necessità di passare dal modello dell’industria fordista, il consumo privato), a un modello socialmente e ecologicamente sostenibile.La Napoli postindustriale doveva produrre beni fondati sulla conoscenza e sul sapere scientifico.
Tutto questo dopo la dismissione di Bagnoli?
No, Bagnoli era ancora il cuore attivo della napoli industriale. Di Napoli tutti parlano di pizza e mandolino, ma questa città è stata il terzo polo industriale del nostro paese. Solo che ha avuto una deindustrializzazione rapidissima e a Bagnoli è stata più rapida che altrove. A differenza della Rühr in Germania, a Napoli non sono mai stati fatti investimenti organici, per un sistema integrato: conoscenza e anche, ma non solo, attività turistiche. Napoli è un grande polo della ricerca aerospaziale, c’è il Cnr, le grandi università che non hanno più fondi per i tagli. Città della scienza è rimasta una cattedrale in un deserto produttivo.
Che fine ha fatto la ricerca di un altro modello produttivo?
Un po’ furbescamente ci siamo ritagliati nicchie di mercato a basso costo del lavoro, con la svalutazione competitiva della lira. Finchè eravano i più poveri tra i ricchi il sistema ha funzionato e noi producevamo scarpe, sedie, divani a un costo inferiore della Germania o negli Stati Uniti. Quando c’è stata la nuova globalizzazione, siamo entrati nell’euro e abbiamo perso entrambe le leve su cui agiva il vecchio modello. L’Italia si è afflosciata.
Il Manifesto – 06.03.13

Nessun commento: