Nei
primi quindici anni del secolo, in termini globali, l'ideologia
neoliberista ha dominato il discorso politico. Il mantra era: l'unica
politica praticabile da parte dei governi e dei movimenti sociali è dare
priorità a qualcosa chiamato "il mercato". La resistenza ad una simile
credenza è stata minima, in quanto anche i partiti e i movimenti che si
consideravano di sinistra - o almeno di centrosinistra - hanno
abbandonato la loro tradizionale enfasi relativamente alle misure di
welfare ed hanno accettato la validità di questa posizione orientata al
mercato. Hanno sostenuto che tutt'al più era solamente possibile
mitigare il suo impatto, mantenendo una piccola parte delle reti
storiche di sicurezza che gli Stati hanno costruito nel corso di oltre
150 anni.
Le politiche da ciò risultanti hanno ridotto radicalmente la tassazione sui settori più ricchi della popolazione. In tal modo, hanno aumentato il divario fra i molto ricchi e tutti gli altri. Le imprese - soprattutto quelle di grandi dimensioni - hanno potuto aumentare i loro profitti riducendo il numero di posti di lavoro oppure dislocando il lavoro.
La giustificazione offerta da chi aveva proposto tutto questo era che tale politica avrebbe, nel corso del tempo, ricreato i posti di lavoro che erano andati persi; e che il valore addizionale creato, permettendo che il "mercato" prevalesse, avrebbe finito per diffondersi in qualche modo nella società. È chiaro che, per permettere la prevalenza è stata necessaria molta azione politica negli Stati. Il cosiddetto "mercato" non è mai stato una forza indipendente dalla politica. Ma questa verità elementare è stata solennemente ignorata o, quando è stata discussa, recisamente negata.
Le politiche da ciò risultanti hanno ridotto radicalmente la tassazione sui settori più ricchi della popolazione. In tal modo, hanno aumentato il divario fra i molto ricchi e tutti gli altri. Le imprese - soprattutto quelle di grandi dimensioni - hanno potuto aumentare i loro profitti riducendo il numero di posti di lavoro oppure dislocando il lavoro.
La giustificazione offerta da chi aveva proposto tutto questo era che tale politica avrebbe, nel corso del tempo, ricreato i posti di lavoro che erano andati persi; e che il valore addizionale creato, permettendo che il "mercato" prevalesse, avrebbe finito per diffondersi in qualche modo nella società. È chiaro che, per permettere la prevalenza è stata necessaria molta azione politica negli Stati. Il cosiddetto "mercato" non è mai stato una forza indipendente dalla politica. Ma questa verità elementare è stata solennemente ignorata o, quando è stata discussa, recisamente negata.
Tutto
questo è finito? Di fatto esiste quello che un recente articolo di Le
Monde ha definito un "timido" ritorno. da parte delle istituzioni
dell'Establishment, a preoccuparsi di sostenere la domanda? Ci sono
almeno due segnali in tal senso, entrambi di notevole effetto. Il Fondo
Monetario Internazionale è da tempo il più forte pilastro dell'ideologia
neoliberista, e impone i suoi obblighi a tutti i governi che gli
richiedono prestiti. Tuttavia, in un memorandum del 24 febbraio, l'FMI
ha reso pubbliche le sue preoccupazioni per il fatto che la domanda
mondiale è diventata anemica. Ha esortato i ministri delle Finanze del
G-20 ad abbandonare le politiche monetariste e a stimolare gli
investimenti - anziché il risparmio - per sostenere la domanda
attraverso la creazione di posti di lavoro. È stata quasi una svolta a
180 gradi.
Ma allo stesso tempo (il 18 febbraio), l'Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE), un secondo importante pilastro dell'ideologia neoliberista, ha pubblicato un memorandum in cui si annuncia una svolta simile. Ha affermato che era urgente promuovere "collettivamente" azioni che sostengono la domanda globale.
Ma allo stesso tempo (il 18 febbraio), l'Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE), un secondo importante pilastro dell'ideologia neoliberista, ha pubblicato un memorandum in cui si annuncia una svolta simile. Ha affermato che era urgente promuovere "collettivamente" azioni che sostengono la domanda globale.
Perciò, la mia domanda è: la realtà si
sta insinuando? Sembra di sì, seppure timidamente. Il fatto è che, in
tutto il mondo, la "crescita" promessa, sotto forma di produzione con
maggior valore aggiunto, non si è mai realizzata. È chiaro che il
declino è disuguale. La Cina continua a crescere - ad un ritmo assai più
lento, che minaccia di portare ad un declino ulteriore. Gli Stati Uniti
sembrano che stiano ancora "crescendo", in gran parte perché il dollaro
appare ancora, in termini relativi, come il luogo più sicuro dove i
governi e i super-ricchi possono mettere il loro denaro. Ma la
deflazione sembra stia ridiventando la realtà dominante nella maggior
parte dell'Europa e delle cosiddette "economie emergenti" del Sud del
mondo.
Ci troviamo ora in un gioco di attesa. Le timide modifiche raccomandate dal FMI e dall'OCSE affrontano la realtà di una domanda globale declinante? Il dollaro sarà in grado di resistere alla perdita crescente di fiducia nella sua capacità di essere deposito stabile di valore? Oppure ci stiamo muovendo verso una nuova, e molto più severa, mutazione nel cosiddetto "mercato", con tutte le conseguenze politiche che ne derivano?
La caduta della domanda globale è la conseguenza diretta della caduta dell'occupazione globale. Nei 200, o forse 500 anni, ogni volta che un cambiamento tecnologico ha eliminato posti di lavoro in qualche settore produttivo, c'è stata resistenza da parte dei lavoratori colpiti. Quelli che resistevano si impegnavano nelle cosiddette rivendicazioni "luddiste", volte a mantenere le tecnologie precedenti.
Dal punto di vista politico, la resistenza luddista è stata sempre un fallimento. Le forze istituzionali hanno sempre detto che sarebbero stati creati nuovi posti di lavoro, e che ci sarebbe stata nuova crescita. Avevano ragione. Di fatto, vennero creato nuovi posti di lavoro - ma non fra i lavoratori industriali. Venivano creati nelle professioni legate ai servizi, i "colletti bianchi". Di conseguenza, sul lungo periodo, l'economia mondiale ha assistito ad una riduzione degli occupati industriali e ad un significativo aumento nella percentuale dei lavoratori dal "colletto bianco".
Si è sempre pensato che i posti di lavoro dei "colletti bianchi" non fossero soggetti ad essere eliminati. Si presumeva che, a causa dell'interazione fra gli esseri umani, non ci sarebbero state macchine in grado di sostituire lavoratori in carne ed ossa. Non è più così.
Un grande avanzamento tecnologico permette ora che le macchine possano elaborare immense quantità di dati, una funzione questa finora esercitata, ad esempio, da consulenti finanziari di base. Le nuove macchine ormai possono processare dati che un individuo impiegherebbe diverse vite a calcolare. Il risultato è che tali macchine hanno già cominciato ad eliminare i posti di questi lavoratori dal colletto bianco. È vero che questo ancora non interessa i posti di alto livello o le posizioni di supervisione. Ma è possibile vedere verso dove soffia il vento.
Ci troviamo ora in un gioco di attesa. Le timide modifiche raccomandate dal FMI e dall'OCSE affrontano la realtà di una domanda globale declinante? Il dollaro sarà in grado di resistere alla perdita crescente di fiducia nella sua capacità di essere deposito stabile di valore? Oppure ci stiamo muovendo verso una nuova, e molto più severa, mutazione nel cosiddetto "mercato", con tutte le conseguenze politiche che ne derivano?
La caduta della domanda globale è la conseguenza diretta della caduta dell'occupazione globale. Nei 200, o forse 500 anni, ogni volta che un cambiamento tecnologico ha eliminato posti di lavoro in qualche settore produttivo, c'è stata resistenza da parte dei lavoratori colpiti. Quelli che resistevano si impegnavano nelle cosiddette rivendicazioni "luddiste", volte a mantenere le tecnologie precedenti.
Dal punto di vista politico, la resistenza luddista è stata sempre un fallimento. Le forze istituzionali hanno sempre detto che sarebbero stati creati nuovi posti di lavoro, e che ci sarebbe stata nuova crescita. Avevano ragione. Di fatto, vennero creato nuovi posti di lavoro - ma non fra i lavoratori industriali. Venivano creati nelle professioni legate ai servizi, i "colletti bianchi". Di conseguenza, sul lungo periodo, l'economia mondiale ha assistito ad una riduzione degli occupati industriali e ad un significativo aumento nella percentuale dei lavoratori dal "colletto bianco".
Si è sempre pensato che i posti di lavoro dei "colletti bianchi" non fossero soggetti ad essere eliminati. Si presumeva che, a causa dell'interazione fra gli esseri umani, non ci sarebbero state macchine in grado di sostituire lavoratori in carne ed ossa. Non è più così.
Un grande avanzamento tecnologico permette ora che le macchine possano elaborare immense quantità di dati, una funzione questa finora esercitata, ad esempio, da consulenti finanziari di base. Le nuove macchine ormai possono processare dati che un individuo impiegherebbe diverse vite a calcolare. Il risultato è che tali macchine hanno già cominciato ad eliminare i posti di questi lavoratori dal colletto bianco. È vero che questo ancora non interessa i posti di alto livello o le posizioni di supervisione. Ma è possibile vedere verso dove soffia il vento.
Prima, quando i posti di lavoro
nell'industria venivano eliminati o ridotti, potevano essere sostituiti
da posti di lavoro da colletto bianco. Ma oggi, se le posizioni da
colletto bianco spariscono, dove verranno creati i nuovi posti di
lavoro? E se non verranno creati, l'effetto generale sarà quello di
ridurre severamente la domanda effettiva.
Ma, la domanda effettiva è la conditio sine qua non per il capitalismo, in quanto sistema storico. Senza domanda effettiva, non ci può essere accumulazione del capitale. Sembra esser questa la realtà che si sta insinuando. Perciò, non sorprende il fatto che emergano le preoccupazioni. Non è probabile, tuttavia, che i "timidi" tentativi per far fronte a questa nuova realtà possano fare qualche differenza reale. La crisi strutturale del sistema sta venendo apertamente a galla. La grande questione non è come si ripara il capitalismo - ma che cosa lo sostituirà.
Ma, la domanda effettiva è la conditio sine qua non per il capitalismo, in quanto sistema storico. Senza domanda effettiva, non ci può essere accumulazione del capitale. Sembra esser questa la realtà che si sta insinuando. Perciò, non sorprende il fatto che emergano le preoccupazioni. Non è probabile, tuttavia, che i "timidi" tentativi per far fronte a questa nuova realtà possano fare qualche differenza reale. La crisi strutturale del sistema sta venendo apertamente a galla. La grande questione non è come si ripara il capitalismo - ma che cosa lo sostituirà.
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