La lettera inviata al governo italiano da Trichet e Draghi
contribuisce a far chiarezza sullo stato politico ed economico
dell’Unione Europea. E’ una lettera lineare, quasi disarmante nella sua
semplicità, che spiega perfettamente sia le linee guida che il modus
operandi della Banca Centrale Europea. I due banchieri non usano giri di
parole. Due sono i passaggi altamente significativi.
Nell’introduzione
stabiliscono che è «necessaria un’azione pressante da parte delle
autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori». La
lettera diventa ancora più precisa quando suggerisce le misure da
intraprendere per ristabilire la fiducia degli investitori: permettere
«accordi a livello di impresa così da ritagliare su misura (taylor
nell’orginale inglese) i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze
specifiche delle aziende».
Non si tratta di una semplice lettera di suggerimento, ma di un manifesto politico a tutto tondo. Un manifesto politico che riprogramma la società in funzione delle necessità e dei desideri di pochi – le banche, le imprese, in una parola, il capitale – contro il lavoro, contro l’equità e la giustizia sociale, con il profitto e contro il salario. Un manifesto politico che avrebbe una sua legittimità se presentato agli elettori e votato, ma che si vuole invece far passare per imposizione e ricatto («O così o vi abbandoniamo alla speculazione»).
Non si tratta di una semplice lettera di suggerimento, ma di un manifesto politico a tutto tondo. Un manifesto politico che riprogramma la società in funzione delle necessità e dei desideri di pochi – le banche, le imprese, in una parola, il capitale – contro il lavoro, contro l’equità e la giustizia sociale, con il profitto e contro il salario. Un manifesto politico che avrebbe una sua legittimità se presentato agli elettori e votato, ma che si vuole invece far passare per imposizione e ricatto («O così o vi abbandoniamo alla speculazione»).
D’altronde, la natura antidemocratica della lettera
viene ribadita in un altro passaggio, quando si invita a privatizzare i
servizi locali, fondamentalmente fregandosene del fatto che il popolo
italiano ha appena deciso che, ad esempio, l’acqua è un bene comune e
non può essere privatizzato. Forse Trichet non segue con attenzione le
vicende politiche della nostra penisola, ma Draghi? Qui si tratta, in
maniera del tutto lapalissiana, del disprezzo per le decisioni
democratiche quando queste siano d’ostacolo al progetto oligarchico del
capitale. Quel che sostanzialmente si propone è un superamento della
democrazia del Novecento ed un ritorno al governo come comitato di
affari della borghesia, di marxiana memoria.
D’altronde, le banche centrali sono ormai diventate istituzioni di parte, sottratte a qualsiasi forma di controllo popolare, totalmente unaccountable. Nonostante abbiano nelle loro mani importanti politiche pubbliche, in primis quella monetaria, non rispondono a nessuno delle loro azioni.
Da quando le banche centrali sono divenute indipendenti – in Italia il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro risale al 1981 – l’economia ha preso la piega che ben conosciamo: attenzione spasmodica (e senza nessun fondamento empirico) all’inflazione, crescita contenuta e comunque distribuita in maniera ineguale, a favore del profitto e contro il salario. Certo non solo a causa delle banche centrali, ma con il loro decisivo contributo. Le banche centrali sono spesso diventate ostaggio delle banche private che dovrebbero controllare, ma da cui sono in effetti controllate vista la partecipazione di queste ultime nel capitale delle istituzioni monetarie pubbliche. Stranamente però, mentre tutti parlano della riforma delle agenzie di rating, nessuno parla della riforma della governance delle banche centrali che dovrebbe essere il primo punto in agenda.
Non solo è urgente come non mai cambiare lo statuto della Bce, inserendo l’obbligo di preoccuparsi ed occuparsi di crescita e occupazione, ma è necessario riportare sotto il controllo politico questa istituzione. Non è accettabile che mentre le economie dell’Europa mediterranea affondano e milioni sono i senza lavoro, Trichet possa alzare i tassi di interesse, come ha fatto in estate. Non è pensabile che la Banca Centrale Europea metta il veto sul default parziale di Atene ed imponga di pagare un debito impagabile, che distrugge l’economia greca e che la trasforma in una economia centro-africana. Non è soprattutto immaginabile che una cricca di banchieri centrali possa pensare di imporre politiche fiscali e di “sviluppo” economico a parlamenti sovrani.
D’altronde, le banche centrali sono ormai diventate istituzioni di parte, sottratte a qualsiasi forma di controllo popolare, totalmente unaccountable. Nonostante abbiano nelle loro mani importanti politiche pubbliche, in primis quella monetaria, non rispondono a nessuno delle loro azioni.
Da quando le banche centrali sono divenute indipendenti – in Italia il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro risale al 1981 – l’economia ha preso la piega che ben conosciamo: attenzione spasmodica (e senza nessun fondamento empirico) all’inflazione, crescita contenuta e comunque distribuita in maniera ineguale, a favore del profitto e contro il salario. Certo non solo a causa delle banche centrali, ma con il loro decisivo contributo. Le banche centrali sono spesso diventate ostaggio delle banche private che dovrebbero controllare, ma da cui sono in effetti controllate vista la partecipazione di queste ultime nel capitale delle istituzioni monetarie pubbliche. Stranamente però, mentre tutti parlano della riforma delle agenzie di rating, nessuno parla della riforma della governance delle banche centrali che dovrebbe essere il primo punto in agenda.
Non solo è urgente come non mai cambiare lo statuto della Bce, inserendo l’obbligo di preoccuparsi ed occuparsi di crescita e occupazione, ma è necessario riportare sotto il controllo politico questa istituzione. Non è accettabile che mentre le economie dell’Europa mediterranea affondano e milioni sono i senza lavoro, Trichet possa alzare i tassi di interesse, come ha fatto in estate. Non è pensabile che la Banca Centrale Europea metta il veto sul default parziale di Atene ed imponga di pagare un debito impagabile, che distrugge l’economia greca e che la trasforma in una economia centro-africana. Non è soprattutto immaginabile che una cricca di banchieri centrali possa pensare di imporre politiche fiscali e di “sviluppo” economico a parlamenti sovrani.
La risposta alla crisi non è e non può essere una
ulteriore involuzione tecnocratica (leggi: antidemocratica) come invece
propongono De Ioanna e Galimberti sul Sole24ore, ma proprio l’esatto
contrario. Quel che serve è una politica democratica, trasparente e
giudicabile dagli elettori, al servizio degli interessi economici
collettivi e non serva delle esigenze del capitale. Il comitato d’affari
della borghesia
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