Oscar Monaco, resp. Lavoro segreteriia provinciale Prc Perugia –
Compagne e compagni, la fase che attraversiamo ci richiede uno sforzo
straordinario, di elaborazione, di mobilitazione e di tensione unitaria;
siamo nell’occhio del ciclone del più violento uragano di repressione
reazionaria che si sia mai prodotto nei confronti del movimento operaio e delle sue organizzazioni dal dopoguerra.
In Spagna recentemente il governo ha definitivamente eliminato ciò che rimaneva del contratto “regionale” (nel paese iberico infatti non è mai esistito il contratto nazionale), riducendo la contrattazione a pura forma aziendale, mentre in Inghilterra il premier tenta l’affondo sul diritto di sciopero, alludendo esplicitamente al modello americano, dove lo sciopero può essere deciso per singola azienda o stabilimento solo con il voto della maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori, estremo tentativo di ridurre ulteriormente il ruolo delle già provate Unions, negando appunto il ruolo storico del sindacato, quello di tutela e di scudo rispetto ai lavoratori che singolarmente sarebbero esposti e ricattabili. Nel mentre in Francia ad essere sotto attacco sono i pensionati, che quest’anno non hanno visto il pur misero adeguamento delle loro pensioni al tasso di inflazione, aggiungendo al danno la beffa di vedersi però aumentare le aliquote della tassazione diretta sulle persone fisiche: di poche settimane fa è la straordinaria mobilitazione messa in campo dai sindacati e dai partiti della sinistra in tutte le principali città d’oltralpe, ovviamente ignorata dai media di casa nostra. In Grecia ormai si parla di “generazione 300 euro” e i tagli dei salari hanno smesso da tempo di essere un pericolo incombente, per diventare una realtà consolidata, che cominciò se ben ricordate, tre anni fa col taglio del 30% dei salari dei dipendenti del settore pubblico. La Germania, la locomotiva d’Europa, a discapito di quanto ci raccontino tv e giornali supini al pensiero unico e ai suoi camerieri di governo, i salari reali sono al palo da oltre dieci anni e proprio in questi giorni la IG Metall, il più grande sindacato di categoria del paese (equivalente alla nostra FIOM) rimette a tema l’aumento del salario orario e la qualità del lavoro, dopo anni di sperimentazione dei cosiddetti mini job (che hanno solo prodotto una grande ondata di precarietà con relativi costi per lo stato sociale e trascinamento verso il basso dei livelli salariali medi).
Il quadro Italiano non è anomalo, come diciamo spesso, né dal punto di vista delle tutele (in varie forme le garanzie che sancisce lo Statuto dei lavoratori esistono in tutta Europa), ma nemmeno dal punto di vista dell’attacco feroce a queste tutele. Da questo punto di vista urge una duplice riflessione: innanzitutto bisogna prendere atto che il processo di ristrutturazione non è globale, ma investe i paesi di vecchia industrializzazione, mentre i paesi cosiddetti emergenti, a partire dai BRICS, vedono le loro economie in costante crescita, crescita fondata su elementi solidi di programmazione economica e dove prevale l’elemento pubblico; in secondo luogo occorre assumere che dopo 7 anni non è più sufficiente parlare di crisi, ormai siamo completamente immersi negli esiti della controrivoluzione neoliberista: quella che solo pochi anni fa definivamo “crisi costituente” si è costituita come modello sociale. Un esempio su tutti è la straordinaria unità del fronte padronale, mai così compatto e mai così soddisfatto delle politiche del governo. Il combinato disposto delle riforme del lavoro, fino al Jobs Act e delle riforme istituzionali, da un profilo netto ad un lungo processo di transizione che vede nell’espulsione generalizzata della democrazia, dai luoghi di lavoro e dalla assemblee elettive, il suo asse centrale. “The overload of democracy”, il sovraccarico di democrazia, che Huttington, Watanuki e Crozier denuncavano nel rapporto alla commissione trilaterale del 1975, come male delle società occidentali è stato fatto proprio da tutti i governi del vecchio continente, di centrodestra, di centrosinistra o di grande coalizione. Ormai non si tratta più di risposte sbagliate a problemi reali, ma di una scelta lucida di abbassare i salari stravolgendo l’impianto legislativo frutto del compromesso socialdemocratico: questo e non altro sta dietro l’eliminazione definitiva dell’articolo 18, architrave della legge 300: l’eliminazione della reintegra non è come qualcuno sostiene una semplice retrocessione sul piano del diritto del lavoro, ma la lesione di uno dei principi millenari del diritto, quello della restituzione del maltolto.
Mentre parliamo di telecontrollo come una pericolosa ingerenza nella libertà delle lavoratrici ed i lavoratori è di questi giorni la notizia, grottesca, dei lavoratori di un autogrill sulla Bologna-Taranto costretti a indossare una particolare cintura elettrica dotata di gps in grado di segnalare pause superiori ai 90 secondi. Ovviamente, ha prontamente risposto l’azienda, era una misura a garanzia della sicurezza e l’incolumità. Agghiacciante. Il demansionamento è la ciliegina sulla torta, che sembra fatta quasi apposta per sbugiardare chi ha creduto, anche solo per pochi istanti, alla favoletta del contratto a tutele crescenti. Ma sappiamo tutti che l’attacco al contratto nazionale parte ben prima, con l’articolo 8 dell’ultima finanziaria del governo Berlusconi che manda in deroga i contratti nazionali. E mentre Renzi afferma che l’Italia non cresce perché non c’è libertà di licenziare, ironia della sorte, nel giro di pochi giorni solo in provincia di Perugia, tra Liomatic, Margaritelli, FBM di Marsciano e Colussi sono stati annunciati 450 licenziamenti, e oltre 600 sono i lavoratori della Merloni ormai senza ammortizzatori sociali. La situazione è catastrofica se si guarda all’Umbria nel suo complesso.
Per quanto riguarda la legge finanziaria Renzi continua ad attaccare il lavoro, lo stato sociale e i diritti in favore delle rendite, dei patrimoni e delle speculazioni finanziarie. I provvedimenti finanziari proposti dal governo sotto la dettatura degli interessi dell’Europa neoliberista scaricano i costi della crisi sulle fasce più deboli della società, a partire dai lavoratori e dai pensionati al minimo. Siamo in assenza di qualsiasi provvedimento contro l’evasione fiscale e di tassazione sui grandi patrimoni. Le ricette sono sempre le stesse: oltre ai tagli allo stato sociale, alla sanità, ai servizi pubblici, ai trasporti pubblici, l’obiettivo del governo resta quello di svuotare le casse di Comuni e Regioni, privatizzare per gli interessi degli amici di turno, e attaccare salari e diritti. Infatti tra le tante voci di tagli a cui il paese andrà ancora incontro c’è quello che spicca su tutti: il taglio di 4 miliardi di euro alle Regioni.
Ma prendere atto dell’esistente non è sufficiente, occorre reagire. Se è vero che una percorso di transizione va esaurendosi e che stiamo entrando nel vivo della società neoliberista, in cui il darwinismo sociale sostituisce il contratto sociale, le organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori non possono permettersi il lusso dell’attesa o il privilegio di ridursi a meri emendatari della barbarie.
La manifestazione della CGIL di sabato può essere un importante punto di partenza per la ripresa della mobilitazione nel nostro Paese, una mobilitazione che deve puntare ad estendere i diritti a tutte e a tutti, perché se qualcuno oggi può permettersi la sfrontatezza di dividere i lavoratori è perché non tutti i lavoratori hanno gli stessi diritti. Ora, noi sappiamo che l’unico modo per non essere schiacciati nella guerra orizzontale tra penultimi e ultimi è di produrre una straordinaria lotta affinché tutte e tutti si possa godere dei medesimi diritti. Maurizio Landini ha detto che, se il governo andrà avanti sulla sua strada, la FIOM non escluderà forme di lotta dure e decise, come l’occupazione delle fabbriche, mentre Susanna Camusso ha di fatto messo in agenda lo sciopero generale. Dal 25 ottobre può partire una grande stagione di mobilitazioni che abbia al centro il lavoro e che sappia parlare anche di diritti e di pace, di stato sociale e di cultura e ricerca, per estenderli a tutte e tutti. Quando Renzi attacca i sindacati attacca in particolare il modello del sindacato confederale, non certo il sindacato dei servizi interpretato da cisl e uil, ma soprattutto quando sfida la CGIL sui numeri non lancia un affronto ad un gruppo dirigente o ad una sigla, sfida le lavoratrici e i lavoratori, sfida tutti noi.
Dov’eravamo quando si manomettevano i diritti dei lavoratori? Eravamo in piazza! Quindi compagne e compagni l’invito che vi rivolgo è a usare questi ultimi giorni per collaborare a riempire i pullman messi a disposizione dal sindacato, contattare chiunque per fare di quello di sabato un grande appuntamento di popolo. Nel rispetto dell’autonomia e del ruolo del sindacato, le comuniste e i comunisti saranno convintamente al fianco della CGIL, perché solo dalla lotta e dal protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori il nostro Paese può veramente invertire la rotta.
In Spagna recentemente il governo ha definitivamente eliminato ciò che rimaneva del contratto “regionale” (nel paese iberico infatti non è mai esistito il contratto nazionale), riducendo la contrattazione a pura forma aziendale, mentre in Inghilterra il premier tenta l’affondo sul diritto di sciopero, alludendo esplicitamente al modello americano, dove lo sciopero può essere deciso per singola azienda o stabilimento solo con il voto della maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori, estremo tentativo di ridurre ulteriormente il ruolo delle già provate Unions, negando appunto il ruolo storico del sindacato, quello di tutela e di scudo rispetto ai lavoratori che singolarmente sarebbero esposti e ricattabili. Nel mentre in Francia ad essere sotto attacco sono i pensionati, che quest’anno non hanno visto il pur misero adeguamento delle loro pensioni al tasso di inflazione, aggiungendo al danno la beffa di vedersi però aumentare le aliquote della tassazione diretta sulle persone fisiche: di poche settimane fa è la straordinaria mobilitazione messa in campo dai sindacati e dai partiti della sinistra in tutte le principali città d’oltralpe, ovviamente ignorata dai media di casa nostra. In Grecia ormai si parla di “generazione 300 euro” e i tagli dei salari hanno smesso da tempo di essere un pericolo incombente, per diventare una realtà consolidata, che cominciò se ben ricordate, tre anni fa col taglio del 30% dei salari dei dipendenti del settore pubblico. La Germania, la locomotiva d’Europa, a discapito di quanto ci raccontino tv e giornali supini al pensiero unico e ai suoi camerieri di governo, i salari reali sono al palo da oltre dieci anni e proprio in questi giorni la IG Metall, il più grande sindacato di categoria del paese (equivalente alla nostra FIOM) rimette a tema l’aumento del salario orario e la qualità del lavoro, dopo anni di sperimentazione dei cosiddetti mini job (che hanno solo prodotto una grande ondata di precarietà con relativi costi per lo stato sociale e trascinamento verso il basso dei livelli salariali medi).
Il quadro Italiano non è anomalo, come diciamo spesso, né dal punto di vista delle tutele (in varie forme le garanzie che sancisce lo Statuto dei lavoratori esistono in tutta Europa), ma nemmeno dal punto di vista dell’attacco feroce a queste tutele. Da questo punto di vista urge una duplice riflessione: innanzitutto bisogna prendere atto che il processo di ristrutturazione non è globale, ma investe i paesi di vecchia industrializzazione, mentre i paesi cosiddetti emergenti, a partire dai BRICS, vedono le loro economie in costante crescita, crescita fondata su elementi solidi di programmazione economica e dove prevale l’elemento pubblico; in secondo luogo occorre assumere che dopo 7 anni non è più sufficiente parlare di crisi, ormai siamo completamente immersi negli esiti della controrivoluzione neoliberista: quella che solo pochi anni fa definivamo “crisi costituente” si è costituita come modello sociale. Un esempio su tutti è la straordinaria unità del fronte padronale, mai così compatto e mai così soddisfatto delle politiche del governo. Il combinato disposto delle riforme del lavoro, fino al Jobs Act e delle riforme istituzionali, da un profilo netto ad un lungo processo di transizione che vede nell’espulsione generalizzata della democrazia, dai luoghi di lavoro e dalla assemblee elettive, il suo asse centrale. “The overload of democracy”, il sovraccarico di democrazia, che Huttington, Watanuki e Crozier denuncavano nel rapporto alla commissione trilaterale del 1975, come male delle società occidentali è stato fatto proprio da tutti i governi del vecchio continente, di centrodestra, di centrosinistra o di grande coalizione. Ormai non si tratta più di risposte sbagliate a problemi reali, ma di una scelta lucida di abbassare i salari stravolgendo l’impianto legislativo frutto del compromesso socialdemocratico: questo e non altro sta dietro l’eliminazione definitiva dell’articolo 18, architrave della legge 300: l’eliminazione della reintegra non è come qualcuno sostiene una semplice retrocessione sul piano del diritto del lavoro, ma la lesione di uno dei principi millenari del diritto, quello della restituzione del maltolto.
Mentre parliamo di telecontrollo come una pericolosa ingerenza nella libertà delle lavoratrici ed i lavoratori è di questi giorni la notizia, grottesca, dei lavoratori di un autogrill sulla Bologna-Taranto costretti a indossare una particolare cintura elettrica dotata di gps in grado di segnalare pause superiori ai 90 secondi. Ovviamente, ha prontamente risposto l’azienda, era una misura a garanzia della sicurezza e l’incolumità. Agghiacciante. Il demansionamento è la ciliegina sulla torta, che sembra fatta quasi apposta per sbugiardare chi ha creduto, anche solo per pochi istanti, alla favoletta del contratto a tutele crescenti. Ma sappiamo tutti che l’attacco al contratto nazionale parte ben prima, con l’articolo 8 dell’ultima finanziaria del governo Berlusconi che manda in deroga i contratti nazionali. E mentre Renzi afferma che l’Italia non cresce perché non c’è libertà di licenziare, ironia della sorte, nel giro di pochi giorni solo in provincia di Perugia, tra Liomatic, Margaritelli, FBM di Marsciano e Colussi sono stati annunciati 450 licenziamenti, e oltre 600 sono i lavoratori della Merloni ormai senza ammortizzatori sociali. La situazione è catastrofica se si guarda all’Umbria nel suo complesso.
Per quanto riguarda la legge finanziaria Renzi continua ad attaccare il lavoro, lo stato sociale e i diritti in favore delle rendite, dei patrimoni e delle speculazioni finanziarie. I provvedimenti finanziari proposti dal governo sotto la dettatura degli interessi dell’Europa neoliberista scaricano i costi della crisi sulle fasce più deboli della società, a partire dai lavoratori e dai pensionati al minimo. Siamo in assenza di qualsiasi provvedimento contro l’evasione fiscale e di tassazione sui grandi patrimoni. Le ricette sono sempre le stesse: oltre ai tagli allo stato sociale, alla sanità, ai servizi pubblici, ai trasporti pubblici, l’obiettivo del governo resta quello di svuotare le casse di Comuni e Regioni, privatizzare per gli interessi degli amici di turno, e attaccare salari e diritti. Infatti tra le tante voci di tagli a cui il paese andrà ancora incontro c’è quello che spicca su tutti: il taglio di 4 miliardi di euro alle Regioni.
Ma prendere atto dell’esistente non è sufficiente, occorre reagire. Se è vero che una percorso di transizione va esaurendosi e che stiamo entrando nel vivo della società neoliberista, in cui il darwinismo sociale sostituisce il contratto sociale, le organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori non possono permettersi il lusso dell’attesa o il privilegio di ridursi a meri emendatari della barbarie.
La manifestazione della CGIL di sabato può essere un importante punto di partenza per la ripresa della mobilitazione nel nostro Paese, una mobilitazione che deve puntare ad estendere i diritti a tutte e a tutti, perché se qualcuno oggi può permettersi la sfrontatezza di dividere i lavoratori è perché non tutti i lavoratori hanno gli stessi diritti. Ora, noi sappiamo che l’unico modo per non essere schiacciati nella guerra orizzontale tra penultimi e ultimi è di produrre una straordinaria lotta affinché tutte e tutti si possa godere dei medesimi diritti. Maurizio Landini ha detto che, se il governo andrà avanti sulla sua strada, la FIOM non escluderà forme di lotta dure e decise, come l’occupazione delle fabbriche, mentre Susanna Camusso ha di fatto messo in agenda lo sciopero generale. Dal 25 ottobre può partire una grande stagione di mobilitazioni che abbia al centro il lavoro e che sappia parlare anche di diritti e di pace, di stato sociale e di cultura e ricerca, per estenderli a tutte e tutti. Quando Renzi attacca i sindacati attacca in particolare il modello del sindacato confederale, non certo il sindacato dei servizi interpretato da cisl e uil, ma soprattutto quando sfida la CGIL sui numeri non lancia un affronto ad un gruppo dirigente o ad una sigla, sfida le lavoratrici e i lavoratori, sfida tutti noi.
Dov’eravamo quando si manomettevano i diritti dei lavoratori? Eravamo in piazza! Quindi compagne e compagni l’invito che vi rivolgo è a usare questi ultimi giorni per collaborare a riempire i pullman messi a disposizione dal sindacato, contattare chiunque per fare di quello di sabato un grande appuntamento di popolo. Nel rispetto dell’autonomia e del ruolo del sindacato, le comuniste e i comunisti saranno convintamente al fianco della CGIL, perché solo dalla lotta e dal protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori il nostro Paese può veramente invertire la rotta.
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