mercoledì 1 agosto 2012

NO GIANNINO, L'OSCAR IN ECONOMIA NON TE LO DANNO di Paolo Barnard

 
  DI PAOLO BARNARD
paolobarnard.info


Non voglio sembrare arrogante, ma veramente vale la pena spendere pochissime parole per smontare le fandonie e la truffa del programma economico con cui il signor Oscar Giannino e i suoi finanziatori si lanciano in politica. Di economia, nel loro programma, c’è la stessa dose che trovate di succo d’arancia nella Fanta. Forse di meno.

1) Ridurre l'ammontare del debito pubblico.
è possibile scendere rapidamente sotto la soglia simbolica del 100% del PIL anche attraverso alienazioni del patrimonio pubblico, composto sia da immobili non vincolati sia da imprese o quote di esse.

Un debito pubblico di uno Stato a moneta sovrana (Fiat, non convertibile e floating) si traduce nell’attivo di tutto il settore non governativo (famiglie + aziende), al centesimo. Lo Stato spende accreditando conti correnti (di famiglie + aziende) o emettendo titoli che spostano il denaro degli acquirenti (famiglie + aziende + investitori interni ed esterni) da conti bancari a conti di ‘risparmio’ del Ministero del Tesoro presso la Banca Centrale, dove il medesimo denaro guadagna interessi superiori. Ogni singolo centesimo coinvolto nella spesa pubblica a deficit è dunque un attivo dei riceventi di quella spesa, e non un debito. Diminuire il debito pubblico significa solo ridurre l’attivo dei settori non governativi sopraccitati, cioè impoverirli. E’ sbagliato, non ha senso, ed è contrario alla funzione primaria per cui i debiti pubblici sono stati creati. La necessità di ridurre il debito pubblico di uno Stato emerge solo e unicamente in due casi: 1) una falsa e irrazionale credenza ideologica affine a una religione superstiziosa che vede nel debito pubblico un nemico, senza peraltro portare a prova di ciò alcuna realtà di scienza contabile (P. Samuelson), oppure 2) se il debito pubblico dello Stato in questione è stato ridenominato in una moneta che quello Stato non possiede, cioè una moneta ad esso straniera, come è l’Euro per noi. Adottando l’Euro, l’Italia si è posta nelle stesse condizioni di uno Stato del Terzo Mondo che deve onorare un debito denominato in una moneta straniera (Krugman). E’ precisamente l’Euro che ha tramutato il benefico debito pubblico italiano, precedentemente l’attivo di ogni italiano del settore non governativo, in una passività di tutta la popolazione, poiché il nostro Stato deve oggi onorare i propri titoli, ed eseguire la propria spesa pubblica, procacciandosi questa moneta ad esso straniera attraverso la tassazione di tutto il settore non governativo, oppure indebitandosi presso i proprietari dell’Euro, cioè i mercati di capitali privati internazionali che lo ricevono direttamente dal sistema delle Banche Centrali europee.

Se ne deduce che la proposta .1, non risolvendo la radice del problema, aggredisce l’indebitamento italiano dalla parte sbagliata, prendendosela col debito in sé e non con ciò che ha tramutato quel debito benefico in un disastro nazionale, cioè l’Euro. Secondo la proposta .1, finiremmo semplicemente con il problema inalterato, ma anche con un’enorme fetta di ricchezza nazionale alienata. Cioè, colloquialmente parlando, cornuti e mazziati. I proponenti dovrebbero essere tacciati di ignoranza delle realtà degli stati patrimoniali di uno Stato e di macroeconomia monetaria, non fosse per il fatto che sono in assoluta malafede, essendo essi aderenti del liberismo neoagrario e neoclassico che si prefigge come meta la distruzione di tutto ciò che è la funzione di spesa dello Stato a favore del settore non governativo di cittadini e aziende.


2) Ridurre la spesa pubblica di almeno 6 punti percentuali del PIL nell'arco di 5 anni.
La spending review deve costituire il primo passo di un ripensamento complessivo della spesa, a partire dai costi della casta politico-burocratica e dai sussidi alle imprese (inclusi gli organi di informazione). Ripensare in modo organico le grandi voci di spesa, quali sanità e istruzione, introducendo meccanismi competitivi all’interno di quei settori. Riformare il sistema pensionistico per garantire vera equità inter—e intra—generazionale.

3) Ridurre la pressione fiscale complessiva di almeno 5 punti in 5 anni,
dando la priorità alla riduzione delle imposte sul reddito da lavoro e d'impresa. Semplificare il sistema tributario e combattere l'evasione fiscale destinando il gettito alla riduzione delle imposte.

Sei meno cinque fa uno. Se lo Stato riduce la spesa del 6%/PIL e la tassazione del 5%/PIL, significa che ha privato il settore non governativo di una ricchezza pari al 6% /PIL, ma poi gli lascia in tasca un 5%/PIL in minori tasse. Risultato: il settore non governativo è comunque in passivo di 1. Geniale. Aggiungo che esiste una letteratura sterminata che dimostra come i fattori di competizione di mercato in settori come la sanità, l’istruzione e la previdenza sociale siano dei controsensi catastrofici, e dei veri e propri falsi ideologici. E’ impossibile che là dove l’espansione demografica e l’allungamento della vita impongono spese esponenziali, la logica della remunerazione del capitale investito dal privato possa garantire al cittadino servizi all’altezza delle sue esigenze. E’ dimostrato da decenni (Wynne Godley, Bilanci Settoriali) che il settore privato non può mai creare beni finanziari al netto, cosa che solo lo Stato può fare, per cui non può trovare i capitali netti per arricchire alcun servizio sociale senza successivamente sottrargli i medesimi capitali gravati da profitto.


4) Liberalizzare rapidamente i settori ancora non pienamente concorrenziali
quali, a titolo di esempio: trasporti, energia, poste, telecomunicazioni, servizi professionali e banche (inclusi gli assetti proprietari). Privatizzare le imprese pubbliche con modalità e obiettivi pro-concorrenziali nei rispettivi settori. Inserire nella Costituzione il principio della concorrenza come metodo di funzionamento del sistema economico, contro privilegi e monopoli d'ogni sorta. Privatizzare la RAI, abolire canone e tetto pubblicitario, eliminare il duopolio imperfetto su cui il settore si regge favorendo la concorrenza. Affidare i servizi pubblici, incluso quello radiotelevisivo, tramite gara fra imprese concorrenti.

Falso ideologico di livello eccelso. Ogni singola esperienza di liberalizzazione dei mercati al mondo ha portato a gare truccate dove le maggiori Corporations hanno creato mega ‘cartelli’ in finta competizione fra di loro riportando la situazione a una mancanza di concorrenza assai peggiore di prima. I paladini di queste menzogne, dai Montezemolo ai Della Valle ai De Benedetti italiani, predicano le virtù del libero mercato purista, ma razzolano poi mungendo le infrastrutture dello Stato edificate da generazioni di italiani e mungendo i favori dei politici alla Prodi, Amato e D’Alema che gli hanno scandalosamente oliato la strada. E’ accurato sostenere che in un regime di VERO libero mercato purista, questi parassiti schiatterebbero in dieci minuti.


5) Sostenere i livelli di reddito di chi momentaneamente perde il lavoro anziché tutelare il posto di lavoro esistente o le imprese inefficienti.
Tutti i lavoratori, indipendentemente dalla dimensione dell'impresa in cui lavoravano, devono godere di un sussidio di disoccupazione e di strumenti di formazione che permettano e incentivino la ricerca di un nuovo posto di lavoro quando necessario, scoraggiando altresì la cultura della dipendenza dallo Stato. Il pubblico impiego deve essere governato dalle stesse norme che sovrintendono al lavoro privato introducendo maggiore flessibilità sia del rapporto di lavoro che in costanza del rapporto di lavoro.

La quantità di contraddizioni in questo punto è olimpionica. Secondo questi luminari dell’economia, non si deve tutelare l’occupazione esistente, ma tutelare il reddito di chi perderà quei lavori. Sfugge la logica. Non si faceva prima a mantenergli il lavoro? e quindi il reddito, scusate? Poi: tutti i disoccupati devono avere un sussidio, per essere aiutati a trovare un nuovo lavoro “quando necessario”… Eh? Perché, per un disoccupato lavorare è un optional? E poi: “scoraggiando altresì la cultura della dipendenza dallo Stato”. Ma chi lo paga il sussidio? E di nuovo: non era meglio mantenerglielo quel posto di lavoro in prima istanza? Magari offrendogli, invece che un sussidio totalmente improduttivo, un lavoro garantito dalla spesa pubblica, che immediatamente rimette quel lavoratore a produrre e quindi ad aumentare il PIL.


6) Adottare immediatamente una legislazione organica sui conflitti d'interesse.
Imporre effettiva trasparenza e pubblica verificabilità dei redditi, patrimoni e interessi economici di tutti i funzionari pubblici e di tutte le cariche elettive. Instaurare meccanismi premianti per chi denuncia reati di corruzione. Vanno allontanati dalla gestione di enti pubblici e di imprese quotate gli amministratori che hanno subito condanne penali per reati economici o corruttivi.

D’accordo. Allora, licenziare subito Mario Draghi (Gruppo dei 30), e tutto il governo Monti (Goldman Sachs, INVESCO, Generali, Monte dei Paschi, Intesa, ING, Mediobanca ecc. ecc.).


7) Far funzionare la giustizia.
Riformare il codice di procedura e la carriera dei magistrati, con netta distinzione dei percorsi e avanzamento basato sulla performance; no agli avanzamenti di carriera dovuti alla sola anzianità. Introdurre e sviluppare forme di specializzazione che siano in grado di far crescere l'efficienza e la prevedibilità delle decisioni. Difendere l'indipendenza di tutta la magistratura, sia inquirente che giudicante. Assicurare la terzietà dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati. Gestione professionale dei tribunali generalizzando i modelli adottati in alcuni di essi. Assicurare la certezza della pena da scontare in un sistema carcerario umanizzato.

No comment, se non per dire che come sempre non si comprende da quali benefattori privati proverrebbero i fondi per alimentare un’istituzione che è per definizione avversa a qualsiasi logica di profitto.


8) Liberare le potenzialità di crescita, lavoro e creatività dei giovani e delle donne,
oggi in gran parte esclusi dal mercato del lavoro e dagli ambiti più rilevanti del potere economico e politico. Non esiste una singola misura in grado di farci raggiungere questo obiettivo; occorre agire per eliminare il dualismo occupazionale, scoraggiare la discriminazione di età e sesso nel mondo del lavoro, offrire strumenti di assicurazione contro la disoccupazione, facilitare la creazione di nuove imprese, permettere effettiva mobilità meritocratica in ogni settore dell’economia e della società e, finalmente, rifondare il sistema educativo.

L’unico motivo reale per cui giovani e donne sono oggi esclusi dal mercato del lavoro è che le politiche economiche neoliberiste e neoclassiche dei tecnocrati al potere, unitamente alle catastrofiche conseguenze dell’adozione di una moneta straniera per l’Italia (Euro), stanno deflazionando l’economia del nostro Paese come mai nella storia repubblicana, devastando l’occupazione a ritmi inauditi. Punto. Anche qui la letteratura a riprova è sterminata.


9) Ridare alla scuola e all'università il ruolo, perso da tempo, di volani dell'emancipazione socio-economica delle nuove generazioni.
Non si tratta di spendere di meno, occorre anzi trovare le risorse per spendere di più in educazione e ricerca. Però, prima di aggiungere benzina nel motore di una macchina che non funziona, occorre farla funzionare bene. Questo significa spendere meglio e più efficacemente le risorse già disponibili. Vanno pertanto introdotti cambiamenti sistemici: la concorrenza fra istituzioni scolastiche e la selezione meritocratica di docenti e studenti devono trasformarsi nelle linee guida di un rinnovato sistema educativo.Va abolito il valore legale del titolo di studio.

Altro falso ideologico di bassissima lega. Vale qui quanto scritto in risposta al punto 3.


10) Introdurre il vero federalismo con l'attribuzione di ruoli chiari e coerenti ai diversi livelli di governo.
Un federalismo che assicuri ampia autonomia sia di spesa che di entrata agli enti locali rilevanti ma che, al tempo stesso, punisca in modo severo gli amministratori di quegli enti che non mantengono il pareggio di bilancio rendendoli responsabili, di fronte ai propri elettori, delle scelte compiute. Totale trasparenza dei bilanci delle pubbliche amministrazioni e delle società partecipate da enti pubblici con l'obbligo della loro pubblicazione sui rispettivi siti Internet. La stessa "questione meridionale" va affrontata in questo contesto, abbandonando la dannosa e fallimentare politica di sussidi seguita nell'ultimo mezzo secolo.

Esprimere concetti come “Un federalismo che assicuri ampia autonomia sia di spesa che di entrata agli enti locali”, e “ma che, al tempo stesso, punisca in modo severo gli amministratori di quegli enti che non mantengono il pareggio di bilancio”, è l’ennesima prova del fatto che questi luminari ignorano l’abc dei Bilanci Settoriali e non hanno la più pallida idea di cosa sia un pareggio di bilancio. In primo luogo un’amministrazione locale può solo ‘usare’ una moneta, e non emetterla, per cui non possiede per definizione alcuna autonomia di spesa. Poi se è costretta dall’emissore della moneta, lo Stato, a pareggiare i bilanci, cioè a dare a cittadini e aziende 10 e togliere 10, la si mette nelle condizioni di lasciare un sonoro zero nella tasche di tutti. Cioè: zero crescita. E con zero crescita il federalismo è una fesseria.


Conclusione: se quest’accozzaglia di ricette liberiste è economia, allora i messaggi dei Baci Perugina hanno fatto la storia della filosofia italiana.

Paolo Barnard
Fonte: http://paolobarnard.info

Nessun commento: