sabato 5 aprile 2014

Bce, un’altra prova di inadeguatezza di PierGiorgio Gawronski, Il Fatto Quotidiano




Pochi anni fa, era la primavera del 2011, la Banca Centrale Europea alzava i tassi d’interesse per impedire il surriscaldamento dell’economia. In tutta Europa, infatti, la capacità produttiva era satura, né si trovavano capannoni liberi dove aprire nuove aziende. Le imprese si contendevano i lavoratori – stremati dagli straordinari – a colpi di aumenti salariali. Il boom generava un chiaro rischio di iperinflazione tipo Zimbabwe, come avvertivano i liberisti anche sul Fatto Quotidiano. Perciò la Bce fu costretta ad alzare i tassi una seconda volta (luglio 2011). O no?
Alcuni sedicenti economisti keynesiani, in quel tempo, accusavano la Bce di essere “in mano a degli incompetenti”, e fantasticavano di crolli dei titoli del debito pubblico, collasso dell’euro, disoccupazione di massa, depressione, crisi democratica. Nel resto del mondo prevalevano pericolose politiche monetarie non ortodosse: quantitative easing (QE), forward guidance, estensione diretta del credito alle imprese. Le banche centrali inoltre assicuravano la stabilità degli spread, a livelli bassissimi sempre e comunque, e a costo zero, semplicemente gestendo le aspettative. Ma alla Bce spiegavano che loro mai avrebbe potuto attuare tali politiche, essendo vietate dai Trattati Europei. Draghi al Financial Times nel dicembre 2011:
- Draghi: Quantitative easing? La gente deve accettare il fatto che noi resteremo nell’alveo del nostro mandato.
- Ft: Ma non c’è nulla nello Statuto della Bce che limiti gli acquisti di titoli pubblici… o altri interventi simili a quelli di altre banche centrali… Usa e Uk?
- Draghi: Non credo che distruggere la credibilità della Bce sia una buona idea!
Ma nell’estate 2012, le previsioni keynesiane si erano tutte avverate. Per salvare l’euro la Bce aveva dovuto acquistare titoli pubblici, fare marcia indietro sui tassi d’interesse, salvare le banche, e apporre la sua garanzia sui titoli pubblici. La finanza era salva, l’economia reale ancora no. Uno dei sedicenti economisti avvertì: “è iniziata la ritirata dei liberisti, orchestrata dalla Bce… ma per salvare la faccia ai funzionari europei e ai politici, il cambio di politiche economiche sarà molto lento; nel frattempo i danni economici saranno gravissimi”.
Nell’estate 2013 la Bce ha continuato a modificare la sua posizione. Prima ha riconosciuto che sì, c’era una crisi di domanda (cinque anni dopo); ma – ha detto – c’era ancora spazio per abbassare i tassi, perciò il QE era inutile. Poi il QE e le “manovre non convenzionali” divennero “una possibilità”, ma solo contro la deflazione “improbabile”. Infine ieri la Bce ha ipotizzato l’uso del QE contro la “bassa inflazione” (non solo deflazione). Draghi ha persino elencato (tre anni dopo) tutti i danni che secondo i sedicenti economisti provoca la bassa inflazione: aumento del peso dei debiti pubblici e privati, calo dei consumi, squilibri competitivi intra-europei.
Ma la Bce ancora gioca a confondere le carte. Da mesi ripete: “Siamo pronti ad agire!”, ma non agisce. Definisce le proprie politiche accomodanti quando non lo sono. Denuncia la “prolungata stagnazione”, ma non sa ancora come fare il QE senza smentirsi. In Europa non esiste un mercato di assed backed securities (cartolarizzazione di impieghi bancari) adeguato, mentre l’acquisto di titoli pubblici (come fanno tutte le banche centrali), contraddice l’ideologia ufficiale.
Morale:
1) emerge che i Trattati Europei non ponevano i divieti che si diceva, altrimenti oggi non si potrebbe fare quello che ieri non si poteva. La politica e la Bce si sono nascoste dietro a regole immaginarie, al fine di coartare la volontà popolare. La libera stampa ha avallato e ha una grave responsabilità in questa vicenda;
2) se anche oggi si facesse qualcosa di vietato dai Trattati, è perché la realtà, la necessità l’impone; vuol solo dire che i Trattati sono irrealistici e sbagliati. Il tentativo di Bce e Commissione di nascondere gli errori commessi blocca il dibattito sulla riforma dei Trattati, o su una loro interpretazione più moderna e realista;
3) se un governo vuole davvero cambiare l’Europa, deve cominciare dalla Bce;
4) i ritardi della Bce sono disastrosi: le politiche monetarie deflattive sono un macigno sulla strada di qualsiasi ripresa economica; il “fare in fretta” che conta è quello della Bce;
5) il QE è un’arma troppo debole per combattere efficacemente la depressione: ci vuole un nuovo paradigma.

 

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