venerdì 28 luglio 2017

Lost in Pisapia di Francesco Marchiano' 


 
Non c'è nulla di clamoroso nelle ultime sortite dell'avvocato Pisapia. Quel che stupisce non sono le sue idee e le sue frequentazioni, semmai stupisce, si perdoni il gioco di parole, lo stupore di quanti si erano già lanciati al suo seguito, convinti di aver trovato l'ennesimo salvatore.
 
Con Pisapia la sinistra italiana stava compiendo il classico errore masochistico, ossia continuava a farsi del male nella convinzione di farsi del bene. L'ex sindaco di Milano non poteva in nessun modo offrire una proposta alternativa a Renzi e al renzismo, per una serie di ragioni che è bene ricordare.
    
In primo luogo, Pisapia aveva, com'è noto, sostenuto il referendum costituzionale targato Renzi-Boschi. Niente di male, sia chiaro. Ma se uno sostiene quel referendum, sostiene un'idea della democrazia e delle istituzioni ben diversa da quella della sinistra. Un'idea impregnata dalla governabilità teorizzata dai cantori politici del neoliberismo nel rapporto della Commissione Trilaterale. Sostiene, perciò, un'idea verticale di Stato, uno sbilanciamento dei poteri, un impoverimento del vivere associato. Tutte cose diverse dalla partecipazione dal basso e dalla più ampia inclusione.
    
Non solo. Sostenendo il referendum, Pisapia avrebbe dovuto aspettarsi che a una vittoria del Sì sarebbe corrisposta una vittoria colossale di Renzi. Pertanto, il futuro che lui immaginava e sosteneva era un futuro con Renzi, non alternativo a lui. È perciò politicamente inconsistente l'idea che egli avrebbe potuto federare forze politiche che da Renzi e dal renzismo si sono scisse e che a lui si sono opposte. Era un nonsenso. E il fatto che questa operazione non sia stata subito compresa da molti, la dice lunga sull'inadeguatezza dei gruppi dirigenti della sinistra, di qualunque formazione.
    
Peraltro, Pisapia era già stato utile a Renzi nelle amministrative del 2016, rinunciando a candidarsi, escludendo liste alternative a Sala e sostenendo quest'ultimo. In quelle elezioni, disastrose per il Pd, Renzi si aggrappò proprio al salvagente meneghino. Senza, sarebbe naufragato prima del referendum.
A livello più generale, Pisapia resta poco adatto a rappresentare un'alternativa di sinistra credibile per quello che incarna. Egli, infatti, viene rappresentato e si offre come il sindaco efficiente, lontano dai partiti, che da primo cittadino, vicino alla società civile, può offrire il comando vincente. Nulla di più vecchio, nulla di più errato. In tutta la vicenda della Seconda Repubblica si possono riempire le fosse di interi cimiteri con le carcasse di sindaci che ce l'avrebbero dovuta fare, da Rutelli a Veltroni, da Bassolino a Fassino, a Renzi. È il classico schema che mescola leaderismo, antipartitismo, direttismo. Tutto celebrato da media compiacenti. Tutto presentato come un roseo avvenire, mentre è uno schema scaduto da tempo, che è diventato tossico.
Pisapia già nel 2010 godette dello squillo trionfale delle trombe di quanti lo celebrano anche ora. Quando vinse le primarie per essere candidato sindaco a Milano la sinistra radical, e non solo, si commosse, convinta di essere a un passo dal Palazzo d'Inverso. Solo in pochi analizzarono con occhi più critici. Tra questi, solo Michele Prospero che, in un articolo intitolato "L'iperdemocrazia delle primarie", apparso sull'edizione cartacea del Manifesto (19 dicembre del 2010), a proposito dei soldi investiti dai candidati in quella competizione, scriveva:
I primi due candidati meglio piazzati hanno speso 200 mila euro ciascuno. Il terzo classificato 67 mila euro e il quarto, poverino, poco più di mille euro (e forse così si capisce meglio il risultato misero ottenuto). Strano che il peso del denaro corrisponda al numero delle schede.
Media, denaro, leaderismo. È il copione di un brutto film visto e rivisto che non ha alcun collegamento con valori collettivi, solidali, egualitari. Ma, soprattutto, mette in evidenza, ancora una volta, l'assenza di autonomia politica della sinistra, incapace di elaborare al suo interno culture organizzative, teorie della partecipazione, idee e selezionare le élite, restando perennemente intrappolata in scelte operate non nelle direzioni di partito ma in quelle dei giornali.
Il problema della sinistra, in ogni caso, non è Pisapia. Il problema della sinistra è stato non aver capito Pisapia. Ed è difficile sperare che abbia grande visione chi in campo aperto va a sbattere sull'unico palo.

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