Nulla è più dove dovrebbe essere. A Palazzo Chigi non c'è un governo
uscito dal voto, ma la proroga di un gruppo di «tecnici» - chiamati in
emergenza un anno e mezzo fa - che alla conta di febbraio hanno avuto
l'11% dei voti. Di possibili governi non si discute in Parlamento, ma
sul blog di Grillo, al Palazzo Vecchio di Firenze o nelle residenze di
Berlusconi. Il regista della formazione del governo non è a Palazzo
Chigi, ma al Quirinale. E, da lì, le consultazioni si fanno con
Francoforte, al telefono con Draghi.
Ieri il presidente della Banca centrale europea ha annunciato che l'Europa sarà in recessione per i primi sei mesi di quest'anno, che la crisi morde anche il centro del continente e che la sua politica non cambierà: moneta (relativamente) facile - soprattutto per le banche pericolanti - e austerità senza tregua: spesa pubblica da tagliare, liberalizzazioni da fare, salari da abbassare. È qui - non a Bruxelles, non a Roma - il centro della politica, e non solo economica: è stato Draghi a avvertire ieri gli speculatori a non sottostimare il «capitale politico» investito in Europa sull'euro.
Se a Roma si ha la sensazione che la politica sia evaporata, l'International Consortium of Investigative Journalists ci ha ufficialmente informato che l'economia ha traslocato. Non è più nella Milano «capitale morale», nel triangolo industriale, nella Terza Italia dei distretti, nei palazzi romani delle grandi imprese ex pubbliche. Si è trasferita lontano dai lavoratori e dal fisco, nientemeno che nel «paradiso»del capitalismo.
Ci sono qui 100 mila persone, i ricchi di 170 paesi, 120 mila imprese, il cuore dell'economia mondiale. Per i poveri mortali della Ue, vuol dire 1000 miliardi di euro di minori entrate fiscali e molti milioni di posti di lavoro in meno. Per i super-ricchi vuol dire ripulire capitali illegali, profitti esentasse, scatole cinesi delle proprietà aziendali, sfuggire a ogni regola della pur sregolata finanza.
In quest'élite del capitalismo da pescecani sono 200 i nomi (e i prestanome) italiani, che potremo leggere presto - ma la maggior parte li conosciamo già, senza dover aspettare le rivelazioni di «Offshoreleaks». Come sappiamo già che quest'élite ha in mano gran parte del paese: i dieci italiani più ricchi - ce lo dicono i dati Banca d'Italia - posseggono una ricchezza pari a quella dei tre milioni di italiani più poveri.
Una geografia messa sottosopra, una politica spaesata, un potere impermeabile alla democrazia, l'aristocrazia che concentra le ricchezze, i ricchi al di sopra della legge: la «terza repubblica» ci sta riportando all'ancien régime.
Contro questo vuoto, questa cancellazione di ogni democrazia, una proposta concreta l'ha avanzata Giulio Marcon sul manifesto di venerdi scorso: una grande piazza, o cento piazze, per raccogliere e rendere visibile l'Italia che vuole cambiare rotta, che non si arrende a questa deriva feudale. La data giusta potrebbe essere il 25 aprile.
Ieri il presidente della Banca centrale europea ha annunciato che l'Europa sarà in recessione per i primi sei mesi di quest'anno, che la crisi morde anche il centro del continente e che la sua politica non cambierà: moneta (relativamente) facile - soprattutto per le banche pericolanti - e austerità senza tregua: spesa pubblica da tagliare, liberalizzazioni da fare, salari da abbassare. È qui - non a Bruxelles, non a Roma - il centro della politica, e non solo economica: è stato Draghi a avvertire ieri gli speculatori a non sottostimare il «capitale politico» investito in Europa sull'euro.
Se a Roma si ha la sensazione che la politica sia evaporata, l'International Consortium of Investigative Journalists ci ha ufficialmente informato che l'economia ha traslocato. Non è più nella Milano «capitale morale», nel triangolo industriale, nella Terza Italia dei distretti, nei palazzi romani delle grandi imprese ex pubbliche. Si è trasferita lontano dai lavoratori e dal fisco, nientemeno che nel «paradiso»del capitalismo.
Ci sono qui 100 mila persone, i ricchi di 170 paesi, 120 mila imprese, il cuore dell'economia mondiale. Per i poveri mortali della Ue, vuol dire 1000 miliardi di euro di minori entrate fiscali e molti milioni di posti di lavoro in meno. Per i super-ricchi vuol dire ripulire capitali illegali, profitti esentasse, scatole cinesi delle proprietà aziendali, sfuggire a ogni regola della pur sregolata finanza.
In quest'élite del capitalismo da pescecani sono 200 i nomi (e i prestanome) italiani, che potremo leggere presto - ma la maggior parte li conosciamo già, senza dover aspettare le rivelazioni di «Offshoreleaks». Come sappiamo già che quest'élite ha in mano gran parte del paese: i dieci italiani più ricchi - ce lo dicono i dati Banca d'Italia - posseggono una ricchezza pari a quella dei tre milioni di italiani più poveri.
Una geografia messa sottosopra, una politica spaesata, un potere impermeabile alla democrazia, l'aristocrazia che concentra le ricchezze, i ricchi al di sopra della legge: la «terza repubblica» ci sta riportando all'ancien régime.
Contro questo vuoto, questa cancellazione di ogni democrazia, una proposta concreta l'ha avanzata Giulio Marcon sul manifesto di venerdi scorso: una grande piazza, o cento piazze, per raccogliere e rendere visibile l'Italia che vuole cambiare rotta, che non si arrende a questa deriva feudale. La data giusta potrebbe essere il 25 aprile.
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