Dalla Spagna un manifesto sottoscritto da
dirigenti politici, intellettuali e personalità della sinistra dichiara
la necessità della rottura con la gabbia della moneta unica europea. Un
manifesto che per certi aspetti ricalca una discussione che è stata
avviata in Italia da alcuni compagni "coraggiosi" che incontra sempre
più consenso. Queste personalità politiche della sinistra come Julio
Anguita e Manuele Monereo, intellettuali marxisti come Miguel Riera,
Joan Tafalla, Joaquim Miras hanno sottoscritto un manifesto politico
che chiede esplicitamente l'uscita della Spagna dall'euro. Una
dichiarazione di rottura il cui unico limite è la dimensione nazionale
della soluzione, tema sul quale la discussione in Italia è più avanzata.
In Italia ( Vasapollo e Porcaro ad esempio) sostengono la creazione di
una area economica e alternativa che integri i paesi Pigs europei e i
paesi mediterranei sul modello Alba.
Manifesto per il recupero della sovranità economica, monetaria e cittadina
USCIRE DALL’EURO
La drammatica situazione sociale ed economica in cui è sprofondata la
nostra società esige una politica capace di creare le condizioni per
uscire dalla crisi. È una necessità urgente. Il tempo è un dato primario
per i rischi di aggravamento e degradazione che esistono, per l’enorme
sofferenza sociale provocata dal persistere delle politiche di tagli,
austerità e privatizzazione del pubblico.
La rete in cui siamo presi è fatta da un livello di disoccupazione
catastrofico, da un indebitamento del paese con l’estero impossibile da
affrontare e da un’evoluzione dei conti pubblici che porta al fallimento
economico dello Stato. Oltre 6 milioni di disoccupati, oltre 2,3
miliardi di euro di passivo lordi con l’estero, e un debito pubblico di
quasi un miliardo di euro, crescente e che si avvicina al 100% del PIL,
sono dati che definiscono un disastro inimmaginabile, mettono in
pericolo la convivenza e distruggono diritti sociali fondamentali.
Una crisi di questa portata ha cause complesse e multiple, dalla
crisi generale del capitalismo finanziario agli sprechi e alla
corruzione, passando per un sistema fiscale tanto regressivo quanto
ingiustamente applicato, ma, anche a rischio di semplificare l’analisi
per scoprire le soluzioni, bisogna attribuire all’entrata del nostro
paese nella moneta unica la principale ragione di questa desolante
situazione.
Come ora si riconosce, non c’erano le condizioni per stabilire una
moneta unica tra paesi tanto disuguali economicamente senza
accompagnarle con una fiscalità comune. La sua creazione implicava,
d’altra parte, un quadro propizio all’instaurazione di politiche
regressive e antisociali di tutti i tipi secondo i dettami della
dottrina neoliberista, che ha avuto nella costruzione dell’Europa di
Maastricht la sua massima espressione. Come si è valutato a suo tempo,
lo Stato del welfare non è compatibile con l’Europa di Maastricht.
Con l’entrata nell’euro, il nostro paese ha perso uno strumento
essenziale per competere e mantenere un ragionevole equilibrio negli
scambi economici con l’estero, quale era il controllo e la gestione del
tipo di cambio rispetto al resto delle monete. D’altra parte, c’è stata
una cessione di sovranità a favore della BCE in quanto a liquidità e
applicazione della politica monetaria, un’istituzione dominata fin dalle
origini dagli interessi del capitalismo tedesco.
Come non poteva essere diversamente, l’arretratezza e la debolezza
dell’economia spagnola rispetto ad altri paesi e la rigidità assoluta
imposta dall’euro hanno condotto durante gli anni 2000 a un deficit
della bilancia dei pagamenti a causa di una spesa corrente opprimente.
Si sono registrati squilibri insostenibili, come pure è accaduto ad
altri paesi come la Grecia e il Portogallo, catturati nella stessa
trappola. Nei 14 anni trascorsi dalla creazione dell’euro nel 1999 fino
alla fine del 2012, il deficit estero accumulato è stato di quasi 700
mila milioni di euro, che si è dovuto finanziare indebitandosi con
l’estero. Gli enti creditizi e le imprese spagnole hanno chiesto più di
un altro miliardo di euro di risorse per i propri piani d’investimento
all’estero, specie in America Latina.
Fino all’anno 2008, in cui si è manifestata la crisi finanziaria
internazionale, a causa delle agevolazioni straordinarie dei
finanziamenti, il paese ha vissuto un sogno, come drogato, alimentando
la bolla immobiliare e estraneo ai problemi che si erano generati. In
quell’anno, tutto è cambiato radicalmente, i mercati finanziari di sono
chiusi, dai canali non fluiva liquidità e la situazione di ciascun
debitore è stata esaminata con rigore. Con il brusco cambiamento nella
posizione debitoria della nostra economia nei confronti dell’estero, i
passivi lordi sono passati da 540 mila milioni a fine del 1998 a 2,2
miliardi nel 2008, il paese è entrato in fallimento ed è sopravvenuta
una profonda recessione che a tutti gli effetti è ancora vigente.
Il settore pubblico ne ha risentito profondamente da allora,
incorrendo in un deficit esorbitante a causa della drastica caduta delle
entrate, rafforzata dall’esplosione della bolla immobiliare. Lo Stato,
sul quale finiscono per scaricarsi tutte le tensioni delle
amministrazioni pubbliche, ha avuto necessità di centinaia di milioni di
euro, ottenuti con l’emissione di debito pubblico nei mercati interni
ed esterni, di fronte all’impossibilità di finanziare direttamente per
mezzo delle propria autorità monetaria. Alla fine del 2007, il debito
circolante dello Stato era di 307.000 milioni di euro, il 37% del PIL.
Alla fine del 2012 era salito a 688,000 milioni, il 65% del PIL, e
continua ad aumentare in corrispondenza dell’evoluzione deficitaria dei
conti pubblici.
Da quando è stata ammessa la crisi, la politica economica ha
mantenuto alcuni tratti di base inamovibili. La perdita di competitività
dell’economia spagnola è servita come scusa per applicare rigorosamente
le ricette neoliberiste e si è cercato di compensare con il cosiddetto
“aggiustamento interno”, un processo diretto a diminuire i salari e
favorire i licenziamenti per diminuire il prezzo delle merci e dei
servizi spagnoli, dal momento che la via naturale e storica della
svalutazione della moneta è impedita dall’euro. Restrizioni,
controriforme del lavoro e tagli continui marcano la politica degli
ultimi anni. D’altro canto, la cosiddetta austerità si è imposta
brutalmente nella politica fiscale, come esigenza dei poteri economici,
facendo della lotta contro il deficit pubblico il talismano ingannevole
della soluzione alla crisi.
Questa politica ha prodotto una retrocessione sociale molto dolorosa,
ha dato un impulso incontenibile alla crescita della disoccupazione e,
cosa fondamentale, è inutile. Il paese scivola senza freni e precipita
in un baratro profondo. Gli agenti determinanti della crisi continuano
intatti, quando non peggiorano. I passivi esteri non possono diminuire
senza che si registri un eccedente nella bilancia di pagamento, cosa
praticamente irraggiungibile per un’economia abbastanza demolita e
scarsamente competitiva, e il pesante carico di debito pubblico non
smetterà di crescere fino a quando non si diluisca il deficit pubblico,
cosa che lo stesso governo non riesce a scorgere. La sfiducia è
generale.
La società è ad un crocevia.
Come superare il disastro? L’alternativa alla crisi difesa dalla
Troika e apertamente dal PP passa per l’inasprimento dei tagli, per
l’austerità e la distruzione del pubblico. L’economia spagnola, come è
già successo in Grecia e Portogallo, cade nel precipizio e sprofonderà
nell’abisso, con conseguenze sociali drammatiche e rischi politici di
ogni segno.
Il PSOE, compartecipe attivo nell’attuale disegno economico e
sociale, finge ora un disaccordo con il PP e critica la sua politica
suicida, ma continua ad essere legato al criterio che l’euro è
irreversibile.
Le direttive dei sindacati maggioritari, una volta appurato l’errore
di calcolo commesso con il consenso critico a Maastricht, denunciano ora
l’attuale stato di cose, ma non sono in condizione di proporre misure
anticrisi realmente efficaci dal momento che non mettono in discussione
con coerenza l’Europa costruita.
Altre forze, organizzazioni e autori di sinistra criticano l’Europa
attuale e propongono cambiamenti abbastanza utopistici e progetti senza
fondamento, dato il carattere non riformabile dell’Europa sorta,
soprattutto dopo l’ampliamento della zona euro all’Est. Alle carenze
originali della moneta unica si aggiunge il peso che esige la Germania
come paese egemone e la realtà di una scomposizione dell’Europa,
imprigionando alcuni paesi con debiti impagabili. L’imprescindibile e
urgente necessità di rompere i vincoli dei Trattati europei non può
paralizzarsi né nascondersi dietro progetti di altra natura. Per
desiderabile che sia un’altra Europa, per ora non è percorribile,
richiede basi molto diverse su cui fondarsi e la sovranità perduta di
ciascuno Stato.
Il fallimento del progetto di costruzione dell’Europa è
inoccultabile, e non è possibile determinare quando e come rovinerà
l’insostenibile situazione esistente.
A noi firmatari di questo manifesto sembra chiaro che l’Europa di
Maastricht non potrà sopravvivere con la sua attuale configurazione,
dopo i disastri e le sofferenze che ha causato, oltre ad aver svuotato
di contenuto la democrazia ed aver sottratto la sovranità popolare.
Affermiamo pure che il nostro paese non può uscire dalla crisi nel
quadro dell’euro. Senza moneta propria e senza autonomia monetaria è
impossibile far fronte al dramma sociale ed economico, tanto più che
pure la politica fiscale è stata annullata dal Patto di Stabilità,
proditoriamente costituzionalizzato.
È necessaria una moneta propria per competere e una politica
monetaria sovrana per somministrare liquidità al sistema e stimolare una
domanda ragionevole. E questo come prima condizione ineludibile, però
non sufficiente, per poter sviluppare una politica avanzata di controllo
pubblico dei settori strategici dell’economia, di nazionalizzazione
delle banche, di ricostruzione del tessuto industriale e agricolo, di
difesa e potenziamento dei servizi pubblici fondamentali con un potente e
progressivo sistema fiscale, di ammortizzamento delle disuguaglianze e
distribuzione della ricchezza, di ripartizione del lavoro per combattere
la disoccupazione, di deroga delle controriforme del lavoro e delle
pensioni, di rispetto vero verso l’ambiente, ecc…, e di affrontare un
processo costituente che permetta di recuperare e approfondire la
democrazia. Per tutto ciò bisogna lasciare da parte transitoriamente il
deficit pubblico, dimenticarsi di fare proposte impossibili alla BCE e
smetterla di avere nostalgia della Riserva Federale o della Banca
d’Inghilterra quando si può disporre della Banca di Spagna come
istituzione equivalente.
L’ammontare del debito estero è insolvibile. La maggior parte è
debito del settore privato, e tocca a chi l’ha contratto risolvere i
problemi che si presentino, incluso il settore finanziario, molto
compromesso. Perciò rifiutiamo qualsiasi operazione di “riscatto” del
nostro paese e per la stessa ragione consideriamo come debito
completamente illegittimo quello contratto dallo Stato per distribuire
fondi di salvezza per gli enti creditizi che non siano stati
nazionalizzati.
Rispetto al debito pubblico, lo Stato deve fare una profonda
ristrutturazione dello stesso (abbandono, moratoria, conversione in
moneta nazionale) che allevi la pressione schiacciante che subiscono i
conti pubblici. Agendo diversamente, può considerarsi come irrimediabile
il fallimento del Settore pubblico.
Non ci sfuggono i problemi e la complessità dei passi che proponiamo,
tra gli altri limitare la libera circolazione di capitali. E la nostra
analisi non ci impedisce nemmeno di collaborare con azioni, proposte e
mobilitazioni con quella parte della cittadinanza e le sue
organizzazioni che, sotto effetto del bombardamento mediatico cui siamo
sottoposti o per altri motivi, ancora non condivide la nostra opzione di
fronte al crocevia in cui ci troviamo e la necessità di rompere il nodo
gordiano dell’euro. Senza dubbio, di fronte al disastro che ci
coinvolge e di fronte alle cause profonde che lo promuovono ed
acutizzano, non possiamo restare zitti né evasivi. A nostro modo
d’intendere, oggi la società spagnola, che è entrata in una agonia
prolungata e senza speranza, non dispone di altra scelta che uscire
dall’euro per impedire lo sprofondamento definitivo del paese.
Recuperare la sovranità perduta, rendere effettiva la sovranità
popolare, richiede di venire fuori dai capestri che ci paralizzano,
affrontare la dura realtà e dotarsi dei mezzi per tracciare un progetto
di sopravvivenza che, con tutte le difficoltà, può rappresentare anche
una grande opportunità per creare una società sovrana, prospera,
solidale, democratica, ecologicamente responsabile e libera.
Primi firmatari:
Julio Anguita/ Sebastián Martin Recio/ Diosdado Toledano/ Héctor
Illueca/ Salvador López Arnal/ Joaquín Miras/ Juan Rivera/ Miguel Riera/
Andrés Piqueras/ Miguel Candel/ Alberto Herbera/ Isabel de la Cruz/
Rodrigo Vázquez de Prada/ Manuel Muela/ Rosario Segura/ Juan Montero/
Leonel Basso/ Joan Tafalla/ Manuel Monereo/ Antonio Gil/ Manuel Cañada/
Santiago Fernández Vecilla/ Carlos Martínez/ Pedro Montes
PER ADERIRE AL MANIFESTO
http://salirdeleuro.wordpress.com/
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