Storia delle acciaierie di Terni e l’esperimento renziano.
Gli operai delle acciaierie di Terni, ma
complessivamente tutta la cittadinanza, stanno vivendo le loro ore più
tragiche. Le scelte scellerate del colosso tedesco ThyssenKrupp, dettate
dalla finanza e da un’idea di riorganizzazione complessiva del comparto
siderurgico europeo che premia solo la Germania, stanno mettendo a
repentaglio non solo la storia e la vocazione industriale di Terni bensì
la sua stessa sopravvivenza come comunità. Sull’altare del riassetto
finanziario si vogliono di colpo cancellare 130 anni di storia
siderurgica italiana. La “città fabbrica”, culla della chimica premio
Nobel (Montedison), degli acciai speciali, dei fucinati esportati in
tutto il mondo, del batiscafo Trieste di Piccard, rischia di scomparire
del tutto come rischia di scomparire il 30% del PIL umbro. Ma,
complessivamente, rischia di scomparire dal panorama nazionale l’intero
comparto siderurgico, un tempo tra i primi cinque al mondo, solo perché è
la Germania -all’interno dell’area Euro- la realtà che deve mantenere i
comparti manifatturieri.
Piccola storia.
La vertenza della TKAST ha però una peculiarità.
Due anni fa venne creata, da parte di ThyssenKrupp, la Inoxum, una
società finanziaria usata da contenitore dove inglobare tutti gli
stabilimenti di produzione dell’acciaio inossidabile per poterli vendere
al miglior offerente. D’altronde, la finanza crea il vento del libero
mercato quindi non è strano vedere un colosso dell’acciaio abbandonare
la produzione dell’acciaio stesso. Lo stabilimento ternano insieme a
quelli di Bochum e Krefeld passarono di proprietà della Outokumpu,
colosso pubblico finlandese. Il loro piano prevedeva la chiusura degli
impianti tedeschi, obsoleti ed inquinanti, e investimenti sul sito
ternano, un sito a produzione integrata con già molti investimenti
rispetto ad una produzione ambientalmente sostenibile. L’Antitrust
europeo (la Germania) disse di no perché con l’investimento a Terni la
Outokumpu avrebbe sforato le quote europee. Perciò, con una piroetta
imprevedibile e finanziariamente incomprensibile, il sito ternano e
Bochum/Krefeld ripassarono sotto la ThyssenKrupp per fare cassa,
semplicemente cassa. Se però a Bochum furono investiti miliardi di euro
con la costruzione anche dell’altoforno piú grande d’Europa, a Terni fin
da subito entrò la Mc Kenzie, società multinazionale specializzata in
piani di ottimizzazione e ristrutturazione. Fino al giugno scorso
quando, conclusa la fase preliminare di studio, entrò in scena la sig.ra
Lucia Morselli, già balzata alle cronache per la vicenda della Berco.
Il risultato è un piano di ristrutturazione che porterà ad un risparmio
di 100mln l’anno e che definirlo “lacrime e sangue” è dir poco: chiusura
di un forno fusorio, la chiusura del Tubificio (perla di diamante),
della Società delle Fucine e dell’altro gioiellino dell’Aspasiel,
un’azienda che fornisce servizi telematici allo stabilimento e che è
considerata appunto un gioiello di tecnica. In più, 550 licenziamenti
diretti che senza un forno arriveranno a più di 1000, la gestione in
Germania del commerciale e soprattutto la fine del contratto di secondo
livello (integrativo) che decurterà lo stipendio di 250€ minimo; entro
il 2015 la decisione sul secondo forno che trasformerà lo stabilimento
in un grande centro servizi con 600/700 occupati a fronte dei 2600
odierni. Un piano basato sulle bugie perché l’azienda parla di 850mln di
perdite mentre la Camera di Commercio di Terni, conti alla mano, fa
scendere tali perdite a “solo” 350mln. Una bella differenza. Ma
l’aspetto devastante è appunto il fatto che il 40% dei 100mln da
recuperare viene dagli esuberi e dalla decurtazione dell’integrativo.
Le colpe dei principali attori.
In questi due anni si è assistito ad un lassismo e
ad un mutismo complice e connivente da parte dei governi e del
sindacato. Le logiche di partito che governano i rapporti tra
Istituzioni e oo.ss. hanno fatto sì che in due anni non si muovesse
foglia; al susseguirsi di comunicati in cui si evidenziava la
“preoccupazione” delle RSU e delle segreterie territoriali non si è
risposto con indagini, analisi, proposte e mobilitazione da parte di
nessuno mentre Sindaco e presidente della Regione chiamavano alla
tranquillità perché le Istituzioni stavano vigilando. Tutto fino a metà
luglio di quest’anno, quando il piano è divenuto realtà. Ma ormai i buoi
erano scappati. La rabbia operaia che la scorsa settimana, dopo il
naufragio della trattativa, si è manifestata con i blocchi delle
portinerie, con l’occupazione della stazione ferroviaria e con il blitz
di un gruppo di operai nella federazione del PD -trovata già sgombrata e
da cui è stato tolto e portato via il quadro di Gramsci- è il sintomo
evidente del fatto che la classe operaia è ancora pensante, è ancora
fortemente critica e propositiva, a dispetto di venti anni di
imbonimento politico e culturale. Una classe sociale che ci dice che
solo la lotta paga e che con solo la lotta si riescono ad ottenere
risultati. Se si è ottenuta la convocazione del tavolo al Mise lo si è
dovuto solo al fatto che la sig.ra Morselli è stata letteralmente chiusa
dentro il suo ufficio dalle 14 del 21 luglio fino alle 5,30 della
mattina seguente, con fuori centinaia di operai a presidio della
palazzina fin dentro il corridoio della direzione.
Il tavolo al MISE e l’esperimento del Jobs Act.
Dallo scorso 3 settembre si sono susseguiti tavoli
settimanali alla presenza svogliata del governo; a volte la Guidi, a
volte il sottosegretario, una volta nessuno e si è tornati a casa. Il
primo esperimento lo si è avuto nelle relazioni che strutturavano il
tavolo, con il governo che faceva da postino tra le due parti; non un
tavolo unico, con azienda e oo.ss. ma incontri singoli in cui il governo
riferiva le posizioni dell’altro. Un tavolo di trattativa strutturato
così è perdente in partenza. Il piano alternativo del sindacato prevede
l’ottimizzazione delle forniture, degli approvvigionamenti di materie
prime e di rottame (a Terni ci sono i forni elettrici e non gli
altiforni), così da recuperare gran parte dei 100mln, una nuova
strutturazione dei parametri che vanno a calcolare i premi di
produzione, investimenti sugli impianti e sulla sostenibilità ambientale
delle produzioni (smaltimento delle scorie), garanzia dei mix
produttivi e parità tra produzione a caldo e a freddo, il non
spegnimento dei forni. Ma sia l’azienda che il governo sono stati sordi e
complicemente alleati. È stato un muro contro muro continuo in cui il
governo al massimo ha garantito sconti sull’energia. La settimana scorsa
la proposta del governo si è tramutata in un documento che, avendo
dovuto costituire una possibile mediazione, ha fatto invece precipitare
la situazione: è un documento che solo sintetizza il piano di TKAST in
cui mantenimento delle produzioni, dei centri fusori e del commerciale
sono punti aleatori in cui l’unica voce messa nero su bianco sono invece
i 290 esuberi e la riduzione del salario. Inaccettabile. Oltretutto
l’azienda stamani ha iniziato le procedure per i 537 esuberi e cinque
giorni fa non ha permesso l’ingresso dei lavoratori fuori turno per
l’assemblea con il risultato della chiamata allo sciopero con assemblea
in strada che ha decretato il blocco -poi tramutato in presidio- delle
portinerie con scioperi “a scacchiera”. Nel frattempo è anche iniziato
“il metodo Berco” e cioè la volontà, da parte dell’azienda, di
“regalare” 80000€ ed un anno di mobilità a chi volesse licenziarsi
volontariamente. Una proposta eversiva che, in una situazione di blocco
della trattativa, rischia di spezzare le gambe ai lavoratori ed al
movimento sindacale anche perché questa somma messa a disposizione è
presa dai soldi che si risparmieranno con l’integrativo. Ieri c’è stata
una nuova iniziativa di contestazione da parte degli operai, ancora più
clamorosa: durante l’inizio del consiglio comunale allargato, gli operai
hanno pesantemente contestato il sindaco come pure il segretario
provinciale della CGIL che si era scagliato contro le parole del
vicepresidente della Camera Di Maio, ricevendo così il duro attacco da
parte dei pentastellati e di buona parte dei lavoratori. Degno di nota,
l’intervento di Oreste Scalzone che più di una volta in questa fase ha
strappato applausi a tutti gli operai. Il sindaco ieri ha tirato fuori
il coniglio dal cilindro e, dopo un consiglio comunale semivuoto che
anche stavolta non ha trovato unità sulla situazione delle acciaierie e
in cui la proposta alternativa delle RSU non è stata neanche presa in
considerazione, ha buttato sul tavolo l’invito ricevuto dal governo per
giovedì prossimo in cui parteciperanno solo sindaco, presidente della
Regione e Governo, senza oo.ss. Per parlare di cosa, se il consiglio
comunale neanche ieri è riuscito a sottoscrivere un documento? Se il
piano alternativo delle RSU non è preso in considerazione, da cosa
riporteranno? Semplice, dal piano scellerato del governo, quello di cui
si parlava sopra. Si evince quindi, nella sua totalità, il piano del PD:
certezza degli esuberi e messa sul mercato, quanto prima, delle
acciaierie. Proprio quel mercato che permette alle multinazionali,
governate ormai dalla finanza, di effettuare non piani industriali bensì
solo piani speculativi che di fatto fanno chiudere siti produttivi che
invece dovrebbero essere strategici.
Due settimane fa, durante i presidi spontanei
organizzati davanti ai cancelli in contemporanea agli incontri al Mise,
si discuteva sul perché dei continui spostamenti delle date degli
incontri. Tutto ciò era dovuto al fatto che il governo aveva già stilato
il Job Act e che voleva fare un regalo alla direzione aziendale
facendoci essere la prima azienda che ne avrebbe subìto le conseguenze.
Tutto era stabilito, anche la data; infatti l’incontro decisivo al MISE
con la presenza della Guidi e di Del Rio era in contemporanea con la
votazione sulla fiducia al Job Act in Senato. Leggendo infatti il piano
della Thyssen non si possono non notare convergenze inquietanti con il
piano di Renzi: taglio dei salari e demansionamento, straordinari non
pagati, esuberi da ristrutturazione per crisi economica non più
impugnabili davanti al giudice grazie allo smembramento dell’art.18,
mobilità e reinserimento per i licenziati. I lavoratori delle acciaierie
di Terni sono quindi cavie, topi all’interno del più grande laboratorio
che per il turbo capitalismo e l’iper liberismo è divenuto il nostro
paese.
Il contributo dei comunisti.
In questo anno la federazione ternana del PRC ha
chiesto invano una connessione, una messa a sistema delle tre grandi
vertenze della siderurgia italiana: Piombino, Taranto e Terni. Per i
comunisti questa dovrebbe essere prassi, metodologia di base. Anche lo
stesso sindacato non ha saputo, o voluto, mettere in connessione tali
vertenze e questo è politicamente un grave errore. La connessione, la
condivisione delle esperienze, la sintesi in una unica proposta di
calibro nazionale, oltre ad avere piú peso politico può finalmente
ricreare un minimo di coscienza di classe che oggi purtroppo è
drammaticamente scomparsa. Il PRC Terni ha saputo gestire la fase della
crisi con proposte sensate che vanno nella direzione opposta a quella
dei partiti della finanza: ripubblicizzazione, grazie alla Cassa
Depositi e Prestiti, non solo del sito ternano ma di tutti e tre i siti
nazionali in crisi con un progetto complessivo e una visione strategica
della siderurgia, non una nuova Finsider ma un soggetto nuovo, aperto
anche a nuove idee circa la “proprietà pubblica” ma in cui lo Stato sia
capofila e protagonista contro gli assalti alla diligenza che si sono
susseguiti in questi venti anni, in cui possa essere il gestore e il
pianificatore dell’economia reale e delle produzioni. Del resto, lo si
vede a Terni come a Taranto, solo il pubblico può garantire investimenti
per l’ammodernamento impiantistico, per la sostenibilità ambientale
delle produzioni e la salvaguardia dei posti di lavoro e della salute
dei cittadini. Ma per ottenere questo ci vogliono i comunisti con le
loro proposte alternative, alternative al pescecanismo vendoliano e
all’idea del mercato regolatore quindi della vendita del sito come unica
soluzione, avanzata dal PD. I comunisti debbono essere l’avanguardia
del movimento dei lavoratori che possa, tramite il lavoro dal basso, far
cambiare analisi non solo ai lavoratori stessi ma anche ai loro
rappresentanti. In questo senso, parte dei comunisti ternani svolgono un
intenso lavoro di analisi e proposte all’interno della fabbrica, con il
circolo lavoratori del PRC; volantini, discussione all’interno dei
reparti e iniziative politiche lo fanno essere ad oggi un punto avanzato
del partito tutto. Anche la nostra presenza all’interno del movimento
contro gli inceneritori e gli impianti a biomasse fa sì che la proposta
politica dei due soggetti, circolo lavoratori e movimento ambientalista,
sia una proposta integrante che mette insieme diritto al lavoro e allo
sviluppo industriale dell’Ast e diritto alla salute. I comunisti, quando
lavorano tra il popolo e per il popolo, sanno essere ancora pericolosi.
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