LA VICENDA del Monte dei Paschi si può così riassumere: la banca
senese ha messo in pratica un modello di affari identico a quello delle
maggiori banche europee. È un modello dissennato, che è all’origine
della crisi economica in corso dal 2007 e ha portato al dissesto decine
di banche in quasi tutti i paesi. Mps ha potuto applicarlo fino a ieri
perché una seria riforma della finanza Ue non ha compiuto finora alcun
passo avanti.
Ma parlare dei guai di Mps non dovrebbe condurre a ignorare, come
sta accadendo, che all’origine di essi vi sono le storture dell’intero
sistema finanziario europeo.
Un posto di riguardo in esso occupa il sistema bancario ombra. È
formato da enti finanziari che non sono banche ma operano come banche:
prestano denaro, emettono titoli e li negoziano, accolgono depositi. Si
tratta di fondi monetari, fondi speculativi, veicoli di investimento
speciale o strutturato (Siv). Nel 2007 gli attivi del sistema ombra
europeo valevano circa 20 trilioni di euro, più o meno quanto gli attivi
in bilancio. Stando a un recente rapporto del Financial Stability
Board, nel 2011 essi erano saliti a 25 trilioni. Come si legge in un
rapporto presentato al Congresso Usa fin dal giugno 2008, il carattere
che giustifica l’espressione “sistema ombra” è l’assenza di regolazione e
di sorveglianza. Quando Mps acquistò anni fa da un Siv della Dresdner
Bank un derivato per 400 milioni non fece altro che avvalersi del
sistema bancario ombra per finanziarsi. Si dirà: ma li ha pur presi da
una banca. Errore: un Siv è creato da una banca come una società di
scopo giuridicamente autonoma. In quasi tutti i casi non ha una sede
fisica né personale; però ha facoltà di trasformare i crediti della
banca sponsor in titoli negoziabili, pagandoli con il ricavato di titoli
a breve termine che esso emette. È il processo chiamato da noi
cartolarizzazione. Tra il 2000 e il 2008, tramite i loro veicoli – che
possono essere decine per ciascuna banca – le banche europee hanno
effettuato un volume di cartolarizzazioni pari a 3,7 trilioni di euro.
Italia e Germania effettuano ciascuna circa il 10 per cento delle
transazioni, corrispondenti a 347 miliardi di euro per la prima, 326 per
la seconda. Il tutto all’ombra, cioè al di fuori della portata dei
regolatori e dei sorveglianti.
Una riforma finanziaria della Ue dovrebbe quindi mettere in primo
piano una drastica riduzione del sistema bancario ombra e un severo
controllo di quel che resta, mentre governi ed esperti dovrebbero
battersi per avviare la riforma stessa, piuttosto che cercare ogni volta
in vicende locali la chiave del dissesto di questa o quella banca. Se
qualcuno, per dire, si mettesse a studiare le origini locali del
dissesto di gran parte delle banche regionali tedesche, alcune grandi
come Mps, dovrebbe lavorare decenni. Mentre la causa è nuda e cruda,
come nel caso Mps: hanno fatto ciò che le leggi permettevano di fare,
grazie a trent’anni di deregolazione della finanza.
Il caso Mps offre altre due utili indicazioni per una riforma
efficace del sistema finanziario. In primo luogo va notato che il titolo
che ha comprato e utilizzato per operazioni di rifinanziamento è il
peggio che l’ingegneria finanziaria abbia inventato. Si è trattato
infatti, a quanto si legge, di una obbligazione avente per collaterale
un debito (acronimo Cdo), ma al quadrato. Una Cdo, anche semplice, è di
per sé un oggetto pericoloso. Infatti può contenere fino a un centinaio
di altri titoli obbligazionari sostenuti da un’ipoteca, ciascuno dei
quali può contenere, a sua volta, gran numero di titoli di debito. Ciò
spiega sia il costo di una Cdo, in genere superiore al miliardo (per cui
viene venduta quasi soltanto a fette), sia l’impossibilità di stabilire
il rischio che contiene se non mediante complicatissimi modelli
matematici, che quasi nessuno è in grado di capire: inclusi, parrebbe, i
dirigenti di Mps. Ora, si noti bene, una Cdo al quadrato è formata da
fette o trance di altre Cdo. Il che significa, al confronto, che tenere
un barile di nitroglicerina in tinello non è più pericoloso di una
bottiglia di minerale.
Ci sono poi i guai in cui si è cacciata Mps con l’acquisizione di
Antonveneta nel 2007. Sembra siano stati, i suoi dirigenti, piuttosto
sprovveduti. Ma fin dagli anni ’90 la corsa all’ingigantimento delle
banche è stata favorita ed esaltata come un segno di modernizzazione
dalle organizzazioni internazionali, dagli esperti, dai governi di tutta
la Ue. Come risultato il numero delle banche europee è assai diminuito,
mentre è aumentato il peso economico delle più grandi, senza che ciò
abbia minimamente giovato all’econo-mia reale. Se nel 2007 erano troppo
grandi per lasciarle fallire, oggi sono troppo grandi per evitare che la
Bce presti loro 1.100 miliardi all’1 per cento di interesse – di cui
oltre un quarto sono andati a banche italiane – come ha fatto tra il
novembre 2011 e il febbraio 2012. Un monte di denaro che in misura
minima è affluito all’economia reale sotto forma di crediti delle
piccole e medie imprese: per la massima parte è stato utilizzato dalle
banche per rifinanziarsi e ricapitalizzarsi. Un segno, ve ne fosse mai
bisogno, che una riforma del sistema finanziario europeo dovrebbe pure
imporre un limite alla grandezza delle banche.
In sostanza, la vicenda Mps, nata dall’applicazione letterale di un
modello d’affari comune a tutte le banche europee, che ne ha già
condotte decine di altre al dissesto, sembra un’ottima occasione per
evitare non solo di prendere posizione, ma perfino di parlare di riforma
dell’eurofinanza. Eppure c’è un testo da cui si potrebbe partire per
discutere di quella che anche sul piano politico, non solo su quello
economico, è la più importante riforma di cui l’Italia e la Ue avrebbero
bisogno. Magari per criticarlo. Mi rifersico al Liikanen Report – dal
nome del presidente del gruppo che l’ha redatto – relativo alla riforma
della struttura del sistema bancario Ue trasmesso alla Commissione a
ottobre 2012, è nato male. Infatti undici su dodici membri del gruppo
erano dirigenti di istituzioni finanziarie. Sarebbe come nominare un
gruppo di architetti per giudicare i progetti di ciascuno di loro.
Tuttavia qualcosa di solido su cui discutere nel rapporto c’è. Tra i
problemi del sistema bancario europeo esso indica infatti l’eccessiva
assunzione di rischio; l’aumento di complessità, volume e portata che
rende difficile il controllo da parte dei dirigenti; l’aumento eccessivo
dell’effetto di leva finanziaria e la limitata capacità di assorbire le
perdite; l’eccessiva fiducia riposta sui modelli interni di gestione
del rischio e sulla “disciplina dei mercati”. È da un confronto risoluto
e ravvicinato con simili questioni che dipende l’avvio a soluzione
della crisi europea, dinanzi ai costi sociali e umani che essa infligge a
milioni di persone. Ed è questo che l’Italia dovrebbe pretendere da
Bruxelles. In alternativa, possiamo continuare a discutere se il portone
della Mps debba essere restaurato o no.
La Repubblica 2 febbraio 2013
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