REPUBBLICA
FONTE: ILRIBELLE.COM
La Repubblica mette ieri nelle pagine interne questa notizia, molto interne, il primo quotidiano on-line d'Italia per numero di accessi e diffusione. Il titolo è emblematico "L'INPS è quasi al collasso", e le parole dello stringato articoletto, ripreso con un copia-incolla da Teleborsa, che la Repubblica inserisce all'interno della sezione "Economia & Finanza - con Bloomberg" sul suo sito, non possono essere fraintese.
Eccole:
L'INPS si
avvicina al collasso, se non ora, potrebbe accadere nel giro di pochi anni,
quando gli attuali lavoratori e futuri pensionati arriveranno a maturare
legittimamente il proprio diritto. Che i giovani siano destinati a non
percepire mai una pensione è cosa risaputa, ma questa volta non si tratta di
un'affermazione pour parler.
Il Patrimonio
dell'INPS, che a fine 2011 vantava ben 41
miliardi di euro di attivo, si porterà a fine 2013 ad appena 15 miliardi, secondo i dati forniti dal
Consiglio di Indirizzo e Vigilanza.
Una
situazione che riflette principalmente due eventi: la fusione INPS-Inpdap
avvenuta nel 2012; i mancati pagamenti dei contributi in ambito pubblico.
Insomma, i dati certificano che quel matrimonio non si doveva proprio fare... (
qui la pagina originale)
Il primo,
motivo principale di questo calo del patrimonio, è relativo alla fusione
recente di Inpdap e Inps, cioè il fatto che il sistema pensionistico del
settore pubblico sia stato fatto confluire all'interno di quello del settore
privato (operazione datata appunto 2012). La fusione di questi due enti era stata
prevista trionfalmente, comunicando che, per via dei tagli alle spese che tale
operazione avrebbe comportato si sarebbero risparmiate alcune centinaia di
milioni di euro. Cosa puntualmente ancora non verificata, visto che sia la
prevista gestione unica degli immobili dei due enti sia la razionalizzazione
del personale è ancora di là dal venire.
Nel
frattempo, però, questo matrimonio ha portato in dote al sistema pensionistico
del settore privato oltre 10 miliardi di rosso, contribuendo ad affossare ancora
di più le riserve originarie dell'Inps conteggiate a fine 2011.
Lo Stato
moroso
Il secondo dato allarmante contiene una riflessione interessante, visto che, come si dice, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si prende. Dunque, il grande buco dell'Inpdap - che, ribadiamo, era l'ente pensionistico dei dipendenti del settore pubblico - dipende direttamente da un elemento chiave: le pubbliche amministrazioni, da tempo e in modo diffuso, non stanno pagando del tutto i contributi pensionistici dovuti dei propri dipendenti. Si tratta di una somma stimata in circa 30 miliardi, che grava ovviamente sul bilancio già fortemente compromesso dello Stato ma che, attenzione, non è ancora stato messo agli atti, visto che proprio mediante la fusione con l'Inps è stato, per il momento, occultato.
Ora, già il
fatto che le amministrazioni pubbliche non stiano versando tutti i contributi
dei dipendenti, cioè che lo Stato sia moroso verso se stesso e i suoi
dipendenti, è cosa che dovrebbe chiarire da sola la situazione generale. Ma che
ora - ed eccoci alla riflessione poco ortodossa accennata poc'anzi - vi sia
stata questa misura di accorpamento tra Inpdap e Inps fa venire più di qualche
dubbio. È come se - meglio: è - lo Stato avesse scelto di prendere un proprio
ente in forte deficit (nel quale da una parte doveva far confluire alcune
proprie spese, cioè i contributi dei dipendenti, e dall'altra far uscire altre
spese, cioè l'erogazione delle pensioni) e lo avesse inserito, come un cavallo
di troia malefico, nell'altro ente (l'Inps) in cui sono i privati a far
confluire i propri contributi per unire il tutto in un calderone, prossimo al
collasso, sul quale far gravare un fallimento complessivo. Tra un po', in altre
parole, siccome l'Inps, con il patrimonio così drasticamente intaccato e con i
conti tendenziali in rosso, non potrà più erogare le pensioni, si prenderà atto
della cosa dimenticandosi che buona parte di questo scenario catastrofico
dipende proprio dai mancati versamenti del settore pubblico.
Al di là della
definizione utilizzata, "pour parler", che lasciamo commentare ai
lettori, nell'articoletto si legge senza mezzi termini che il fatto che "giovani
siano destinati a non percepire mai una pensione è cosa risaputa".
Risaputa da chi non è dato conoscere, visto che se veramente così fosse allora
forse si vedrebbero davvero rivoluzioni di piazza. Ma ben oltre i meri dati,
che avevamo dato giorni addietro qui sul Ribelle e che ci sono costati su vari
siti, mediante i commenti, l'appellativo di "terroristi dell'informazione", il dato che
emerge da questa operazione, cioè il posizionamento molto interno e nascosto di
una notizia del genere, conferma, ove ce ne fosse bisogno, l'assoluta
inadeguatezza, incapacità e connivenza dei media di massa.
In altre
parole, un tema enorme come questo, secondo la Repubblica, non merita la prima
pagina. Almeno non ora, quando cioè ci sarebbe bisogno di parlarne e di
prendere misure d'urgenza. Magari più in là, a bubbone esploso, ci si faranno
paginate di indignazione e raccolte di firme. Ma per ora, a livello
informativo, divulgativo ed esplicativo, così come dovrebbe essere, il nulla di
nulla.
Eppure il
fatto che la cosa sia stata pubblicata anche sull'autorevole quotidiano
nazionale dimostra almeno due cose, se non tre. La prima è che la notizia è
certa. La seconda è che a questo punto è chiaro che sono molto più autorevoli i
siti indipendenti rispetto a quelli che "dipendono" dalla politica e
dalla finanza. La terza, purtroppo, è che sperare di vedere prendere coscienza
del reale stato di crollo del nostro Stato da parte dell'opinione pubblica che
si informa su tali media è una illusione che almeno qui non possiamo
minimamente coltivare. Con tutto quello che ne consegue.
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