Si
va in piazza, a Susa, “contro la criminalizzazione e la
demonizzazione”, e speriamo sia stata una protesta riuscita e pacifica
(al momento di scrivere la manifestazione di metà novembre non è ancora
avvenuta). C’è una parte minuscola della grande galassia di soggetti
contrari alla realizzazione del Tav che soffre di una sovraesposizione
mediatica: quella che da tv e giornali è presentata come leadership e
che, a parte qualche ricusazione formale del ruolo, pare ben contenta di
mostrarsi come tale. Perino e dintorni, tanto per essere espliciti. A
questa sorta di “ufficio relazioni” dei movimenti ha fatto, mi pare,
difetto finora la capacità di prendere una posizione chiara e
comprensibile (nel senso del rifiuto o in quello della rivendicazione)
nei confronti delle strane derive “notturne” della situazione in valle.
Non credo sia un problema secondario, una questione di dettagli o di
nominalismo (come spesso viene presentata con fastidio davanti ai
microfoni), perché ciò che accade e che ai media piace gonfiare
assomiglia dannatamente e grottescamente a qualcosa di già visto e
troppo presto dimenticato: non preoccuparsene, sorvolare o minimizzare,
magari per non irritare troppo alcune componenti che potrei definire
esuberantemente autoreferenziali di ciò che resta del grande movimento
contro il Tav è una leggerezza pericolosa.
E scivolose sono le scelte lessicali: anche concetti giusti e legittimi, come quelli espressi di recente dallo scrittore Erri De Luca, se presentati con vocabolario ambiguo e difesi con prese di posizione nebulose (come è accaduto anche sui siti di movimento) finiscono per andare a vantaggio di chi ha interesse a rinchiudere la discussione sull’Alta Velocità in valle di Susa nel recinto delle questioni di ordine pubblico: la scelta di una parola come “sabotaggio” è una scelta delicata, non illecita, ma che impone a chi la compie un uso lessicalmente e semanticamente poi molto sorvegliato. Ciò che forse è mancato – e da ogni parte – nello pseudo-dibattito innescato dalle dichiarazioni settembrine di Erri De Luca.
Perché ci risiamo, purtroppo. Con insistenza ossessiva, la valle di Susa viene presentata al Paese come il teatro di misteriose trame terroriste, attentati, progetti di eversione, attività di falangi estremiste che amano agire nell’oscurità. Si accendono fuochi notturni, saltano in aria attrezzature nei cantieri, amministratori rampanti e sostenitori della cantierizzazione ricevono minacce e buste con proiettili (personalmente sulla disinvolta capacità di “autominaccia” strumentale di certi kamikaze progressisti delle grandi opere non nutro molti dubbi, ma questo è un altro discorso: qui e ora in effetti qualcosa di più sta avvenendo). Proprio come quindici anni fa.
I presunti “misteri della val Susa”, che misteri non sarebbero affatto se solo ci fosse memoria dei fatti e dei processi già avvenuti: una storia orribile, già vista ma che ancora una volta determina negli opposti schieramenti reazioni pavloviane, dagli scopi opposti e dall’esito, ahimé, comune: da un lato la corsa isterica di media, politici e – diciamolo – affaristi a gridare al pericolo terrorista, al “ritorno agli anni di piombo” e alle oscure presenze di reti incontrollabili, dall’altro la catastrofe di un movimento sano, trasversale, intelligente, e mal rappresentato fino alla dispersione, soprattutto davanti a un clima di repressione permanente, crescente e intimidatorio, come basterebbe a dimostrare il crollo della partecipazione dalla oceanica manifestazione del 3 luglio 2011 che vide settantamila persone aggredite dalla polizia sulle strade di Chiomonte alle lodevoli ma sparute rappresentanze dei presidi attuali.
L’effetto congiunto di posizioni radicalmente opposte (militarizzazione e narcisismo guerrigliero delle “avanguardie”) finisce per ridurre ogni questione relativa a quanto sta avvenendo in valle e in generale alla sciagurata politica infrastrutturale del nostro paese a una faccenda di puro ordine pubblico, togliendo fatalmente spazio e corso legale a ogni altro tipo di argomentazione, togliendo spazio alla politica, tout court. L’obiettivo di allontanare l’attenzione generale da qualcosa di gravissimo che stava avvenendo in valle inventando una situazione di allarme per l’ordine pubblico legata ai progetti Tav fu conseguito già quindici anni fa al prezzo di almeno tre vite innocenti e in una vicenda fra le più oscure nella storia dei rapporti fra lo stato e la criminalità organizzata che usò i procurati allarmi Tav come paravento.
Difficile, sempre difficile dire qualcosa di nuovo su questa valle. O in questa valle. Drammaticamente vano, spesso, anche ricordare qualcosa di vecchio.
Come la storia di ciò che avvenne alla fine degli anni novanta quando qui fu letteralmente inventato – su mandato di Stato – il “terrorismo ecologista”. Dal 1996 una serie di misteriosi attentati in val di Susa, cantieri, trivelle, tutto come oggi, fu attribuita da magistrati assai sicuri di sé a un occulto piano di eversione che aveva come obiettivo i cantieri dove si effettuavano i sondaggi per la realizzazione del Tav. Un paio di anni dopo, mentre gli strani fuochi notturni continuavano ad accendersi, accuse pretestuose, destinate a essere spazzate via e messe in ridicolo dai processi a cui diedero il via, gonfiate e presentate come “prove granitiche” dai pm, ipertrofiche come le incriminazioni per “terrorismo” di oggi, furono gettate addosso a tre anarchici a loro volta destinati a fare da capri espiatori. Due giovanissimi: Soledad Rosas, 25 anni e Edoardo Massari, e con loro Silvano Pelissero, risultati poi completamente estranei a ogni attività – criminale e non – contro i cantieri dell’alta velocità. Addirittura fino a quel momento il Tav non era mai rientrato in nessuna occasione fra gli interessi dell’area antagonista anarchica: a essere sorpresi del capo d’accusa furono per primi gli incriminati. Assolti solo dopo la morte, però, Soledad e Edoardo, suicidi (ma è lecito sospettare qualche “aiutino”): in carcere il secondo, in una comunità di accoglienza la prima. Due mesi dopo di lei, poi, nel silenzio stampa più assoluto si diede la morte anche il responsabile della comunità che l’aveva ospitata. Del tutto prosciolto, dopo anni di varia prigionia, dalle accuse relative al Tav (e condannato per un furtarello di tutt’altra natura) il terzo incriminato. Contestualmente però, esponenti delle forze di polizia in valle e dei servizi segreti (Carabinieri e Sisde) confessarono di avere organizzato attentati con finta matrice ecologista per creare e alimentare un clima di “allarme ordine pubblico” in valle e allontanare l’attenzione dallo scandaloso processo che li vedeva coinvolti in relazione a un traffico d’armi da loro stessi gestito in collaborazione con cosche della ’ndrangheta attraverso l’armeria Brown Bess di Susa. Franco Fuschi, agente del Sisde e collaboratore dei carabinieri di Susa, condannato a quattordici ergastoli per quattordici omicidi riconosciuti, raccontò diffusamente in aula le sue attività di sabotaggio “ecologista” contro tralicci e cantieri e l’invenzione del terrorismo anti-tav. Avveniva tre morti innocenti, quindici anni e un torrente di oblio fa. Tutto rimosso, a parte qualche slogan, e la memoria in lutto di chi conobbe le vittime. Eppure l’accento si sposta di nuovo sull’ordine pubblico, le incriminazioni tornano ad assumere motivazioni sproporzionate ai fatti (dall’attribuzione di matrice terrorista ai danneggiamenti alle reti all’accusa di lesioni a pubblico ufficiale mossa a una ragazza perché l’agente che la inseguiva con casco e manganello si è preso una storta correndo: si dovrebbe poter ridere, di cose come queste, se solo fossero parto della fantasia di uno scrittore), misteriose trame tornano a essere sventolate a garanzia della militarizzazione che soffoca la valle.
I distinguo bizantini, a volte al limite del pilatesco, in materia di scelte violente da parte di portavoce più o meno inventati dalla stampa non giovano di sicuro a chi vorrebbe sottrarre la critica all’invasione costituita dalla Grande Opera valsusina alla logica emergenziale cara a chi ha fretta di aprire i cantieri.
Difficile, sempre difficile dire cose nuove su questa valle. Proviamo però a uscire dalla logica dell’emergenza ricapitolandone alcune di vecchie con una sorta di gioco ispirato ai procedimenti matematici. Un enunciato (non lo chiamo “teorema” per evitare la connotazione negativa che questa parola assume sui media) e una sorta di dimostrazione per induzione in undici passi.
Per richiamare un poco il merito della questione, quel merito che si colloca al di là degli allarmi mediatici, proviamo a fare un gioco in forma di matematica. Proviamo a portare qualche elemento di dimostrazione per un enunciato (non dico “teorema” per evitare la connotazione negativa che questo termine assume quando finisce sui media).
Enunciato: è possibile essere favorevoli al Tav in val di Susa, è possibile essere in buona fede, è possibile essere informati. Non è possibile però essere contemporaneamente tutt’e tre queste cose.
Cenni di dimostrazione. Assumiamo un centone di argomenti correnti a favore della realizzazione dell’opera. Se tutti risulteranno inconsistenti, avremo una robusta traccia per considerare vero l’enunciato. Schema di discorso favorevole: l’Alta Velocità è indispensabile per non emarginare l’economia piemontese e in generale italiana dai flussi internazionali di traffico merci e passeggeri. Essa permetterà il trasporto di merci in connessione con i sistemi europei ad alta velocità liberando le strade italiane dal traffico pesante su gomma, diminuendo l’asfalto e alleggerendo il sistema stradale intasato a tutto vantaggio dell’ambiente. Quest’opera in linea con lo sviluppo tecnologico rappresenta un futuro virtuoso dei trasporti e l’occasione di connettere Torino e Milano con Parigi in tempi brevi, in alternativa all’inquinante trasporto aereo. L’opera connette il trasporto di nordovest italiano a reti europee già in avanzato stato di realizzazione (in particolare con la Francia dove da tempo si è iniziato a scavare il tunnel che in Italia è paralizzato dalle proteste) e al progetto di linea ad alta velocità che attraverserà la pianura padana in direzione est collegando Milano e Trieste. Il costo sulle casse pubbliche è minimo, a causa degli ampi finanziamenti garantiti dall’Unione Europea e destinati a fungere da volano per cospicui investimenti di privati interessati alla gestione delle nuove linee. In ogni caso la realizzazione dell’opera costituisce un impegno nei confronti dell’Unione Europea che ci vincola con la sua definizione delle politiche integrate dei trasporti e delle infrastrutture, e nei confronti del popolo italiano le cui scelte sovrane espresse attraverso il Parlamento non possono essere ostacolate dagli interessi particolari di comunità locali.
Argomenti come quelli riassunti qui sopra sono alla base di ogni comunicazione politica, di ogni dettato giornalistico e di gran parte dei luoghi comuni diffusi nel senso comune anestetizzato dalla propaganda. Eppure non si tratta di opinioni, non si tratta di approssimazioni, interpretazioni, o di equivoci. Si tratta di bugie spudorate come quelle dei viaggiatori antichi che narravano di mostri acefali, pigmei monocoli, amazzoni e ciclopi a un pubblico che, a differenza di qualsiasi giornalista onesto, non aveva la possibilità con un sopralluogo, una telefonata, una chiacchierata di verificare da sé. Proviamo quindi a dipanare l’intrico mettendo in luce queste che è assai difficile chiamare in altro modo che “bugie”, con l’avvertenza che la scelta è quasi casuale dato che l’elenco potrebbe essere assai più lungo e ogni argomento menzognero poggia a sua volta su altre premesse non meno fantasiose.
Forniremo per ognuna delle bugie prese in considerazione un’indicazione sul più semplice ed economico mezzo utilizzabile per smentirla (se ne possono però trovare altri che richiedono un po’ più di lavoro, ovviamente).
Bugia 1)
Le merci. Il Tav serve a liberare le strade italiane dal traffico di mezzi pesanti su gomma.
Un paio di mesi fa, per esempio, si poteva ancora leggere sul “Sole 24 Ore” che il tunnel della val Susa avrebbe fra i suoi vantaggi quello di collegare le merci italiane alla rete dell’alta velocità francese. Attenzione: merci e alta velocità. Una domanda che un giornalista al lavoro dovrebbe sempre farsi (anche un politico, ma qui percorriamo le impervie regioni dell’utopia) è: “Di che cosa sto parlando?” Di che cosa parliamo quando parliamo di merci e alta velocità? Di nulla, come qualunque capostazione può spiegare (o qualunque studioso di logistica, o esperto di trasporti o direttore di camera di commercio): non esistono infatti in nessuna parte del mondo merci che viaggiano ad alta velocità. Il sistema logistico più efficace del pianeta è quello statunitense che prevede un limite massimo di velocità a 70 chilometri l’ora. I treni ad alta velocità viaggiano su binari speciali, richiedono infrastrutture dedicate. I convogli merci, per peso e bilanciamento, impongono all’infrastruttura e ai binari (anche ordinari) un logoramento che aumenta (non in maniera aritmetica ma in maniera esponenziale) con l’aumentare della velocità. Ovvero, al di là delle ovvie questioni di sicurezza che riguardano molte merci instabili (liquidi, prodotti chimici, alimentari), una merce che viaggia a più di 80, massimo 90, chilometri orari comporta dei costi di manutenzione sulle linee talmente alti da gravare sul prezzo delle merci trasportate fino a espellerle dal mercato. Non esiste, ripetiamolo, in tutto il pianeta un solo tratto di ferrovia merci ad alta velocità. Chi parla di Tav per le merci o non è informato o più probabilmente non è in buona fede.
Di conseguenza, semplicemente, delle due l’una: o il tunnel serve per l’alta velocità, e allora l’argomento sui tir e il trasporto stradale è specioso. Oppure il tunnel serve per le merci, e allora non servono infrastrutture dedicate all’Alta Velocità, come quelle previste. Tertium non datur.
È peraltro da escludere, per ragioni di sicurezza e di velocità differenti, una linea mista: in tutto il mondo gli investimenti infrastrutturali ferroviari vanno nella direzione di una separazione netta delle linee merci da quelle passeggeri (torneremo sull’esempio spagnolo), l’idea di realizzare una nuova linea mista, allo stato attuale della scienza logistica, sarebbe a tutti gli effetti qualcosa di paragonabile alla riproposizione della macchina a vapore o del pallottoliere.
Per smentire la bugia 1) è sufficiente una telefonata con un ferroviere.
Bugia 2)
In ogni caso, anche nel caso del solo trasporto passeggeri, l’Alta Velocità contribuisce a liberare il paesaggio dall’asfalto e ad alleggerire il traffico su gomma.
Per quel che riguarda l’asfalto basta dare un’occhiata a ciò che è avvenuto nei tratti Tav già esistenti: fra i più semplici da realizzare, il lungo rettilineo Torino-Milano: qui, per ogni chilometro di binari, fra strade di servizio, scavalchi e aggiustamenti di raccordi stradali sono stati stesi 3,8 chilometri di nuove strade asfaltate: nel nuovo paesaggio l’asfalto batte il ferro per quasi 4 chilometri a 1. Per quel che riguarda il traffico, poi basta guardare le scelte delle ferrovie italiane, impegnate nel lancio delle “frecce” e nel contestuale taglio massiccio alle linee locali: dalle reti delle valli alpine di Nord Ovest, alla Roma-Viterbo, alle Apulo-Lucane, il 2012-2013 si è rivelato come il biennio nero del traffico pendolare, con migliaia di lavoratori costretti dall’abolizione e dal malfunzionamento delle linee ferroviarie ordinarie a muoversi su corriere che intasano le statali o con auto private: l’incremento del traffico stradale è evidente e in alcuni casi drammaticamente vistoso.
Per smentire la bugia 2) è sufficiente una passeggiata al primo casello dell’autostrada Torino-Milano.
Bugia 3)
Il Tav servirà a raggiungere rapidamente Parigi.
Qui si scende nel campo della fantascienza, della divinazione, dell’arte staliniana dei piani quinquennali dilatata a distanze temporali astronomiche, che nessun analista economico prenderebbe sul serio. Attualmente – sotto le due improbabili premesse dell’analisi ufficiale, cioè l’inizio degli scavi entro quest’anno e la crescita costante del Pil italiano fra l’1,5 e il 3% annuo – la realizzazione del tunnel è prevista per il 2035. Attenzione: fra più di vent’an-ni. E, attenzione: del solo tunnel. In primo luogo, la Francia ha tolto priorità alla realizzazione della ferrovia che dovrebbe congiungere Lione alla galleria nella Maurienne (e la Corte dei Conti d’Oltralpe ha anche impugnato le delibere sulla realizzazione dell’opera a causa dei costi). Ma anche l’Italia, nonostante la propaganda, sotto l’eufemistica dizione “opzione low cost” si è rassegnata a uno scenario che non prevede alcun raccordo con le linee di pianura. Come dire che il tunnel campeggerà, se mai sarà costruito, in splendido isolamento fra le montagne di Susa e quelle di Saint Jeanne senza alcun collegamento rapido con le pianure: questo a partire almeno dal 2035, poi si vedrà, tanto è evidente che nessuno degli attuali samurai dell’opera sarà presente nel pieno delle facoltà mentali al taglio di un nastro che, nel migliore dei casi, inaugurerà l’ennesima cattedrale nel deserto italiana. Il tunnel, solitario orgoglio di ingegneri indifferenti all’utilità, andrà quindi ad arricchire l’elenco delle “grandi opere” realizzate e mai messe in esercizio, che grava già oggi sulle casse pubbliche italiane per oltre due miliardi di euro (per intenderci la cifra necessaria a coprire l’abolizione dell’Imu, oppure due terzi del costo del solo tratto italiano del tunnel stesso). E questo per esplicita scelta delle autorità italiane.
Volendo lasciare poi spazio a un certo umorismo, si può richiamare qui il ponderoso volume di analisi costi-benefici pubblicato dal ministro Passera per il governo Monti che indicava, alle suddette condizioni (crescita costante del Pil, eccetera), il 2073 come anno di raggiungimento del pareggio. 2073 anno del pareggio, come un film di fantascienza proiettato in un futuro ben più lontano di quello in cui Kubrick collocava il viaggio umano sulle lune di Saturno. Fra sessant’anni: mia figlia ne avrà ottanta e verosimilmente non avrà nemmeno più voglia di chiedere conto di quei calcoli tanto remoti. E forse per allora Parigi si raggiungerà altrimenti, magari per teletrasporto. Innervata sulla bugia 3, sta infatti la successiva.
Ma intanto, per smentire la bugia 3) è sufficiente consultare il calendario.
Bugia 4)
La Tav è il futuro dei trasporti e delle comunicazioni.
Mah. È un fatto che con il costo del solo tratto italiano del tunnel si può finanziare il collegamento a banda larga per l’Italia intera, fino alle borgate più sperdute. “Dipende da come si immagina il futuro”, dice Jean Michel Chaumatte, direttore dell’Autostrada Ferroviaria Alpina che trasporta già oggi su rotaia merci attraverso il valico del Frejus. E, ad esempio, fra i paesi europei che chi immagina un futuro più simile al senso comune: il governo ungherese intende stanziare i fondi europei per le reti infrastrutturali investendo su “autostrade telematiche” anziché su ferrovie. Fra sessant’anni, al raggiungimento del molto ipotetico pareggio come sarà la tecnologia? L’economia sarà tornata ai bisogni del ventesimo secolo con prospettive di lunghi trasferimenti via terra di materie prime dirette verso industrie pesanti (sessant’anni fa, Stalin ancora caldo, era in effetti questo il futuro immaginato) o forse lo sviluppo delle tecnologie avrà reso un tantino desueto questa visione veteroindustralista? La stampante in 3D, per fare un esempio, permette già di spostare manufatti senza trasportarli, come dire che con una capsula di resina posso ottenere il mio kalashnikov con un semplice invio di dati da Kabul, senza carichi d’armi su gomma o rotaia che siano. E non si può sperare che in sei decenni la tecnologia dei motori migliori anche il trasporto che non può essere spostato su rotaia (per esempio quello che dalle stazioni raggiunge le aziende)? E quanto ai passeggeri siamo certi che le massicciate di cemento e i raccordi d’asfalto siano di qui a ses-sant’anni competitivi, ad esempio come il volo a energia solare e impatto ambientale pres-ssoché zero che negli Stati Uniti è stato presentato al mondo alla fine del 2012, con la prima transvolata coast to coast?
Per confutare la bugia 4) è sufficiente guardare Blade Runner, 1979, e notare che il protagonista si ferma a telefonare in una cabina.
Bugia 5)
Il Tav è conveniente.
Nessuna linea ad Alta Velocità al mondo, però, tranne la Osaka-Tokyo e in misura minore la Parigi-Lione, registra bilanci in attivo. Addirittura, il costo di mantenimento e gestione dell’ipertrofico sistema ad alta velocità spagnolo viene indicato come il primo fattore, accanto alla bolla immobiliare, della disastrosa crisi economica di un paese che fino a pochissimi anni fa era considerato teatro di un vero e proprio boom. La Spagna si è sottratta infatti a ogni nuovo progetto di Alta Velocità e utilizza i fondi europei per la politica dei trasporti nella realizzazione di autostrade, di una linea costiera – lenta – dedicata alle merci e nella semplice aggiunta di una terza rotaia all’interno delle due esistenti per permettere il passaggio dei treni europei che hanno uno scartamento ridotto rispetto a quello in uso in Spagna.
Per confutare la bugia 5) in effetti è necessario leggere qualcosina, anche solo “El Paìs” alle pagine di economia, e i bilanci (disponibili in rete) delle linee in esercizio.
Bugia 6)
L’Europa ce lo chiede.
In nessun paragrafo delle raccomandazioni europee relative alle scelte della Rete Ten-T, ovvero ai progetti di ammodernamento delle infrastrutture viarie e dei trasporti, viene specificata la modalità secondo cui ogni paese deve realizzare le opere finanziate: non si parla di Alta Velocità, ma neppure specificamente di ferrovie, né di modalità di trasporto. E men che meno vengono date indicazioni geografiche: la millantata funzione strategica della direttrice Torino-Lione è responsabilità tutta italiana. Semplicemente viene chiesto a ogni paese un piano di utilizzo delle risorse per migliorare i collegamenti e l’integrazione continentale. L’Unione non mette alcun vincolo di velocità o modalità, impone semplicemente per le tratte in corso di realizzazione (su scelta dei singoli governi) il rispetto delle cosiddette “specifiche tecniche di interoperabilità” (ad esempio sagome, alimentazioni e sistemi di segnalazione). A questo proposito val la pena di osservare che Portogallo, Spagna, Germania, Slovenia e Ungheria (oltre a Svizzera, Ucraina e Russia, fuori dall’Ue) hanno rinunciato alla realizzazione di ulteriori linee ad Alta Velocità. Della Spagna si è detto, il Portogallo si è chiamato fuori per l’insormontabilità economica di un progetto che non presentava benefici paragonabili ai costi, Germania, Svizzera e Slovenia hanno scelto di adeguare le linee tradizionali e mettere in movimento, su queste, convogli come il “pendolino” (brevetto italiano delle Officine Savigliano successivamente ceduto a un’azienda francese) in grado di correre a 250 kmh su linee tradizionali senza richiedere monumentali realizzazioni infrastrutturali. L’Ungheria investe i soldi europei in autostrade e nel miglioramento (ohibò) della rete telematica con un solo collegamento ferroviario ma verso Nord, in direzione Berlino. La Russia, dove le pianure non mancano e i costi di realizzazione sono circa otto volte inferiori a quelli italiani, ha semplicemente rinunciato per l’insostenibilità delle spese, la non concorrenzialità sulle tratte lunghe con il trasporto aereo e l’inutilità sulle tratte brevi ben coperte da linee moderne. Solo da noi l’Alta Velocità, condita peraltro con l’equivoco delle merci, viene raccontata come una richiesta dell’Europa.
Per falsificare la bugia 6) è sufficiente consultare il sito internet dell’Unione Europea che mette a disposizione i protocolli sulle politiche dei trasporti.
Bugia 7)
L’Europa finanzia l’opera in misura tale da attirare il concorso di investitori privati evitando di far gravare i costi sulle casse pubbliche.
L’intero stanziamento europeo per tutte le politiche infrastrutturali nel decennio in corso non raggiunge i 25 miliardi di euro (la richiesta della Commissione era di 31,8 miliardi). Il solo tratto italiano del tunnel (8,5 chilometri!) ne costa – per adesso, più del 10%: 2,8 miliardi di euro.
Se anche al progetto (comunque lo si chiami: a ogni sbandata gli si cambia nome, così da Corridoio 5 si è passati a Corridoio Mediterraneo, poi ad altre formule sempre più simili alle gloriose supercazzole di Ugo Tognazzi) che coinvolge Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Slovenia, Ungheria fosse assegnato il 10% delle risorse destinate a tutto il continente, meno di 2,5 miliardi, dunque non si coprirebbero nemmeno i costi nudi dei meno di dieci chilometri italiani. Anche in questo caso se a quella manciata di chilometri si volesse con slancio utopistico assegnare il 10% dei fondi destinati agli oltre tremila chilometri dell’intero corridoio attraverso cinque paesi, si può arrivare a pensare a un finanziamento intorno ai 250 milioni. Il che non impedisce di leggere in documenti governativi e giornali che l’Unione finanzierà il 40% dell’opera se non di più. La rete Ten T dei progetti viari continentali presenta, oltre all’asse latitudinale Spagna-Ungheria nato con il nome di “Corridoio 5”, altri dieci progetti prioritari, la maggior parte dei quali investe linee assai più frequentate e considerate assai più strategiche della vecchia direttrice ovest-est, come gli assi Nord-Sud che collegano il Mediterraneo alla Germania e alle economie scandinave. Alcuni di questi, poi, riguardano l’Italia in maniera assai più cruciale dell’ex Corridoio 5: è il caso del “Baltico-Mediterraneo” che raccorda i nostri porti adriatici con le economie del nord del continente, oggetto di una violenta contesa diplomatica che ha visto l’Italia ottenere dall’Unione l’esclusione della Slovenia da qualsiasi collegamento con quest’asse, con conseguente ritorsione slovena che vedremo. Insomma, se anche l’Italia contraddicesse se stessa e, a scapito di altri progetti su cui si è impegnata fino al braccio di ferro diplomatico, e volesse convogliare tutti i fondi europei sul tunnel in cima alle montagne valsusine, non rimarrebbe che una manciata di milioni (non miliardi) privi della capacità di attirare privati interessati alla gestione di una tratta in perdita secondo tutti gli standard internazionali e – anche nelle ottimistiche visioni dell’ex ministro Passera – in perdita certa per almeno altri sessant’anni. A questo si aggiunga che, per lo sciagurato Project Financing, anche le imprese che aprono i cantieri per la costruzione lavorano con prestiti bancari i cui interessi sono coperti da denaro pubblico: il peso economico dell’opera va pressoché interamente sulle spalle dello Stato, il che in tempi di crisi è in effetti difficile da giustificare. Come si spiega a chi paga l’Imu che proprio con una somma pari a quella garantita da quella tassa si sta realizzando una galleria destinata a restare isolata vicino alle vette fino a epoche talmente remote da non riuscire neppure a immaginarle?
Per smentire la bugia 7) è sufficiente contare i soldi nella cassa (anche queste cifre sono disponibili sui siti dell’Unione).
Bugia 8)
La Francia ha iniziato a scavare.
Semplicemente falso. Senza mezzi termini. Non un solo metro del tunnel di base, né un metro di rete per la recinzione del cantiere. È vero che nel 2005-2006 furono realizzati sul versante francese tre piccoli sondaggi geognostici, cunicoli successivamente abbandonati su cui si riversa ora la protesta della popolazione della Maurienne, stanca di pagare i costi di illuminazione perpetua di piccole gallerie desuete dove la luce non può essere spenta pena l’ossidazione degli impianti.
Per confutare la bugia 8 basta fare una gita nella bella Maurienne, meno di cento chilometri da Torino.
Bugia 9)
L’Alta Velocità in val Susa si connetterà con l’Alta Velocità transpadana verso Trieste.
Su questo argomento la palma della comicità surrealista va senz’altro assegnata a Piero Fassino, capace di sostenere, or non è molto, l’utlità del Tav con l’argomento del Corridoio 5, specificando che il futuro è nella connessione a oriente, dove Slovenia e Ungheria rappresentano “l’Eldorado dell’economia italiana” (sic!) e i treni per raggiungerle “la condizione per salvaguardare la vocazione industriale di Torino” (di nuovo sic!). Il sindaco non deve essersi accorto che di vocazione industriale quassù ne resta ben poco, ma certo lui, come tutti i giornalisti, dà per scontato che sia in programma una connessione a oriente.
Sbaglia, e di grosso: i progetti di Alta Velocità nel Nord Italia si fermano a Brescia, Rete Ferroviaria Italiana esclude ogni collegamento Tav di lì verso est, suscitando peraltro aspre proteste, per esempio a Trieste, dove il quotidiano “Il Piccolo” sostiene una giusta campagna per ottenere collegamenti ferroviari decenti e praticabili con Milano. Troppo costosi gli espropri nell’area più antropizzata d’Italia, inaggirabile il nodo di Vicenza (dove l’associazione degli industriali ha tentato, prima di rassegnarsi per l’insormontabilità dell’impresa, di realizzare una cordata privata per la costruzione di una linea) per ragioni urbanistiche, territoriali e di proprietà, non risolvibile il rebus dell’attraversamento della zona carsica friulana dove ogni proposta di tunnel cade inevitabilmente nel ridicolo e nel paradosso geologico: un progetto buttato giù in fretta e furia nel 2010 fu bocciato nel giro di pochi mesi per un cumulo di assurdità impraticabili, come l’idea di perforare le cavità carsiche (perforare cavità! e carsiche!), di fornire di collegamenti ad Alta Velocità le stazioni balneari venete e friulane (talmente vicine fra loro da impedire ai treni di raggiungere la velocità sognata), di triplicare a spese dell’Unicredit (ritiratasi in gran fretta dal progetto) il porto di Monfalcone.
In ogni caso, l’Ad di Rete Ferroviaria Italiana, Moretti, ha escluso esplicitamente e categoricamente ogni estensione delle ferrovie ad Alta Velocità a est di Brescia. Né più né meno: a che cosa dovrebbe quindi mai raccordarsi il tratto nordoccidentale?
Non solo: la Slovenia, incassato il veto italiano al collegamento del porto di Capodistria con il “Corridoio baltico-mediterraneo”, ha reagito abolendo ogni servizio ferroviario da e per l’Italia: dal dicembre 2011 da Trieste a Lubiana si va in corriera.
Per smentire la bugia 9) basta telefonare a Rfi o provare ad andare in treno a Trieste e poi magari a Lubiana.
Bugia 10)
Il mancato collegamento con Lione emargina il Piemonte dai flussi di merci e passeggeri che costituiscono elemento di integrazione europea: la regione resterebbe isolata ed emarginata.
In realtà la regione è collegata a nord e a ovest da altri valichi: Ventimiglia, il Monte Bianco, ma anche il Sempione verso la Svizzera e ben due servizi in val Susa: il tunnel del Frejus e l’Autostrada Ferroviaria Alpina, ammodernata nel 2012 e ora in efficiente funzionamento per il trasporto dei carichi Tir su convogli ferroviari fra Saint Jean de la Maurienne e Orbassano, presso Torino. Il declino del transito merci sulla linea interessata data a partire dal 1999, aumenta vertiginosamente fra il 2004 e il 2009 e si impenna negli anni più recenti fino ad attestarsi sui livelli del 1974 per quanto riguarda le ferrovie e del 1989 per il traffico su strada. Secondo il Politecnico di Torino fra il 1994 e il 2008 il traffico autostradale del Frejus e del Monte Bianco è sceso da 26,5 a 20,8 milioni di tonnellate, per fare un esempio. Non mancano libri e studi specifici su questo argomento.
In effetti per smentire questa bugia 10) qualche fatica va fatta, vista la (voluta?) disomogeneità dei dati forniti da fonti ufficiali e il sospetto di tendenziosità di quelli forniti da parte antagonista. Il lavoro può essere svolto in internet oppure, se mi si perdona l’autoreferenza, lo si trova bell’e fatto in De Benedetti - Rastello, Binario morto, Chiarelettere 2013.
Un esempio di dimostrazione in dieci passi sarebbe sufficiente e la cifra tonda dovrebbe accontentarci, pur nella consapevolezza di non aver coperto che una sezione dell’orizzonte delle manipolazioni informative in materia di Tav. Mi sembra però opportuno ricordarne ancora una:
Bugia 11)
È una questione di democrazia: una piccola comunità locale non può impedire la realizzazione di un’opera che è volontà del popolo italiano.
È una questione capitale: si può lasciare a ciascuno la riflessione su democrazia, diritti, sovranità, scelta collettiva e magari anche militarizzazione e costi relativi. Qui però è necessario ricordare che mai il Parlamento italiano, espressione della sovranità popolare, si è espresso sulla questione Tav, sempre gestita con decreti e scelte governative non sottoposte – se non a posteriori e all’interno di altre più vaste questioni, per esempio con le leggi finanziarie – a un vaglio specifico da parte del voto parlamentare. Quanto alla consultazione delle comunità locali a cui viene imposto un futuro di decenni di cantierizzazione e aggressione ambientale, persino i più oltranzisti fra i sostenitori dell’opera ammettono quanto meno che tale consultazione “non è avvenuta nei modi opportuni”. Eufemismo, in verità: in sede di decisione, semplicemente non è mai avvenuta. Il parere delle comunità locali è stato chiesto successivamente, a scelte fatte, a proposito di come realizzare la grande cattedrale, e non mai sulla scelta se realizzarla. Come se mi consultassero sulle modalità della demolizione, già decisa, di casa mia.
All’elenco mancano molte bugie, ma per una prima conclusione dovrebbero essere sufficienti le undici elencate: non è vero che il Tav ha a che fare con il trasporto merci; non è vero che riduce l’asfalto e il trasporto passeggeri su gomma; non è vero che collegherà Torino a Lione; non è vero che è in linea con il progresso tecnologico; non è vero che ha una sua convenienza economica; non è vero che l’Unione Europea ci chiede di realizzarlo; e non è vero che la stessa Unione è disposta a finanziarne una quota significativa sufficiente a sgravare gli enormi costi dalle casse pubbliche italiane; non è vero che la Francia ha definitivamente approvato il progetto e men che meno che ha avviato i lavori; non è vero che il progetto si integra in una futura rete di Alta Velocità italiana in direzione del nord-est; non è vero che le analisi di traffico passeggeri e merci indicano la necessità dell’opera; non è vero che la scelta a cui la val Susa si oppone sia espressione democratica della volontà nazionale. Ce n’è quanto basta per sostenere l’enunciato di partenza: si può essere informati e favorevoli al Tav in val Susa, oppure si può essere in buona fede e favorevoli al Tav, o ancora si può essere informati e in buona fede. Quel che non è possibile è essere informati, in buona fede e favorevoli.
Non c’è pudore in giornalisti, uomini delle istituzioni, soggetti di sottobosco variamente interessati alla grande opera: si parla a vanvera di corridoi europei, di tratte italiane che non sono previste neppure come ipotesi, di lavori già realizzati in varie parti d’Europa, di ritardi italiani e imprescindibili appuntamenti perduti (ma mai fissati), di legislazioni che non esistono, si sventolano dati, si confondono le carte spesso estraendole dal fondo del mazzo o dalla manica, si parla di passeggeri e di merci senza rispetto dell’abc dei trasporti, si cambia disinvoltamente traiettoria in volo, si prendono in giro gli ascoltatori con storie fantasiose e sprezzanti del buon senso (una fra tante: il presidente dell’Osservatorio governativo per la Torino-Lione continua ad affermare in occasione di dibattiti pubblici che la Spagna ha in programma un tunnel sotto il Mediterraneo per il collegamento con il Marocco: un’economia massacrata dai treni e la faglia geologicamente più instabile dei due continenti non bastano a tacitarlo).
Su questa montagna di ciarpame poggia l’unico organo davvero funzionante nella macchina Tav: la propaganda.
Un’offensiva massiccia e continua che fa leva su timori, conformismi, approssimazioni e menzogne nel costruire l’immagine di un futuro che non c’è, di un presente che non c’è e trasformare in senso comune gli slogan che nascono a difesa degli interessi di alcuni, pochi, affaristi in vario modo legati alle amministrazioni politiche: quelli che, soli, hanno da guadagnare da tutto questo. Attenzione: non certo dalla realizzazione dell’opera – relegata in un futuro mitologico di cui in realtà non importa nulla a nessuno – ma semplicemente dall’apertura dei cantieri e dalla riscossione di crediti destinati a non lasciare traccia di benefici e servizi concreti sul territorio.
Proprio perché la partita è giocata da una parte con dadi tanto spudoratamente truccati, avvilisce il pensiero che dall’altra parte si finisca per concorrere, involontariamente e quasi per automatismi pavloviani, al gioco di chi trasforma una questione cruciale per la democrazia, l’economia, e la civiltà stessa, per il destino delle comunità locali e per i diritti per i cittadini del nostro paese (che non sono un’entità astratta, ma sempre abitanti di un territorio) in una oscura questione di ordine pubblico e di confronto militare. Il gioco della violenza, anche solo rappresentato come in un teatro, come sempre taglia le ali al ragionamento e alla libertà di agire, libertà politica prima.
E scivolose sono le scelte lessicali: anche concetti giusti e legittimi, come quelli espressi di recente dallo scrittore Erri De Luca, se presentati con vocabolario ambiguo e difesi con prese di posizione nebulose (come è accaduto anche sui siti di movimento) finiscono per andare a vantaggio di chi ha interesse a rinchiudere la discussione sull’Alta Velocità in valle di Susa nel recinto delle questioni di ordine pubblico: la scelta di una parola come “sabotaggio” è una scelta delicata, non illecita, ma che impone a chi la compie un uso lessicalmente e semanticamente poi molto sorvegliato. Ciò che forse è mancato – e da ogni parte – nello pseudo-dibattito innescato dalle dichiarazioni settembrine di Erri De Luca.
Perché ci risiamo, purtroppo. Con insistenza ossessiva, la valle di Susa viene presentata al Paese come il teatro di misteriose trame terroriste, attentati, progetti di eversione, attività di falangi estremiste che amano agire nell’oscurità. Si accendono fuochi notturni, saltano in aria attrezzature nei cantieri, amministratori rampanti e sostenitori della cantierizzazione ricevono minacce e buste con proiettili (personalmente sulla disinvolta capacità di “autominaccia” strumentale di certi kamikaze progressisti delle grandi opere non nutro molti dubbi, ma questo è un altro discorso: qui e ora in effetti qualcosa di più sta avvenendo). Proprio come quindici anni fa.
I presunti “misteri della val Susa”, che misteri non sarebbero affatto se solo ci fosse memoria dei fatti e dei processi già avvenuti: una storia orribile, già vista ma che ancora una volta determina negli opposti schieramenti reazioni pavloviane, dagli scopi opposti e dall’esito, ahimé, comune: da un lato la corsa isterica di media, politici e – diciamolo – affaristi a gridare al pericolo terrorista, al “ritorno agli anni di piombo” e alle oscure presenze di reti incontrollabili, dall’altro la catastrofe di un movimento sano, trasversale, intelligente, e mal rappresentato fino alla dispersione, soprattutto davanti a un clima di repressione permanente, crescente e intimidatorio, come basterebbe a dimostrare il crollo della partecipazione dalla oceanica manifestazione del 3 luglio 2011 che vide settantamila persone aggredite dalla polizia sulle strade di Chiomonte alle lodevoli ma sparute rappresentanze dei presidi attuali.
L’effetto congiunto di posizioni radicalmente opposte (militarizzazione e narcisismo guerrigliero delle “avanguardie”) finisce per ridurre ogni questione relativa a quanto sta avvenendo in valle e in generale alla sciagurata politica infrastrutturale del nostro paese a una faccenda di puro ordine pubblico, togliendo fatalmente spazio e corso legale a ogni altro tipo di argomentazione, togliendo spazio alla politica, tout court. L’obiettivo di allontanare l’attenzione generale da qualcosa di gravissimo che stava avvenendo in valle inventando una situazione di allarme per l’ordine pubblico legata ai progetti Tav fu conseguito già quindici anni fa al prezzo di almeno tre vite innocenti e in una vicenda fra le più oscure nella storia dei rapporti fra lo stato e la criminalità organizzata che usò i procurati allarmi Tav come paravento.
Difficile, sempre difficile dire qualcosa di nuovo su questa valle. O in questa valle. Drammaticamente vano, spesso, anche ricordare qualcosa di vecchio.
Come la storia di ciò che avvenne alla fine degli anni novanta quando qui fu letteralmente inventato – su mandato di Stato – il “terrorismo ecologista”. Dal 1996 una serie di misteriosi attentati in val di Susa, cantieri, trivelle, tutto come oggi, fu attribuita da magistrati assai sicuri di sé a un occulto piano di eversione che aveva come obiettivo i cantieri dove si effettuavano i sondaggi per la realizzazione del Tav. Un paio di anni dopo, mentre gli strani fuochi notturni continuavano ad accendersi, accuse pretestuose, destinate a essere spazzate via e messe in ridicolo dai processi a cui diedero il via, gonfiate e presentate come “prove granitiche” dai pm, ipertrofiche come le incriminazioni per “terrorismo” di oggi, furono gettate addosso a tre anarchici a loro volta destinati a fare da capri espiatori. Due giovanissimi: Soledad Rosas, 25 anni e Edoardo Massari, e con loro Silvano Pelissero, risultati poi completamente estranei a ogni attività – criminale e non – contro i cantieri dell’alta velocità. Addirittura fino a quel momento il Tav non era mai rientrato in nessuna occasione fra gli interessi dell’area antagonista anarchica: a essere sorpresi del capo d’accusa furono per primi gli incriminati. Assolti solo dopo la morte, però, Soledad e Edoardo, suicidi (ma è lecito sospettare qualche “aiutino”): in carcere il secondo, in una comunità di accoglienza la prima. Due mesi dopo di lei, poi, nel silenzio stampa più assoluto si diede la morte anche il responsabile della comunità che l’aveva ospitata. Del tutto prosciolto, dopo anni di varia prigionia, dalle accuse relative al Tav (e condannato per un furtarello di tutt’altra natura) il terzo incriminato. Contestualmente però, esponenti delle forze di polizia in valle e dei servizi segreti (Carabinieri e Sisde) confessarono di avere organizzato attentati con finta matrice ecologista per creare e alimentare un clima di “allarme ordine pubblico” in valle e allontanare l’attenzione dallo scandaloso processo che li vedeva coinvolti in relazione a un traffico d’armi da loro stessi gestito in collaborazione con cosche della ’ndrangheta attraverso l’armeria Brown Bess di Susa. Franco Fuschi, agente del Sisde e collaboratore dei carabinieri di Susa, condannato a quattordici ergastoli per quattordici omicidi riconosciuti, raccontò diffusamente in aula le sue attività di sabotaggio “ecologista” contro tralicci e cantieri e l’invenzione del terrorismo anti-tav. Avveniva tre morti innocenti, quindici anni e un torrente di oblio fa. Tutto rimosso, a parte qualche slogan, e la memoria in lutto di chi conobbe le vittime. Eppure l’accento si sposta di nuovo sull’ordine pubblico, le incriminazioni tornano ad assumere motivazioni sproporzionate ai fatti (dall’attribuzione di matrice terrorista ai danneggiamenti alle reti all’accusa di lesioni a pubblico ufficiale mossa a una ragazza perché l’agente che la inseguiva con casco e manganello si è preso una storta correndo: si dovrebbe poter ridere, di cose come queste, se solo fossero parto della fantasia di uno scrittore), misteriose trame tornano a essere sventolate a garanzia della militarizzazione che soffoca la valle.
I distinguo bizantini, a volte al limite del pilatesco, in materia di scelte violente da parte di portavoce più o meno inventati dalla stampa non giovano di sicuro a chi vorrebbe sottrarre la critica all’invasione costituita dalla Grande Opera valsusina alla logica emergenziale cara a chi ha fretta di aprire i cantieri.
Difficile, sempre difficile dire cose nuove su questa valle. Proviamo però a uscire dalla logica dell’emergenza ricapitolandone alcune di vecchie con una sorta di gioco ispirato ai procedimenti matematici. Un enunciato (non lo chiamo “teorema” per evitare la connotazione negativa che questa parola assume sui media) e una sorta di dimostrazione per induzione in undici passi.
Per richiamare un poco il merito della questione, quel merito che si colloca al di là degli allarmi mediatici, proviamo a fare un gioco in forma di matematica. Proviamo a portare qualche elemento di dimostrazione per un enunciato (non dico “teorema” per evitare la connotazione negativa che questo termine assume quando finisce sui media).
Enunciato: è possibile essere favorevoli al Tav in val di Susa, è possibile essere in buona fede, è possibile essere informati. Non è possibile però essere contemporaneamente tutt’e tre queste cose.
Cenni di dimostrazione. Assumiamo un centone di argomenti correnti a favore della realizzazione dell’opera. Se tutti risulteranno inconsistenti, avremo una robusta traccia per considerare vero l’enunciato. Schema di discorso favorevole: l’Alta Velocità è indispensabile per non emarginare l’economia piemontese e in generale italiana dai flussi internazionali di traffico merci e passeggeri. Essa permetterà il trasporto di merci in connessione con i sistemi europei ad alta velocità liberando le strade italiane dal traffico pesante su gomma, diminuendo l’asfalto e alleggerendo il sistema stradale intasato a tutto vantaggio dell’ambiente. Quest’opera in linea con lo sviluppo tecnologico rappresenta un futuro virtuoso dei trasporti e l’occasione di connettere Torino e Milano con Parigi in tempi brevi, in alternativa all’inquinante trasporto aereo. L’opera connette il trasporto di nordovest italiano a reti europee già in avanzato stato di realizzazione (in particolare con la Francia dove da tempo si è iniziato a scavare il tunnel che in Italia è paralizzato dalle proteste) e al progetto di linea ad alta velocità che attraverserà la pianura padana in direzione est collegando Milano e Trieste. Il costo sulle casse pubbliche è minimo, a causa degli ampi finanziamenti garantiti dall’Unione Europea e destinati a fungere da volano per cospicui investimenti di privati interessati alla gestione delle nuove linee. In ogni caso la realizzazione dell’opera costituisce un impegno nei confronti dell’Unione Europea che ci vincola con la sua definizione delle politiche integrate dei trasporti e delle infrastrutture, e nei confronti del popolo italiano le cui scelte sovrane espresse attraverso il Parlamento non possono essere ostacolate dagli interessi particolari di comunità locali.
Argomenti come quelli riassunti qui sopra sono alla base di ogni comunicazione politica, di ogni dettato giornalistico e di gran parte dei luoghi comuni diffusi nel senso comune anestetizzato dalla propaganda. Eppure non si tratta di opinioni, non si tratta di approssimazioni, interpretazioni, o di equivoci. Si tratta di bugie spudorate come quelle dei viaggiatori antichi che narravano di mostri acefali, pigmei monocoli, amazzoni e ciclopi a un pubblico che, a differenza di qualsiasi giornalista onesto, non aveva la possibilità con un sopralluogo, una telefonata, una chiacchierata di verificare da sé. Proviamo quindi a dipanare l’intrico mettendo in luce queste che è assai difficile chiamare in altro modo che “bugie”, con l’avvertenza che la scelta è quasi casuale dato che l’elenco potrebbe essere assai più lungo e ogni argomento menzognero poggia a sua volta su altre premesse non meno fantasiose.
Forniremo per ognuna delle bugie prese in considerazione un’indicazione sul più semplice ed economico mezzo utilizzabile per smentirla (se ne possono però trovare altri che richiedono un po’ più di lavoro, ovviamente).
Bugia 1)
Le merci. Il Tav serve a liberare le strade italiane dal traffico di mezzi pesanti su gomma.
Un paio di mesi fa, per esempio, si poteva ancora leggere sul “Sole 24 Ore” che il tunnel della val Susa avrebbe fra i suoi vantaggi quello di collegare le merci italiane alla rete dell’alta velocità francese. Attenzione: merci e alta velocità. Una domanda che un giornalista al lavoro dovrebbe sempre farsi (anche un politico, ma qui percorriamo le impervie regioni dell’utopia) è: “Di che cosa sto parlando?” Di che cosa parliamo quando parliamo di merci e alta velocità? Di nulla, come qualunque capostazione può spiegare (o qualunque studioso di logistica, o esperto di trasporti o direttore di camera di commercio): non esistono infatti in nessuna parte del mondo merci che viaggiano ad alta velocità. Il sistema logistico più efficace del pianeta è quello statunitense che prevede un limite massimo di velocità a 70 chilometri l’ora. I treni ad alta velocità viaggiano su binari speciali, richiedono infrastrutture dedicate. I convogli merci, per peso e bilanciamento, impongono all’infrastruttura e ai binari (anche ordinari) un logoramento che aumenta (non in maniera aritmetica ma in maniera esponenziale) con l’aumentare della velocità. Ovvero, al di là delle ovvie questioni di sicurezza che riguardano molte merci instabili (liquidi, prodotti chimici, alimentari), una merce che viaggia a più di 80, massimo 90, chilometri orari comporta dei costi di manutenzione sulle linee talmente alti da gravare sul prezzo delle merci trasportate fino a espellerle dal mercato. Non esiste, ripetiamolo, in tutto il pianeta un solo tratto di ferrovia merci ad alta velocità. Chi parla di Tav per le merci o non è informato o più probabilmente non è in buona fede.
Di conseguenza, semplicemente, delle due l’una: o il tunnel serve per l’alta velocità, e allora l’argomento sui tir e il trasporto stradale è specioso. Oppure il tunnel serve per le merci, e allora non servono infrastrutture dedicate all’Alta Velocità, come quelle previste. Tertium non datur.
È peraltro da escludere, per ragioni di sicurezza e di velocità differenti, una linea mista: in tutto il mondo gli investimenti infrastrutturali ferroviari vanno nella direzione di una separazione netta delle linee merci da quelle passeggeri (torneremo sull’esempio spagnolo), l’idea di realizzare una nuova linea mista, allo stato attuale della scienza logistica, sarebbe a tutti gli effetti qualcosa di paragonabile alla riproposizione della macchina a vapore o del pallottoliere.
Per smentire la bugia 1) è sufficiente una telefonata con un ferroviere.
Bugia 2)
In ogni caso, anche nel caso del solo trasporto passeggeri, l’Alta Velocità contribuisce a liberare il paesaggio dall’asfalto e ad alleggerire il traffico su gomma.
Per quel che riguarda l’asfalto basta dare un’occhiata a ciò che è avvenuto nei tratti Tav già esistenti: fra i più semplici da realizzare, il lungo rettilineo Torino-Milano: qui, per ogni chilometro di binari, fra strade di servizio, scavalchi e aggiustamenti di raccordi stradali sono stati stesi 3,8 chilometri di nuove strade asfaltate: nel nuovo paesaggio l’asfalto batte il ferro per quasi 4 chilometri a 1. Per quel che riguarda il traffico, poi basta guardare le scelte delle ferrovie italiane, impegnate nel lancio delle “frecce” e nel contestuale taglio massiccio alle linee locali: dalle reti delle valli alpine di Nord Ovest, alla Roma-Viterbo, alle Apulo-Lucane, il 2012-2013 si è rivelato come il biennio nero del traffico pendolare, con migliaia di lavoratori costretti dall’abolizione e dal malfunzionamento delle linee ferroviarie ordinarie a muoversi su corriere che intasano le statali o con auto private: l’incremento del traffico stradale è evidente e in alcuni casi drammaticamente vistoso.
Per smentire la bugia 2) è sufficiente una passeggiata al primo casello dell’autostrada Torino-Milano.
Bugia 3)
Il Tav servirà a raggiungere rapidamente Parigi.
Qui si scende nel campo della fantascienza, della divinazione, dell’arte staliniana dei piani quinquennali dilatata a distanze temporali astronomiche, che nessun analista economico prenderebbe sul serio. Attualmente – sotto le due improbabili premesse dell’analisi ufficiale, cioè l’inizio degli scavi entro quest’anno e la crescita costante del Pil italiano fra l’1,5 e il 3% annuo – la realizzazione del tunnel è prevista per il 2035. Attenzione: fra più di vent’an-ni. E, attenzione: del solo tunnel. In primo luogo, la Francia ha tolto priorità alla realizzazione della ferrovia che dovrebbe congiungere Lione alla galleria nella Maurienne (e la Corte dei Conti d’Oltralpe ha anche impugnato le delibere sulla realizzazione dell’opera a causa dei costi). Ma anche l’Italia, nonostante la propaganda, sotto l’eufemistica dizione “opzione low cost” si è rassegnata a uno scenario che non prevede alcun raccordo con le linee di pianura. Come dire che il tunnel campeggerà, se mai sarà costruito, in splendido isolamento fra le montagne di Susa e quelle di Saint Jeanne senza alcun collegamento rapido con le pianure: questo a partire almeno dal 2035, poi si vedrà, tanto è evidente che nessuno degli attuali samurai dell’opera sarà presente nel pieno delle facoltà mentali al taglio di un nastro che, nel migliore dei casi, inaugurerà l’ennesima cattedrale nel deserto italiana. Il tunnel, solitario orgoglio di ingegneri indifferenti all’utilità, andrà quindi ad arricchire l’elenco delle “grandi opere” realizzate e mai messe in esercizio, che grava già oggi sulle casse pubbliche italiane per oltre due miliardi di euro (per intenderci la cifra necessaria a coprire l’abolizione dell’Imu, oppure due terzi del costo del solo tratto italiano del tunnel stesso). E questo per esplicita scelta delle autorità italiane.
Volendo lasciare poi spazio a un certo umorismo, si può richiamare qui il ponderoso volume di analisi costi-benefici pubblicato dal ministro Passera per il governo Monti che indicava, alle suddette condizioni (crescita costante del Pil, eccetera), il 2073 come anno di raggiungimento del pareggio. 2073 anno del pareggio, come un film di fantascienza proiettato in un futuro ben più lontano di quello in cui Kubrick collocava il viaggio umano sulle lune di Saturno. Fra sessant’anni: mia figlia ne avrà ottanta e verosimilmente non avrà nemmeno più voglia di chiedere conto di quei calcoli tanto remoti. E forse per allora Parigi si raggiungerà altrimenti, magari per teletrasporto. Innervata sulla bugia 3, sta infatti la successiva.
Ma intanto, per smentire la bugia 3) è sufficiente consultare il calendario.
Bugia 4)
La Tav è il futuro dei trasporti e delle comunicazioni.
Mah. È un fatto che con il costo del solo tratto italiano del tunnel si può finanziare il collegamento a banda larga per l’Italia intera, fino alle borgate più sperdute. “Dipende da come si immagina il futuro”, dice Jean Michel Chaumatte, direttore dell’Autostrada Ferroviaria Alpina che trasporta già oggi su rotaia merci attraverso il valico del Frejus. E, ad esempio, fra i paesi europei che chi immagina un futuro più simile al senso comune: il governo ungherese intende stanziare i fondi europei per le reti infrastrutturali investendo su “autostrade telematiche” anziché su ferrovie. Fra sessant’anni, al raggiungimento del molto ipotetico pareggio come sarà la tecnologia? L’economia sarà tornata ai bisogni del ventesimo secolo con prospettive di lunghi trasferimenti via terra di materie prime dirette verso industrie pesanti (sessant’anni fa, Stalin ancora caldo, era in effetti questo il futuro immaginato) o forse lo sviluppo delle tecnologie avrà reso un tantino desueto questa visione veteroindustralista? La stampante in 3D, per fare un esempio, permette già di spostare manufatti senza trasportarli, come dire che con una capsula di resina posso ottenere il mio kalashnikov con un semplice invio di dati da Kabul, senza carichi d’armi su gomma o rotaia che siano. E non si può sperare che in sei decenni la tecnologia dei motori migliori anche il trasporto che non può essere spostato su rotaia (per esempio quello che dalle stazioni raggiunge le aziende)? E quanto ai passeggeri siamo certi che le massicciate di cemento e i raccordi d’asfalto siano di qui a ses-sant’anni competitivi, ad esempio come il volo a energia solare e impatto ambientale pres-ssoché zero che negli Stati Uniti è stato presentato al mondo alla fine del 2012, con la prima transvolata coast to coast?
Per confutare la bugia 4) è sufficiente guardare Blade Runner, 1979, e notare che il protagonista si ferma a telefonare in una cabina.
Bugia 5)
Il Tav è conveniente.
Nessuna linea ad Alta Velocità al mondo, però, tranne la Osaka-Tokyo e in misura minore la Parigi-Lione, registra bilanci in attivo. Addirittura, il costo di mantenimento e gestione dell’ipertrofico sistema ad alta velocità spagnolo viene indicato come il primo fattore, accanto alla bolla immobiliare, della disastrosa crisi economica di un paese che fino a pochissimi anni fa era considerato teatro di un vero e proprio boom. La Spagna si è sottratta infatti a ogni nuovo progetto di Alta Velocità e utilizza i fondi europei per la politica dei trasporti nella realizzazione di autostrade, di una linea costiera – lenta – dedicata alle merci e nella semplice aggiunta di una terza rotaia all’interno delle due esistenti per permettere il passaggio dei treni europei che hanno uno scartamento ridotto rispetto a quello in uso in Spagna.
Per confutare la bugia 5) in effetti è necessario leggere qualcosina, anche solo “El Paìs” alle pagine di economia, e i bilanci (disponibili in rete) delle linee in esercizio.
Bugia 6)
L’Europa ce lo chiede.
In nessun paragrafo delle raccomandazioni europee relative alle scelte della Rete Ten-T, ovvero ai progetti di ammodernamento delle infrastrutture viarie e dei trasporti, viene specificata la modalità secondo cui ogni paese deve realizzare le opere finanziate: non si parla di Alta Velocità, ma neppure specificamente di ferrovie, né di modalità di trasporto. E men che meno vengono date indicazioni geografiche: la millantata funzione strategica della direttrice Torino-Lione è responsabilità tutta italiana. Semplicemente viene chiesto a ogni paese un piano di utilizzo delle risorse per migliorare i collegamenti e l’integrazione continentale. L’Unione non mette alcun vincolo di velocità o modalità, impone semplicemente per le tratte in corso di realizzazione (su scelta dei singoli governi) il rispetto delle cosiddette “specifiche tecniche di interoperabilità” (ad esempio sagome, alimentazioni e sistemi di segnalazione). A questo proposito val la pena di osservare che Portogallo, Spagna, Germania, Slovenia e Ungheria (oltre a Svizzera, Ucraina e Russia, fuori dall’Ue) hanno rinunciato alla realizzazione di ulteriori linee ad Alta Velocità. Della Spagna si è detto, il Portogallo si è chiamato fuori per l’insormontabilità economica di un progetto che non presentava benefici paragonabili ai costi, Germania, Svizzera e Slovenia hanno scelto di adeguare le linee tradizionali e mettere in movimento, su queste, convogli come il “pendolino” (brevetto italiano delle Officine Savigliano successivamente ceduto a un’azienda francese) in grado di correre a 250 kmh su linee tradizionali senza richiedere monumentali realizzazioni infrastrutturali. L’Ungheria investe i soldi europei in autostrade e nel miglioramento (ohibò) della rete telematica con un solo collegamento ferroviario ma verso Nord, in direzione Berlino. La Russia, dove le pianure non mancano e i costi di realizzazione sono circa otto volte inferiori a quelli italiani, ha semplicemente rinunciato per l’insostenibilità delle spese, la non concorrenzialità sulle tratte lunghe con il trasporto aereo e l’inutilità sulle tratte brevi ben coperte da linee moderne. Solo da noi l’Alta Velocità, condita peraltro con l’equivoco delle merci, viene raccontata come una richiesta dell’Europa.
Per falsificare la bugia 6) è sufficiente consultare il sito internet dell’Unione Europea che mette a disposizione i protocolli sulle politiche dei trasporti.
Bugia 7)
L’Europa finanzia l’opera in misura tale da attirare il concorso di investitori privati evitando di far gravare i costi sulle casse pubbliche.
L’intero stanziamento europeo per tutte le politiche infrastrutturali nel decennio in corso non raggiunge i 25 miliardi di euro (la richiesta della Commissione era di 31,8 miliardi). Il solo tratto italiano del tunnel (8,5 chilometri!) ne costa – per adesso, più del 10%: 2,8 miliardi di euro.
Se anche al progetto (comunque lo si chiami: a ogni sbandata gli si cambia nome, così da Corridoio 5 si è passati a Corridoio Mediterraneo, poi ad altre formule sempre più simili alle gloriose supercazzole di Ugo Tognazzi) che coinvolge Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Slovenia, Ungheria fosse assegnato il 10% delle risorse destinate a tutto il continente, meno di 2,5 miliardi, dunque non si coprirebbero nemmeno i costi nudi dei meno di dieci chilometri italiani. Anche in questo caso se a quella manciata di chilometri si volesse con slancio utopistico assegnare il 10% dei fondi destinati agli oltre tremila chilometri dell’intero corridoio attraverso cinque paesi, si può arrivare a pensare a un finanziamento intorno ai 250 milioni. Il che non impedisce di leggere in documenti governativi e giornali che l’Unione finanzierà il 40% dell’opera se non di più. La rete Ten T dei progetti viari continentali presenta, oltre all’asse latitudinale Spagna-Ungheria nato con il nome di “Corridoio 5”, altri dieci progetti prioritari, la maggior parte dei quali investe linee assai più frequentate e considerate assai più strategiche della vecchia direttrice ovest-est, come gli assi Nord-Sud che collegano il Mediterraneo alla Germania e alle economie scandinave. Alcuni di questi, poi, riguardano l’Italia in maniera assai più cruciale dell’ex Corridoio 5: è il caso del “Baltico-Mediterraneo” che raccorda i nostri porti adriatici con le economie del nord del continente, oggetto di una violenta contesa diplomatica che ha visto l’Italia ottenere dall’Unione l’esclusione della Slovenia da qualsiasi collegamento con quest’asse, con conseguente ritorsione slovena che vedremo. Insomma, se anche l’Italia contraddicesse se stessa e, a scapito di altri progetti su cui si è impegnata fino al braccio di ferro diplomatico, e volesse convogliare tutti i fondi europei sul tunnel in cima alle montagne valsusine, non rimarrebbe che una manciata di milioni (non miliardi) privi della capacità di attirare privati interessati alla gestione di una tratta in perdita secondo tutti gli standard internazionali e – anche nelle ottimistiche visioni dell’ex ministro Passera – in perdita certa per almeno altri sessant’anni. A questo si aggiunga che, per lo sciagurato Project Financing, anche le imprese che aprono i cantieri per la costruzione lavorano con prestiti bancari i cui interessi sono coperti da denaro pubblico: il peso economico dell’opera va pressoché interamente sulle spalle dello Stato, il che in tempi di crisi è in effetti difficile da giustificare. Come si spiega a chi paga l’Imu che proprio con una somma pari a quella garantita da quella tassa si sta realizzando una galleria destinata a restare isolata vicino alle vette fino a epoche talmente remote da non riuscire neppure a immaginarle?
Per smentire la bugia 7) è sufficiente contare i soldi nella cassa (anche queste cifre sono disponibili sui siti dell’Unione).
Bugia 8)
La Francia ha iniziato a scavare.
Semplicemente falso. Senza mezzi termini. Non un solo metro del tunnel di base, né un metro di rete per la recinzione del cantiere. È vero che nel 2005-2006 furono realizzati sul versante francese tre piccoli sondaggi geognostici, cunicoli successivamente abbandonati su cui si riversa ora la protesta della popolazione della Maurienne, stanca di pagare i costi di illuminazione perpetua di piccole gallerie desuete dove la luce non può essere spenta pena l’ossidazione degli impianti.
Per confutare la bugia 8 basta fare una gita nella bella Maurienne, meno di cento chilometri da Torino.
Bugia 9)
L’Alta Velocità in val Susa si connetterà con l’Alta Velocità transpadana verso Trieste.
Su questo argomento la palma della comicità surrealista va senz’altro assegnata a Piero Fassino, capace di sostenere, or non è molto, l’utlità del Tav con l’argomento del Corridoio 5, specificando che il futuro è nella connessione a oriente, dove Slovenia e Ungheria rappresentano “l’Eldorado dell’economia italiana” (sic!) e i treni per raggiungerle “la condizione per salvaguardare la vocazione industriale di Torino” (di nuovo sic!). Il sindaco non deve essersi accorto che di vocazione industriale quassù ne resta ben poco, ma certo lui, come tutti i giornalisti, dà per scontato che sia in programma una connessione a oriente.
Sbaglia, e di grosso: i progetti di Alta Velocità nel Nord Italia si fermano a Brescia, Rete Ferroviaria Italiana esclude ogni collegamento Tav di lì verso est, suscitando peraltro aspre proteste, per esempio a Trieste, dove il quotidiano “Il Piccolo” sostiene una giusta campagna per ottenere collegamenti ferroviari decenti e praticabili con Milano. Troppo costosi gli espropri nell’area più antropizzata d’Italia, inaggirabile il nodo di Vicenza (dove l’associazione degli industriali ha tentato, prima di rassegnarsi per l’insormontabilità dell’impresa, di realizzare una cordata privata per la costruzione di una linea) per ragioni urbanistiche, territoriali e di proprietà, non risolvibile il rebus dell’attraversamento della zona carsica friulana dove ogni proposta di tunnel cade inevitabilmente nel ridicolo e nel paradosso geologico: un progetto buttato giù in fretta e furia nel 2010 fu bocciato nel giro di pochi mesi per un cumulo di assurdità impraticabili, come l’idea di perforare le cavità carsiche (perforare cavità! e carsiche!), di fornire di collegamenti ad Alta Velocità le stazioni balneari venete e friulane (talmente vicine fra loro da impedire ai treni di raggiungere la velocità sognata), di triplicare a spese dell’Unicredit (ritiratasi in gran fretta dal progetto) il porto di Monfalcone.
In ogni caso, l’Ad di Rete Ferroviaria Italiana, Moretti, ha escluso esplicitamente e categoricamente ogni estensione delle ferrovie ad Alta Velocità a est di Brescia. Né più né meno: a che cosa dovrebbe quindi mai raccordarsi il tratto nordoccidentale?
Non solo: la Slovenia, incassato il veto italiano al collegamento del porto di Capodistria con il “Corridoio baltico-mediterraneo”, ha reagito abolendo ogni servizio ferroviario da e per l’Italia: dal dicembre 2011 da Trieste a Lubiana si va in corriera.
Per smentire la bugia 9) basta telefonare a Rfi o provare ad andare in treno a Trieste e poi magari a Lubiana.
Bugia 10)
Il mancato collegamento con Lione emargina il Piemonte dai flussi di merci e passeggeri che costituiscono elemento di integrazione europea: la regione resterebbe isolata ed emarginata.
In realtà la regione è collegata a nord e a ovest da altri valichi: Ventimiglia, il Monte Bianco, ma anche il Sempione verso la Svizzera e ben due servizi in val Susa: il tunnel del Frejus e l’Autostrada Ferroviaria Alpina, ammodernata nel 2012 e ora in efficiente funzionamento per il trasporto dei carichi Tir su convogli ferroviari fra Saint Jean de la Maurienne e Orbassano, presso Torino. Il declino del transito merci sulla linea interessata data a partire dal 1999, aumenta vertiginosamente fra il 2004 e il 2009 e si impenna negli anni più recenti fino ad attestarsi sui livelli del 1974 per quanto riguarda le ferrovie e del 1989 per il traffico su strada. Secondo il Politecnico di Torino fra il 1994 e il 2008 il traffico autostradale del Frejus e del Monte Bianco è sceso da 26,5 a 20,8 milioni di tonnellate, per fare un esempio. Non mancano libri e studi specifici su questo argomento.
In effetti per smentire questa bugia 10) qualche fatica va fatta, vista la (voluta?) disomogeneità dei dati forniti da fonti ufficiali e il sospetto di tendenziosità di quelli forniti da parte antagonista. Il lavoro può essere svolto in internet oppure, se mi si perdona l’autoreferenza, lo si trova bell’e fatto in De Benedetti - Rastello, Binario morto, Chiarelettere 2013.
Un esempio di dimostrazione in dieci passi sarebbe sufficiente e la cifra tonda dovrebbe accontentarci, pur nella consapevolezza di non aver coperto che una sezione dell’orizzonte delle manipolazioni informative in materia di Tav. Mi sembra però opportuno ricordarne ancora una:
Bugia 11)
È una questione di democrazia: una piccola comunità locale non può impedire la realizzazione di un’opera che è volontà del popolo italiano.
È una questione capitale: si può lasciare a ciascuno la riflessione su democrazia, diritti, sovranità, scelta collettiva e magari anche militarizzazione e costi relativi. Qui però è necessario ricordare che mai il Parlamento italiano, espressione della sovranità popolare, si è espresso sulla questione Tav, sempre gestita con decreti e scelte governative non sottoposte – se non a posteriori e all’interno di altre più vaste questioni, per esempio con le leggi finanziarie – a un vaglio specifico da parte del voto parlamentare. Quanto alla consultazione delle comunità locali a cui viene imposto un futuro di decenni di cantierizzazione e aggressione ambientale, persino i più oltranzisti fra i sostenitori dell’opera ammettono quanto meno che tale consultazione “non è avvenuta nei modi opportuni”. Eufemismo, in verità: in sede di decisione, semplicemente non è mai avvenuta. Il parere delle comunità locali è stato chiesto successivamente, a scelte fatte, a proposito di come realizzare la grande cattedrale, e non mai sulla scelta se realizzarla. Come se mi consultassero sulle modalità della demolizione, già decisa, di casa mia.
All’elenco mancano molte bugie, ma per una prima conclusione dovrebbero essere sufficienti le undici elencate: non è vero che il Tav ha a che fare con il trasporto merci; non è vero che riduce l’asfalto e il trasporto passeggeri su gomma; non è vero che collegherà Torino a Lione; non è vero che è in linea con il progresso tecnologico; non è vero che ha una sua convenienza economica; non è vero che l’Unione Europea ci chiede di realizzarlo; e non è vero che la stessa Unione è disposta a finanziarne una quota significativa sufficiente a sgravare gli enormi costi dalle casse pubbliche italiane; non è vero che la Francia ha definitivamente approvato il progetto e men che meno che ha avviato i lavori; non è vero che il progetto si integra in una futura rete di Alta Velocità italiana in direzione del nord-est; non è vero che le analisi di traffico passeggeri e merci indicano la necessità dell’opera; non è vero che la scelta a cui la val Susa si oppone sia espressione democratica della volontà nazionale. Ce n’è quanto basta per sostenere l’enunciato di partenza: si può essere informati e favorevoli al Tav in val Susa, oppure si può essere in buona fede e favorevoli al Tav, o ancora si può essere informati e in buona fede. Quel che non è possibile è essere informati, in buona fede e favorevoli.
Non c’è pudore in giornalisti, uomini delle istituzioni, soggetti di sottobosco variamente interessati alla grande opera: si parla a vanvera di corridoi europei, di tratte italiane che non sono previste neppure come ipotesi, di lavori già realizzati in varie parti d’Europa, di ritardi italiani e imprescindibili appuntamenti perduti (ma mai fissati), di legislazioni che non esistono, si sventolano dati, si confondono le carte spesso estraendole dal fondo del mazzo o dalla manica, si parla di passeggeri e di merci senza rispetto dell’abc dei trasporti, si cambia disinvoltamente traiettoria in volo, si prendono in giro gli ascoltatori con storie fantasiose e sprezzanti del buon senso (una fra tante: il presidente dell’Osservatorio governativo per la Torino-Lione continua ad affermare in occasione di dibattiti pubblici che la Spagna ha in programma un tunnel sotto il Mediterraneo per il collegamento con il Marocco: un’economia massacrata dai treni e la faglia geologicamente più instabile dei due continenti non bastano a tacitarlo).
Su questa montagna di ciarpame poggia l’unico organo davvero funzionante nella macchina Tav: la propaganda.
Un’offensiva massiccia e continua che fa leva su timori, conformismi, approssimazioni e menzogne nel costruire l’immagine di un futuro che non c’è, di un presente che non c’è e trasformare in senso comune gli slogan che nascono a difesa degli interessi di alcuni, pochi, affaristi in vario modo legati alle amministrazioni politiche: quelli che, soli, hanno da guadagnare da tutto questo. Attenzione: non certo dalla realizzazione dell’opera – relegata in un futuro mitologico di cui in realtà non importa nulla a nessuno – ma semplicemente dall’apertura dei cantieri e dalla riscossione di crediti destinati a non lasciare traccia di benefici e servizi concreti sul territorio.
Proprio perché la partita è giocata da una parte con dadi tanto spudoratamente truccati, avvilisce il pensiero che dall’altra parte si finisca per concorrere, involontariamente e quasi per automatismi pavloviani, al gioco di chi trasforma una questione cruciale per la democrazia, l’economia, e la civiltà stessa, per il destino delle comunità locali e per i diritti per i cittadini del nostro paese (che non sono un’entità astratta, ma sempre abitanti di un territorio) in una oscura questione di ordine pubblico e di confronto militare. Il gioco della violenza, anche solo rappresentato come in un teatro, come sempre taglia le ali al ragionamento e alla libertà di agire, libertà politica prima.
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