Presidente di municipio, giornalista e
nessuna tessera di partito in tasca si è candidato per la corsa al
Campidoglio, fuori dal centrosinistra: “Quell’esperienza è ingabbiata in
un quadro di compatibilità imposto dalle politiche di austerity”. Una
presenza la sua che pare andare oltre la testimonianza: “Punto al
ballottaggio”. Più servizi, cultura, difesa dei beni comuni, diritti
civili, recupero del patrimonio dismesso sono i temi caldi del suo
programma.
colloquio con Sandro Medici di Giacomo Russo Spena, Micromega
“Mi candido per sganciare l’amministrazione pubblica dai poteri forti e per raccogliere le esigenze sociali della città: più servizi e cultura. Roma ha bisogno di sovvertire l’opacità che l’attanaglia e rianimare le sue risorse umane e materiali”. Parla con lentezza, una parola dopo l’altra. Ha le idee chiare Sandro Medici, da una dozzina d’anni amministratore locale come presidente del Municipio di Cinecittà, il X, un territorio grande e popoloso quanto una città. Giornalista ed ex direttore del manifesto, ha deciso di candidarsi a sindaco di Roma già qualche mese fa. Col tempo sta ricevendo crescenti consensi: “Credo di poter raggiungere il ballottaggio, non mi sembra impossibile”, ci dice nella stanza un po’ fumosa del suo comitato elettorale, a pochi passi da Porta San Paolo.
Partiamo dalla sua decisione. Lei per tre mandati ha governato il X municipio, a capo di una coalizione di centrosinistra, perché ora invece si candida al Campidoglio come rappresentante del Quarto Polo arancione? Non è una contraddizione?
Sono sicuramente figlio del centrosinistra romano e in questi anni ho cercato di spingerlo il più possibile a sinistra. Ma oggi quell’esperienza è ingabbiata in un quadro di compatibilità imposto dalle politiche antipopolari che da Bruxelles e Francoforte si depositeranno su città e territori. Questa angusta prospettiva va contrastata senz’alcuna esitazione.
Non le sembra un’affermazione un po’ forte?
Nella Capitale è dirimente ripristinare la funzione pubblica. Si è nel tempo dispersa quell’ordinaria triangolazione che l’amministrazione esercitava tra interessi e bisogni. Una dialettica che si può ricomporre solo ripristinando la terzietà dell’intervento pubblico. Ora è il mercato che domina. E il centrosinistra non mi sembra voglia più di tanto spezzare quest’egemonia dell’economia sulla politica, quanto continuare a subirla.
Eppure a Roma si faranno le primarie e ci sarebbe lo spazio per un profilo “alternativo” che sfidi gli attuali candidati Gentiloni, Sassoli, Nieri o il sempre probabile Gasbarra o l’emergente Marino. Perché non parteciparvi?
Non sono interessato a riempire quel vuoto perché l’esito delle primarie si proietterebbe su un quadro politico già prestabilito e per me inaccettabile. Chiunque vinca. Da un lato, ci si rassegnerebbe ad accettare bilanci dissanguati dai tagli statali, che poi significa ridurre ogni spazio di autonomia per gli enti locali, destinati a trasformarsi in sportelli amministrativi. Non sfugge che, di conseguenza, per offrire servizi o realizzare opere pubbliche, ci si vedrebbe costretti a cedere ai privati beni e territori, e dunque ritrovarsi in una condizione di accattonaggio. Altro che subalternità ai poteri forti, sarebbe una vera e propria resa.
A proposito di poteri forti, nel suo curriculum da amministratore “vanta” un duro scontro con Ruini, nel lontano 2004…
Il X Municipio aveva appena inaugurato il Registro delle unioni civili, il primo a Roma. Il cardinal Ruini parlò di gesto deprecabile e l’allora sindaco Veltroni si schierò con l’ecclesiastico. Fu un episodio che rivelò quanto culturalmente arretrato fosse il centrosinistra e quanto subordinato ai catechismi vaticani. E temo che ancor oggi sia così. Siamo comunque andati avanti con le nostre politiche sui diritti civili e nel tempo è stato istituito anche il Registro per i testamenti biologici e la civil card, una sorta di cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia.
Ma al di fuori del centrosinistra non crede di poter fare solo testimonianza?
Questo nostro progetto può arrivare al ballottaggio, lo dico con convinzione. A Roma c’è un consistente elettorato stanco di votare il “meno peggio” o il “male minore” e, soprattutto, disilluso dal centrosinistra. Un elettorato che rischia di disimpegnarsi, astenersi. Si tratta allora di offrire una proposta credibile, intelligente e consapevole, che liberi i desideri e nutra l’immaginario, che prefiguri una stagione di benessere sociale e di risveglio culturale.
Non teme che la divisione della sinistra possa avvantaggiare Alemanno?
Non credo né nel voto utile né allo spauracchio della destra. Ritengo che a Roma si verificheranno movimentazioni inaspettate, disarticolazioni e sconfinamenti. E’ assai probabile che alle prossime elezioni affiorerà una nuova geografia elettorale e al ballottaggio potrebbero esserci sorprese.
Immaginiamo che Lei diventi sindaco. Quali sono i primi provvedimenti che intende attuare?
Innanzitutto bloccherei tutte le concessioni edilizie: a Roma c’è un sovraccarico di previsioni edificatorie dettato dalle pressioni immobiliariste e subìto dalla politica: fermiamo tutto e apriamo una discussione collettiva sul futuro urbanistico della città, di tutti e su tutto. Inoltre, definanzierei i fondi previsti per le grandi opere: milioni di euro per strade, autostrade, svincoli, raddoppi e finanche per “ritoccare” l’Ara Pacis. Queste risorse le utilizzerei per l’unica grande opera di cui ha bisogno Roma: la sua manutenzione, un generalizzato e amoroso lavoro di cura. E poi farei respirare la città, come dice Giovanni Franzoni: riducendo al massimo il traffico privato e potenziando il trasporto pubblico attraverso un’estesa rete tramviaria, come suggeriva, inascoltato, Italo Insolera. E non da ultimo, attiverei tutti quei servizi dedicati al riconoscimento dei diritti civili e di cittadinanza, nel rispetto d’ogni differenza: gli stessi già operanti in X municipio e anche di più.
Insiste molto sul nodo urbanistico di Roma e sul recupero. Si può governare questa città senza scendere a compressi con i palazzinari?
Non sono contro gli operatori immobiliari, sono contro la rendita e contro l’ingordigia edificatoria. Qui c’è da salvare Roma e la sua bellissima campagna. La città è in affanno, è sufficiente una pioggia per mandarla in tilt. Bisogna chiudere con la sua spinta centrifuga ed espansiva e avviare un percorso centripeto e risanatore. Credo fortemente nel riuso del patrimonio esistente, e lo stesso ciclo dell’edilizia dovrebbe definitivamente riconvertirsi, passare dalla ruspa allo scalpello. Come presidente di Municipio ho requisito centinaia di case private vuote per consegnarle a famiglie in emergenza abitativa; e i tribunali non mi hanno condannato. Per far fronte alla domanda abitativa, lo stesso governo francese ha iniziato a requisire edifici e stabilimenti inutilizzati. Come sindaco di Roma mi impegnerei quindi nel recupero di spazi pubblici e privati: sono 140mila gli appartamenti vuoti e tantissime le famiglie in emergenza. E’ intollerabile che Roma, come diceva il sindaco Argan, sia “una città di case senza gente e gente senza casa”.
Nella sua lista a candidato sindaco, i partiti saranno rappresentati?
Il movimento arancione è un progetto politico che sta compiendo i primi passi, ha bisogno di tempo per affermarsi e per farsi apprezzare. Inizialmente i partiti erano diffidenti, ora le cose stanno cambiando, sia a livello nazionale che sul piano locale, anche nei confronti della mia candidatura. L’importante è riconoscersi in un programma alternativo e iniziare un cambiamento reale, anche nello stile e nel metodo. Sinistra politica e sinistra sociale devono avere la stessa dignità e la stessa possibilità di concorrere in una lista elettorale.
A livello nazionale sia l’Agenda Monti che il programma di Bersani parlano di liberalizzazioni dei servizi locali. Qual è il suo giudizio?
A Roma non si vende nulla, né aziende né immobili. Farei come Luigi De Magistris a Napoli: ripubblicizzerei il servizio idrico. Mi terrei tutte le società municipalizzate e, anzi, dove possibile, ne costituirei di nuove, in difesa dei beni comuni. E utilizzerei in funzione sociale il patrimonio pubblico, un bene che appartiene ai cittadini e non alle istituzioni. La Capitale è piena di caserme, depositi, magazzini, stabilimenti, edilizia dismessa: andrebbe tutto riconvertito e riusato, soprattutto per ospitare e valorizzare la produzione culturale indipendente. Spazi pubblici da offrire a quei quartieri dove non c’è nulla, se non squallide sale da gioco, e così favorire l’incontro sociale, la creatività, la progettualità, il piacere della condivisione. Esperienze che a Roma sono già in corso, nei cinema e nei teatri occupati, luoghi che mai prima d’ora avevano visto tanta partecipazione.
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