Credo
sia ora di intavolare un discorso non polemico ma neppure reticente con
i dirigenti e soprattutto con i militanti di Sinistra ecologia e
libertà.
Stiamo ai fatti: nella prima fase della
campagna elettorale Bersani ha inanellato quattro prese di posizione
che, sommate, delineano un preciso orizzonte politico. Ha bocciato la
patrimoniale. Ha detto che non ripristinerà l’art. 18. Si è dichiarato
pronto a coinvolgere l’Italia in un’ennesima spedizione militare, nel
Mali. Ha assicurato il rispetto del Fiscal Compact, accordo che ci
impone ogni anno, per vent’anni, 47 miliardi di tagli alla spesa
pubblica: un massacro. Non stupisce che, a coronamento di questa visione
politica, Bersani ponga un accordo post elettorale con Mario Monti,
rappresentante in Italia delle più compiute politiche di destra.
Questa è la linea del Pd e non la
smentiscono né le sterzate dell’ultima ora, come quella sugli F-35 né le
polemiche con il futuro alleato Monti. Le prime hanno carattere tanto
palesemente propagandistico da sfiorare la satira. Le seconde riguardano
solo l’equilibrio dei poteri che ci sarà nell’alleanza di governo con
Monti.
Si può dire che questa è la linea del
Pd, non di Sel. Sarà anche vero, però incide a fondo su uno dei due
prìncipi guida che hanno orientato tutto il percorso di Sel e in
particolare proprio l’alleanza con Bersani.
Il primo di questi due assi portanti era
attivare una dinamica di partecipazione diretta nella selezione della
rappresentanza politica. Si può dire che quell’obiettivo è stato
raggiunto. Le primarie del Pd hanno realmente fatto registrare un
momento importante di partecipazione dal basso nell’indicazione dei
candidati.
Questo successo di Sel è tuttavia in
buna misura dovuto alla intuizione di Bersani, che ha capito quali
immense possibilità gli venivano offerte dall’accettare la sfida delle
primarie, in termini sia di moltiplicazione del consenso che di
affrancamento personale dai numerosi condizionamenti interni che lo
tenevano in ostaggio. Non a caso, i dividendi politici delle primarie
sono stati incassati tutti da Bersani senza che neppure le briciole
siano finite nel piatto di Sel e di Vendola.
Il secondo cardine nell’impostazione di
Sel, direi addirittura la sua ragione sociale, era costituirsi come ala
sinistra del Pd (poco importa se come area formalmente interna o
esterna) e adoperare poi questa postazione per costringerlo a sterzare
verso un indirizzo più radicale. Ora, l’orizzonte politico fissato da
Bersani con i quattro punti già citati attesta il fallimento di
quell’obiettivo e annulla in radice la “ragione sociale” di Sel. Di
fatto, il Pd è riuscito nell’opera di usare e poi eliminare Sinistra
ecologia e libertà. Ha fagocitato e volto a proprio esclusivo vantaggio
la spinta partecipativa veicolata da Sel, per passare poi alla sua
liquidazione politica.
In teoria, i dirigenti di Sel potrebbero
spiegare la loro scelta di restare con il Pd, nonostante la certissima
alleanza futura con Monti, perché, forti di cospicui gruppi
parlamentari, potranno comunque rifiutare le scelte che non condividono,
difendere una sostanziale autonomia e così esercitare un certo potere
di condizionamento. Sarebbe vero se Sinistra ecologia e libertà non
avesse firmato un formale impegno che lo vincola a seguire le decisioni
assunte dalla maggioranza dei gruppi parlamentari congiunti. Cioè, in
buon italiano, a privarsi di ogni autonomia politica.
Resta l’eterna ed eternamente sospetta
argomentazione: “Ma bisogna pur entrare nella stanza dei bottoni!”. La
riposta è semplice: per fare cosa? Essendo esclusa ogni possibilità di
modificare gli indirizzi del Pd e di fermare la sua deriva verso Monti,
l’unica conquista certa, entrando nella stanza dei bottoni, è
l’allocazione di un certo numero di dirigenti in Parlamento o al
governo. Il che cambia certamente la loro condizione materiale, ma per
il resto lascia le cose esattamente come stanno.
Del resto, la storia d’Italia dimostra
che i lavoratori non sono mai riusciti a incidere tanto e a modificare
di tanto le cose come quando il Pci stava non all’opposizione e di lì
riusciva a determinare profondi fenomeni politico-sociali perché la Dc
doveva tener conto delle sue richieste e spesso concordare leggi e
provvedimenti.
Ciò non significa affatto, sia chiaro,
vantare una vocazione all’opposizione permanente. Al contrario,
Rivoluzione Civile è nata proprio come progetto di governo ed è qui che
si differenzia dal Movimento cinque stelle di Beppe Grillo. Ma
l’obiettivo è appunto quello di governare, non di “stare al governo.
Rivoluzione Civile non ha alcuna intenzione di farsi confinare nel
ghetto della mera protesta e nemmeno in quello, dorato ma non meno
angusto, della subalternità all’interno di una maggioranza. Vogliamo
governare, sì, ma per realizzare un programma in piena controtendenza
rispetto a quello della Bce, dell’Fmi, delle grandi banche come Goldman
Sachs e dei loro agenti in politica, come Mario Monti.
Il nostro progetto parte da un’istanza
forte di libertà. Libertà dei lavoratori, che devono potersi confrontare
liberamente con l’impresa e dunque devono essere liberi di iscriversi
al sindacato che vogliono, di poter scioperare e di poter decidere, con
voto vincolante, sugli accordi che li riguardano. Libertà dei cittadini,
degli uomini e delle donne di qualsiasi tendenza sessuale, fede o
etnia, di godere in pieno di tutti i diritti civili in uno Stato
realmente laico.
La nostra sfida è intrecciare questa
battaglia di libertà con una nuova idea di legalità, obiettivo cruciale
non più solo sul piano etico e morale ma anche su quello direttamente
economico. Se l’economia illegale, una volta sommate tutte le sue voci,
ammonta a 490 miliardi di euro, 30% del Pil, non è difficile concludere
che quella è la camicia di forza che impedisce alle nostre imprese e
alla nostra economia di respirare. Il progetto di Antonio Ingroia è
appunto quello di affrontare per la prima volta questa eterna emergenza
direttamente al livello dell’intreccio tra malavita, corruzione, finanza
e politica. Quella è la testa del mostro. Fino a che non la sia
taglia, gli arti continueranno a ricrescere.
Per combattere questa battaglia di
libertà e legalità, oggi, bisogna per forza essere presenti in
Parlamento, cioè dove si legifera e dove è fondamentale portare la voce
dei conflitti sociali reali, ma non necessariamente nel governo. Oggi
conta solo quanta possibilità di operare una postazione offre, e il
governo con Monti non ne offre alcuna. Un progetto politico alternativo,
che parte dall’opposizione per condizionare subito e governare domani,
invece sì.
Noi siamo lì e lì vi aspettiamo.
Maurizio Zipponi - Gli Altri
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