Alcuni
mesi fa la trasmissione televisiva In onda ha dedicato una serata [1]
alla reintegrazione da parte della Magistratura di 19 operai FIOM nello
stabilimento FIAT di Pomigliano D'Arco, una reintegrazione a cui il
democratico Amministratore Delegato di FIAT, Sergio Marchionne, aveva
risposto licenziandone altri 19 per rappresaglia. La trasmissione aveva
richiamato nella piazza di Pomigliano i lavoratori favorevoli e quelli
non favorevoli all'accordo che la FIAT aveva imposto allo stabilimento
nel 2010. In studio era presente Mario Sechi, direttore del quotidiano
il Tempo, poi candidato montiano trombato, per sostenere le ragioni di
Marchionne e dei favorevoli, mentre Dario Fo, in collegamento,
sosteneva le ragioni della FIOM e dei contrari. In piazza, a
fianco dei favorevoli era schierato il sindaco di Pomigliano e a fianco
dei contrari era schierato il prete di Pomigliano. In studio il
conduttore di destra Nicola Porro – dipendente de Il Giornale -
sosteneva i favorevoli, mentre il conduttore “di sinistra” Luca Telese -
già dipendente, anch'egli, de Il Giornale - sosteneva i contrari. Una
simmetria apparentemente perfetta e “politically correct”. Ma quello
che è andato in scena non è stato il semplice scontro tra due diverse
visioni delle questioni sindacali; quello che è andato in scena è stato
lo scontro tra le ragioni dell'Uomo e le ragioni della Tecnica, per
usare una terminologia galimbertiana.
Da una parte, i bisogni e le richieste dei lavoratori ingiustamente
licenziati e il richiamo di uno dei principali santoni della sinistra
italiana al padrone “troppo poco umano” e “poco riconoscente”;
dall'altra, la brutale “oggettività” delle “leggi tecniche” del mercato
ed in particolare della prima tra tutte queste leggi: la legge del
profitto
Umberto Galimberti afferma che con le categorie dell'umanesimo il nostro tempo non lo capiamo [2] e che tra Uomo e Tecnica è quest'ultima a vincere in quanto la Tecnica – e specialmente la tecnica dell'economia e della finanza -, che un tempo era al servizio dell'Uomo, adesso lo ha asservito e ne ha fatto un proprio funzionario. L'Uomo non è più il Soggetto della Storia; la Tecnica lo ha sostituito. Ed allora, secondo Galimberti, anche la lotta di classe è finita dal momento che l’Uomo è ormai sottomesso alla Tecnica e la Tecnica è neutra [3] dal momento che si limita a selezionare ciò che è funzionale alla sua pura logica di riproduzione.
Ma quello che Galimberti chiama il “nostro tempo” non è in realtà un “tempo”, bensì un modo di produzione: è il modo di produzione capitalistico ovvero il modo di produzione in cui vigono le leggi del capitale. La Tecnica di cui parla Galimberti diventa allora la “tecnica del capitale”, il sistema di leggi su cui è basato il funzionamento del modo di produzione capitalistico. E dunque la Tecnica non solo non è neutra (come non lo è la scienza) ma è, al contrario, “situata”, “collocata”, “di classe”... è tecnica (della riproduzione) del capitale [4], tecnica della realizzazione del massimo profitto attraverso lo sfruttamento più vantaggioso del lavoro salariato e pseudo-autonomo.Ed allora è proprio questa Tecnica, questo modo di funzionare della società capitalistica, questo modo di produrre e riprodurre la vita stessa che, favorendo la redistribuzione di ricchezza dal lavoro verso il capitale, ci offre la chiave di comprensione del presente. Perché una cosa, almeno, non si può negare: non è cieca, la Tecnica.
Collocarsi oggi, in concreto, contro la supremazia della Tecnica deve dunque significare collocarsi contro la supremazia del capitale. Ed allora la lotta di classe non finisce - come infatti ci ricorda Warren Buffet [5] - anche se oggi una classe agisce mentre le altre classi subiscono, imbambolate dalla retorica sulla fine delle “ideologie” che ha permesso la sopravvivenza di un'unica ideologia: l'ideologia del profitto e del denaro.Il fatto è che l'ideologia dominante - ovvero la narrazione della classe dominante - tende a rappresentare il mondo che esiste come la naturale, inevitabile e insuperabile evoluzione del mondo pregresso. In verità, tutte le classi dominanti hanno sempre proclamato la società che dirigevano come l'“ultima” società della Storia ed hanno preteso di affermare le leggi di questa società come le più consone alla “vera natura” dell'Uomo.
Non stupisce, dunque, che nasca proprio agli albori del capitalismo moderno, nel 1600, l'antropologia di Thomas Hobbes secondo il quale la condizione naturale degli uomini sarebbe quella della guerra di tutti contro tutti (“bellum omnium contra omnes” [6]). Ma questa visione metafisica, che suggerisce una “vera natura dell'uomo” de-contestualizzata storicamente e socialmente, non è affatto una condizione naturale degli uomini; è, al contrario, la condizione innaturale a cui molti di essi vengono spinti per poterli meglio soggiogare: divide et impera. Da questa condizione innaturale possiamo e vogliamo uscire, sapendo che il processo della liberazione culturale è inscindibile dal processo della liberazione sociale e che non riusciremo a levarci di dosso i sedimenti del mondo in cui viviamo senza riuscire a schiudere la strada verso il mondo in cui vogliamo vivere.Le leggi dell'economia capitalistica sono un vincolo dal quale è impossibile prescindere fintanto che viviamo in una società capitalistica; sono un vincolo che si applica tanto al lavoratore che le subisce quanto al capitalista che ne usufruisce. Ma è appunto la diversa ricaduta di tali leggi che dimostra la loro non neutralità. Come può, infatti, essere “neutrale” una legge che permette ad alcuni di curarsi, istruirsi, divertirsi mentre costringe miliardi di altri a morire letteralmente di fame, guerre, malattie?
Umberto Galimberti afferma che con le categorie dell'umanesimo il nostro tempo non lo capiamo [2] e che tra Uomo e Tecnica è quest'ultima a vincere in quanto la Tecnica – e specialmente la tecnica dell'economia e della finanza -, che un tempo era al servizio dell'Uomo, adesso lo ha asservito e ne ha fatto un proprio funzionario. L'Uomo non è più il Soggetto della Storia; la Tecnica lo ha sostituito. Ed allora, secondo Galimberti, anche la lotta di classe è finita dal momento che l’Uomo è ormai sottomesso alla Tecnica e la Tecnica è neutra [3] dal momento che si limita a selezionare ciò che è funzionale alla sua pura logica di riproduzione.
Ma quello che Galimberti chiama il “nostro tempo” non è in realtà un “tempo”, bensì un modo di produzione: è il modo di produzione capitalistico ovvero il modo di produzione in cui vigono le leggi del capitale. La Tecnica di cui parla Galimberti diventa allora la “tecnica del capitale”, il sistema di leggi su cui è basato il funzionamento del modo di produzione capitalistico. E dunque la Tecnica non solo non è neutra (come non lo è la scienza) ma è, al contrario, “situata”, “collocata”, “di classe”... è tecnica (della riproduzione) del capitale [4], tecnica della realizzazione del massimo profitto attraverso lo sfruttamento più vantaggioso del lavoro salariato e pseudo-autonomo.Ed allora è proprio questa Tecnica, questo modo di funzionare della società capitalistica, questo modo di produrre e riprodurre la vita stessa che, favorendo la redistribuzione di ricchezza dal lavoro verso il capitale, ci offre la chiave di comprensione del presente. Perché una cosa, almeno, non si può negare: non è cieca, la Tecnica.
Collocarsi oggi, in concreto, contro la supremazia della Tecnica deve dunque significare collocarsi contro la supremazia del capitale. Ed allora la lotta di classe non finisce - come infatti ci ricorda Warren Buffet [5] - anche se oggi una classe agisce mentre le altre classi subiscono, imbambolate dalla retorica sulla fine delle “ideologie” che ha permesso la sopravvivenza di un'unica ideologia: l'ideologia del profitto e del denaro.Il fatto è che l'ideologia dominante - ovvero la narrazione della classe dominante - tende a rappresentare il mondo che esiste come la naturale, inevitabile e insuperabile evoluzione del mondo pregresso. In verità, tutte le classi dominanti hanno sempre proclamato la società che dirigevano come l'“ultima” società della Storia ed hanno preteso di affermare le leggi di questa società come le più consone alla “vera natura” dell'Uomo.
Non stupisce, dunque, che nasca proprio agli albori del capitalismo moderno, nel 1600, l'antropologia di Thomas Hobbes secondo il quale la condizione naturale degli uomini sarebbe quella della guerra di tutti contro tutti (“bellum omnium contra omnes” [6]). Ma questa visione metafisica, che suggerisce una “vera natura dell'uomo” de-contestualizzata storicamente e socialmente, non è affatto una condizione naturale degli uomini; è, al contrario, la condizione innaturale a cui molti di essi vengono spinti per poterli meglio soggiogare: divide et impera. Da questa condizione innaturale possiamo e vogliamo uscire, sapendo che il processo della liberazione culturale è inscindibile dal processo della liberazione sociale e che non riusciremo a levarci di dosso i sedimenti del mondo in cui viviamo senza riuscire a schiudere la strada verso il mondo in cui vogliamo vivere.Le leggi dell'economia capitalistica sono un vincolo dal quale è impossibile prescindere fintanto che viviamo in una società capitalistica; sono un vincolo che si applica tanto al lavoratore che le subisce quanto al capitalista che ne usufruisce. Ma è appunto la diversa ricaduta di tali leggi che dimostra la loro non neutralità. Come può, infatti, essere “neutrale” una legge che permette ad alcuni di curarsi, istruirsi, divertirsi mentre costringe miliardi di altri a morire letteralmente di fame, guerre, malattie?
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