Una lettera anonima fatta
arrivare a uno dei sostituti procuratori che si occupano dell'inchiesta sulla
trattativa. Nella missiva, ricostruzioni considerate affidabili e accuse:
"Un carabiniere rubò l'agenda rossa di Borsellino". Il
"protocollo fantasma" afferma anche che fu nascosto l'archivio del
covo di Riina. Ora la Procura vuole indagare di ATTILIO BOLZONI e SALVO PALAZZOLO, La Repubblica
PALERMO - È una
lettera anonima quella che sta aprendo un nuovo fronte d'indagine sulla
trattativa fra Stato e mafia. Avverte i magistrati di Palermo che sono spiati,
indica dove trovare altre prove del patto, fa i nomi di vecchi uomini politici
che potrebbero sapere molto. E denuncia che l'agenda rossa di Borsellino è
stata rubata "da un carabiniere".
L'inchiesta giudiziaria più tormentata di questi mesi si sta ancora rimescolando e rovista adesso in quelle che l'anonimo definisce "catacombe di Stato". Le ultime inedite indicazioni sono in uno scritto che gli investigatori valutano come "attendibile", studiato e steso da qualcuno estremamente informato, uno "dal di dentro" sospettano i pubblici ministeri di Palermo che hanno ordinato accertamenti su tutti i punti segnalati dall'anonimo. Lui, definisce la sua lettera "un esposto". L'ha spedita il 18 settembre scorso a casa di Nino Di Matteo, uno dei sostituti procuratori che insieme ad Antonio Ingroia hanno cominciato l'indagine sulla trattativa.
Sono dodici pagine con lo stemma della Repubblica italiana sul frontespizio. L'autore, alla sua lunga lettera ha attribuito - come nei documenti ufficiali - una sorta di numero di fascicolo. È in codice: "Protocollo fantasma".
Se sia tutto vero ciò che scrive o al contrario un tentativo di depistaggio si scoprirà presto, di sicuro al momento i funzionari della Dia di Palermo e quelli di Roma stanno raccogliendo riscontri intorno ai
L'inchiesta giudiziaria più tormentata di questi mesi si sta ancora rimescolando e rovista adesso in quelle che l'anonimo definisce "catacombe di Stato". Le ultime inedite indicazioni sono in uno scritto che gli investigatori valutano come "attendibile", studiato e steso da qualcuno estremamente informato, uno "dal di dentro" sospettano i pubblici ministeri di Palermo che hanno ordinato accertamenti su tutti i punti segnalati dall'anonimo. Lui, definisce la sua lettera "un esposto". L'ha spedita il 18 settembre scorso a casa di Nino Di Matteo, uno dei sostituti procuratori che insieme ad Antonio Ingroia hanno cominciato l'indagine sulla trattativa.
Sono dodici pagine con lo stemma della Repubblica italiana sul frontespizio. L'autore, alla sua lunga lettera ha attribuito - come nei documenti ufficiali - una sorta di numero di fascicolo. È in codice: "Protocollo fantasma".
Se sia tutto vero ciò che scrive o al contrario un tentativo di depistaggio si scoprirà presto, di sicuro al momento i funzionari della Dia di Palermo e quelli di Roma stanno raccogliendo riscontri intorno ai
"suggerimenti" dell'anonimo. Uno che sembra a conoscenza di tanti segreti, come se avesse partecipato personalmente ad alcune operazioni poliziesche o sotto copertura. Questi dodici fogli ricordano tanto quell'altra lettera senza firma arrivata fra la strage Falcone e la
strage Borsellino nell'estate del 1992 (e recapitata a 39 indirizzi fra i
quali il Quirinale, le redazioni dei quotidiani italiani, il Viminale), la
prima carta in assoluto dove si faceva cenno a "un accordo" fra Stato
e mafia. Annunciando avvenimenti poi accaduti. Come l'arresto del capo dei capi
Totò Riina.
Ma adesso vi raccontiamo cosa c'è esattamente nell'ultimo anonimo palermitano.
Finisce con una frase misteriosa destinata al magistrato Di Matteo: "Tieni
sempre in considerazione che sto lavorando con te, nelle tenebre". E
annota subito dopo, in latino: "Impunitas semper ad deteriora
invitat". L'impunità invita sempre a cose peggiori.
Comincia invece con una cronistoria dei cadaveri eccellenti di Palermo:
dall'omicidio del segretario del Pci siciliano Pio La Torre - il 30 aprile 1982
- fino alla mancata cattura di Bernardo Provenzano dell'ottobre 1995 nelle
campagne di Mezzojuso, probabilmente per una soffiata. In mezzo le bombe di
Capaci e di via D'Amelio. Poi si addentra nel particolare. Iniziando dai pm che
indagano sulla trattativa.
Li mette in guardia da "uomini delle Istituzioni" che li stanno
sorvegliando. "Canalizzano tutte le informazioni che riescono ad avere sul
vostro conto", scrive. E dice che li riversano "a Roma", in una
non meglio identificata "centrale". Fra gli spioni - sostiene
l'anonimo - anche alcuni magistrati. Di certo, strani movimenti si sono
registrati a Palermo in queste settimane. Uno, a metà dicembre. Qualcuno è
arrivato fin sul pianerottolo dell'abitazione del sostituto Di Matteo,
lavorando dentro una cassetta elettrica. Se ne sono accorti i carabinieri della
scorta. Nessuno nel condominio aveva disposto lavori nel palazzo, e in quel
fine settimana il magistrato era fuori città. Un intruso sapeva anche questo.
Torniamo all'anonimo. Spiega dove cercare nuove prove sul patto. Usa queste
parole: "Ci sono catacombe all'interno dello Stato sepolte e ricoperte di
cemento armato, ma alcune verità si possono ancora trovare". E specifica i
luoghi. Segue una lista di nomi. Uomini politici della prima Repubblica, grandi
e piccoli, tutti mai sfiorati fino ad ora dalle investigazioni sulla trattativa.
Consiglia di seguire certe tracce, il suo linguaggio è quello di un
"addetto ai lavori". Gli investigatori sono convinti che si tratti di
qualcuno che, all'inizio degli anni '90, abbia lavorato in qualche reparto
investigativo. Conosce minuziosamente alcune vicende. Come quella della cattura
di Totò Riina, la mattina del 15 gennaio del 1993. Garantisce che il covo del
boss, nel quartiere dell'Uditore, sia stato visitato da qualcuno prima della
perquisizione del procuratore Caselli. E ripulito di un tesoro, l'archivio del
capo dei capi di Cosa Nostra. "Nascosto a Palermo per qualche tempo e poi
portato via", scrive ancora l'anonimo.
E infine dice di sapere chi ha rubato dalla sua borsa l'agenda rossa di Paolo
Borsellino, quella sulla quale il procuratore segnava tutto ciò che vedeva e
sentiva dalla morte del suo amico Giovanni Falcone. "L'ha presa un
carabiniere", giura l'autore della lettera.
Già qualche anno fa un colonnello dei carabinieri, Giovanni Arcangioli, era
stato messo sotto accusa dai magistrati di Caltanissetta per avere trafugato
l'agenda. L'ufficiale era stato fotografato, in via D'Amelio, con la borsa fra
le mani. Ma aveva sempre sostenuto di non sapere nulla dell'agenda. Prosciolto
dal giudice in fase d'indagine preliminare e prosciolto poi dalla Cassazione,
il colonnello è uscito definitivamente dall'inchiesta. In questi ultimi mesi i
pm di Caltanissetta (quelli che indagano sui massacri di Palermo) hanno però
ricominciato a visionare un filmato del dopo strage, ricostruito con tutte le immagini
ritrovate negli archivi televisivi. Cercano sempre l'uomo dell'agenda rossa. E
sospettano sempre che sia uno degli apparati investigativi. La caccia è
ripartita.
Cosa aggiungere sull'ultimo anonimo? Le indagini, che sembravano solo aspettare
il verdetto del giudice Piergiorgio Morosini sulla richiesta di rinvio a
giudizio di quei 12 imputati eccellenti prevista per la fine del mese, hanno
ricominciato ad agitarsi dopo le confessioni del misterioso personaggio senza
volto. Uno che viene dal passato di Palermo
Trattativa, l'anonimo è un carabiniere:
"Le carte di Riina nascoste in caserma"
L'inchiesta sui pm spiati e sui documenti del boss fatti sparire. La procura chiede i nomi di chi partecipò alla cattura. Le altre verità del protocollo fantasma al vaglio della magistratura. Ingroia: "Sì, avevo la sensazione di essere controllato" di SALVO PALAZZOLO, La Repubblica
PALERMO - Da alcune settimane, i
magistrati che indagano sulla trattativa fra mafia e Stato hanno
riaperto in gran segreto uno dei capitoli più travagliati
dell'antimafia, la cattura del capo dei capi Totò Riina. Vent'anni dopo,
si fa avanti tutta un'altra storia rispetto alla versione ufficiale
sempre ribadita dai vertici del Ros: "Il covo del latitante fu subito
perquisito e l'archivio del capomafia venne inizialmente nascosto in una
caserma dei carabinieri", questo scrive l'anonimo ben informato che a fine settembre ha messo in allerta il sostituto procuratore Nino Di Matteo e i suoi colleghi del pool.
In dodici pagine, anticipate ieri da Repubblica, c'è una verità che presto potrebbe riscrivere la storia della trattativa fra le stragi del '92-'93: poche ore dopo l'arresto di Riina, scattato in una delle piazze più note di Palermo, i carabinieri del Ros avrebbero perquisito la villa covo del boss senza avvertire i magistrati, portando via le carte del capo di Cosa nostra. "Si tratta di carte scabrose", spiega adesso l'anonimo autore, che dice di essere stato testimone diretto di quei giorni del gennaio '93: indica una caserma del centro dove sarebbe stato nascosto l'archivio di Riina. E poi traccia addirittura il percorso preciso per arrivare a una stanza in particolare. "Ma lì le carte sono rimaste poco, poi sono state portate via", aggiunge. Dove, è un mistero.
In dodici pagine, anticipate ieri da Repubblica, c'è una verità che presto potrebbe riscrivere la storia della trattativa fra le stragi del '92-'93: poche ore dopo l'arresto di Riina, scattato in una delle piazze più note di Palermo, i carabinieri del Ros avrebbero perquisito la villa covo del boss senza avvertire i magistrati, portando via le carte del capo di Cosa nostra. "Si tratta di carte scabrose", spiega adesso l'anonimo autore, che dice di essere stato testimone diretto di quei giorni del gennaio '93: indica una caserma del centro dove sarebbe stato nascosto l'archivio di Riina. E poi traccia addirittura il percorso preciso per arrivare a una stanza in particolare. "Ma lì le carte sono rimaste poco, poi sono state portate via", aggiunge. Dove, è un mistero.
Una cosa, però, è certa: scorrendo quelle 12 pagine - suddivise in 24
punti - sembra emergere che il misterioso autore dell'anonimo è stato
lui stesso un carabiniere, probabilmente un sottufficiale dei reparti
territoriali o del Ros, perché indica con precisione nomi, cognomi e
addirittura soprannomi dei militari e degli ufficiali che avrebbero
partecipato a vario titolo alle indagini per l'arresto di Totò Riina. E
adesso i magistrati di Palermo hanno chiesto ai funzionari della Dia di
identificare tutti i carabinieri citati. Sono una trentina. Presto,
potrebbero essere ascoltati uno dopo l'altro dai magistrati.
Al momento, le 12 pagine sono conservate nel cosiddetto "registro 46" della procura di Palermo, quello che custodisce gli anonimi. Il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, che coordina l'inchiesta sulla trattativa, si limita a dire: "Abbiamo delegato accertamenti alla polizia giudiziaria". Il procuratore Francesco Messineo aggiunge: "Su alcuni fatti, l'anonimo fornisce dettagli inediti. Stiamo cercando i riscontri". I magistrati non escludono neanche l'ipotesi che dietro l'anonimo ci possano essere più persone, magari ex appartenenti a uno stesso reparto.
Dell'anonimo si occupano pure i magistrati della procura di Caltanissetta, che hanno aperto ufficialmente un'inchiesta dopo avere ricevuto una "comunicazione" dai colleghi palermitani. E non solo per il riferimento all'agenda rossa del giudice Borsellino ("È stata portata via da un carabiniere"), ma anche per le parole inquietanti sui magistrati di Palermo ("Siete spiati da qualcuno che canalizza verso Roma le informazioni che carpiscono sul vostro conto"). Dal Guatemala, l'ex procuratore Antonio Ingroia fa sapere: "In effetti, negli ultimi tempi ho avuto la sensazione netta di essere controllato, proprio per le mie indagini".
Nella lettera non si parla solo di magistrati spiati, ma anche di "un magistrato della procura" di cui i pm della trattativa "non dovrebbero fidarsi". È un altro mistero intorno a questa lettera senza firma.
L'anonimo autore poi lancia la sua ultima certezza: "La trattativa con la mafia c'è stata ed è tuttora in corso". Ecco perché tanta attenzione sui magistrati. Lui, l'uomo del mistero, suggerisce che nel torbido dialogo fra Stato e mafia potrebbero essere coinvolti anche altri politici della prima repubblica, oltre Mancino, Dell'Utri e Mannino. Sono otto i nomi adesso al vaglio della procura.
Al momento, le 12 pagine sono conservate nel cosiddetto "registro 46" della procura di Palermo, quello che custodisce gli anonimi. Il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, che coordina l'inchiesta sulla trattativa, si limita a dire: "Abbiamo delegato accertamenti alla polizia giudiziaria". Il procuratore Francesco Messineo aggiunge: "Su alcuni fatti, l'anonimo fornisce dettagli inediti. Stiamo cercando i riscontri". I magistrati non escludono neanche l'ipotesi che dietro l'anonimo ci possano essere più persone, magari ex appartenenti a uno stesso reparto.
Dell'anonimo si occupano pure i magistrati della procura di Caltanissetta, che hanno aperto ufficialmente un'inchiesta dopo avere ricevuto una "comunicazione" dai colleghi palermitani. E non solo per il riferimento all'agenda rossa del giudice Borsellino ("È stata portata via da un carabiniere"), ma anche per le parole inquietanti sui magistrati di Palermo ("Siete spiati da qualcuno che canalizza verso Roma le informazioni che carpiscono sul vostro conto"). Dal Guatemala, l'ex procuratore Antonio Ingroia fa sapere: "In effetti, negli ultimi tempi ho avuto la sensazione netta di essere controllato, proprio per le mie indagini".
Nella lettera non si parla solo di magistrati spiati, ma anche di "un magistrato della procura" di cui i pm della trattativa "non dovrebbero fidarsi". È un altro mistero intorno a questa lettera senza firma.
L'anonimo autore poi lancia la sua ultima certezza: "La trattativa con la mafia c'è stata ed è tuttora in corso". Ecco perché tanta attenzione sui magistrati. Lui, l'uomo del mistero, suggerisce che nel torbido dialogo fra Stato e mafia potrebbero essere coinvolti anche altri politici della prima repubblica, oltre Mancino, Dell'Utri e Mannino. Sono otto i nomi adesso al vaglio della procura.
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