Oggi tocca all’Italia seguire le richieste della
Banca europea, dell'Fmi, della Commissione della UE, cioè della finanza,
per scivolare lentamente in un remake aggiornato del film di Atene
C’è un po’ di terrorismo in chi è contrario al
fallimento nel descriverne gli effetti. Mi è chiaro che giungere a una
qualche forma di fallimento non è come bere una tazza di caffè, ma il
problema non è questo, il tema è: se ne può fare a meno? Una risposta a
questo interrogativo presuppone una qualche considerazione sulle
trasformazione del capitalismo. Un po’ mi devo ripetere, mi scuso.
Si
sostiene che la crisi attuale è una crisi da eccessiva capacità
produttiva e da mancanza di domanda solvibile. Due osservazioni: da una
parte questa interpretazione è contraddittoria con l’osservazione che la
crisi prende corpo da un eccesso di domanda a “credito”, quindi non la
domanda ma la sua finanziarizzazione è il problema; dall’altra parte è
vero che c’è una crisi di domanda dato che la popolazione viene
continuamente tosata per far fronte alle ingiunzioni della finanza.
È
necessario riflettere che la finanziarizzazione dell’economia non è
solo una evoluzione del capitalismo ma la modificazione della sua
natura.
Il processo è passato dalla proposizione denaro-merce-denaro
(D-M-D), attraverso il quale il capitale, con una distribuzione non equa
del valore prodotto tra capitale e lavoro, accumulava ricchezza, a
quella odierne denaro-denaro-denaro (D-D-D), che senza la “mediazione”
della produzione di merci (e servizi), permette di accumulare ricchezza
(in poche mani).
Si rifletta sui seguenti dati mondiali: il PIL
ammonta a 74.000 miliardi; le Borse valgono 50.000 miliardi; le
Obbligazioni ammontano a 95.000 miliardi; mentre gli “altri” strumenti
finanziaria ammontano a 466.000 miliardi. Risulta così che la produzione
reale, merci e servizi (74.000 miliardi), è pari al 13% degli strumenti
finanziari. Quanto uomini e donne producono, in tutto il mondo,
rappresenta poco più di 1/10 del valore della “ricchezza” finanziaria
che circola.
Questo dato quantitativo ha modificato la qualità
dell’organizzazione economica: mentre resta attiva la parte di
produzione materiale si è sviluppata un’enorme massa di attività
finanziaria che mentre trent’anni fa lucrava sul “parco buoi”, nome
affibbiato a chi affidava alla borsa i propri risparmi nella speranza di
arricchirsi, ora lucra sui popoli che da una parte sono sottoposti a
una distribuzione non equa di quanto producono (gli indipendenti sono
poco tali e sono entrati nella catena allungata del valore aggiunto) e,
dall’altra parte, sono tosati (più tasse e meno servizi) in quanto
cittadini.
Si tratta di un mutamento che investe la produzione,
la distribuzione della ricchezza, ma anche il processo politico e la
stessa, tanta o poca che sia, democrazia. Quando la ricchezza si produce
attraverso la mediazione della merce era attiva dentro lo stesso corpo
della produzione, una forza antagonistica che cercava di imporre una
diversa distribuzione della ricchezza prodotta e l'affermarsi di diritti
di cittadinanza. Nessun regalo, conquiste frutto di lotte, di lacrime e
sangue. Al contrario quando diventa prevalente il meccanismo
finanziario, si scioglie il rapporto tra capitale e società, e diventa
impossibile ogni antagonismo specifico. Tutto si sposta sul piano
politico, un bene e un male insieme. Un male perché manca una cultura
alternativa, tutti viviamo entro la dimensione liberista e del mercato,
un bene perché è possibile andare alla radice del problema.
È
diventato senso comune che il mercato (finanziario) vuole sicurezza e
credibilità! È una parte molto modesta della verità. La speculazione
finanziaria da se stessa, data la massa di risorse che muove, e le
tecnologie che usa (gli High Frequency Trading – HFT – che muovono due
terzi delle borse), si crea autonomamente le occasioni di successo per
speculare. Come ha scritto Prodi “i loro computer scattano tutti
insieme, comprano e vendono gli stessi titoli e forzano in tal modo il
compimento delle aspettative”. Contrastare la speculazione, come
lo si sta facendo, significa solo offrirle alimento continuo. Si può
fare più equamente, e sarebbe importante, ma questo non intaccherebbe il
meccanismo. Bisogna colpire direttamente la speculazione al cuore,
toglierle l’acqua nella quale nuota. Certo che ci vorrebbe un’azione
comune a livello internazionale, ma l’elite politica e tecnica è figlia
ideologica, qualche volta non solo ideologica, del liberismo e della
finanza; ambedue si possono “criticare” ma non toccare, bisogna farli
“operare meglio”. Come ha scritto Halevi, le maggiore banche tedesche e
francesi sono piene di titoli tossici, messi in bilancio al loro valore
nominale mentre valgono zero, ma il sistema (la governance europea
franco-tedesca) difende le banche tedesche e francesi, mettendo in primo
piano i debiti sovrani e le banche dei paesi sotto tiro (e quando
toccherà alla Francia? Perché toccherà!).
In sostanza il sistema
non si tocca; si possono punire, anche severamente, come in America, chi
la fa grossa, ma poi si finanziano le banche, né si riesce a mettere
una qualche freno (amministrativo, fiscale, legislativo, ecc.) alla
speculazione. Come l’apprendista stregone che non riesce a gestire le
forze che ha scatenato.
Non voglio dire che il sistema è al
collasso, ma è sulla strada; ci vorrà tempo (anche secoli secondo
Ruffolo) e ci vorranno forze, ma si coglie “una condizione di
insoddisfazione diffusa, di generale incertezza e di sfiducia e timore
del futuro”.
La Grecia ha fatto tutto quello che le era stato
richiesto, licenziamenti, diminuzione di stipendi, tagli, ecc. ed è
giunta, di fatto al fallimento (controllato). La speculazione
finanziaria ha aggredito la Grecia, ha tosato la popolazione, ha
scarnificato la società. Il furbo Papandreu ha tentato la mossa
democratica del referendum, è stato redarguito, bastonato ed ha fatto
marcia indietro.
Oggi tocca all’Italia (un po’ alla Spagna, domani
la Francia, nessuno è al riparo. La finanza non ha patria, non ha
terra, non ha sangue), che si appresta (con serietà, si dice) a seguire
le richieste della Banca europea, del Fondo monetario, della Commissione
della UE, cioè di fatto della finanza, per scivolare lentamente in una
versione diversa della Grecia.
Ha senso? Certo che no, ma la questione
è: ha senso una politica keynesiana? Ha senso una più equa distribuzione
dei sacrifici? Ha senso pensare a risposte più “riformiste” e civili
alle indicazione della Banca europea? Ha senso pensare ad operation twist
(di che dimensione dato l’ammontare del debito italiano), proposta da
Bellofiore e Toporowski? senza con tutto questo intaccare il potere e la
capacità operativa della speculazione (che costituisce parte
strutturale del sistema)?
Credo di no, e mi domando: è necessario
continuare ad avere la Borsa che ha perso ogni originale funzione? È
possibile dividere le banche che fanno finanza da quelle della raccolta e
collocamento del risparmio? È possibile avere una banca europea che
operi come una banca nazionale? È possibile avere un governo europeo,
non solo economico ma generale? È possibile tassare le rendite e i
patrimoni? Ecc.
Tutto è possibile ma poche cose sono probabili.
Qual
è l’ottica con la quale un governo di centro-sinistra (che si dice
probabile) deve guardare alla situazione? Certo c’è da ricostruire il
senso della società, come dice Rosy Bindi, c’è da ricostruire un ruolo
internazionale, c’è da rilanciare lo sviluppo (sostenibile, equilibrato,
ambientale, risparmiatore, ecc. lo si qualifichi quanto lo si vuole),
c’è da affrontare il problema del lavoro di giovani, donne, precari,
disoccupati, c’è da occuparsi di scuola, sanità, territorio, ecc. La
domanda è: tutto questo è fattibile insieme al pagamento del debito?
Qualcuno (Amato) parla di una patrimoniale di 300-400 miliardi per
ridurre drasticamente il debito. Bene, ma tutto il resto come lo si fa?
Sacrifici, per piacere no, riforme impopolari per piacere no, e non solo
per collocazione politica ma perché inutili e dannosi per fare tutte le
cose elencate prima.
Penso che bisogna mettere mano al debito.
Il come, dipende da volontà e forza: un concordato con i creditori (via
il 30%); una moratoria di 3-5 anni; differenziato rispetto alle persone
fisiche e alle istituzioni (le banche che hanno in bilancio titoli
tossici potrebbero benissimo tenersi anche i titoli sovrani, con buona
pace del Cancelliere tedesco), ecc. La patrimoniale certo che ci vuole,
ma dovrebbe servire ad avviare tutte le altre cose, così come una
ristrutturazione della spesa pubblica (spese militari, ecc.) potrebbe
liberare risorse. Mentre la lotta all’evasione (mancati introiti per 120
miliardi l’anno) e alla corruzione (60 miliardi l’anno) potrebbero
servire alla diminuzione delle imposte dei lavoratori. Insomma ci
sarebbe tanto da fare, ma bisogna in parte, in toto, o per un certo
numero di anni, liberarsi del debito.
Non dovrebbe essere una
iniziativa europea? Certo, ma in sua mancanza facciamo da soli, non c’è
da salvare una astratta Italia, ma una concreta popolazione di uomini e
donne. Questo è il tema.
Oggi ci avviamo al governo del “grande”
Mario; che si tratti di persona onesta e retta è molto probabile, ma è
il suo pensiero che preoccupa, un pensiero tanto forte quanto
inefficace.
www.sbilanciamoci.info